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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE XLIII. - PER LA DOMENICA XIV. DOPO PENTECOSTE

 

Tutto finisce e presto finisce.

Foenum agri quod hodie est, cras in clibanum mittitur. (Matth. 6. 30.)

 

Ecco quali sono tutti i beni di questa terra, sono come il fieno del campo, che oggi spunta, e adorno del suo fiore fa una bella comparsa; ma nella sera poi secca, ne cade il fiore, e nel giorno seguente è posto al fuoco. Ciò fu ordinato da Dio ad Isaia di predicare: Clama. Et dixi: quid clamabo? Omnis caro foenum et omnis gloria eius quasi flos agri6. Quindi s. Giacomo paragona i ricchi di questo mondo ai fiori del fieno, che in


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fine del viaggio della loro vita marciscono con tutte le loro ricchezze e pompe: Dives... autem sicut flos foeni transibit... ita et dives in itineribus suis marcescet1. Marciscono e sono mandati al fuoco, cras in clibanum mittitur; come avvenne all'Epulone che fece una bella comparsa su questa terra, e poi sepultus est in inferno2. Dunque, cristiani miei, attendiamo a salvarci l'anima e farci ricchi nell'eternità che non finisce mai, poiché in questo mondo

 

Punto I. Tutto finisce;

 

Punto II. Presto finisce.

 

PUNTO I. Tutto finisce.

 

Allorché quel grande della terra starà al meglio di godere le sue ricchezze ed onori acquistati, verrà la morte, e gli sarà detto: Dispone domui tuae, quia morieris tu et non vives3. Oh che nuova di dolore! Dovrà il misero dire allora: addio mondo, addio ville, addio casini, addio parenti, addio amici, addio caccie, addio balli, addio commedie, addio banchetti, addio onori, è finito tutto per me. Non vi è rimedio, o vuole o non vuole, tutto ha da lasciare: Cum interierit, non sumet omnia; nec descendet cum eo gloria eius4. Dice s. Bernardo che la morte opera un terribile separamento dell'anima dal corpo e da tutte le cose di questa terra: Opus mortis horrendum divortium5. Se a questi grandi della terra che dai mondani si chiamano i fortunati del mondo, è così amaro il nome solo di morte, che neppure vogliono sentirne parlare, poiché tutto il loro pensiero è di trovar pace nei loro beni di terra, come dice l'Ecclesiastico: O mors quam amara est memoria tui homini habenti pacem in substantiis suis6! Quanto poi sarà amara la morte stessa, quando in fatti verrà! Povero chi sta attaccato ai beni di questo mondo! Ogni taglio apporta dolore; onde quando il cuore si ha da dividere col taglio della morte da que' beni in cui avea posto tutto il suo amore, ha da sentire un gran dolore. Ciò appunto facea gridare il re Agag, quando gli fu recata la nuova della morte: Siccine separat amara mors7! Questa è la gran miseria di questi tali, che stando già prossimi ad essere chiamati al divino giudizio, invece di attendere ad aggiustare i conti dell'anima, si occupano a pensare alle cose della terra. Ma questo, dice s. Gio. Grisostomo, è il castigo che spetta a' peccatori, che per essersi dimenticati di Dio in vita, in morte poi si dimenticano di loro stessi: Hac animadversione percutitur impius, ut moriens obliviscatur sui, qui vivens oblitus est Dei.

 

Ma siasi egli attaccato quanto si voglia alle cose di questo mondo, da tutto in morte si ha da licenziare; nudo è entrato in questo mondo, nudo ne ha da uscire: Nudus, dice Giobbe, egressus sum de utero matris meae, et nudus revertat illuc8. Coloro in somma che hanno spesa tutta la vita, vi han perduto il sonno, la sanità e l'anima in accumulare danari e rendite, in punto di morte niente porteranno seco, apriranno gli occhi gl'infelici, e nulla troveranno di quanto hanno acquistato: onde in quella notte di confusioni saranno oppressi da una tempesta di pene e di tristezze: Dives cum dormierit, nihil secum auferet; aperiet oculos


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suos, et nihil inveniet... nocte opprimet eum tempestas1. Narra s. Antonino che Saladino re de' saraceni ordinò in morte che nel portarlo alla sepoltura si portasse avanti di lui il lenzuolo, con cui dovea seppellirsi, e che uno andasse gridando: Tantum hoc deportabit Saladinus de omnibus rebus suis. Narra di più che un certo filosofo, parlando di Alessandro Magno dopo la di lui morte, diceva: ecco quegli che facea tremare la terra, come già si dice nella scrittura, Siluit terra in conspectu eius2, ora è oppresso dalla terra; e quegli a cui non bastava il dominio di tutto il mondo, ora bastano quattro palmi di terreno: Qui terram heri conculcabat, hodie ab ea conculcatur; et cui heri non sufficiebat mundus, hodie sufficiunt quatuor ulnae terrae. Inoltre narra s. Agostino, o altro autore antico3, che ritrovandosi egli a vedere il sepolcro di Cesare, esclamò: Te verebantur principes, te colebant urbes, te timebant omnes; quo ivit tua magnificentia? Ecco quel che dice Davide: Vidi impium superexaltatum, et elevatum sicut cedros Libani, et transivi, et ecce non erat4. Oh quanti di questi spettacoli si vedono accadere giornalmente nel mondo! Quel peccatore che prima era vile e povero, ma poi è diventato ricco, ed ha acquistati onori e dignità, onde ognuno l'invidia: ma dopo che è morto, ognuno dice: ha fatta fortuna questi nel mondo, ma ora è morto e colla morte per lui è finita ogni cosa.

 

Quid superbis terra et cinis5? Così fa sentire il Signore a chi si gonfia degli onori e ricchezze di questa terra: misero, dice, donde ti viene questa superbia? Se possiedi onori e beni, ricordati che sei di terra: Quia pulvis es, et in pulverem reverteris6. Hai da morire, e dopo la morte che ti serviranno questi onori e queste robe per cui t'insuperbisci? Va, dice s. Ambrogio, va a quel cimitero, dove sono sepolti ricchi e poveri, e vedi se puoi discernere tra coloro chi sia stato ricco e chi povero; tutti sono nudi, ed altro non hanno che quattro ossa spolpate: Respice sepulcra, dic mihi, quis ibi dives, quis pauper sit7? Oh quanto gioverebbe il ricordarsi della morte ad ogni uomo che vive in mezzo al mondo! Ipse ad sepulcra ducetur, et congerie mortuorum evigilabit8. Alla vista di quei cadaveri che si ricorderebbe della morte, e che egli un giorno sarà simile ad essi; e così si risveglierebbe dal sonno mortale, in cui forse vive perduto. Ma questo è il male, che i mondani non ci vogliono pensare alla morte, se non proprio quando viene, e nell'ora in cui hanno da sloggiare da questa terra per entrare all'eternità, e perciò vivono così attaccati al mondo, come non mai avessero da partirne. Ma no, che la nostra vita è breve e presto finirà; sicché tutto ha da finire e presto ha da finire.

 

PUNTO II. Tutto presto finisce.

 

Sanno bene gli uomini e ben lo credono che hanno da morire; ma si figurano la morte così lontana da essi, come non avesse mai da venire. Ma no, avvisa Giobbe, la vita dell'uomo è breve: Homo, brevi vivens tempore, quasi flos egreditur et conteritur9. Al presente le sanità degli uomini sono così indebolite, che la maggior parte muoiono, come l'esperienza


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fa vedere, prima de' sessant'anni. E che altro è la nostra vita, dice s. Giacomo, che un vapore, che ad un poco di vento, ad una febbre, ad una gocciola, ad una puntura, ad un catarro di petto sparisce, e non v'è più? Quae est enim vita vestra? Vapor est ad modicum parens1. Dicea la Tecuite a Davide: Omnes morimur, et quasi aquae dilabimur in terram, quae non revertuntur2. E dice la verità: siccome corre ogni fiume, ogni ruscello al mare, e le acque che scorrono non ritornano in dietro; così i nostri giorni passano, e ci avvicinano alla morte.

 

Passano e passano presto: Dies mei, diceva Giobbe, velociores cursore3. La morte ci viene all'incontro, e corre più presto d'un corriere, sì che in ogni passo che diamo, in ogni respiro che facciamo, ci accostiamo alla morte. S. Girolamo, mentre scriveva, pensava che in quel tempo più si approssimava alla morte, onde dicea: Quod scribo de mea vita tollitur. Dunque diciamo con Giobbe: passano gli anni, e cogli anni passano i piaceri, gli onori le pompe e tutte le cose di questo mondo: Et solum mihi superest sepulcrum4. Tutta in somma la gloria delle fatiche che avremo fatte in questo mondo, per acquistare una buona entrata, un gran nome di uomo di valore, di lettere, d'ingegno, a che finirà? Finirà ad essere buttati in una fossa a marcire. Dunque, dirà quel misero mondano in punto di morte, dunque la mia bella casa, il mio giardino, quei mobili di buon gusto, quelle pitture, quelle vestiricche, tra poco non saranno più mie? Et solum mihi superest sepulcrum.

 

Ma siasi distratto ed intrigato negli affari del mondo e ne' suoi piaceri questo uomo quanto si voglia, dice il Grisostomo, quando il timore della morte, il quale mette fuoco a tutte le cose della vita presente, comincia ad entrare nell'anima, la costringe a pensare ed a porsi in sollecitudine di quel che sarà di lei dopo la morte nell'eternità. Cum pulsare animam incipit metus mortis (ignis instar praesentis vitae omnia succedens) philosophari eam cogit, et futura solicita mente versari5. Eh che in tempo di morte, secondo parla Isaia6: Tunc aperientur oculi caecorum; ben si aprono gli occhi di questi ciechi che hanno occupata tutta la loro vita ad acquistare beni di terra, e poco hanno atteso agli interessi dell'anima. Per tutti costoro si avvera quel che ci avvisa il Signore, che la morte loro avverrà quando meno se lo penseranno: Qua hora non putatis Filius hominis veniet7. Sicché a questi miserabili la morte sempre giunge improvvisa; ond'essi in quegli ultimi giorni della loro vita (mentre a tali uomini amanti del mondo non suol darsi l'avviso della morte, se non proprio quando son vicini a morire) in quegli ultimi giorni, dico, più prossimi alla morte, dovranno aggiustare i conti dell'anima da rendere per 50. o 60. anni vivuti in questa terra. Desidereranno allora un altro mese, un'altra settimana per meglio aggiustar tali conti e mettere in pace la loro coscienza; ma pacem requirent et non erit8. Poiché questo tempo è loro negato: il sacerdote che assiste legge l'ordine divino di partir presto da questo


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mondo: Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo. Oh che entrata pericolosa nell'eternità fanno i mondani, morendo in mezzo a tante tenebre e confusioni per causa de' conti non bene aggiustati!

 

Pondus et statera iudicia Domini1. Nel tribunale del Signore non si pesano né la nobiltà né le dignità né le ricchezze; due sole cose si pesano, i peccati dell'uomo e le grazie fattegli da Dio. Chi si troverà fedele in aver corrisposto ai lumi ed alle chiamate ricevute sarà premiato; e chi si troverà mancante sarà condannato. Noi non teniamo conto delle grazie divine, ma bene ne tiene conto il Signore e le misura; e quando le vede disprezzate sino a certo termine, lascia il peccatore nel suo peccato e così lo fa morire: Quae enim seminaverit homo haec et metet2. Dalle fatiche fatte per acquistare posti, robe, applausi nel mondo, niente si raccoglie in morte, tutto è perduto; solamente dalle opere fatte per Dio, o dalle tribolazioni sofferte per Dio si raccoglie frutto di vita eterna.

 

Quindi ci esorta s. Paolo, anzi ci prega ad attendere a compire il nostro negozio: Rogamus autem vos fratres... ut vestrum negotium agatis3. Dimando, di qual negozio parla l'apostolo? Forse di far danari, di acquistarsi un gran nome nel mondo? No, parla del negozio dell'anima, di cui parlò prima Gesù Cristo dicendoci: Negotiamini, dum venio4. Il negozio per cui il Signore ci ha posti e ci tiene nel mondo è di salvarci l'anima, e colle opere buone acquistarci la vita eterna. Questo è l'unico fine per cui Dio ci ha creati: Finem vero vitam aeternam5. Il negozio dell'anima è l'affare per noi non solo il più importante, ma il principale, anzi l'unico; poiché salvata l'anima, è salvato tutto, dove all'incontro, perduta l'anima, è perduto tutto. Onde, come dice la scrittura, dobbiamo agonizzare per la salute dell'anima, e combattere sino alla morte per la giustizia, cioè per l'osservanza della divina legge: Agonizare pro anima tua, et usque ad mortem certa pro iustitia6. E questo è quel negoziare che ci raccomanda il nostro Salvatore: Negotiamini, dum venio; tenendo sempre avanti gli occhi il giorno in cui egli ha da venire ad esigere i conti di tutta la nostra vita.

 

Tutte le cose di questo mondo, gli acquisti, gli applausi, le grandezze, tutte, come abbiam detto, han da finire, e presto han da finire. Praeterit figura huius mundi7: la scena di questo mondo passa: beato chi in questa scena fa bene la sua parte e salva l'anima, posponendo tutti gli interessi temporali del corpo agli interessi eterni dell'anima, il che vien significato con quelle parole: Qui odit animam suam in hoc mundo, in vitam aeternam custodit eam8. È sciocchezza dei mondani il dire: beato chi ha danari! Beato chi si fa stimare! Chi si piglia spassi in questo mondo! Sciocchezza: beato chi ama Dio e salva l'anima. Il re Davide questa sola cosa domandava a Dio, la salute eterna: Unam petii a Domino, hanc requiram9. E s. Paolo dicea che disprezzava come sterco tutti i beni mondani per acquistar la grazia di Gesù Cristo, che contiene la vita eterna: Omnia detrimentum feci,


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et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam1.

 

Ma dice quel padre di famiglia: io non mi affatico tanto per me, quanto per i figli miei, affin di lasciarli comodi. Ma io rispondo: se tu dissipassi i beni che possiedi e lasciassi i figli in povertà, faresti male, e peccheresti; ma poi per lasciar comodi i figli vuoi perdere l'anima tua? Se vai all'inferno, verranno forse a cacciartene i figli? Pazzia! Ma senti quel che dice Davide: Non vidi iustum derelictum, nec semen eius quaerens panem2. Attendi tu a servire Dio, opera secondo la giustizia, che il Signore non farà mancare quel che bisogna a' tuoi figli; e tu all'incontro ti salverai, ed acquisterai quel tesoro eterno di felicità, che non potrà esserti più tolto, siccome dalla morte, come da un ladro, ti saranno tolti tutti i beni che possiedi in questa terra. Questo è quello a cui ci esorta il Signore in s. Matteo3: Thesaurizate autem vobis thesauros in coelo, ubi neque aerugo, neque tinea demolitur: et ubi fures non effodiunt nec furantur. Ecco per concludere il bell'avvertimento che ci s. Gregorio per vivere bene ed acquistar la salute eterna: Sit nobis in intentione aeternitas, in usu temporalitas. Il fine di tutte le nostre azioni in questa vita sia l'acquisto de' beni eterni; ed i beni temporali ci servano solo per mantenere la vita per quel poco di tempo che ci tocca a stare su questa terra. Ma siegue a dire il santo: Sicut nulla est proportio inter aeternitatem et nostrae vitae tempus, ita nulla debet esse proportio inter aeternitatis et huius vitae curas. Siccome vi è un'infinita distanza tra l'eternità ed il tempo della nostra vita, così dee esservi una distanza infinita, a nostro modo d'intendere, tra la cura che dobbiamo avere de' beni dell'eternità, i quali ci toccheranno a godere per sempre, e tra i beni di questa vita, de' quali presto avremo colla morte da esserne spogliati.

 




6 Isa. 40. 6.

1 Iac. 1. 10. et 11.

2 Luc. 16. 22.

3 Isa. 38. 1.

4 Psal. 48. 18.

5 Serm. 26. in Cant.

6 Eccl. 41. 1.

7 1. Reg. 15. 32.

8 Iob. 1. 21.

1 Iob. 27. 19. et. 20.

2 Mach. 1. 3.

3 Serm. 28. ad Fratr.

4 Psal. 36. 35. et 36.

5 Eccl. 10. 9.

6 Gen. 3. 19.

7 L. 6. ex. c. 8.

8 Iob. 21. 32.

9 Iob. 14. 2.

1 Iac. 4. 15.

2 2. Reg. 14. 14.

3 Iob. 9. 25.

4 Iob. 17. 1.

5 Serm. in 2. Tim.

6 35. 5.

7 Luc. 12. 40.

8 Ezech. 7. 25.

1 Prov. 16. 11.

2 Galat. 6. 8.

3 1. Thess. 4. 10. et 11.

4 Luc. 19. 13.

5 Rom. 6. 22.

6 Eccl. 4. 33.

7 1. Cor. 7. 31.

8 Ioan. 12. 26.

9 Psal. 26. 4.

1 Phil. 3. 8.

2 Ps. 36. 25.

3 6. 20.




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