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S. Alfonso Maria de Liguori
Sermoni compendiati

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SERMONE LI. - PER LA DOMENICA XXII. DOPO PENTECOSTE

 

Angustie de' moribondi trascurati.

Reddite ergo quae sunt Caesaris, Caesari, et quae sunt Dei, Deo. (Matth. 22. 21.)

 

Un giorno i farisei con fine maligno di prender Gesù Cristo in sermone, per poi accusarlo, mandarono ad interrogarlo se era lecito pagare il censo a Cesare. Rispose il Signore: ditemi, di chi è cotesta immagine? (parlando della moneta con cui dovea pagarsi il censo). È di Cesare? Reddite ergo quae sunt Caesaris, Caesari, et quae sunt Dei, Deo. Con queste ultime parole volle Gesù ammaestrarci che dobbiamo dare agli uomini ciò che loro è dovuto; ma l'amore del nostro cuore egli lo vuole tutto per sé, mentre a questo fine ci ha creati, e poi ci ha imposto il precetto: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo. Povero quell'uomo che in punto di morte vedrà che ha amate le creature, ha amati i suoi gusti, e non ha amato Dio: Angustia superveniente, requirent pacem et non erit1. Allora cercherà di trovar pace, ma non potrà ritrovarla; poiché molte saranno le angustie che l'assaliranno. E quali saranno? Eccole: dirà il misero allora:

 

Punto I. Oh Dio! Potea farmi santo, ma non l'ho fatto;

 

Punto II. Avessi ora tempo di rimediare al mal fatto! Ma ora sta in fine il tempo;

 

Punto III. Potessi almeno rimediare in questo poco tempo che mi resta! Ma questo non è tempo atto a rimediare.

 

PUNTO I. Oh Dio! Potea farmi santo, ma non l'ho fatto.

 

I santi perché in tutta la loro vita non han pensato ad altro che a dar gusto a Dio ed a farsi santi, vanno con gran confidenza ad incontrare la morte che li libera dalle miserie e dai pericoli della presente vita e gli unisce perfettamente con Dio. Ma chi non ha pensato ad altro che a soddisfare se stesso, vivendo alla larga, senza raccomandarsi a Dio, e senza pensare ai conti che dovrà rendergli un giorno, come potrà incontrar la morte con confidenza? Poveri peccatori! Essi discacciano il pensiero della morte quando loro si affaccia, e pensano solo a vivere allegramente, come se non avessero mai da morire; ma no che per ognuno un giorno ha da venire la fine: Finis venit, venit finis2. E quando arriva questo fine ognuno ha da raccogliere quel che ha seminato in vita: Quae enim seminaverit homo, haec et metet3. Se ha seminate opere sante, raccoglierà premj e vita eterna, ma se opere male, castighi e morte eterna.

 

La prima cosa che si presenterà al moribondo, quando gli sarà intimata la nuova della morte, sarà la scena della vita passata; ed allora vedrà le cose in un aspetto assai diverso da quello in cui le vedeva in vita: quelle vendette che pareano lecite; quegli scandali, di cui facessi poco conto; quella libertà di parlare in materia lubrica o contro la fama de' prossimi; quei piaceri che si passavano per innocenti; quelle ingiustizie che si volean riputare permesse; allora appariranno quali erano in verità, peccati ed offese gravi di Dio, ciascuna delle quali meritava l'inferno. Eh che quei ciechi, che in vita vogliono esser ciechi col chiudere gli occhi alla luce, in morte han da vedere


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a loro dispetto tutto il male che han fatto: Tunc aperientur oculi caecorum1. A quel lume della candela della morte: Peccator videbit et irascetur2. Videbit tutti gli sconcerti della vita fatta, sacramenti strapazzati, confessioni senza vero pentimento e proposito; contratti fatti con rimorso di coscienza, danni fatti alla roba o fama altrui, scherzi inonesti, rancori conservati, pensieri vendicativi. Videbit gli esempj avuti dagli altri giovani timorosi di Dio, che egli ha disprezzati e posti in deriso, chiamandoli santocchi, colli storti, gabba mondo, e chiamando ipocrisie le loro pratiche di virtù e di pietà. Videbit tanti lumi e chiamate ricevute da Dio, tanti avvisi de' padri spirituali, e tante risoluzioni e promesse fatte, ma trascurate.

 

Videbit specialmente le massime cattive tenute in vita: Bisogna farsi stimare e conservarsi l'onore. Ma con mettersi sotto ai piedi l'onore di Dio? Bisogna pigliarsi lo spasso quando viene. Ma pigliarsi spasso con disprezzare Dio? Che serve al mondo chi è pezzente e non ha danari? Ma vuoi avere danari e perdere l'anima? Rispondono questi tali: Non importa. Che si ha da fare? Stiamo nel mondo, altrimenti come abbiamo da comparire? Così parlano i mondani in vita, ma in morte mutano linguaggio: allora vedranno essere troppo vera la massima di Gesù Cristo: Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur3? Povero me, dirà allora l'infermo, ho avuto tanto tempo da aggiustare la mia coscienza, ed ecco ora sono arrivato alla morte, e mi trovo così imbrogliato! Che mi costava lo staccarmi da quell'amicizia, il confessarmi ogni settimana, il fuggire quell'occasione? E benché avesse avuto a costarmi grande incomodo, io dovea far tutto per salvarmi l'anima che importa tutto. Ma oimè! che i sentimenti di tali moribondi trascurati di coscienza son simili a quelli de' dannati, che nell'inferno si dolgono de' loro peccati come causa della loro ruina, ma senza frutto.

 

Allora non consolano tutti i divertimenti presi, le pompe fatte, gli impegni superati, le vendette ottenute dei rivali; tutte queste cose diventeranno in punto di morte spade che trafiggono il cuore: Virum iniustum mala capient in interitu4. Al presente dagli amanti del mondo si attende a banchettare, a ballare, giuocare, ridere e stare allegramente; ma in tempo di morte queste risa ed allegrezze, come scrive s. Giacomo, diventeranno lutto e malinconia: Risus vester in luctum convertetur et gaudium in moerorem5. E ciò spesso vedesi accadere. Cade gravemente infermo quel giovine bizzarro che mantenea la conversazione coi suoi detti pungenti, colle sue facezie impudiche; vanno a visitarlo gli amici, e lo trovano tutto afflitto e mesto, che non più scherza, non ride, non parla; e se dice qualche parola, sono tutte parole di terrore e disperazione. Gli dicono: che parole son queste? Che cosa è questa gran malinconia? Statti allegramente, che non sarà niente. Statti allegramente! Non ci vuol niente a dire, statti allegramente; ma come vuole stare allegro quel povero infermo, quando si vede colla coscienza


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aggravata di molti peccati, e vede che tra poco ha da comparire avanti Gesù Cristo a render conto di tutto; e che ha molta ragione di temere la sentenza della sua morte eterna? Dirà allora: oh pazzo che sono stato! Oh avessi amato Dio, che ora non mi troverei con queste angustie! Dirà: Oh avessi tempo di rimediare agli sconcerti della mia coscienza! E passiamo al secondo punto.

 

PUNTO II. Oh avessi tempo di rimediare al mal fatto! Ma ora sta in fine il tempo.

 

Dirà, oh avessi tempo di rimediare! Ma quando dirà il misero queste parole? Quando è già in fine l'olio alla lampada, ed egli sta vicino ad entrar nell'eternità. Una delle maggiori angustie che si prova in morte è di vedere il cattivo uso che si è fatto del tempo, nel quale in vece di acquistare meriti per il paradiso, si sono accumulati meriti per l'inferno. Oh avessi tempo! Vai cercando tempo? Tu hai perduto tante notti a giuocare, tanti anni a soddisfare i sensi senza pensare all'anima tua, ed ora vai cercando tempo? Ma ora non vi è più tempo: Tempus non erit amplius1. Non ti era già stato avvisato da' predicatori, che stessi apparecchiato per la morte, poiché ella ti sarebbe accaduta quando meno te lo pensavi? Estote parati, dice Dio, quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet2. Tu hai disprezzate le mie ammonizioni, ed hai voluto perdere il tempo che la mia bontà ti concedeva contro i tuoi meriti; ed ora è finito il tempo. Senti come il sacerdote che ti assiste t'intima già il partire da questo mondo: Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo. E dove si ha da andare? All'eternità, all'eternità. La morte non porta rispetto né a parenti né a monarchi; quando ella è giunta non aspetta neppure un momento: Constituisti terminos eius, qui praeteriri non poterunt3.

 

Oh che spavento avrà allora il moribondo in udir tali parole e in dire fra sé: Stamattina son vivo, e stasera sarò morto! Oggi sto in questa casa, e domani starò in una fossa! E l'anima mia dove si troverà? Crescerà lo spavento in vedere apparecchiarsi la candela per la morte, ed il sentire che il confessore ordina a' parenti che si partano da quella camera e non vi entrino più. Crescerà quando il confessore gli in mano il crocifisso e gli dice: Abbracciatevi con Gesù Cristo, ed al mondo non ci pensate più. Prende egli il crocifisso e lo bacia: ma mentre lo bacia trema, pensando a tante ingiurie che gli ha fatte, delle quali vorrebbe allora avere un vero pentimento; ma vede che il suo è un pentimento sforzato dalla necessità della morte imminente. Dice s. Agostino: Qui prius a peccato relinquitur quam ipse relinquat, non libere, sed quasi ex necessitate (illud) condemnat.

 

L'inganno comune de' mondani è che le cose della terra in vita sembrano loro grandi, e piccole quelle del cielo, come lontane ed incerte: le tribolazioni loro paiono insoffribili: i peccati gravi cose di non molto peso. Sono i miserabili come chiusi in una stanza piena di fumo che toglie loro il discernere gli oggetti. Ma nell'ora della morte svaniranno queste tenebre e l'anima comincia a vedere le cose come sono. Allora tutto il temporale comparisce qual è, vanità,


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bugia ed inganno: e l'eterno si fa vedere grande com'è. Il giudizio, l'inferno e l'eternità, di cui in vita si è fatto poco conto, oh come si faranno vedere per cose molto grandi nel tempo della morte! e secondo comincieranno a scoprirsi quali sono, così cresceranno i timori del moribondo: In morte, dice s. Gregorio, tanto timor fit acrior, quanto retributio vicinior; et quanto vicinius iudicium tangitur, tanto vehementius formidatur1. Quanto più si avvicina la sentenza del giudice, tanto più si fa sensibile il timore della condanna. Onde l'infermo dirà sospirando: Oh come muoio sconsolato! Povero me! Oh avessi saputo che mi aspettava questa morte così infelice! Non l'hai saputo, ma dovevi prevederlo, mentre già sapevi che ad una mala vita non può succedere una buona morte. Ma giacché tra poco ho da morire, almeno potessi in questo tempo quietare la mia coscienza! E passiamo al terzo punto.

 

PUNTO III. Potessi rimediare in questo poco tempo che mi resta! Ma oimè che questo tempo non è atto a rimediare!

 

Il tempo che hanno i moribondi trascurati negli affari dell'anima in punto di morte, non è atto a rimediare agli sconcerti della coscienza; e ciò per due ragioni, la prima, perché questo tempo sarà brevissimo, poiché in quei giorni che comincia e si aggrava l'infermità, non si pensa ad altro che a' medici, a' rimedj, a far testamento; tanto più che in quel tempo i parenti, gli amici ed anche i medici non fanno altro che ingannare l'infermo, con dargli speranza che non morirà di quell'infermità; onde l'infermo lusingato da tali speranze starà un pezzo a persuadersi che gli è vicina la morte. Quando dunque comincerà a persuaderselo? Quando starà prossimo a morire. E questa è la seconda ragione, che quel tempo non sarà atto a rimediare a' guai dell'anima. Allora siccome sta infermo il corpo, così sta inferma ancora la mente: l'affanno del petto, gli spasimi della testa, gli svenimenti, i vaniloquj, assaltano talmente l'infermo, che lo rendono inabile ad attuar la mente a concepire una vera detestazione dei peccati commessi, e ad apporre tali rimedj ai disordini della vita passata, che lo quietino di coscienza. La sola nuova data della morte dell'infermo, lo stordirà di maniera che lo lascerà mezzo vivo.

 

Se uno patisce una forte emicrania, sì che per il dolor della testa non abbia potuto dormire per due o tre notti, questi non si fiderà neppure di dettare una lettera di cerimonie. Va poi ed aggiusta in morte una coscienza imbrogliata di trenta o quarant'anni, quando l'infermo poco sente, poco capisce, ed altro non vede che una confusione di cose, che tutte lo spaventano. Allora si avvera quel che dice il vangelo: Venit nox, quando nemo potest operari2. Allora sentirà dirsi internamente: Iam enim non poteris villicare3. Ora non è più tempo di negoziare; quel che è fatto è fatto: Angustia superveniente... conturbatio super conturbationem veniet4.

 

Suol dirsi di alcuno: ha fatta una mala vita, ma poi ha fatta una bella morte, con pentimenti, con pianti. Ma dice s. Agostino: Morientes non delicti poenitentia, sed mortis


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urgentis admonitio compellit1. I pianti di costoro nascono dal timore della morte imminente, non già dal dolore de' peccati: Non metuit peccare, sed ardere, dice lo stesso santo2. Sinora costui ha amati quei mali oggetti, ed ora gli odierà? Forse allora più gli amerà, perché gli oggetti amati, quando si teme di perderli, si rendono più cari. Quel maestro celebre anche di s. Brunone morì con segni di penitenza, ma poi stando sulla bara disse che era dannato. Se in tempo di morte anche gli uomini santi si lagnano, che per lo svenimento della testa poco possono pensare a Dio ed attuar la mente a far atti buoni; come poi quel trascurato non avvezzo a praticarli in vita, li farà in morte? Ma no, come parlava, parea che avesse un vero dolore della sua mala vita. Ma qui sta il punto se era vero dolore: allora il demonio fa vedere che la velleità di avere il dolore, sia vero dolore, ma inganna. Dirà: mi pento, mi dispiace con tutto il cuore ec., ma tali parole usciranno da un cuore di pietra: De medio petrarum dabunt voces3.Ma si è confessato più volte, ha presi tutti i sacramenti. Ma, dimando, si è salvato? Dio sa come sono andate quelle confessioni e quei sacramenti. Ma è morto tutto rassegnato: Rassegnato? Il reo che va ad esser giustiziato, anche pare che vada rassegnato, ma perché? Perché non può scappare dagli sbirri che lo portano legato.

 

Oh momentum a quo pendet aeternitas! Questo momento faceva tremare i santi in punto di morte, dicendo: Oh Dio! Da qui a poche ore dove sarò? Nonnunquam, scrive s. Gregorio, terrore vindictae, etiam iusti anima turbatur4. Che sarà poi d'una persona che ha fatto poco conto di Dio, quando vedrà già apparecchiarsi il palco ove dovrà giustiziarsi? Videbunt oculi eius interfectionem suam, et de furore Omnipotentis bibet5. Vedrà cogli occhi suoi la morte dell'anima che gli sovrasta, e comincerà sin d'allora a provare lo sdegno di Dio. Il viatico che dovrà prendere, l'estrema unzione che gli sarà data, il crocifisso che gli è posto in mano, la raccomandazione dell'anima che recita il sacerdote assistente, la candela benedetta accesa, tutte queste cose formeranno il palco della divina giustizia. Il povero infermo si accorge che già suda freddo, che più non si può muovere, non può più parlare, gli va mancando già il respiro; vede già in somma che gli sta prossimo il momento della morte; vede l'anima sua imbrattata da' peccati, il giudice che l'aspetta, l'inferno che arde sotto i suoi piedi; ed in questa confusione di tenebre e di spaventi entrerà all'eternità.

 

Utinam saperent et intelligerent, ac novissima providerent6! Ecco, uditori miei, come ci avvisa lo Spirito santo a prevedere da ora queste terribili angustie che avremo in punto di morte; e per tanto aggiustiamo da ora i conti da rendere a Dio, perché allora sarà impossibile aggiustarli in modo che l'anima si salvi. Gesù mio crocifisso, non voglio aspettare la morte per abbracciarvi, vi abbraccio da ora. Io vi amo sopra ogni cosa, e perché vi amo mi pento con tutto il cuore di avere offeso e disprezzato voi, bontà infinita; e propongo e spero colla grazia vostra di


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amarvi sempre, e non offendervi più. Aiutatemi voi per i meriti della vostra passione.

 




1 Ezech. 7. 25.

2 Ezech. 7. 2.

3 Gal. 6. 8.

1 Isa. 35. 5.

2 Psal. 111. 10.

3 Matth. 16. 26.

4 Psal. 139. 12.

5 Iac. 4. 9.

1 Apoc. 10. 6.

2 Luc. 12. 40.

3 Iob. 14. 5.

1 S. Greg. Mor. 24.

2 Ioan. 9. 4.

3 Luc. 16. 2.

4 Ezech. 7. 25. et 26.

1 Serm. 36.

2 Epist. 114.

3 Psal. 103. 12.

4 Mor. 24.

5 Iob. 21. 20.

6 Deut. 32. 29.




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