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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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ART. II. DELL'ERESIA DE' MONOTELITI.

 

 4. Principio de' Monoteliti e di Sergio e Ciro loro capi. 5. Si oppone loro Sofronio. 6. Lettera di Sergio ad Onorio papa e risposta di Onorio. 7. Difesa di Onorio. 8. Errò Onorio, ma non cadde in alcun errore contro la fede. 9. Della ectesi di Eraclio, condannata poi da papa Giovanni IV. 10. Del tipo di Costante imperatore. 11. Condanna di Paolo e di Pirro. 12. Disputa tenuta da s. Massimo con Pirro. 13. Crudeltà di Costante e sua morte violenta. 14 Condanna de' Monoteliti nel concilio sesto. 15. Onorio fu anche ivi condannato, ma come negligente in reprimer gli eretici, non già come eretico.

 

4. In questo secolo, e specialmente nell'anno 622, secondo Natale Alessandro2, ma nel 630, secondo Fleury3, cominciò l'eresia de' Monoteliti in questo modo. Alcuni vescovi che aveano ricevuto il concilio di Calcedonia, riconoscendo già due nature in Gesù C., tenevano tuttavia che per ragione dell'unità della sua persona non gli si doveva attribuire che una sola operazione4. Scrive Natale Alessandro nel luogo citato che il padre di questo errore fu Sergio patriarca di Costantinopoli. Egli scrisse questo suo falso sentimento a Teodoro vescovo di Faran nell'Arabia, e quegli rispose che così ei pure sentiva. Avvenne di più fra questo tempo che, ritrovandosi l'imperatore Eraclio in Gerapoli nella Siria superiore, fu visitato da Atanasio patriarca de' Giacobiti, uomo astuto e maligno, col quale essendo entrato l'imperatore in confidenza, gli promise di farlo patriarca di Antiochia, se egli riceveva il concilio di Calcedonia. Atanasio finse di riceverlo. e confessò le due nature; indi interrogò l'imperatore se, poste le due nature, aveano a riconoscersi nella persona di Cristo due volontà e due operazioni, o una sola. Eraclio, impacciato da tal domanda, ne scrisse al nominato Sergio vescovo di Costantinopoli, e ne prese anche parere da Ciro vescovo di Faside, ed ambedue lo persuasero che dovea confessarsi in Cristo una sola volontà ed una sola operazione, essendo egli una sola persona. A questa falsa opinione ben si accordò Atanasio Eutichiano: poiché non riconoscendosi In Cristo altro che una operazione, non dovea riconoscersi poi secondo il sistema di Eutiche altro che una natura. Sicché si unirono insieme Sergio Teodoro vescovo di Faran, Atanasio e Ciro: il quale Ciro, essendo morto Giorgio patriarca di Alessandria, fu collocato in quella sede, ed appresso Atanasio fu fatto patriarca di Antiochia; sicché de' quattro patriarchi (fuori di Sofronio patriarca di Gerusalemme, che fortemente loro si oppose, come di qui a poco vedremo) tre abbracciarono l'eretica dottrina dell'una volontà in Gesù


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Cristo; che perciò la loro setta ebbe di poi il nome di Monoteliti dalle parole greche Monos cioè solo, e Thelesis, cioè volontà1.

5. Essendo poi Ciro patriarca di Alessandria, si adoperò a riunirvi i Teodosiani, che ivi erano molti, e componeano una delle sette degli Eutichiani. Quest'atto di unione che fu fatto nell'anno 633, contenne nove articoli; ma il veleno stava nel settimo, ove si disse che Cristo è il medesimo Figliuolo, il quale produce le operazioni divine ed umane con una sola operazione teandrica, o sia deivirile, divina ed umana ad un tratto; in modo che la distinzione non è che solo per parte del nostro intendimento2. Questi articoli furono dal patriarca Ciro dati ad esaminare al monaco Sofronio; il quale, cominciando a sentirli leggere, si gittò ai suoi piedi, pregandolo con lagrime di non farli pubblicare, dicendo che erano opposti alla fede, e conteneano chiaramente la dottrina di Apollinare. Ma Ciro senza far conto delle sue istanze pubblicò la riunione. Sofronio vedendo che non era stato inteso in Alessandria, andò a Costantinopoli a trovar Sergio: ma Sergio, ch'era il più forte fautore di questo errore, non gli diede udienza, e col pretesto di riunire gli eretici di Egitto, approvò la dottrina di Ciro3.

6. In questo medesimo anno 633 fu eletto lo stesso Sofronio, ritornato già in oriente, per patriarca di Gerusalemme. Avendolo saputo Sergio con suo dispiacere, cercò di prevenire papa Onorio, e gli scrisse una lunga lettera piena di artificj e finzioni. Si finge ivi ignorante della quistione delle due volontà, prima che gli avesse scritto Ciro da Feside. Si appoggia poi sovra di una scrittura finta di Menas stato vescovo di Costantinopoli, fatta per sostenere il Monotelismo. Asserisce che alcuni padri insegnavano una sola operazione in Cristo, e che niuno di essi parlò mai di due. Dice di più falsamente che s. Sofronio fatto patriarca di Gerusalemme avea convenuto seco di non parlare di tal controversia. Il papa non sapendo gli artificj di Sergio, gli rispose, e lodollo in aver tolta via quella novità, cioè di due operazioni sostenuta da Sofronio, che potea scandalizzare le persone semplici; e poi soggiunse: Noi confessiamo una sola volontà in Gesù Cristo, perché la divinità non prese già il nostro peccato; ma la nostra natura, come fu creata prima di esser corrotta dal peccato. Non veggiamo noi che la santa scrittura, o i concilj insegnino una o due operazioni. Che Gesù Cristo sia uno solo, operante per la divinità ed umanità, le scritture ne son piene; ma il sapere se per motivo delle opere della divinità e dell'umanità debbasi dire una o due operazioni, ciò non deve importarci, lasciando questa disputa a' grammatici. Noi dobbiamo rigettare queste nuove parole, per timore che i semplici dall'espressione di due operazioni non ci credano Nestoriani, o pure ci credano Eutichiani, se riconosciamo in Cristo una sola operazione4.

7. Da questo modo di parlare del papa Onorio han ricavato gli eretici ed anche certi scrittori cattolici che Onorio sia caduto nell'eresia de' Monoteliti. Ma certamente s'ingannano: poiché avendo detto egli che in Gesù Cristo vi è una sola volontà, ha inteso parlar di Gesù Cristo considerato solamente come uomo, in cui rettamente negò in senso cattolico esservi due volontà contrarie, come sono in noi, in cui combatte lo spirito colla carne; e ciò ben l'espresse in quelle parole della lettera addotta: Noi confessiamo una sola volontà in Gesù Cristo; perché la divinità non già prese il nostro peccato, ma la nostra natura, come fu creata prima di esser corrotta dal peccato. E ciò appunto scrisse Giovanni IV. papa nell'apologia che fece in favore di Onorio a Costantino II. imperatore, dicendo: Alcuni ammetteano in Gesù Cristo due


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contrarie volontà, al che Onorio rispose che Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, essendo venuto a riparare la natura umana, fu conceputo e nacque senza peccato; onde non ebbe mai due volontà contrarie, né la volontà della sua carne combatté mai contro la volontà del suo spirito, com'è in noi per causa del peccato contratto di Adamo. Onde conchiuse essersi ingannati coloro, i quali han pensato che Onorio avesse insegnata una sola volontà in Cristo della sua divinità e della umanità1. Così anche fu difeso Onorio da s. Massimo nel dialogo avuto con Pirro2 e da Anastasio bibliotecario3. Per tanto, confermando ciò il Graveson4, giustamente dice che siccome s. Cirillo nella disputa contro Nestorio disse in senso cattolico che una era la natura del Verbo incarnato, e di tal proposizione si valsero gli Eutichiani a loro favore; così anche avendo detto Onorio, che Gesù Cristo ebbe una volontà, intendendo che non ebbe due volontà contrarie, una difettosa della carne come l'abbiamo noi, e l'altra retta dello spirito, se ne valsero i Monoteliti per difendere il loro errore.

 

8. Se non che noi non neghiamo che Onorio errò nell'imporre silenzio a chi parlava di una o due volontà in Gesù Cristo; poiché dove si tratta di errore l'imporre silenzio, è favorire l'errore; ove si contiene un errore, bisogna farlo palese ed abbatterlo; e in ciò fu la mancanza di Onorio; del resto è indubitabile che non mai Onorio abbracciò l'eresia de' Monoteliti, che che dicano in contrario gli eretici, e specialmente Guglielmo Cave5, il quale scrive: Laterem lavant, operam, oleumque perdunt quotquot Honorium ob haeresim Monotheliticam... hac labe eximere allaborant. Il che è affatto falso, come chiaramente prova il dotto Natale Alessandro6, dove all'opposizione de' contrarj, cioè che nel sinodo VI. all'azione 13 si disse: Anathematizari praevidimus, et Honorium (papam) eo quod invenimus per scripta, quae ab eo facta sunt ad Sergium, quia in omnibus eius mentem secutus est, et impia dogmata confirmavit; risponde che il nominato sinodo condannò Onorio, non già per aver egli formalmente abbracciata l'eresia, ma per il favore da lui usato agli eretici; come già scrisse poi Leone II. (optimo concilii interprete, scrive Natale) nell'epistola a Costantino Pogonato per la conferma del sinodo. In quella, dopo aver numerati gli eretici condannati, inventori degli errori, cioè Teodoro di Faran, Ciro di Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro successori nella sede di Costantinopoli, anatematizza anche Onorio, non per aver adottato il loro falso dogma, ma per aver permesso che quello non fosse stato abbattuto: Qui hanc apostolicam ecclesiam non apostolicae traditionis doctrina lustravit, sed profana proditione immaculatam maculari permisit. E lo stesso scrisse a' vescovi della Spagna, ove dichiarò essere stati condannati Teodoro, Ciro e gli altri, cum Honorio, qui flammam haeretici dogmatis, non ut decuit apostolicam auctoritatem, incipientem extinxit, sed negligendo confovit. Indi dopo altri documenti sullo stesso punto conclude il p. Natale dicendo: Concludamus itaque, Honorium a sexta synodo damnatum non fuisse, ut haereticum, sed ut haereticorum fautorem, utque reum negligentiae in illis coercendis; et iuste fuisse damnatum, quia eadem culpa erroris fautores, ac auctores ipsi tenentur. Aggiunge il p. Natale essere stata comune l'opinione nelle scuole sorboniche che quantunque Onorio nelle sue lettere avesse scritta qualche proposizione erronea, avendola scritta come dottor privato, in niun modo ha la fede della sede apostolica. E quel che di sovra al num. 7 si riferì della sua lettera a Sergio ben fa conoscere quanto egli era alieno dal sentire ciò che teneano i Monoteliti.


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9. Essendo poi morto Onorio nell'anno 638, l'eresia de' Monoteliti maggiormente si dilatò per la promulgazione dell'ectesi di Eraclio imperatore. Era questa scrittura un editto composto dallo stesso Sergio patriarca di Costantinopoli, che uscì sotto il nome di Eraclio nell'anno 639. Fu chiamata ectesi, cioè esposizione nel significato greco; mentre conteneva una esposizione della fede circa la questione dell'una o delle due operazioni di Gesù Cristo. Ivi dopo la confessione di fede circa la Trinità si parla dell'incarnazione, e si distinguono le due nature nell'unica persona di Cristo, e poi si dice così: Noi attribuiamo tutte le operazioni di Cristo divine ed umane al Verbo incarnato; e non permettiamo d'insegnare o dire una o due operazioni, ma piuttosto secondo la dottrina de' concilj ecumenici diciamo essere un solo e se stesso Gesù Cristo, che opera le cose divine e le umane, e che le une e le altre operazioni procedono dal medesimo Verbo incarnato, senza divisione o confusione. Poiché sebbene l'espressione di una sola operazione sia stata usata da alcuni padri, non però sembra ella strana ad alcuni, per timore che altri non se ne valgano per distruggere le due nature unite in Gesù Cristo. All'incontro il termine di due operazioni scandalizza molti, come quello che non fu usato da alcuno de' principali dottori della chiesa, così anche perché ammettendo due volontà contrarie in Cristo, sembra lo stesso che ammettere due persone. E se l'infame Nestorio, quantunque egli introdusse due figliuoli, non ardì poi di dire essere in lui due volontà, anzi disse in quelle due persone da esso supposte una essere la volontà; come i cattolici, che riconoscono un solo Gesù Cristo, possono ammettere in lui due volontà, ed anche l'una contraria all'altra? Pertanto, seguendo noi in tutto i santi padri, confessiamo in Cristo una sola volontà, e crediamo che la sua carne animata da un'anima ragionevole non abbia mai fatto da sé alcun movimento contrario allo spirito del Verbo, che gli era unito secondo l'ipostasi. Tale fu la celebre ectesi di Eraclio (confermata poi dallo stesso Sergio suo autore, in un conciliabolo tenuto in Costantinopoli); dove, benché in principio si vieti dire una o due operazioni, per ingannare la gente, nondimeno di poi espressamente si sostiene il dogma di una sola volontà, ch'è l'eresia formale de' Monoteliti1. Questa ectesi poi fu mandata a Severino papa; ma o perché non gli giunse, o perché quando giunse questo papa era morto, non si legge da esso condannata: ma ben fu condannata poi da papa Giovanni IV2.

10. Tuttavia né pure con questa condanna dell'ectesi ebbe fine l'eresia dei Monoteliti, per la malvagità di Pirro e di Paolo successori di Sergio nella chiesa di Costantinopoli; poiché Paolo, benché per lungo tempo si fosse finto cattolico, toltasi nondimeno la maschera, indusse Costante imperatore a pubblicare nell'anno 648 un editto chiamato tipo, cioè formola, con cui fu imposto silenzio ai due partiti. In questo tipo prima si riferirono sommariamente le ragioni di ambe le parti, indi si disse così: Perciò vietiamo a tutti i cattolici nostri sudditi il disputare in avvenire circa l'una volontà ed operazione, o due volontà ed operazioni, senza pregiudizio di quanto fu deciso da' padri approvati circa l'incarnazione del Verbo. Vogliamo che si attengano alle sante scritture, a' cinque concilj ecumenici ed a' semplici passi de' padri, la cui dottrina è la regola della chiesa, senza nulla aggiungervi o toglierne, né spiegare secondo gli altrui particolari sentimenti; ma si stia nello stato in cui si era prima di queste dispute, come non fossero mai insorte. Quei che oseranno contravvenire a questo decreto essendo vescovi o chierici, rimarranno deposti: i monaci scomunicati e scacciati dalle loro case: le persone costituite in cariche, private di quelle, i privati spogliati dei loro beni, e gli altri castigati corporalmente


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e banditi. Tal'è il tipo di Costante1.

11. Si noti qui, che morto Sergio, gli successe nella cattedra di Costantinopoli Pirro. Pirro poi si licenziò da sé da quella chiesa pei disturbi che ebbe col popolo, e fu eletto Paolo, che era economo della chiesa maggiore2, il quale seguitò l'eretica sentenza di Sergio e di Pirro. Il papa Teodoro si affaticò molto per ridurlo alla fede cattolica colle sue lettere, ed anche per mezzo de' suoi legati; ma avendo sperimentata inutile ogni sua cura per farlo ravvedere, finalmente lo depose con una formal sentenza3. Credesi che ciò avvenisse in quello stesso concilio, in cui Teodoro condannò Pirro; poiché Pirro dopo la sua ritrattazione fatta in Roma a' piedi dello stesso pontefice, secondo già avea promesso di fare a s. Massimo, allorché disputò con esso nell'Africa, come diremo da qui a poco, passò in Ravenna, ove di nuovo cadde nel Monotelismo, probabilmente guadagnato dall'esarca che n'era infetto, colla speranza di farlo rientrare nella chiesa di Costantinopoli, come infatti4 nell'anno poi 655 vi rientrò. Saputo ciò dal pontefice Teodoro, in un sinodo particolare di vescovi e del clero romano pronunziò contro Pirro l'anatema colla sentenza di deposizione. Ed allora avvenne ch'egli si fece recare il calice col sangue di Gesù Cristo già consacrato, ed intingendo la penna in quel sangue prezioso, soscrisse la funesta sentenza5.

12. Essendosi qui accennata la disputa che Pirro ebbe in Africa coll'abate s. Massimo sul punto controverso dell'una o delle due volontà ed operazioni, giova riflettere con quanta forza s. Massimo, ch'era dottissimo, lo convinse. Dicea Pirro: Se Gesù Cristo è uno, dunque egli volea come una sola persona, ed in conseguenza non avea altro che una volontà. Rispose s. Massimo: Ditemi Pirro; Gesù Cristo certamente è un solo, ma egli è insieme Dio ed uomo? - Chi lo nega? rispose Pirro. Egli è vero Dio e vero uomo. - Se dunque, ripigliò s. Massimo, Gesù è vero Dio e vero uomo, egli volea e come Dio e come uomo, in due maniere e non in una, quantunque fosse una sola persona; poiché essendo Gesù Cristo di due nature, certamente dovea volere ed operare secondo le due nature, mentre non era alcuna di esse priva di volontà, o priva di operazione. Or se Gesù Cristo voleva ed operava conforme alle nature che avea, siccome elle erano due, così bisogna dire ch'egli abbia avute anche due volontà naturali e due operazioni essenziali. Siccome poi le due nature non lo divideano, così anche le due volontà ed operazioni che convenivano essenzialmente alle sue nature, affatto non lo divisero; ed essendo in Cristo unite, non impedirono già che fosse solo. Pirro replicò: Ma egli è impossibile che quante sono le volontà, tante ancora non siano le persone. Rispose s. Massimo; Dunque dite voi che quante sono le volontà, tante sono le persone che vogliono. Ma se valesse questa regola, avrebbe da dirsi anche reciprocamente che quante sono le persone, tante ancora han da essere le volontà. Ma dicendo ciò, dovrebbe dirsi che in Dio non vi è altro che una persona, come volea Sabellio; giacché in Dio, ed in tutte le tre divine persone una sola è la volontà: o pure dovrebbe dirsi che, essendo in Dio tre persone, vi sono ancora tre volontà, ed in conseguenza tre nature, come voleva Ario; giacché, secondo insegnano i padri, il numero delle volontà importa anche il numero di più nature. Sicché non è vero, concluse s. Massimo, che dove sono più volontà, sono più persone; il vero è che in quella persona in cui vi sono unite più nature, com'è in Gesù Cristo, più sono le volontà e le operazioni, benché una sia la persona. Pirro fece altre difficoltà; ma a tutte rispose s. Massimo, in modo che restò convinto,


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e confessò che s. Massimo avea ragione, ed allora promise di andarsi a ritrattare a' piedi del papa, come in fatti andando in Roma presentò al papa il libello della sua ritrattazione1. Ma poi di nuovo cadde nell'errore, come si disse di sopra.

 

13. Ritornando poi al tipo di Costante, bisogna sapere che quello con tutta la dottrina de' Monoteliti fu condannato da Martino papa nel sinodo che tenne in Roma; e perciò questo santo pontefice fu poi talmente perseguitato da Costante, che ebbe a finir la vita nell'anno 654. in Chersona, dove fu mandato in esilio2. Ma l'imperatore Costante dopo tante crudeltà esercitate col papa e con altri, specialmente in Siracusa, ivi stesso fu da Dio tolto dal mondo nell'anno 668., dopo 27. anni di regno, con una morte infelice. Poiché essendo entrato nel bagno insieme con un altro che lo portava per servirlo, quegli con un vaso che serviva per versare l'acqua, lo percosse sulla testa, l'uccise, e fuggì; onde quei che dopo molto tempo entrarono nel bagno per vedere che fosse dell'imperatore, perché troppo indugiava, lo trovarono morto3. Lo stesso Costante avea tolto prima di vita san Massimo, come narra il cardinal Gotti4, il quale parlando delle crudeltà di Costante riferisce di più (e ciò lo conferma anche Natale Alessandro5 con Teofane, Cedreno, Paolo diacono ecc.) che, avendo egli fatto uccidere Teodosio suo fratello, dopo averlo fatto ordinar diacono dal patriarca Paolo per invidia, in pena del suo parricidio spesso in sogno se gli rappresentò l'immagine di Teodosio in abito di diacono, che con un calice di sangue in mano gli replicava: Bibe, bibe frater; in modo che Costante, mentre visse, fu tormentato sempre dall'orrore di questa sua scelleraggine.

 

14. Morto Costante, si mutò la scena; poiché salì sul trono imperiale il buon Costantino Pogonato suo figlio, principe amante della fede e della giustizia, e per mezzo delle sue diligenze e premure nell'anno 680 si radunò in Costantinopoli il sesto concilio generale6, dove presedettero i legati di Agatone papa. Dice Natale Alessandro che non convengono gli autori intorno al numero de' vescovi che v'intervennero: Teofane e Cedreno ne contano 289., Fozio ne conta 170.; ma nell'ultima azione del sinodo non si trovano sottoscritti che 166. Questo concilio fu conchiuso felicemente con 18. azioni, e nell'azione decimottava si fece la definizione di fede contro l'eresia de' Monoteliti colle seguenti parole: Duas naturales voluntates in Christo et duas naturales operationes indivise, inconvertibiliter, inseparabiliter, inconfuse secundum patrum doctrinam... praedicamus. E questa definizione da tutti i padri fu soscritta7. Terminato che fu il concilio, dallo zelo de' prelati animati dall'autorità dell'imperatore, di cui esaltarono la fede con titoli gloriosi di pio e di ristoratore della religione, il papa s. Leone II., che successe ad Agatone, defunto nel mentre che teneasi il concilio, ne confermò le decisioni e gli atti; e, come scrive il Graveson8, confermò colla sua apostolica autorità questo sesto concilio, e dichiarò che dovea numerarsi cogli altri concilj generali.

 

15. Or qui si avverta che il cardinal Baronio9 per togliere via la macchia di eresia al papa Onorio, dice che gli atti di questo concilio VI. non giunsero a noi sinceri, ma furono corrotti per le arti di Teodoro allora vescovo di Costantinopoli. Ma questa opinione del Baronio, dice saggiamente il Graveson nel luogo citato, Viris eruditis nostrae aetatis minime probatur; poiché, come soggiunge, Cristiano Lupo, Natale Alessandro, Antonio Pagi, Combefisio e Garnerio chiaramente dimostrano la verità di quegli atti. Riferisce di più il


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Graveson1 che alcuni scrittori, dopo il cardinal Bellarmino, per iscusare Onorio dicono che i padri del concilio errarono nell'esame e nel giudizio che fecero di Onorio. Verum, risponde il predetto autore, hic modus excusandi Honorium merito non placet; quia creditu admodum difficile est patres non solum sextae synodi, sed et omnes episcopos conciliorum generalium VII. et VIII. in quibus itidem Honorium damnatum legimus, errasse in ferendo de doctrina Honorii iudicio. Ne igitur a recta via recedere videar, concludo Honorium a Monothelitarum haeresi iure quidem optimo vindicari debere; eum tamen iusta de causa a sexta synodo generali damnatum, non quod impegisset in haeresim, sed quod eius fautor esset, et in illa reprimenda negligentiae reus. Lo stesso scrisse il Danes2, dicendo che nella lettera privata di Onorio a Sergio nulla vi è che sappia di aperta eresia, ma fu degno di censura per la sua pusillanimità in servirsi di parole ambigue, che poteano piacere ed allettare gli eretici, quando doveva egli per officio rintuzzare la nascente eresia. Lo stesso scrisse anche Hermant3, dicendo che Onorio fu condannato dal concilio, perché essendosi lasciato sorprendere dagli artificj di Sergio, non aveva sostenuto colla debita costanza gli interessi della chiesa. Del resto fa orrore il vedere tanti prelati della chiesa così acciecati in seguire questa eresia, e così ostinati! Fra gli altri vi fu nello stesso concilio Macario patriarca di Antiochia, il quale, come narra Natale Alessandro4, essendo stato domandato dall'imperatore e da' padri, se confessava due naturali volontà e due naturali operazioni in Cristo, rispose temerariamente: Non dico duas naturales voluntates, aut duas operationes naturales in Incarnationis dispensatione D.N. Iesu Christi nec si membratim incidar, et mittar in mare. E perciò dal sinodo meritamente fu subito scomunicato e deposto. Del resto l'eresia dei Monoteliti, come scrive Natale Alessandro5, anche dopo il sesto concilio durò presso i Caldei (i quali per altro sotto il pontificato di Paolo V. l'abiurarono), e presso i Maroniti e gli Armeni; tra' quali nell'anno 653. si sparse un'altra setta, detta de' Paoliciani, da un certo Paolo di Samosata; che ammettea i due principj de' Manichei, e negava essere Maria madre di Dio, ed insegnava altre sciocchezze, che possono leggersi presso lo stesso p. Natale6. Ma prima di terminar questo capo giova qui fare una riflessione, e vedere quanto dispiaccia all'inferno che gli uomini vivano grati ed affezionati al nostro amantissimo Redentor Gesù Cristo; mentre Lucifero si è tanto affaticato per far seminare nel mondo cristiano da uomini perversi tante eresie, che tutte tendono a distruggere la credenza dell'incarnazione del Figliuolo di Dio, e per conseguenza a toglierci l'amore verso Gesù Cristo, che assumendo carne umana, ha voluto rendersi nostro Salvatore. E tali furono le eresie di Sabellio, di Fotino, di Ario, di Nestorio, di Eutiche e de' Monoteliti; de' quali eretici chi ha fatto Gesù Cristo un personaggio fantastico, chi l'ha privato della divinità, e chi gli ha tolta l'umanità. Ma la chiesa contro tutti è restata vittoriosa.

 




2 Baron an. 163. n. 4. Nat. Al. t. 12. c. 2. a. 1. §. 2.



3 L. 37. n. 41.



4 Fleury al luogo cit.

1 Fleury loc. cit. Van-Ranst. sec. 6. p. 135. Hermant Hist. t. 1. c. 235.



2 Epist. Cyri p. 952. ap. Fleury loc. cit. n. 42.



3 Fleury cit. n. 42.



4 Fleury l. 37. n. 43. et 44.

1 Fleury loc. cit. n. 38. n. 25.



2 Nat. Al. t. 12. diss. 2. prop. 3.



3 Anastas. praefat. ad Ioan. diac.



4 Hist. eccl. t. 3. p. 48. coll. 3.



5 Hist. litter. sec. Monoth.



6 T. 12. Hist. eccl. diss. 2. prop. 3.

1 Natal. Alex. t. 2. c. 2. §. 2. n. 4. Fleury l. 38. n. 21.



2 Fleury loc. cit. n. 22.

1 Nat. Al. loc. cit. n. 6. Fleury loc. cit. n. 45.



2 Fleury l. 38. n. 24.



3 Anastas. in Theod. concil. later. sec. 2. p. 116.



4 Fleury l. 39. n. 12.



5 Hermant c. 238. Fleury l. 38. n. 46. Nat. loc. cit. §. 3. n. 6.

1 Fleury l. 38. n. 36. a 40.



2 Danes Temp. not. p. 258.



3 Fleury l. 39. n. 42.



4 Vict. adv. haer. c. 68. §. 4. n. 14.



5 T. 12. c. 5. a. 3.



6 Nat. Alex. t. 12. c. 2. a. 1. §. 4. Hermant c. 240. Fleury t. 6. l. 4. n. 11. Berti t. 1. sect. 7. c. 2.



7 Tournely theol. comp. t. 3. in append. p. 304.



8 Hist. eccl. t. 3. p. 60. coll. 4.



9 Ap. Graves. loc. cit.

1 Loc. cit. p. 27.



2 Temp. not. p. 259.



3 T. 5. c. 242.



4 T. 12. a. 1. §. 4.



5 Tom. 12. c. 2. a. 12. §. 2.



6 Loc. cit. a. 3.




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