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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE XLI. - PER LA DOMENICA XII. DOPO PENTECOSTE

 

Abuso della divina misericordia.

Curam illius habe. (Luc. 10. 35.)

Nel vangelo odierno si dice che un certo uomo cadde in mano de' ladroni, i quali dopo averlo spogliato gli diedero molte ferite e lo lasciarono mezzo vivo. Passando colà un samaritano, lo vide e n'ebbe compassione, onde prima gli fasciò le ferite, e poi lo condusse in un alloggiamento, e lo raccomandò caldamente all'ostiere che ne avesse la cura: Curam illius habe. Queste parole oggi io dico ad alcuno, se mai si trovasse fra voi, uditori miei, che tiene impiagata l'anima di peccati, e che in vece di attendere a curarla, sempre più l'aggrava di ferite con nuovi peccati, abusandosi della misericordia di Dio, che per sua bontà ancora lo mantiene in vita, affinché si emendi, e finalmente non perda l'anima. E così ti dico, fratello mio, curam illius habe, abbi cura, abbi compassione dell'anima tua, che sta troppo inferma: Miserere animae tuae1. Sta inferma, e quel che è peggio, sta vicina a morire colla morte eterna dell'inferno; mentre chi troppo si abusa della divina misericordia è prossimo a restare abbandonato dalla misericordia di Dio; e questo sarà l'unico punto del presente discorso.

 

Dice s. Agostino che in due modi il demonio inganna i cristiani, desperando et sperando. Dopo che l'uomo ha commessi molti peccati, il nemico lo tenta a diffidare della misericordia di Dio, mettendogli davanti il rigore della divina giustizia. Prima non però di peccare gli animo a non temere del castigo dovuto a chi pecca, mettendogli davanti la divina misericordia. Onde il santo consiglia: Post peccatum spera misericordiam, ante peccatum pertimesce iustitiam. Dopo il peccato, se tu disperi del perdono di Dio, tu l'offendi con un nuovo e maggior peccato; ricorri alla sua misericordia che egli ti perdonerà. Ma prima del peccato temi della giustizia di Dio, e non ti fidare della sua misericordia; mentre chi si abusa della misericordia di Dio per offenderlo, non merita che Dio gli usi misericordia. Scrive l'Abulense: chi offende la giustizia, può ricorrere alla misericordia; ma chi offende ed irrita contro di sé la misericordia, a chi ricorrerà?

 

Quando tu vuoi peccare, dimmi, chi ti promette la misericordia di Dio? Non certamente te la promette Iddio, ma te la promette il demonio, affinché perdi Dio e ti danni: Cave, dice s. Gio. Grisostomo, ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur2. Se per lo passato hai offeso Dio, peccatore mio, spera e trema; se vuoi lasciare il peccato e lo detesti, spera, giacché egli promette il perdono a chi si pente del male fatto; ma se tu vuoi seguitare la mala vita, trema che il Signore non ti aspetti più, e ti mandi all'inferno. A che fine aspetta Dio il peccatore? Acciocché siegua ad ingiuriarlo? No, l'aspetta, affinché lasci il peccato, e così possa egli usargli pietà e perdonarlo: Propterea expectat


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Dominus, ut misereatur vestri1. Ma quando il Signore vede che quegli del tempo che gli per piangere le colpe commesse se ne vale per moltiplicarle, allora mano al castigo, gli taglia i passi, facendolo morire come si trova in peccato, acciocché morendo finisca di offenderlo. Ed allora chiama a giudicarlo lo stesso tempo che gli avea dato a far penitenza: Vocavit adversum me tempus2. Ipsum tempus, scrive s. Gregorio, ad iudicandum venit.

 

Oh inganno comune di tanti poveri cristiani che si dannano! Perché difficilmente si trova un peccatore così disperato che dica: Io mi voglio dannare; peccano i cristiani, e si vogliono salvare dicendo: Dio è di misericordia, farò questo peccato e poi me lo confesso. Ecco l'inganno, o per meglio dire, ecco la rete colla quale il demonio trascina tante anime all'inferno: Pecca, perché poi te lo confessi. Ma sentite quel che dice Dio: Et ne dicas: Miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur3. Non dire, dice Dio, la pietà del Signore è grande; e perché? Udite le parole che soggiunge la scrittura: Misericordia enim et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius4. La misericordia di Dio differisce dalle miserazioni di Dio: la misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia, che sono le miserazioni, sono finiti. Iddio è misericordioso, ma ben anche è giusto. Scrive s. Basilio che i peccatori vogliono considerare Dio per metà, stimandolo solamente misericordioso che perdona, e non giusto che castiga; del che il Signore se ne lagnò un giorno con s. Brigida: Ego sum iustus et misericors; peccatores tantum misericordiam me existimant. E questo è quel che dice s. Basilio: Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolimus Deum ex dimidia parte cogitare. Dio anche è giusto, e l'esser giusto importa che egli castighi gli ingrati. Diceva il p. Giovanni d'Avila, che il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non a chi lo disprezza, come cantò la divina Madre: Et misericordia eius... timentibus eum5.

 

Ma Dio, dice quel temerario, già mi ha usate tante misericordie, perché non ho da sperare che me le usi anche per l'avvenire? Rispondo: te le userà, se vuoi mutar vita; ma se vuoi seguire ad offenderlo, Dio dice che dovrà vendicarsi di te con farti cadere all'inferno: Mea est ultio; et ego retribuam in tempore, ut labatur pes eorum6. E Davide ci avvisa: Nisi conversi fueritis, arcum suum vibrabit7. Il Signore tiene l'arco teso ed aspetta che ti converti; ma se non vuoi convertirti, scoccherà finalmente contro di te la saetta e tu resterai dannato. Oh Dio! Alcuni non vogliono credere all'inferno, se proprio non ci arrivano. Ma quando i miseri ci saranno arrivati non vi sarà per essi più misericordia. Potrai forse tu, cristiano mio, lamentarti della misericordia di Dio, dopo che Dio ti ha usate tante misericordie con aspettarti tanto tempo? Tu dovresti star sempre colla faccia a terra per ringraziarnelo, dicendo: Misericordiae


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Domini, quia non sumus consumpti1. Se le offese che tu hai fatte a Dio, le avessi fatte ad un tuo fratello carnale, neppure ti avrebbe sofferto; Iddio ti ha sofferto con tanta pazienza, ed ora ti torna a chiamare; se poi ti manda all'inferno, ti farà torto? Quid debui, dirà Dio, ultra facere vineae meae et non feci2? Esempio, dirà, che più doveva io fare per te e non l'ho fatto?

 

Scrive s. Bernardo che quella speranza che hanno i peccatori nel peccare, fidando alla bontà di Dio, non ci concilia la benedizione, ma solamente la maledizione di Dio: Est infidelis fiducia solius ubique maledictionis capax, cum videlicet in spe peccamus3. Oh falsa speranza de' cristiani, che ne manda tanti all'inferno! Sperant ut peccent! Vae a perversa spe, dice s. Agostino4. Non già sperano che Dio perdoni loro i peccati di cui si pentono, ma sperano che seguitando a peccare, Dio usi loro misericordia; sicché fanno che la misericordia di Dio serva loro di motivo per seguire a peccare! Oh speranza maledetta, speranza che è l'abominazione di Dio: Et spes illorum abominatio5. Questa speranza farà che Dio li castighi più presto, siccome un padrone non differirebbe il castigo ad un servo che l'offendesse, perché il padrone è buono. Così appunto, dice s. Agostino6, fa e dice il peccatore, fidando sulla bontà di Dio: Bonus est Deus, faciam quod mihi placet. Ma oh quanti ne ha ingannati questa vana speranza, dice lo stesso s. Agostino! Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit. Scrive s. Bernardo che Lucifero per ciò fu così presto castigato da Dio, perché ribellandosi sperò di non esserne castigato. Ammone figlio del re Manasse, vedendo che il padre era stato da Dio perdonato de' suoi peccati, anche egli colla speranza del perdono si rilasciò a peccare; ma per Ammone non vi fu misericordia. Dice s. Gio. Grisostomo, che anche perciò Giuda si perdette, perché fidato alla benignità di Gesù Cristo lo tradì: Fidit in lenitate magistri.

 

Chi pecca colla speranza del perdono, dicendo: Appresso me ne pentirò, e Dio mi perdonerà, costui, dice s. Agostino, irrisor est, non poenitens. All'incontro dice l'apostolo che Iddio non si fa burlare: Deus non irridetur7. Sarebbe un burlare Dio, offenderlo sempre che piace, e sempre averne il perdono. Quae enim seminaverit homo, haec et metet, siegue a dire s. Paolo8. Chi semina peccati, non può sperare altro che l'odio di Dio e l'inferno: An divitias bonitatis eius, esclama lo stesso apostolo, et patientiae et longanimitatis contemnis9? Così, dice, tu disprezzi, o peccatore, le ricchezze della bontà, della pazienza e della tolleranza che Dio ha per te? Dice, divitias, perché le misericordie che Dio ci usa in non castigarci dopo il peccato, son ricchezze per noi più preziose di ogni tesoro: Ignoras, seguita a dire, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit10? Non lo conosci che il Signore non già ti aspetta ed è con te così benigno, acciocché tu seguiti a peccare, ma acciocché piangi le offese che gli hai fatte? Altrimenti, dice s. Paolo, tu colla tua ostinazione ed impenitenza ti accumuli un tesoro


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d'ira nel giorno dell'ira, quale sarà il giorno del giudizio di Dio sopra di te: Secundum autem duritiam tuam et impoenitens cor thesaurizas tibi iram in die irae et revelationis iusti iudicii Dei1.

 

Alla durezza poi del peccatore seguirà l'abbandono di Dio, che dirà per quell'anima imperversata nel peccato, come disse per Babilonia: Curavimus Babylonem, et non est sanata: derelinquamus eam2. E come Iddio abbandona il peccatore? O gli manda una morte improvvisa e lo fa morire in peccato, oppure lo priva di quelle grazie che gli bisognerebbero per convertirsi davvero; lo lascia colla sua grazia sufficiente, con cui potrebbe colui salvarsi, ma non si salverà: la mente ottenebrata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua conversione moralmente impossibile, e così resterà non assolutamente, ma moralmente abbandonato: Auferam sepem eius, et erit in direptionem3. Quando il padrone della vigna scassa la siepe, e permette di entrarvi chi vuole, che segno è? È segno che l'abbandona. Così fa Dio quando abbandona un'anima; le toglie la siepe del santo timore, il rimorso della coscienza, e la lascia nelle tenebre; ed allora vi entreranno tutti i vizj: Posuisti tenebras, et facta est nox: in ipsa pertransibunt omnes bestiae sylvae4. E il peccatore abbandonato in quel profondo di peccati disprezzerà tutto, ammonizioni, scomuniche, grazia di Dio, castighi, inferno, si burlerà della stessa sua dannazione: Impius cum in profundum peccatorum venerit, contemnit5.

 

Dimanda Geremia: Quare via impiorum prosperatur6? E poi risponde: Congrega eos quasi gregem ad victimam7. Povero quel peccatore che in questa vita è prosperato! È segno che Dio vuol pagargli temporalmente qualche sua opera moralmente buona, ma poi lo tiene riserbato come vittima della sua giustizia per l'inferno, dove come zizzania maledetta sarà gittata ad ardere per tutta l'eternità, secondo quel che disse Gesù Cristo: In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum8.

 

Sicché il non essere castigato un peccatore in questa vita, è il suo maggior castigo, minacciato da Dio agli ostinati per Isaia9: Misereamur impio, et non discet iustitiam. Dice s. Bernardo su questo testo: Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio ista10. E qual maggior castigo che l'essere abbandonato in mano del peccato, sì che permettendo Dio che egli cada da peccato in peccato, dovrà finalmente andare a patir tanti inferni, quanti peccati ha commessi, giusta quel che disse Davide: Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium11. Sulle quali parole scrive il Bellarmino: Nulla poena maior, quam cum peccatum est poena peccati. Meglio sarebbe stato per un tal peccatore che fosse morto nel primo peccato, perché morendo poi col cumulo di tante iniquità aggiunte, avrà tanti inferni quanti sono i peccati fatti. Così avvenne ad un certo commediante in Palermo, chiamato Cesare, il quale passeggiando un giorno con un suo amico, gli disse che il


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p. Lanusa missionario gli avea predetto che Dio davagli dodici anni di vita, tra' quali se non avesse mutato vita, avrebbe fatta una mala morte. Ora io, soggiunse, ho camminato per tante parti del mondo, ho avute più infermità, una specialmente mi ridusse all'ultimo; ma in questo mese, in cui compisco i dodici anni, mi sento meglio che in tutti gli anni passati. Indi l'invitò a venire a sentir una nuova commedia da lui composta. Ma che avvenne? Nel giorno della commedia, che fu ai 24. di novembre del 1668., mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne un colpo apopletico, e morì di subito, spirando tra le braccia di una donna anche commediante, e così infelicemente finì per lui la scena di questo mondo.

 

Veniamo a noi, e concludiamo il discorso. Fratello mio, ti prego di dare un'occhiata a tutti gli anni scorsi della tua vita: vedi quante offese gravi hai fatte a Dio, e vedi quante misericordie egli ti ha usate, quanti lumi ti ha dati, quante volte ti ha chiamato a mutar vita! Oggi con questa predica ti ha tornato a chiamare, e parmi che ti dica: Quid debui ultra facere vineae meae, et non feci1? Che più doveva fare per te, e non l'ho fatto? Che dici, che rispondi? Vuoi darti a Dio, o vuoi seguitare ad offenderlo? Pensa, dice s. Agostino, che il castigo ti è stato differito, ma non già perdonato: O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis. Se più ti abusi della divina misericordia, amputaberis, presto ti verrà il castigo. Che aspetti? Aspetti che proprio Dio ti mandi all'inferno? Il Signore sinora ha taciuto, ma egli non tace sempre; quando giungerà il tempo della vendetta, ti dirà: Haec fecisti et tacui. Existimasti, inique, quod ero tui similis: arguam te, et statuam contra faciem tuam2. Ti porrà innanzi agli occhi le grazie fatte che tu hai disprezzate, ed elle stesse ti giudicheranno e condanneranno. Via su non resistere più a Dio che ti chiama; e trema che questa chiamata d'oggi sia l'ultima per te. Presto confessati, ed ora fa una ferma risoluzione di mutare vita; perché non serve confessarti e poi tornare da capo. Ma io, tu dici, non ho forza di resistere alle tentazioni. Ma senti quel che dice l'apostolo: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis3. Dio è fedele non mai permetterà che tu sii tentato sopra le tue forze. E se tu da per te non hai forze da resistere al demonio, cercale a Dio, e Dio te le darà: Petite et accipietis4. Laudans invocabo Dominum: et ab inimicis meis salvus ero, dicea Davide5. E s. Paolo diceva: Omnia possum in eo qui me confortat6. Io non posso nulla, ma col divino aiuto posso tutto. E così ancora tu raccomandati a Dio nelle tentazioni, e Dio ti darà forza di resistere, e non cadrai.

 




1 Eccl. 30. 24.

2 Hom. 50. ad pop.

1 Isa. 30. 18.

2 Thren. 1. 15.

3 Eccl. 5. 6.

4 Ibid. v. 7.

5 Luc. 1. 50.

6 Deut. 32. 35.

7 Psal. 7. 13.

1 Thren. 3. 22.

2 Isa. 5. 4.

3 Serm. 3. de Annunc.

4 In psal. 144.

5 Iob. 11. 20.

6 Tract. 33. in Ioan.

7 Gal. 6. 7.

8 Ibid. v. 6.

9 Rom. 2. 4.

10 Ibid.

1 Ibid. v. 5.

2 Ier. 51. 9.

3 Isa. 5. 5.

4 Psal. 103. 20.

5 Prov. 18. 3.

6 Ier. 12. 1.

7 Ibid. v. 3.

8 Matth. 13. 30.

9 26. 10.

10 Serm. 42. in Cant.

11 Psal. 68. 28.

1 Isa. 5. 4.

2 Psal. 49. 21.

3 1. Cor. 10. 13.

4 Ioan. 16. 24.

5 Psal. 17. 4.

6 Phil. 4. 13.




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