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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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CAP. VI ERESIE DEL SECOLO VI.

 

ART. I. Degli Acefali che poi si divisero in diverse sette.

1. Stabilimento fatto dal nuovo imperatore Anastasio con gran danno della chiesa. 2. Persecuzione di Anastasio contro i Cattolici e sua spaventosa morte. 3. Degli Acefali e di Severo lor capo. 4. Della setta de' Giacobiti. 5. Degli Agnoiti. 6. De' Triteiti. 7. De' Corrottibili. 8. Degl'Incorrottibili. 9. Giustiniano cade e muore in questo errore. 10. Buone e male gesta di questo imperatore. 11. e 12. Della questione ed ostinazione de' monaci Acemeti.

 

1. Essendo morto Zenone, speravano i cattolici di veder ricuperata la pace; ma nell'anno 491 fu eletto imperatore Anastasio, il quale fece una persecuzione più fiera e più lunga contro la chiesa3. Egli nella sua vita privata mostrò esser uomo di pietà; essendo stato poi innalzato all'imperio, e trovando le chiese di tutto il mondo divise in varie fazioni, in modo che i vescovi occidentali non comunicavano cogli orientali, e gli orientalipure tra di loro comunicavano, egli non volendo vedere alcuna novità, come dicea, ordinò4 che tutte le chiese restassero nello stato in cui si trovavano; e perciò discacciò dalle città quei vescovi che introduceano cose nuove. Tal consiglio era ottimo, se tutte le chiese fossero state unite in professar la vera fede: ma essendovene molte allora che non si univano col concilio di Calcedonia, il voler che niuna chiesa lasciasse l'antica consuetudine, era lo stesso che perpetuare le discordie; come in fatti avvenne.

 

2. Quantunque Anastasio avesse dimostrato qualche segno di pietà, nulladimeno Eufemio allora patriarca di Costantinopoli, che avea spiato con più diligenza i suoi sentimenti circa la fede, non dubitò di tenerlo eretico; onde si oppose con tutte le sue forze alla di lui esaltazione5, e non s'indusse a consentirvi,


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se non colla condizione che Anastasio facesse una promessa giurata e sottoscritta di sua mano, con cui si obbligasse a difendere il concilio di Calcedonia. Tutto fece Anastasio; ma non osservò la promessa, anzi cercò1 di abolirne anche la memoria, con farsi ritornare quella carta del giuramento fatto, la quale si conservava nel tesoro della chiesa, dicendo che quel chirografo era d'ingiuria all'imperio, come se la sola parola d'un principe non meritasse ogni fede. Indi favorì gli eretici e perseguitò i cattolici, e specialmente il patriarca Eufemio, sino a farlo deporre dalla sua sede2. Egli favorì sovra tutti gli altri eretici, gli Eutichiani, che allora più infestavano la chiesa; ma non può dirsi che propriamente seguisse l'eresia di Eutiche. Piuttosto fu della setta degli Esitanti, o de' Tolleranti, che ammetteano tutte le religioni, fuorché la cattolica3. Morì finalmente nell'anno 518 ai 9 di luglio in età di 90 o almeno di 88 anni Anastasio, che perseguitò la chiesa sino alla sua morte dopo 27 anni di regno. La sua morte fu infelice, secondo quel che narra Cirillo di Scitopoli nella vita di s. Saba presso Orsi e Fleury4. S. Saba, egli dice, andò ad Aila, ove stava rilegato s. Elia patriarca di Gerusalemme. In quella casa prendevano il cibo insieme all'ora di nona, ma appunto nel detto giorno 9 di luglio il patriarca tardò a farsi vedere sino alla mezza notte. Quando poi comparve, disse: Mangiate voi, perché io non voglio né posso cibarmi. E poi confidò a s. Saba che a quell'ora era morto Anastasio, e ch'egli dopo dieci giorni dovea seguirlo, per disputare con lui davanti il divin tribunale. Ed in fatti a capo di 8 giorni, che passò senza prender cibo, ai 20 di luglio riposò nel Signore in età di 88 anni. Ai 4 di luglio nel martirologio romano si fa memoria di s. Elia e di s. Flaviano patriarca di Antiochia, che morì anche in esilio rilegato da Anastasio per la difesa del concilio di Calcedonia5. La morte di Anastasio accadde così. Nella notte fra li nove e dieci di luglio avvenne una gran tempesta d'intorno al suo palazzo: ond'egli spaventato da' tuoni e da' fulmini che cadeano, ma più dal rimorso di tante sue iniquità, vedendo quasi giunto per lui il castigo, andava fuggendo da camera in camera. Ma essendo poi entrato in uno de' suoi gabinetti, ivi fu trovato morto. Altri dicono che morì di puro spavento, altri che morì colpito realmente da una saetta; e così finì la vita quest'empio imperatore, dopo aver perseguitata la chiesa di Dio per 27 anni. Nello stesso giorno in cui morì Anastasio, fu assunto all'imperio Giustino, che fu un principe6 sempre ossequioso verso la sede apostolica e zelante in abbattere le eresie per istabilire l'unità e la pace nelle chiese. Giustino regnò nove anni, ed a lui successe Giustiniano, di cui si parlerà appresso a lungo; ed a Giustiniano successe nell'anno 565 Giustino II. nipote di esso Giustiniano, il quale a principio fece un felice governo, ma di poi proruppe in molte iniquità; benché conservò la fede, e morì finalmente, dando segni di pietà cristiana7.

3. Le eresie che in questo secolo VI infestarono la chiesa, furono quasi tutte rampolli di quella di Eutiche: mentre quei che più perseguitarono i cattolici furono gli Acefali, che tutti erano Eutichiani; ond'erano chiamati Monofisiti, cioè che professavano esser Cristo di una sola natura8. Ma perché eglino di poi si separarono da Pietro Mongo, falso vescovo di Alessandria, e non vollero convenire né colle parti de' cattolici, né con quelle del Mongo loro vescovo, furono appellati Acefali, cioè senza capo9. Gli Acefali nondimeno ebbero il loro capo; e questi fu Severo, il quale fu della città di Sozopoli nella Pisidia. Da principio egli seguì il paganesimo, di cui si crede non averne


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fatta mai una sincera rinunzia. Andò Severo a Berito per istudiare le leggi, ma ivi fu convinto d'idolatria e di magia; ond'egli per sottrarsi dalle pene dovute alla sua infame vita, fece mostra di abbracciare la religion cristiana. Prese il battesimo in Tripoli nella Fenicia1; ma prima dell'ottavo giorno del suo battesimo uscì dalla comunione cattolica, e si gittò nel partito di coloro che si erano separati da Mongo, ed allora egli detestò non solo il concilio di Calcedonia, ma anche l'enotico di Zenone. Era Severo di vita corrotta; ma per acquistar credito e seguaci tra' monaci, professò vita monastica nel monastero dell'abate Nefario in Egitto: dal quale essendo stato riconosciuto per eretico ed ostinato, ne fu discacciato; ed egli andò poi in Costantinopoli, dove2 si trovò alla testa di 200 monaci e di molti altri eretici, coi quali commise diversi eccessi, non facendo conto né di leggi né di giudici. Ed Anastasio che allora regnava, perché voleva abolire il concilio di Calcedonia, chiuse gli occhi contro Severo e i suoi satelliti; e Severo col favore dell'empio imperatore si avanzò a far discacciare da Costantinopoli Macedonio, che n'era il vescovo, e vi fece sostituire Timoteo tesoriere della stessa città, il quale ebbe l'ardire di far cantare in chiesa pubblicamente il trisagio composto dal Fullone a modo degli Eutichiani3. Lo stesso Timoteo poi per mezzo dell'imperatore fece eleggere Severo per vescovo di Antiochia, con farne cacciar Flaviano4; e Severo nello stesso giorno che prese possesso di quella sede, anatematizzò il concilio di Calcedonia e la lettera di s. Leone.

 

4. Questi Acefali si divisero poi in più sette. Vi furono i Giacobiti, che presero il nome da un certo Giacobbe, il quale era un monaco Siro discepolo di Severo. Questi predicò l'eresia di Eutiche nell'Armenia e nella Mesopotamia, e da allora in Siria i cattolici che riceveano il concilio di Calcedonia furon chiamati Melchiti, cioè realisti (mentre il re della Siria dicesi Melchi), perché seguivano la religione dell'imperatore, parlando però di quegli imperatori che aveano abbracciato il concilio di Calcedonia. I Giacobiti professavano già l'errore di Eutiche, che in Cristo avea patita la divinità. A questo poi si aggiungeano diversi altri errori, e specialmente gli Armeni negavano che il Verbo avea presa la carne dalla Vergine, dicendo che lo stesso Verbo si era mutato in carne, e che solo era passato per la Vergine. I Giacobiti non usavano nella messa mischiare l'acqua nel vino; celebravano la pasqua secondo i Giudei; non adoravano la croce, se non fosse prima battezzata a guisa degli uomini; segnandosi colla croce lo faceano con un solo dito, per dimostrare l'una natura; osservavano altri digiuni singolari, ma ne' sabati e nelle domeniche della quaresima cibavansi di cacio e di uova5.

5. Vi furono di più gli Agnoiti, cioè ignoranti, de' quali fu capo un certo Temistio diacono di Alessandria. Questo Eutichiano dicea che, essendo Cristo di una sola natura composta, o sia confusa della divinità colla umanità, non solamente secondo l'umanità, ma anche secondo la divinità ignorava molte cose; come specialmente ignorava, giusta le parole di s. Marco, il giorno del giudizio: De die autem illa, vel hora nemo scit, neque angeli in coelo, neque Filius, nisi Pater6. E dicea che questa ignoranza gli conveniva, siccome gli convenivano la fame, la sete e i dolori che avea sofferti in sua vita7. Ma ben insegna a questo ignorante s. Gregorio8 che Gesù Cristo non sapeva il giorno del giudizio dall'umanità, ma ben lo sapeva in quella natura di umanità che stava unita alla divinità: Incarnatus unigenitus in natura quidem humanitatis novit diem et horam iudicii, sed tamen hunc non ex natura humanitatis novit;


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quia Deus homo factus diem et horam iudicii per deitatis suae potentiam novit.

 

6. Di più vi furono i Triteiti, de' quali fu capo un certo Giovanni Grammatico Alessandrino, nominato Philoponos, cioè laborioso. Egli opponeva a' cattolici che, confessando due nature in Cristo, bisogna riconoscere anche in esso due ipostasi. Ma gli si rispondea che altra è la natura, altra è l'ipostasi, cioè la persona; altrimenti se fosse la stessa cosa natura ed ipostasi, bisognava ammettere nella Trinità tre nature, mentre in essa già vi sono tre ipostasi. Filopono da tal ragione convinto confessò per vera la conseguenza; onde cadde poi in un altro errore più enorme, poiché riconosceva nella Trinità tre nature diverse, e perciò ammettea tre Dei; quindi i suoi settatori furon detti Triteiti1. Filopono scrisse ancora contro la risurrezione de' corpi2. Del resto egli professava la religion cristiana, e la difese contro Proclo di Licia, filosofo Platonico3 che vivea nello stesso tempo, e l'avea combattuta.

 

7. Inoltre uscirono dalla fogna di Eutiche due altre sette, una detta di Corrottibili, o siano Corrotticoli, e l'altra degl'Incorrottibili o sieno Incorrotticoli. I Corrottibili ebbero per capo un certo Teodosio monaco, il quale attribuiva a Cristo un corpo corrottibile. Questi erravano, non perché dicessero aver il Verbo assunto in Cristo un corpo corrottibile per natura e soggetto alla fame, alla sete ed a' patimenti, ma perché voleano4 che Cristo fosse soggetto per necessità a quei patimenti, come siamo soggetti tutti noi, in modo che, quantunque non avesse voluto, avrebbe dovuto soggiacervi. Ma la verità cattolica è che il Verbo nel corpo di Cristo prese le comuni passioni degli uomini, la fame, la stanchezza, i dolori e la morte, non per necessità, come sono in noi, in pena della colpa originale, ma di sua spontanea volontà per la sua immensa carità, che lo mosse a venire in similitudine della carne del peccato, come dice l'apostolo5, affine di condannare e punire il peccato nella carne. E così anche, dice s. Tommaso6, volle il nostro Salvatore assumer le passioni dell'animo, la tristezza, il timore, il tedio, ma non già tali come sono in noi, che si oppongono alla ragione; poiché in Cristo tutti i moti dell'appetito sensitivo erano ordinati secondo la ragione. E perciò essi in Cristo si chiamano propassioni: la passione perfetta, dice l'Angelico, s'intende, quando ella domina la ragione; la propassione, quando resta nell'appetito sensitivo, ed oltre non si estende.

 

8. Gl'incorrottibili poi, che furono anche chiamati Fantasiasti, ebbero per capo Giuliano di Alicarnasso. Questi diceano che la carne in Cristo era per natura incorrottibile ed immune da tutte le passioni, sicché Gesù Cristo non patì mai né famesetestanchezzadolori; ma ciò è opposto agli evangelj: Cum ieiunasset... postea esuriit7, Iesus ergo fatigatus ex itinere sedebat etc.8. Gli Eutichiani ben si accordavano a questa dottrina, che si accostava al loro dogma di essere in Cristo una sola natura impassibile9. A favore di quest'errore degl'Incorrottibili scrisse poi il predetto Giuliano; ma gli scrisse contro Temistio in difesa de' Corrottibili: e per questi scritti si accese poi un tal rumore nel popolo di Alessandria, che si giunse alle uccisioni ed agl'incendj delle case10.

9. Si noti qui che Giustiniano imperatore cadde in quest'errore degl'Incorrottibili. Or chi mai avrebbe creduto che questo principe, il quale si fece vedere così zelante contro gli eretici e specialmente contro gli Eutichiani, fosse poi, come vogliono molti, secondo vedremo, morto esso eretico ed infetto della stessa peste di Eutiche? Dicono Fleury ed Orsi11 che la causa


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di tanta sua ruina fu la sua eccessiva cupidigia di aver mano in istabilire co' suoi editti gli affari della fede, che da Dio sono stati commessi ai capi della chiesa. Egli per sua disgrazia aveva ammesso nella sua più intima confidenza Teodoro vescovo di Cesarea, occulto nemico del sinodo Calcedonese e fautore degli Acefali. Or costui lo istigò a fare un editto nell'anno 564., ove dicea che il corpo di Gesù Cristo era incorrottibile, sì che, dopo essere stato formato nell'utero della santa Vergine, non era capace di avere alcuna alterazione o passion naturale, ancorché innocente, com'è la fame, la sete; onde avanti di morire mangiava egli, ma come mangiò dopo la sua risurrezione, senza aver bisogno di cibo. Sicché, se il corpo di Gesù Cristo non era capace di passion naturale, dunque niente egli patì nella sua carne, né in vita né in morte; ma tutta la sua passione fu una mera apparenza senza dolore. Dunque, secondo questa eresia, sarebbe falso quel che disse Isaia del nostro Redentore: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit1; falso quel che scrisse s. Pietro: Qui peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum2; falso quel che disse Gesù stesso: Tristis est anima mea usque ad mortem3; falso quel che disse sulla croce parlando della sua morte desolata: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me4? Tutto sarebbe falso, se Gesù Cristo fosse stato insensibile a tutte le pene interne ed esterne. O ingratitudine umana! Il Figlio di Dio ha voluto morir di dolore su d'una croce per amore degli uomini, e gli uomini voglion poi dire ch'egli non ha patito, se non in apparenza. Passiamo avanti. Volle poi Giustiniano che tutti i vescovi approvassero questa dottrina, e specialmente si sforzò d'impegnarvi sei dotti vescovi africani; ma perché questi resistettero, egli li divise, e rinchiuse in varj monasterj di Costantinopoli5. S. Eutichio patriarca di Costantinopoli ben anche gli si oppose, e faticò per disingannarlo; ma perciò fu anch'egli scacciato dalla sua sede, e gli fu sostituito un altro. Tutti i patriarchi e molti altri vescovi ricusarono di soscrivere l'editto di Giustiniano6. I vescovi poi orientali richiesti della loro soscrizione, risposero che essi avrebbero seguito l'esempio di Anastasio patriarca di Antiochia; onde Giustiniano fece ogni sforzo per guadagnarlo. Ma Anastasio gli mandò una risposta, in cui dottamente mostrava che secondo la dottrina de' padri, il corpo di Gesù Cristo era corrottibile in quanto alle passioni naturali ed innocenti; e quando seppe che l'imperatore volea mandarlo in esilio, apparecchiò un sermone per licenziarsi dal suo popolo; ma di poi non lo pubblicò, perché Giustiniano fu prevenuto dalla morte, la quale accadde nell'anno 566. ai 13 di novembre a mezza notte, essendo egli in età di 84. anni, dopo 39. anni ed otto mesi di regno7.

10. Scrive il cardinal Baronio8 che questa morte fu improvvisa ed importuna a Giustiniano, ma fu opportuna all'imperio romano, che sotto questo principe andava di male in peggio, vendicando Dio le ingiurie da lui fatte ai vescovi, ed impedendo che il fuoco da esso posto nella chiesa non finisse di consumarla; e dice che, secondo Evagrio e Niceforo9, egli fu colto dalla divina giustizia appunto nel tempo che aveva ordinato l'esilio ad Anastasio e ad altri sacerdoti cattolici, benché quest'ordine non l'avesse ancora promulgato. Il nominato Evagrio poi autore contemporaneo, come scrive il cardinal Orsi10, non dubitò di affermare che Giustiniano, avendo ripieno il mondo e la chiesa di tumulti e confusione, ne avea sul fine de' giorni riportata la dovuta pena, ed era andato per giusto giudizio di Dio agli eterni tormenti nell'inferno. Soggiunge il Baronio11


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che quantunque poi il nome di Giustiniano non fosse stato rimosso dalle memorie ecclesiastiche, come quelli degli altri eretici, e quantunque il concilio VI. e più pontefici l'avessero appellato cattolico e pio, nulladimanco ciò non dee recar meraviglia, perché i fatti che si diceano della sua perversione nella fede, non furono pubblicati con qualche pubblica scrittura. Del resto gli altri suoi falli commessi, tanti esilj dati a' vescovi, tante crudeltà contro molti innocenti ed ingiustizie commesse, spogliando molti de' proprj beni, lo dichiaravano ingiusto e sacrilego, ma non eretico.

 

11. Oltre poi queste sette di Acefali in questo secolo VI. vi fu la setta dei monaci Acemeti, la quale fu un rampollo dell'eresia nestoriana, e si scoprì nel seguente modo. A tempo di Ormisda papa i monaci della Scizia impresero a sostenere che il credere di essersi fatto carne uno della Trinità fosse un articolo necessario alla fede; onde andarono a Roma a farlo dichiarare da s. Ormisda. Ma questo papa1 fu renitente a compiacerli, temendo che sotto di tal proposizione si nascondesse qualche fermento dell'eresia eutichiana. Temeva ancora s. Ormisda che quei monaci volessero con ciò discreditare il sinodo di Calcedonia e la lettera di s. Leone, come mancanti nella definizione di una espressione necessaria contro le due eresie di Nestorio e di Eutiche. All'incontro quella proposizione era abbracciata comunemente da tutte le chiese orientali come una tessera contra l'eresia nestoriana; e solamente l'impugnavano i monaci Acemeti, che per altro a tempo di Zenone e di Anastasio aveano fortemente combattuta l'eresia di Eutiche, ma a poco a poco essendosi troppo riscaldati contro gli eutichiani, cominciarono a convenire co' nestoriani, negando non solo quella proposizione di essersi uno della Trinità fatto carne, ma anche di aver patito il Figliuolo di Dio nella sua carne, ed esser la b. Vergine vera e propria madre di Dio2.

12. L'imperator Giustiniano nondimeno imprese a sostenere la proposizione difesa da' monaci della Scizia; onde scrisse a Giovanni II. allora papa per l'approvazione della loro sentenza, e raccomandò questa sua lettera a due vescovi, Ipazio arcivescovo di Efeso e Demetrio di Filippi. Il che saputo dagli Acemeti, mandarono in Roma due loro monaci Ciro ed Eulogio a difender la loro causa3; onde papa Giovanni fece con gran diligenza esaminare il punto. Specialmente si sa che Anatolio diacono della chiesa romana ne scrisse a Ferrando diacono nell'Africa, uomo dottissimo e di santa vita, il quale altra volta avea dubitato se quella proposizione dovesse o no ammettersi; ma avendola egli poi ben esaminata, rispose che poteva abbracciarsi senza esitazione. Fra le ragioni che addusse, una fu il testo di s. Paolo, ove disse: Attendite vobis et universo gregi, in quo vos Spiritus sanctus posuit episcopos regere ecclesiam Dei, quam acquisivit sanguine suo. Dicendo l'apostolo che Iddio ha sparso il suo sangue, già ognuno intende che l'ha sparso dalla carne presa dalla Vergine, e che questo Dio non è già il Padre e lo Spirito santo, ma il Figliuolo, come sta espresso in più luoghi della scrittura: Sic enim Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret4. Qui etiam proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum5. Se dunque ben si dice che Dio ha sparso il suo sangue, ben anche può dirsi che uno della Trinità ha sparso il sangue ed ha patito nella carne. Avendo pertanto il papa Giovanni esaminato il punto, rispose all'imperatore, ed autenticamente approvò la proposizione che uno della Trinità ha patito nella sua carne. Procurò poi di farla accettare dagli Acemeti venuti a Roma: ma quelli si ostinarono a non volerla ammettere; onde fu obbligato a separarli dalla comunione


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della chiesa1. Per altro la lettera di papa Giovanni su questa controversia non fu contraria alla lettera di papa Ormisda; poiché Ormisda non già condannò la proposizione, ma solo fu renitente ad approvarla per giusti motivi, che allora a ciò lo moveano: Ne dum, scrive Roncaglia2, intempestiva prodisset definitio, periculum esset quod aliqui ab ecclesiae unitate scinderentur.

 




3 Ibid. n. 67.



4 Orsi n. 68.



5 Evagr. l. 3. c. 3. 32. Orsi l. 36. n. 67. con Teod.

1 Orsi loc. cit. n. 70.



2 Orsi n. 112.



3 Orsi l. 37. n. 21.



4 Orsi L. 38. n. 34. et Fleury l. 31. n. 33.



5 Orsi l. 42. n. 89.



6 Orsi l. 39. n. 37.



7 Orsi l. 43. n. 67.



8 Orsi loc. cit. n. 68.



9 Van-Ranst Hist. secol. 5. p. 108.

1 Orsi l. 37. n. 62. cum Evagr. l. 3. c. 33.



2 Orsi n. 63.



3 Orsi n. 71.



4 Orsi n. 72.



5 Gotti Ver. Rel. t. 2. c. 76. §. 6. n. 4.



6 Marc. 13. 32.



7 Fleury l. 33. n. 2. Natal. Alex. t. 11. c. 3. a. 3. Gotti loc. cit. n. 9.



8 L. 10. ep. 39. al. 42.

1 Fleury et Nat. Alex. loc. cit. Berti Brev. Hist. t. 1. sect. 6. c. 3.



2 Photius Bibl. n. 21.



3 Niceph. l. 18. c. 47. et 48.



4 Gotti loc. cit. c. 76. §. 6. n. 7.



5 Rom. 8. 3.



6 Part. 2. q. 15. a. 4.



7 Matth. 4. 2.



8 Ioan. 4. 6.



9 Gotti loc. cit. ex Liberat. in Brev. c. 20.



10 Gotti ib.



11 Fleury l. 34. n. 8. cum Evagr. l. 4. n. 30. Orsi l. 42. n. 78.

1 Isa. 53. 4.



2 1. Petri 2. 24.



3 Matth. 26. 38.



4 Matth. 27. 46.



5 Fleury loc. cit.



6 Evagr. l. 4. n. 33.



7 Fleury loc. cit. n. 11.



8 An. 565. n. 1.



9 Evagr. l. 4. c. 40. Niceph. l. 16. c. 31.



10 L. 42. n. 84.



11 Loc. cit. n. 3.

1 Orsi l. 39. n. 123.



2 Orsi loc. cit.



3 Fleury l. 32. n. 35. Orsi ib. n. 24.



4 Ioan. 3. 16.



5 Rom. 8. 32.

1 Fleury l. 32. n. 39. Gotti t. 2. loc. cit. c. 77. §. 1. Orsi loc. cit. n. 128.



2 Ronc. Not. ap. Nat. Alex. t. 11. c. 3. a. 2.






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