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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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ARTICOLO III.

69. 70. 71. 72. 73. e 74. Delle eresie di Macedonio. 75. 76. e 77. Di Apollinare. 78. Elvidio. 79. Aezio. 80. ed 81. Messaliani. 82. Priscillianisti. 83. Gioviniano. 84. Di altri eretici. 85. e specialmente di Audeo.

 

69. Ario bestemmiò contro il Figlio di Dio; Macedonio all'incontro ebbe la temerità di bestemmiare contro lo Spirito santo. Egli prima fu del partito degli Ariani, e fu mandato dal concilio, o sia conciliabolo di Tiro, come legato all'imperator Costantino. Indi, come scrive Socrate10, essendo egli stato intruso dagli Ariani nella sede di Costantinopoli,


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ove sedea Paolo legittimo pastore, fu da essi ordinato vescovo di quella chiesa. Il suo ingresso1 nella medesima apportò orrore; mentr'egli vi si portò in un cocchio superbo, non già co' suoi preti, ma col prefetto imperiale a lato, e cinto di soldatesca armata, a terrore del popolo, che per curiosità alle strade, per cui dovea passar Macedonio, era accorso in tanta moltitudine, che, riempita la piazza e la chiesa, e chiusa ogni via per poter passare il nuovo vescovo, convenne valersi dell'armi; ed o fosse per ordine del medesimo, o che i soldati si servissero in quella occasione della lor solita baldanza, cominciaron essi prima a percuotere la gente colle aste, indi a ferire e poi ad uccidere, e passare calpestando i cadaveri, dopo una sanguinosa strage; poiché furon numerati 3150. cadaveri per quelle vie. Fra il sangue dunque e il macello de' suoi asceso Macedonio al soglio, altro saggio poi non diede in esso, che di vendette e crudeltà2. Cominciò in primo luogo a perseguitare i fautori di Paolo suo competitore nel vescovado, de' quali fece alcuni pubblicamente frustare, ad altri confiscò i beni, molti condannò all'esilio, ed alcuno più odiato abbronzò nella fronte, per renderlo vituperevole con quella nota d'infamia. Aggiungono più autori3 che Macedonio, dopo aver cacciato Paolo dal vescovado, procurò che fosse anche strangolato, mentre stava a Cucuso luogo del suo esilio.

 

70. Insieme poi co' fautori di Paolo furono compresi tutti i difensori della fede stabilita nel concilio Niceno4, ordinando l'empio vescovo che tutti fossero tormentati, affinché consentissero a comunicare seco, ed a ricever da lui i sacramenti della chiesa; e per ottenere ciò, giunse, come dice Socrate5, a far loro aprire violentemente la bocca con una tenaglia di legno, dentro cui ponea la particola consacrata, con pena più amara di quei santi fedeli della stessa morte. Prendea poi i fanciulli, ed in presenza delle madri li facea spietatamente flagellare, e condannava le madri ad un nuovo martirio, serrando loro ambe le mammelle fra i labbri di una pesante cassa, e poi o le facea recidere con un tagliente rasoio, o le abbruciava con carboni roventi, o pure mettea sovra di quelle uova infuocate, affinché restassero così consumate con una penosa e prolungata morte. E come se fosse poco vanto di un tiranno l'infierire solamente contro i corpi de' Cattolici, infierì bestialmente ancora contro le pietre delle loro chiese, facendo prima rovinar le chiese, e poi sminuzzar le rovine.

 

71. A tanti sacrilegj ed eccessi ne aggiunse un altro6, che fu l'ultimo da lui commesso nel tener la sede di Costantinopoli; ma per lui riuscì molto funesto. Egli ebbe l'ardimento di diseppellire il corpo di Costantino, trasferendolo da una tomba in un'altra7; il che irritò in modo l'animo di Costanzo imperatore, che subito lo depose vergognosamente da quel vescovado8. Macedonio, mentre fu vescovo di Costantinopoli, non imperversò più innanzi, che a vivere da pessimo vescovo e da eretico Semiariano; ma deposto dal trono, ebbe l'ambizione diabolica di comparire più grande nell'empietà, col farsi capo di una nuova eresia9; e nell'anno 360., veduto che dagli eresiarchi suoi antecessori era stato offeso il divin Padre e il divin Figliuolo, voll'egli investir la terza Persona della ss. Trinità, cioè lo Spirito santo. Negò per tanto che lo Spirito santo fosse Dio, dicendo ch'era solamente una creatura simile agli angeli, ma di grado più sublime.

 

72. Riferisce Lamberto Daneo10 che Macedonio fu deposto nell'anno 360., e poi fu mandato in esilio verso un luogo detto Le Pile, ove s'invecchiò, e


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pagò la pena delle sue scelleraggini. Ma colla sua morte non finì la sua eresia: lasciò egli più suoi seguaci, il principal sostegno de' quali fu Marantonio vescovo di Nicomedia e discepolo già di Macedonio; il quale per altro menava una vita esemplare, ond'era tenuto in molto credito. Questa eresia si sparse in più monasterj di monaci, ed anche tra il popolo di Costantinopoli; ma non ebbe né vescovochiesa, finché ivi dominarono gli Ariani, e sino al regno di Arcadio. I Macedoniani si stesero principalmente nella Tracia, nella Bitinia e nell'Ellesponto ed in tutta la città di Cizica. Erano essi per lo più di onesti costumi, e la loro vita approssimavasi alla monastica disciplina. Erano chiamati in generale Pneumatomaci, che in greco significa nemici dello Spirito santo1.

73. L'eresia di Macedonio prima fu condannata in diversi concilj particolari: poiché nell'anno 362. fu condannata in un concilio alessandrino dopo il ritorno di s. Atanasio: indi nel 367. in un altro concilio d'Illiria: di poi in un concilio romano celebrato dal papa s. Damaso: e nell'anno 373. in un altro concilio similmente tenuto da s. Damaso in Roma contro Apollinare2, della cui eresia si parlerà nel numero seguente. Nell'anno poi 381. fu condannato di nuovo Macedonio nel concilio di Costantinopoli, ove non intervennero più che 150. vescovi, e solamente orientali; ma tuttavia questo concilio, che fu chiamato il Costantinopolitano I., diventò generale per l'autorità di s. Damaso e di un altro concilio di vescovi occidentali congregato appresso in Roma nell'anno 382. Scrive Natale Alessandro3: Orientalis dumtaxat ecclesiae concilium istud fuit, nec oecomenicum nisi ex post facto, quatenus occidentalis ecclesia in romana synodo sub Damaso congregata in eandem cum orientali sententiam, et damnationem haereseon conspiravit. Lo stesso scrive il Graveson4: Concilium istud constantinopolitanum evasit postea oecumenicum, hanc illi dignitatem et auctoritatem Damaso papa, totaque occidentali ecclesia tribuentibus. Lo stesso scrive un altro autore anonimo5, il quale dice che questo concilio si ha per generale, perché seguì in tutto quel ch'era stato definito prima nel concilio romano, a cui erano stati convocati i vescovi orientali da s. Damaso con sue lettere, che furon presentate a' vescovi congregati in Costantinopoli; e che di poi ciò ch'era stato definito circa la fede in Costantinopoli, fu confermato nell'altro concilio romano nell'anno 382. Onde i padri del concilio nell'epistola a s. Damaso così gli scrissero: Iam vero, quoniam vos quo fraternam charitatem vestram erga nos declararetis, concilio, voluntate ac nutu Dei Romanae coacto, nos veluti membra propria per Dei amantissimi imperatoris litteras accersivistis. Nel secondo tomo troverà poi il leggitore la confutazione di questa eresia di Macedonio.

 

74. In questo concilio di Costantinopoli, oltre la condanna di Macedonio, fu condannata ancora l'eresia di Apollinare e di Eunomio. Inoltre fu deposto Massimo Cinico invasore della sede di Costantinopoli, e fu confermato in essa s. Gregorio Nazianzeno; ma avendo poi questo santo rinunziato alla medesima per amor della pace, vi fu in suo luogo posto dal medesimo concilio Nettario6. Finalmente, oltre alcuni canoni spettanti alla disciplina della chiesa, fu dal concilio confermato il simbolo di Nicea; e vi furono aggiunte alcune parole intorno al mistero dell'incarnazione per cagione degli Apollinaristi e degli altri nuovi eretici. Di più vi fu aggiunta una spiegazione più ampia dell'articolo dello Spirito santo, per riguardo de' Macedoniani che lo negavano. Il simbolo niceno intorno all'incarnazione di Gesù Cristo dicea solamente: Qui propter nos homines et propter


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nostrum salutem descendit, et incarnatus est et homo factus. Passus est et resurrexit tertia die: et ascendit in coelos, et iterum venturus est iudicare vivos et mortuos: et in Spiritum sanctum etc. Ma il simbolo di Costantinopoli dice così: Descendit de coelis, et incarnatus est de Spiritu sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crocifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est; tertia die resurrexit a mortuis secundum scripturas etc. Et in Spiritum sanctum Dominum et vivificantem, ex Patre procedentem, et cum Patre et Filio adorandum et conglorificandum qui locutus est per prophetas etc.1. Riferisce Niceforo2 che s. Gregorio Nisseno stese la dichiarazione del concilio in questi termini: Et in Spiritum sanctum Dominum et vivificantem, ex Patre procedentem, cum Patre et Filio coadorandum et conglorificandum, qui locutus est per prophetas. Ond'ella letta nel concilio3, Omnes rr. episcopi clamaverunt: Haec omnium fides, haec orthodoxorum fides; omnes sic credimus4.

75. Parliamo ora di Apollinare, che fu condannato nello stesso concilio di Costantinopoli. Apollinare fu vescovo di Laodicea e maestro nelle sacre lettere di s. Girolamo; ma egli inventò un'altra eresia circa la persona di Gesù Cristo. L'errore suo palmare, come scrive Natale Alessandro da s. Epifanio, s. Leone, s. Agostino e Socrate5, fu il supporre dimezzata la natura umana di Gesù Cristo, dicendo che Gesù era privo di anima, e che in sua vece suppliva al corpo lo stesso Verbo fatto carne. Di poi non però raddolcì tal sentenza, dicendo non esser mancata a Cristo tutta l'anima, poiché avea già quella parte dell'anima sensitiva, con cui vediamo e sentiamo con tutti gli altri animali sensitivi; ma essergli mancata la parte con cui siamo ragionevoli, cioè la mente, ed essere stato il Verbo in luogo della mente nella persona di Cristo. Questo errore ha origine dalla falsa filosofia di Platone, che volea costituirsi l'uomo da tre sostanze, cioè dal corpo, dall'anima e dalla mente.

 

76. Aggiungeano poi gli Apollinaristi altri errori. 1. Che il corpo di Cristo generato da Maria era consostanziale alla divinità del Verbo; dal che ne seguiva che la divinità del Verbo era stata passibile, e veramente avea sofferti patimenti e morte. Benché contendea Eraniste, Apollinarista, che non già avea patito la natura divina in sé, ma nella carne; siccome l'anima, dicea, patisce congiunta al corpo per la passione del corpo. Ma anche errava, perché il corpo senza l'anima non è capace di passione; onde quando il corpo è leso, l'anima è quella che realmente in sé patisce per la comunicazione che ha col corpo. Sicché, secondo il loro sistema, la natura divina essendo lesa, la carne assunta consostanziale alla divinità avrebbe in sé realmente patito. 2. Che il Verbo divino non avea presa la carne dalla Vergine, ma l'avea portata dal cielo; e perciò chiamavano i Cattolici che professavano il corpo di Cristo preso da Maria, omicciuoli, rimproverando loro che stabilivano non già la Trinità, ma la Quaternità, cioè oltre le tre Persone divine, la quarta sostanza affatto diversa, qual era Cristo Dio ed uomo. 3. Che la sostanza divina del Verbo erasi convertita in carne. Ma questi tre errori, dice Natale6, non furono di Apollinare, ma de' suoi discepoli. Del resto Apollinare errò ancora circa la Trinità, dicendo esservi in essa diversi gradi di dignità; poiché chiamava grande lo Spirito santo, maggiore il Figlio e massimo il Padre. Di più Apollinare insegnava l'errore de' Millenarj: e diceva inoltre che doveano ripigliarsi i riti giudaici7. Di questa eresia parlano ancora Fleury ed Orsi8.

77. L'eresia di Apollinare, specialmente in quella parte che toccava al


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mistero dell'incarnazione, fu condannata prima nell'anno 362. da s. Atanasio nel concilio di Alessandria. Indi nel 373. fu condannata da s. Damaso papa nel concilio Romano; ed in questo medesimo anno, scrive il Bernini1, che Apollinare terminò la vita, fatto ludibrio del popolo ed anche de' fanciulli. Narra di più l'autor citato da s. Gregorio Nisseno2 che Apollinare, essendo in età decrepita, avea dato a tenere il libro della sua nuova dottrina ad una donna sua discepola in Antiochia. Seppelo s. Efrem Siro, che trovavasi in quella città; ed avendo ottenuta da quella donna il tenere per poco tempo quel libro, lo portò in sua casa, e procurò di attaccare con tenacissima colla quei fogli l'uno coll'altro, e così avendolo ripiegato, lo restituì alla donna. Intanto s. Efrem, abboccatosi con Apollinare, si pose con esso a disputare sulle materie del libro davanti a molta gente. Apollinare, a cui l'eta avea debilitata la mente, disse che nel suo libro vi erano tutte le risposte alle opposizioni di s. Efrem: onde mandò a prendere il libro dalla donna; ma volendo volgere il primo foglio, vide che con quel primo foglio veniva appresso tutto il libro, come fosse un pezzo di legno; procurò egli di separare l'una pagina dall'altra, ma dopo molta fatica scorgendo ch'era impossibile, gittollo rabbiosamente a terra, lo calpestò, e si partì di , più presto fuggendo che ritirandosi, seguito dagl'improperj del popolo, fin dove giunger poté la voce e la vista. Si dice che talmente si accorò il misero vecchio di tale incontro, che ne cadde infermo e vi lasciò la vita3. Finalmente l'eresia di Apollinare fu condannata nello stesso mentovato concilio costantinopolitano I. ed ecumenico II., come consta dalla stessa lettera sinodica, che con queste parole la riprova: Nos praeterea doctrinam dominicae incarnationis integram et perfectam tenemus, neque dispensationem carnis Christi vel animae vel mentis expertem, vel imperfectam esse asserimus; sed agnoscimus Verbum Dei ante saecula omnino perfectum hominem in novissimis diebus pro nostra salute factum esse4.

78. Da' settatori poi di Apollinare vennero gli Antidicomarianiti, cioè gli avversarj di Maria santissima, i quali diceano con Elvidio che non era ella rimasta vergine, anzi che dopo la nascita di Gesù Cristo avea avuti figliuoli da s. Giuseppe. S. Epifanio5 avendo inteso che nell'Arabia vi era questo errore, lo confutò con una lunga lettera indirizzata a tutti i fedeli di quella provincia. Nello stesso tempo e nello stesso paese incorse un errore del tutto a questo contrario, cioè che la s. Vergine dovesse tenersi come una specie di divinità. Quei di tal setta furon detti Collyridiani6, poiché il culto che rendeano alla Vergine, era di offerirle certe focacce o siano ciambelle di farina che in greco si chiamano Collyrides. Questa superstizione era venuta dalla Tracia e dalla Scizia superiore, ed era passata nell'Arabia. Le donne quasi tutte erano imbevute di questo errore. Ornavano un carro con una sede quadra ricoperta da un pannolino in alcuni giorni dell'anno, ed offerivano alla Vergine un pane, del quale poi ciascuna prendea la sua parte. S. Epifanio, combattendo questa superstizione, dimostra che non mai le donne han potuto aver parte nel sacerdozio, e che quel culto era idolatria; poiché non riguardava che Maria, la quale, benché perfetta, non era che una semplice creatura, che non poteva onorarsi, come Dio, con quella obblazione7.

79. Aerio avea l'ambizione di esser vescovo di Antiochia, e vedendo Eustazio eletto a quel vescovado, n'ebbe una grande invidia. Eustazio fece quanto poté per calmarlo: l'ordinò sacerdote, e gli diede il governo del suo spedale. E perché Aerio non cessava di sempre mormorare contro di lui, l'ammonì,


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gli usò carezze, gli usò minacce; ma tutto fu inutile. Aerio lasciò lo spedale, ed insegnò più errori ad alcuni, i quali, venendo discacciati da tutte le chiese ed anche dalle città e da' villaggi, si radunavano dentro i boschi e nelle spelonche e nell'aperta campagna, in modo che talvolta erano tutti coperti di neve, ed ivi faceano le loro conventicole. Quest'eresia uscì nell'anno 370., ma non ebbe molto seguito. Aerio fu del tutto Ariano, ma egli vi aggiunse altri suoi errori particolari, che principalmente si riduceano a tre. Dicea per 1. non esservi alcuna differenza tra i vescovi e i sacerdoti; per 2. esser cosa inutile il pregare per li defunti; per 3. esser anche inutile il digiunare, ed osservar le feste, ancorché sia la Pasqua, dicendo che tutte queste osservanze sono giudaiche1.

80. Nello stesso secolo IV. vi furono i Messaliani, ch'erano certi monaci vagabondi, i quali faceano professione di abbandonare il mondo, non essendo in effetto tutti monaci. Chiamavansi in linguaggio di Siria Massalini, o Messalini, in greco Euchiti, ch'è quanto dire Pregatori; perché metteano ogni essenza della religione nella sola preghiera2. Ve ne furono di due qualità: i più antichi erano pagani, e non aveano punto che fare co' Cristiani, né cogli Ebrei. Questi benché riconoscessero molti dei, un solo tuttavia ne adoravano, e chiamavano Onnipotente. Si può credere essere stati essi quei medesimi che da altri venivan chiamati Ipsisteri, o sia Adoratori dell'Altissimo3. Gli oratorj loro erano edifizj amplissimi a guisa di piazze, ma scoperti; ed ivi mattina e sera radunati al lume di molte lampade cantavano certi inni a lode di Dio, onde vennero chiamati in greco anche Eusebiti4. Quelli poi che portavano il nome di Cristiani, cominciarono circa il regno di Costanzo a comparire; ma l'origine loro era incerta. Venivano questi dalla Mesopotamia, e ve n'erano ancora in Antiochia, quando s. Epifanio scrisse il suo Trattato delle eresie, il che fu nel 376. Dice s. Epifanio che questi per troppa semplicità avean preso troppo letteralmente quel precetto di Gesù Cristo di rinunziare ogni cosa per seguirlo. Ed in vero essi abbandonavano ogni cosa; ma dopo ciò faceano una vita oziosa e vagabonda con andar limosinando, e convivendo uomini e donne, talmente che nella state dormivano insieme anche nelle strade. Ricusavano ogni opera di mano, come cosa cattiva. Non usavano mai digiuno, anzi mangiavano fin dalle otto o nove ore del mattino, cioè tre o quattr'ore prima di mezzo giorno, secondo l'oriuolo francese, come loro piaceva5.

81. Gli errori loro poi erano questi: diceano6 che ogni uomo avea seco un demonio fin dalla nascita, che lo spingeva al male, e che non vi era altro rimedio contro lui che l'orazione, la quale estirpava insieme col demonio la radice del peccato. Stimavano i sacramenti esser cosa indifferente, dicendo che l'eucaristia non facea né benemale; e che il battesimo recideva i peccati come un rasoio, senza toglierne la radice. Diceano che il demonio domestico si cacciava purgando le narici, e sputando7; e che quando l'uomo erasi purificato in tal modo, vedeasi fuor di sua bocca uscire una scrofa coi porcellini, e vedeasi entrare un fuoco che non bruciava. L'errore principale poi era il prender letteralmente il precetto di pregare continuamente; il che faceano con eccesso, e da ciò nasceano mille loro pazzie. Dormivano la maggior parte del giorno, ed appresso diceano di aver avute rivelazioni; e faceano predizioni che poi non si avveravano. Vantavansi di vedere cogli occhi corporei la ss. Trinità, e di ricevere lo Spirito santo visibilmente. Mentre oravano faceano atti strani, si lanciavano con empito, dicendo che balzavano


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su i demonj; e faceano altre pazzie, per cui acquistarono il nome di Entusiasti1. Diceano che la scienza e la virtù degli uomini poteano giungere ad essere eguali a quelle di Dio, in modo che coloro i quali erano giunti alla perfezione, non potessero più peccare, neppure d'ignoranza. Essi per altro non si separavano dalla comunione de' fedeli; ma teneano occulta la loro eresia, e giungeano a detestarla, quando n'eran convinti. Capo di costoro fu un certo Adelfio nativo della Mesopotamia, che perciò furono anche chiamati Adelfiani. I Messaliani circa l'anno 387. furon condannati da Flaviano vescovo di Antiochia con un concilio, e da un altro concilio tenuto appresso da s. Anfilochio vescovo d'Iconio in Sido, metropoli della Panfilia2. Finalmente nel concilio efesino I. e specialmente nella sessione settima ed ultima furon condannati i Messaliani, e nell'anno 428. furono proscritti anche dall'imperator Teodosio. Ma tuttavia questa eresia infettò per molto tempo l'oriente, e da essa poi nell'anno 1018. a tempo di Alessio Comneno imperatore usci l'eresia de' Bongimili, che in lingua bulgara significa, Diletti di Dio. Capo di questi eretici fu un tal Basilio medico, o monaco di abito, il quale avendo per 52. anni praticati i suoi errori, e acquistati più seguaci, finalmente per ordine dello stesso imperatore con tutti i suoi seguaci fu bruciato vivo. Molte erano le bestemmie vomitate da questo eretico, ricavate per lo più da' Messaliani e da' Manichei. Fra le altre dicea 1. che non doveva usarsi altra preghiera che il Pater noster, e perciò rigettava tutte le altre orazioni. Diceva ancor che il Pater noster era la vera eucaristia; 2. che si dee pregare anche il demonio, acciocché lasci di nuocerci; 3. che non doveansi usar preci nella chiesa, dicendo il Signore: Tu autem cum oras, intra in cubiculum tuum, 4. egli negava i libri di Mosè e l'esistenza della Trinità; 5. dicea che non si era incarnato il Figlio di Dio, ma s. Michele arcangelo. Spargeva altri simili errori, che lo facean conoscere privo non solo di fede, ma anche di cervello3.

82. Circa l'anno 380 si scoprì nell'occidente l'eresia dei Priscillianisti. Il primo autore di essa fu un certo Marco egiziano di Menfi e Manicheo; il quale essendo andato in Ispagna, ebbe per discepoli prima una donna per nome Agapa e di poi un maestro di rettorica chiamato Elpidio, invitato da quella stessa donna. Questi due poi ammaestrarono Priscilliano, da cui prese nome la setta. Era Priscilliano uomo nobile e ricco, ed avea gran facilità di favellare; ma era inquieto, vano e gonfio di sé per i suoi profani studj fatti. Egli colla sua affabilità trasse alla sua dottrina molti nobili e plebei, particolarmente delle donne. Questa eresia avea già infettata la maggior parte della Spagna ed anche alcuni vescovi come Instanzio e Salviano. La loro dottrina era nel fondo la stessa de' Manichei, ma confusa cogli errori de' Gnostici e di altri. Diceano che le anime erano della stessa sostanza di Dio, e che discendeano per loro volontà sulla terra attraversando i sette cieli e per certi gradi di principati, per combattere contro il cattivo principe, che seminavali in diversi corpi di carne. Diceano che gli uomini erano addetti a certe stelle fatali, e che il nostro corpo dipendea da' dodici segni dello zodiaco, attribuendo il montone al capo, il toro al collo, i gemini alle spalle, e così gli altri segni agli altri membri. Confessavano la Trinità colle sole parole, ma teneano con Sabellio che il Padre, il Figliuolo e lo Spirito santo erano la stessa cosa, senza alcuna vera distinzione di persone. Non rigettavano il Testamento vecchio co' Manichei, ma spiegavano ogni cosa con allegorie; ed a' libri canonici ne aggiungeano molti apocrifi


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Si asteneano dal mangiar carne, come cosa immonda; ed in odio della generazione separavano i coniugati, non ostante la ripugnanza di coloro che non seguivano la loro setta, dicendo che la carne non era opera di Dio, ma dei demoni. Essi però si raccogliean di notte uomini e donne, orando nudi, e commettendo mille impudicizie, che manteneano segrete; poiché negavano ogni cosa, quando venivano pressati, insegnando ciò con un verso latino che dice: Iura, periura, secretum prodere noli. Digiunavano nella domenica, nel giorno di pasqua ed in quel di natale; ed in quei giorni si nascondeano per non comparire in chiesa, e ciò in odio della carne, credendo che Gesù Cristo fosse nato e risorto solo in apparenza. Prendeano l'eucaristia come gli altri nella chiesa; ma non la consumavano. I Priscillianisti furon condannati nel concilio di Saragozza e da s. Damaso e da altri sinodi particolari. Finalmente Priscilliano, ad istanza d'Itacio vescovo di Ossobona nell'anno 383, fu condannato alla morte da Evodio fatto prefetto del pretorio dal tiranno Massimo1.

83. In questo secolo vi furono alcuni eretici, di cui parla s. Agostino2, i quali camminavano sempre a piedi nudi, ed insegnavano che tutti i cristiani eran tenuti a far così3.

84. Audeo, o sia Audie, capo degli Audiani, nacque nella Mesopotamia. Menò prima buona vita, e fu zelante della disciplina ecclesiastica; ma poi si separò dalla chiesa, e fece una setta particolare. Celebrava la pasqua a modo degli ebrei. Di più credea che la somiglianza dell'uomo con Dio consistesse nel corpo, interpretando grossolanamente quel passo della Genesi: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram: e ciò fece credere ch'egli ed i suoi seguaci fossero Antropomorfiti. Natale Alessandro nel luogo citato al numero 5. dice che gli Audiani peccarono solo in separarsi dalla chiesa, ma conservarono la retta fede: il Petavio però con altri4 non li scusa dall'errore degli Antropomorfiti; mentr'essi attribuivano a Dio letteralmente i membri del corpo, de' quali misticamente parla la scrittura. Insegnò anche altri errori circa l'amministrazione del sacramento della penitenza, e morì nell'anno 370. nel paese dei goti5.




10 L. 2. c. 9.

1 Bernin. t. 1. c. 7. cum Socr. l. 2. c. 12.



2 Soz. l. 4. c. 2.



3 Coc. l. 2. c. 26. Soz. l. 4. c. 2. Gotti Ver. Rel. t. 2. c. 48. §. 1. n. 5. cum Lamberto Danaeo et Theod. l. 2. c. 4 Fleury t. 2. l. 13. n. 8.



4 Orsi t. 9. l. 14. n. 65.



5 L. 2. c. 30.



6 Socr. loc. cit.



7 Fleury t. 2. l. 13. n. 43. Natal Alex. t. 8. c. 3. a. 11. §. 1.



8 Fleury l. 14. n. 30.



9 Orsi l. 14. n. 105. Bernin. sec. 4. c. 7. Fleury al loc. cit.



10 Apud Gotti ibid. c. 48. §. 1 n. 5.

1 Nat. Alex. loc. cit. Bernin. t. 1. sec. 4. c. 7. Fleury l. 14. n. 30. Orsi l. 14. n. 105.



2 Natal. Alex. t. 8. c. 3. a. 11. §. 1.



3 Ibid. §. 2.



4 Hist. eccl. t. 3. colloq. 1. p. 139.



5 Auctor l. apparat. brev. ad theol. et Ius can. p. 2.



6 Fleury t. 3. l. 17. n. 62.

1 Cabass. Not. Concil. p. 136. Orsi l. 18. n. 71. et seq. Fleury l. 18. n. 1. et seq. Nat. Al. t. 1. Diss. 37. a. 2.



2 L. 12. c. 13.



3 Act. conc. constantinopolit.



4 Bernin. t. 1, p. 316.



5 Nat. t. 8. a. 3. a. 14. ex s. Epiphan. Haer. 77. s. Leon. serm. de Nat. Dom. s. Aug. de Haer. c. 55. et Soc. l. 2. c. 56.



6 Ibid.



7 Natal. ib.



8 Fleury l. 17. C. 25. Orsi l. 16. n. 115.

1 T. 1. sec. 4. c. 8.



2 Serm. de s. Ephrem.



3 Bernin. loc. cit.



4 Nat. Al. t. 8. c. 3. a. 14. §. 1.



5 Haer. 77. n. 26. et 78.



6 S. Ephip. Haer. 79.



7 Fleury t. 3. l. 17. n. 26. Orsi t. 7. l. 17. n. 50.

1 Nat. A1. t. 8. c. 3. a. 15. Fleury t. 3. 1. 19. n. 36.



2 S. Epiph. Haer. 80. n. 1.



3 Sulp. l. 11 n. 30.



4 S. Epiph. n. 3.



5 Theod. l. 4. c. 11.



6 Theod. haeret. fab. l. 4. c. 2. Nat. Al. t. 8. c. 3. a. 16. Fleury t. 3. l. 19. n. 35.



7 S. Aug. Haer. l. 5. c. 7.

1 S. Epiph. n. 3.



2 Fleury t. 3. l. 19. n. 25. Natal. Alex. t. 8. c. 3. a. 16. Orsi t. 8. l. 19. n. 78.



3 Graveson hist. eccl. t. 3. colloq. 2. Nat. Alex. t. 8. c. 4. a. 5. Gotti Ver. Rel. t. 2. c. 88. §. 2. Van-Ranst. hist. sec. 12. p. 195. Bernin t. 2. c. 1.

1 Nat. Alex. t. 8. c. 3. a. 17. Fleury t. 3. l. 17. n. 56. et l. 18. n. 30. Orsi t. 8. l. 18. n. 44 et 100.



2 L. de Haeres. c. 68.



3 Natal. Al. ib. a. 20.



4 Appr. Roncaglia Nota ad Natal Al. t. 8. c. 3. a. 9. Diz. Port. t. 1. verb. Audeo. Berti t. 1. sec. 4. c. 3.



5 Nat. Al. loc. cit.






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