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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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CAP. VIII. ERESIE DEL SECOLO VIII.

 

Dell'eresia degl'Iconoclasti.

1. Principj degl'Iconoclasti. 2 e 3. S. Germano si oppone all'imperator Leone. 4. E rinunzia la sede di Costantinopoli. 5. Gli è sostituito Anastasio. Resistenza delle donne. 6. Crudeltà di Leone. 7. Leone cerca uccidere il papa, che gli si oppone co' romani. 8. Lettera del papa. 9. Concilio tenuto in Roma per le sante immagini; ma Leone prosiegue la sua persecuzione. 10. Miracolo della mano restituita a s. Giovanni Damasceno. 11. Muore Leone, e gli succede Costantino Copronimo maggior persecutore. Morte dell'empio patriarca Anastasio. 12. Conciliabolo tenuto da Costantino. 13. Martiri per causa delle immagini. 14. Altre tirannie di Costantino, e terribile sua morte. 15. Succede all'imperio Leone IV., ed a Leone succede Costantino suo figlio. 16. L'imperatrice Irene in nome del figlio domanda il concilio. 17. Sedizione contro il concilio. 18. Si celebra il concilio, e si definisce il culto delle immagini. 19. Errore preso


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dal concilio di Francfort contro il sinodo 8. 20. Persecuzioni rinnovate dagl'Iconoclasti.

 

1. Già prima i gentili, i giudei, i Marcioniti ed i Manichei mossero guerra alle sacre immagini, come si attesta nel sinodo VIII. all'azione I. e V. Questa guerra fu poi rinnovata a tempo di Leone Isaurico imperatore nell'anno 723. nel quale un certo Sarantapechi capitano degli Ebrei, insinuò a Jezido Califfo, o sia principe Arabo il pensiero di distruggere tutte le sacre immagini dalle chiese e terre de' cristiani, promettendogli un lungo e felice imperio, se ciò faceva. Il principe ingannato da questa falsa promessa comandò che tutte le immagini fossero tolte con pubblico editto, ma i cristiani ricusarono di ubbidirlo, e Dio presto lo castigò, facendolo morire appena passati sei mesi dopo l'empio editto. Non molto appresso fu ripigliata la persecuzione contro le immagini, poiché l'empietà passò dagli Ebrei ai Cristiani, per opera di Costantino vescovo di Nacolia nella Frigia, il quale essendo stato per la sua perfidia discacciato da' suoi diocesani, s'insinuò nella grazia di Leone Isaurico imperatore, e gli riuscì di impegnarlo alla distruzione delle sante immagini1.

2. L'imperatore per tanto, dopo il decimo anno del suo regno nel 727., disse un giorno pubblicamente al popolo che non conveniva adorare le immagini; ma impugnando il popolo questo suo detto, per allora disse l'imperatore2 che il suo sentimento non era che affatto si togliessero le immagini, ma che si collocassero in luogo più alto, acciocché niuno le imbrattasse con baciarle. All'empietà non pero' di Leone, che avea pensiero di abolirle in tutto, si oppose con fortezza s. Germano patriarca di Costantinopoli, dicendo che era pronto a dar la vita in difender le immagini sacre, ch'erano state sempre in uso nella chiesa. Onde il medesimo scrisse più lettere a' vescovi che aderivano all'imperatore, per rimuoverli dal loro errore. Scrisse ancora al papa Gregorio II., il quale gli rispose con una lunga lettera, ove approvò il suo zelo, e gli espose la dottrina della chiesa cattolica sul culto da lei approvato delle sacre immagini3.

3. Tuttavia, perché l'imperatore seguiva a far loro guerra, insorse contro di lui una gran sedizione de' popoli della Grecia e delle Cicladi, i quali sotto zelo di religione vennero contro di esso, portando seco un certo chiamato Cosimo, per incoronarlo imperatore. I capi di quest'armata erano Agalliano, Cosimo e Stefano. Ma nell'anno 727. restarono essi sconfitti in una battaglia presso Costantinopoli; onde Agalliano si buttò in mare, e Cosimo e Stefano essendo stati presi, furono decapitati. Questa vittoria diede maggior coraggio all'imperator Leone a perseguitare i Cattolici. Chiamò a se' il patriarca s. Germano4 per tirarlo al suo partito: ma il santo gli disse apertamente che chi volea toglier l'uso delle immagini era un precursore dell'Anticristo, e che ciò tendeva a rovesciare il mistero dell'Incarnazione; indi gli ricordò la promessa da lui fatta nella sua incoronazione col giuramento di non cambiar alcuna cosa della tradizione della chiesa. L'imperatore niente mosso da ciò seguitò a dir lo stesso, ed aspettava che il patriarca prorompesse in qualche parola contro di lui offensiva, per farlo poi deporre come sedizioso. Era a ciò istigato da Anastasio, ch'era per altro discepolo del patriarca, ma si era unito al partito dell'imperatore, che gli avea promesso di porre in luogo di s. Germano nella sede di Costantinopoli. Il santo avvedutosi del mal talento di Anastasio, cercò di ammonirlo con bel modo. Un giorno specialmente entrando s. Germano all'imperatore, Anastasio, che lo seguiva, gli pose i piedi sulla veste. Allora s. Germano gli disse: Non vi affrettate, che


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presto entrerete nell'ippodromo (ippodromus significa il luogo del corso dei cavalli), alludendo alla disgrazia che dopo quindici anni dovea soffrire Anastasio, quando l'imperator Costantino, dopo averlo collocato nella sede di Costantinopoli, gli fece cavare gli occhi, e lo fece passeggiare nell'ippodromo sovra un asino colla faccia indietro; ma con tutto ciò lo mantenne poi nel vescovado, perché era nemico delle sacre immagini. Restò intanto l'imperatore coll'avversione verso il santo patriarca; e di in poi più s'imperversò in perseguitare le immagini e tutti i Cattolici, e non solo quei che veneravano le immagini dei santi, ma ancora quelli che veneravano le loro reliquie, e ricorrevano alla loro intercessione, non sapendo o non volendo egli distinguere il culto relativo dall'assoluto1.

4. L'imperatore sul principio dell'anno 730., convocò un concilio2, in cui egli fece un decreto contro le immagini, e volle obbligare il patriarca a soscriverlo. Ma il santo ripugnò con fortezza, e si contentò di rinunziare più presto alla sua dignità, e togliendosi il pallio disse: È impossibile, signore, ch'io possa innovar cosa alcuna contro la fede, senza un concilio ecumenico, e si partì. L'imperatore sdegnato mandò alcuni officiali armati a discacciarlo dal palazzo vescovile con pugni ed oltraggi, non rispettando almeno la di lui veneranda età di 80 anni. Egli si ritirò nella sua casa paterna per vivervi da monaco, lasciando in gran desolazione la sede di Costantinopoli, dopo averla governata per quattordici anni; ed ivi terminò la sua santa vita. La chiesa onora la sua memoria ai 12. di maggio3.

5. Discacciato che fu s. Germano, pochi giorni appresso Anastasio fu ordinato patriarca di Costantinopoli, e con mano armata ne fu posto in possesso. L'empio usurpatore diede all'imperatore ogni facoltà sulla chiesa, e Leone, vedendosi autorizzato a quel modo, cominciò colla forza a far eseguire il suo decreto contro le sacre immagini. Nel vestibolo del palazzo imperiale di Costantinopoli vi era innalzata una immagine di Gesù Cristo sovra la croce, avuta in particolar venerazione dal popolo, dicendosi che aveala fatta fare Costantino il grande in memoria della croce che gli apparve nel cielo. Da questa sacratissima immagine volle cominciare l'imperator Leone, e mandò ad abbatterla uno de' suoi scudieri, chiamato Giovino. Certe donne che vi erano presenti, si sforzarono colle loro preghiere di distorlo da quel sacrilegio; ma il perfido esecutore, senza dar loro orecchio salì sopra una scala e diede tre colpi di mannaia sulla faccia della figura. Le donne vedendo ciò tirarono indietro la scala, e dopo averlo fatto cadere, l'uccisero, e lo fecero in pezzi. Tuttavia la santa immagine fu posta a terra, e poi abbruciata; e l'imperatore fece mettere in suo cambio una semplice croce con una iscrizione, la quale indicava che di era stata tolta l'immagine; poiché gl'Iconoclasti onoravano la croce, e solo abolivano le immagini che aveano la figura umana. Le donne stesse che aveano ucciso Giovino corsero al palazzo del vescovo, e gettando pietre gridarono contro Anastasio: Infame! nemico della verità! hai tu dunque usurpato il sacerdozio per sovvertire le cose sacre? Anastasio offeso da questi insulti, corse all'imperatore, ed ottenne che tali donne fossero castigate colla morte. Ed infatti furono quelle fatte morire, e con esse dieci altre persone, che dalla chiesa greca vengono onorate come martiri nel giorno 9 di agosto4.

6. L'imperator Leone, come colui ch'era un ignorante, perseguitò principalmente i letterati, ed abolì le scuole delle sacre lettere, ch'erano durate sin dal tempo del gran Costantino. Vi era in Costantinopoli vicino al palazzo imperiale una biblioteca fondata dagli imperatori antichi, che contenea più


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di trentamila volumi. Il bibliotecario chiamato Lecumenico era un uomo di molto merito, e ne avea sotto di lui dodici altri, che gratuitamente insegnavano scienze sacre e profane. Erano sì venerati, che né pure agl'imperatori veniva permesso di far cosa alcuna insolita, senza prendere il loro consiglio. L'imperator Leone fece tutto il possibile con promesse e con minacce per piegarli alla sua opinione di abolire le immagini; ma disperando di poterli sedurre, finalmente si risolse di far circondare la biblioteca con fascine e legna secche, e barbaramente la bruciò co' libri e con tutti coloro che la custodivano. Di poi con carezze o violenze costrinse tutti gli abitanti di Costantinopoli a toglier tutte le immagini dei Santi, della santa Vergine e di Gesù Cristo, in qualunque parte fossero, e ad abbruciarle in mezzo alla città, con imbiancare tutte le chiese dipinte di figure, o storie divote. E perché molti ricusarono di ubbidire, ad alcuni fece tagliar la testa, e ad altri almeno qualche membro del corpo, sì che molti chierici, monaci ed anche laici soffersero allora il martirio1.

7. Passata in Italia la notizia di questa persecuzione, furono atterrate le immagini dell'imperatore e calcate coi piedi2. Ed avendo l'imperatore mandato a Roma il suo empio decreto fatto contro le sacre immagini, minacciando il papa Gregorio II. di farlo deporre, s'egli impediva l'esecuzione di quello; il papa, vedendo l'empietà di quell'ordine, si apparecchiò a resistergli come a nemico della chiesa, e scrisse da per tutto a' fedeli, affin di preservarli da questo nuovo errore. I popoli della Pentapoli e l'esercito di Venezia rigettarono il decreto dell'imperatore, e si dichiararono di voler combattere in difesa del papa, anatematizzando Paolo esarca di Ravenna e l'imperatore che l'avea mandato e tutti coloro che l'ubbidivano; ed a questo effetto elessero alcuni capi. Finalmente tutta l'Italia di comune deliberazione risolvette fare un altro imperatore, e condurlo a Costantinopoli. Ma il papa, sperando che Leone si convertisse, non lasciò di por tutta la sua cura per impedire ciò. Frattanto Esilarato duca di Napoli col suo figliuolo Adriano, essendo signore della Campania, persuase al popolo della sua provincia di ubbidire all'imperatore, e di uccidere il papa. Ma entrambi, cioè il duca ed il suo figliuolo furono presi dai romani, ed uccisi; e poi dai medesimi fu scacciato da Roma Pietro duca di quella, essendosi vociferato ch'egli avea scritto all'imperatore contro del papa. A Ravenna il popolo fu diviso: altri aderivano al partito dell'imperatore, altri a quello del papa. Vennero alle mani, ed uccisero Paolo Patricio, allora esarca di Ravenna. Fra questo mentre i Lombardi acquistarono molte piazze dell'Emilia e di Auxume nella Pentapoli, ed anche occuparono Ravenna; onde Gregorio II. scrisse ad Orso duca di Venezia, o piuttosto della provincia di Ravenna chiamata Venezia, acciocché si unisse coll'esarca, che stava in Venezia, affin di far restituire la detta città all'imperatore. All'incontro l'imperatore, sempre più imperversando, mandò a Napoli il patricio Eutichio eunuco, il quale inviò a Roma uno dei suoi coll'incombenza di far uccidere il papa ed i principali della città. Il che essendosi scoperto, voleano i romani uccidere il Patricio; ma il papa anche l'impedì. Del resto tutti, grandi e piccoli, giurarono di morir più presto che di lasciar fare alcun danno al papa, che difendea la fede. L'ingrato Patricio mandò a promettere gran somme ai duchi lombardi, se voleano abbandonare il papa; ma quelli conoscendo il mal talento di Patricio, si unirono co' romani, e fecero lo stesso giuramento di difendere il papa3.

8. Anastasio, il nuovo patriarca di Costantinopoli, mandò la sua lettera sinodica a papa Gregorio II, il quale,


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vedendolo sostener l'eresia degl'Iconoclasti, stimò bene di non riconoscerlo per suo confratello, e lo avvertì che se egli non ritornava alla cattolica fede, sarebbe stato privato del sacerdozio1. Il pontefice Gregorio dopo ciò non sopravvisse molto tempo: poiché morì a febbraio dell'anno 731, e gli successe papa Gregorio III, il quale fin dal principio del suo pontificato scrisse all'imperator Leone, in risposta di una lettera dal medesimo scritta già a lui ovvero a Gregorio II. suo antecessore, in questi termini: «Voi nelle vostre lettere confessate la nostra santa fede in tutta la sua purità, e dichiarate maledetto chiunque osa di contravvenire alle decisioni de' padri. Chi dunque vi costringe presentemente a rivolgervi indietro, dopo aver camminato per sì diritto cammino pel corso di dieci anni? In tutto questo tempo voi non parlaste mai delle sante immagini; ed ora dite ch'esse tengono luogo degl'idoli, e che sono solo idolatri quei che le adorano? Comandate che sieno del tutto abolite, e non vi prendete timore del giudizio di Dio, scandalizzando non solo i fedeli, ma anche gl'infedeli? Perché mai come imperatore e capo de' Cristiani, non avete richiesto parere agli uomini dotti? Essi vi avrebbero insegnato perché Dio abbia proibito di adorare gl'idoli fatti dagli uomini. I padri, nostri maestri di sei concilj ci han lasciata questa tradizione di venerare le immagini sacre; e voi non ricevete la loro testimonianza?... Vi supplichiamo a deporre la vostra presunzione.» Indi gli parla della dottrina della chiesa sul culto delle immagini, e conchiude così: «Voi credete di spaventarci col dire: Io manderò a Roma a romper l'immagine di S. Pietro, e farò condurre via papa Gregorio carico di catene, come fece Costanzo a Martino. Sappiate che i papi sono gli arbitri della pace tra l'oriente e l'occidente. Noi non temiamo le vostre minacce2

 

9. Appresso gli scrisse un'altra lettera; ma né la prima, né la seconda pervennero all'imperatore per colpa di un sacerdote nominato Giorgio, che n'ebbe l'incombenza, e non ebbe animo di presentargliele. Onde il papa dopo averlo penitenziato per tal mancanza, lo rimandò a Leone colle stesse lettere; ma l'imperatore fece ritenere in Sicilia le lettere, e tenne esiliato il sacerdote per un anno, non permettendogli che venisse in Costantinopoli3. Il dispregio fatto alle lettere del papa ed al sacerdote Giorgio suo legato costrinse papa Gregorio III. a raccogliere un concilio in Roma nell'anno 7324, dove intervennero 93 vescovi e tutto il clero di Roma coi consoli, i nobili e il resto del popolo. In questo concilio si ordinò che chiunque dispregiasse l'uso delle sante immagini fosse escluso dalla comunione della chiesa, e questo decreto venne solennemente soscritto da tutti coloro che vi intervennero. Di poi il papa scrisse di nuovo all'imperatore; ma le lettere furon parimente ritenute, ed il lator di quelle fu tenuto in prigione per un anno, dopo cui gli furono tolte a forza le lettere, e con minacce e maltrattamenti fu rimandato in Roma. Tutta l'Italia in corpo spedì una supplica all'imperatore pel ristabilimento delle sante immagini; ma anche questa fu tolta dalle mani de' latori dal patricio Sergio governatore della Sicilia, ed essi furono ritenuti per otto mesi, e rimandati indietro con oltraggi. Il papa non lasciò di tornare a scrivere così all'imperatore, come al patriarca Anastasio; ma tutto riuscì vano. All'incontro Leone, irritato contro il papa e contro l'Italia ribellata, armò e mandò una gran flotta; ma quella naufragò nel mare adriatico. Crebbe da ciò il suo furore; onde alzò di un terzo il testatico di Calabria e di Sicilia, facendo tener registro di tutti i fanciulli maschi che nasceano; e confiscò nelle terre a lui soggette i patrimonj di s. Pietro in oriente. Seguì


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a perseguitare tutti coloro che onoravano le immagini sacre; ma non li facea più morire per timore ch'essi non fossero onorati per martiri: solamente dava loro l'esilio dopo averli imprigionati e tormentati1.

10. Fra questo tempo avvenne la celebre persecuzione e crudeltà usata contro s. Giovanni Damasceno. Difendeva il santo nella Siria l'onore delle sante immagini; onde cercò Leone di perderlo con una infame calunnia. L'accusò di tradimento al re dei Saraceni, chiamato Hiocham, e per mezzo di una lettera finta del carattere di s. Giovanni guadagnò talmente l'animo di quel principe, che, avendo fatto fare nel suo consiglio il processo contro del santo, gli fece tagliar la mano destra come a traditore. Ma presto fu conosciuta la di lui innocenza. Poiché san Giovanni animato da una viva fede si presentò innanzi ad un'immagine della b. Vergine, di cui aveva difeso generosamente il culto; ed avendo applicata la mano recisa al braccio, dond'era stata separata, chiese alla divina Madre che gli restituisse quella mano, per impiegarla a scriver le sue glorie, e miracolosamente l'ottenne2. Natale Alessandro scrive3 che le cose dette di s. Giovanni Damasceno constano dal libro della vita di s. Giovan Gerosolimitano.

 

11. Ma finalmente Iddio si vendicò de'. delitti dell'imperator Leone, affliggendolo con flagelli da più parti; mentre da una parte la fame e la peste desolarono le città e le campagne, e dall'altra i Saraceni diedero il sacco a tutte le province dell'Asia. E finalmente assalito egli stesso nella persona da molte infermità, che acerbamente lo tormentarono, morì miseramente nell'anno 741, e. lasciò l'imperio a Costantino Copronimo suo figlio, il quale lo superò nell'empietà: poiché, oltre de' suoi pessimi costumi, egli non avea alcun principio di religione, e non contento d'impugnare il culto delle immagini e delle reliquie dei santi, proibì anche l'invocarli. Furono in somma tanti e tali i suoi vizj, che lo rendettero odioso a' suoi sudditi, da' quali Artabaste pretore dell'Armenia suo cognato, si fece proclamare imperatore. Questo principe educato nella fede cattolica ristabilì subito il culto delle sacre immagini, e diede ottime speranze alla religione in principio colle sue felici imprese; ma appresso Costantino lo vinse. Poiché avendo guadagnata la città di Costantinopoli, ove Artabaste si era rifugiato, lo prese insieme coi due suoi figli Niceforo e Niceto, e tutti tre fece acciecare; ed il falso patriarca Anastasio, per giusto divino giudizio, lo fece condurre per la città sovra di un asino (come di sopra accennammo) colla testa rivolta indietro, e così lo fece aspramente frustare. Ma dopo ciò lo stesso Costantino, per non poter ritrovare un uomo più scellerato di Anastasio, lo ristabilì nella sede di Costantinopoli. Della quale poco restò quegli a godere; mentre fra poco assalito da una orribile colica, che gli facea gettare gli escrementi per la bocca, fu tolto infelicemente dal mondo, senza che desse alcun segno di penitenza4.

12. Quindi diventando Costantino di giorno in giorno più furioso contro le immagini, volle giustificar la sua empia condotta coll'autorità ecclesiastica; e perciò nell'anno 754, come riferisce il Danes, convocò un concilio generale in Costantinopoli, ove si ritrovarono 338. vescovi, ma senza legati della santa sede, e senza i vescovi delle altre sedi patriarcali. A principio vi presedettero Teodoro vescovo di Efeso e Palla, o sia Pastilla, vescovo di Perga; ma di poi l'imperatore fece presedervi un certo monaco detto Costantino, che pendea da' suoi cenni, il quale prima era stato vescovo, ma era stato scacciato dalla sua sede per più suoi delitti e scandali. In questo conciliabolo, che si ebbe l'ardire d'intitolare il settimo concilio generale, fu condannato come


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idolatria ogni onore che si rende alle immagini de' santi; di più nello stesso tempo furono anatematizzati quei che approvavano il ricorso all'intercessione della b. Vergine e de' santi. Non si vede alcuna decisione poi né contro le reliquie, né contro la croce, per la quale questi eretici ebbero una gran venerazione, mentre obbligarono tutti a giurar sovra la croce di ricevere i decreti del lor concilio, e di togliere ogni culto alle immagini. Ecco come lo spirito della contraddizione è proprio carattere dell'eresia.

 

13. Dopo il conciliabolo riferito, Costantino perseguitò i cattolici con maggior furore. Molti vescovi e solitarj che aveano abbandonate le loro celle per difender la chiesa, ebbero la corona del martirio. Fra costoro meritano special menzione tre santi abati. Il primo fu s. Andrea Calibita, il quale ebbe il coraggio di rinfacciar all'imperator Costantino la sua empietà, chiamandolo nuovo Valente e nuovo Giuliano; onde fu dal medesimo fatto morire sotto i flagelli nell'anno 761. La chiesa nel martirologio romano onora la sua memoria ai 17 di ottobre1. Il secondo fu l'abate Paolo, il quale fu preso da Lardotiro, governatore dell'isola Teofano, che fece porre a terra l'immagine di Gesù Cristo da una parte, e lo stromento di supplicio chiamato catapulta dall'altra, e poi disse al santo: Paolo, eleggi una di queste due, o di mettere i piedi su quell'immagine, o di soffrire il supplicio apparecchiato. S. Paolo rispose: O Gesù Cristo mio Signore, Dio non permetta mai ch'io calpesti la vostra santa immagine. E gittandosi a terra, l'adorò con tenerezza. Il governatore montato in collera lo fece spogliare e stendere sulla catapulta; in cui avendolo i carnefici serrato fra le due assi dal collo sino a' calcagni, e poi forate tutte le sue membra con chiodi di ferro, lo sospesero colla testa in giù; ed avendo fatto accendere un gran fuoco di sotto da quello fecelo morir consumato2. Il terzo fu s. Stefano abate del monte di Aussenza. Questi dopo essere stato esiliato nell'isola di Proconeso vicino all'Ellesponto per due anni, fu fatto ritornare in Costantinopoli, e fu messo in una prigione colle catene alle mani e i ceppi a' piedi. Ebbe la consolazione il santo di ritrovarvi 342 monaci di varj paesi; altri aveano tagliato il naso, altri cavati gli occhi, o tronche le mani, o le orecchie, altri mostravano le cicatrici de' flagelli che gli avean lacerate le carni, oltre di coloro ch'erano stati decapitati: e tutti appunto per non aver voluto sottoscrivere il decreto contrario alle sante immagini. Dopo quaranta giorni in circa vennero alla prigione molti ministri dell'imperatore, gridando con furore alle guardie: Dateci Stefano di Aussenza. Il santo coraggiosamente si fece avanti, e disse loro: Ecco, io sono colui che cercate. Tosto lo gittarono per terra, attaccarono alcune corde ai ferri che aveva a' piedi, e con quelle lo strascinarono per la strada, percotendogli il capo e tutto il corpo con calci, pietre e bastoni. Giunto s. Stefano all'oratorio di s. Teodoro martire, che stava fuori la prima porta del pretorio, alzando un poco la testa si raccomandò al santo martire; ed allora un certo Filomato, uno de' persecutori, disse: Vedete questo sciagurato, che vuole morire a guisa di martire; e poi con un grosso legno percosse il santo nella testa, e l'uccise. Ma il perfido omicida cadde subito a terra, agitato dal demonio che lo tormentò fino alla morte. Ciò non ostante seguitarono a strascinare il corpo di s. Stefano, per modo che il di lui sangue bagnava la terra, e gli andavano le membra cadendo per via. Se trovavasi allora alcuno che non oltraggiava il corpo del santo, era accusato come nemico dell'imperatore. Giunti i persecutori ad un monastero di vergini, in cui stava la sorella del santo, pretendeano di costringerla a lapidare il fratello colle proprie mani; ma ella si nascose in un sepolcro, e così non poterono trovarla. Finalmente


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gittarono il corpo del santo in una fossa, dove era stata la chiesa di s. Pelagia martire, che l'imperatore destinò per sepoltura de' rei e de' pagani. La morte di questo santo accadde nell'anno 7671.

14. Anche i tempj non restarono illesi dalle violenze di Costantino; poiché i suoi soldati vi commisero un'infinità di sacrilegj. Quando il decreto del conciliabolo fu pubblicato nelle provincie, gli eretici si posero a sfigurare le chiese con abbattere, o imbiancare le muraglie dipinte, ed abbruciare i quadri delle immagini2. In somma videsi in un imperator cristiano maggior barbarie, che negl'imperatori gentili. Nell'anno 770 per ordine di Costantino3, il governator di Natolia, chiamato Michele, raccolse in Efeso tutti i religiosi delle provincie della Tracia in una pianura, e poi disse loro: Chi vuole ubbidire all'imperatore, si vesta di bianco, e prenda moglie qui sul fatto; quelli che nol faranno, perderanno gli occhi; e saranno esiliati in Cipro. Subito si passò all'esecuzione. Molti soffrirono tal pena (sebbene altri apostatarono), e furono poi tenuti in conto di martiri. Nell'anno seguente il mentovato governatore fece vendere tutti i monasterj di uomini e di donne, co' vasi sacri, bestiami e tutti i loro beni, e ne mandò il prezzo all'imperatore. Bruciò tutto quel che trovò di libri de' monaci, e di quadri: bruciò anche tutti i reliquiarj e punì coloro che gli aveano, come rei d'idolatria. Fece morire alcuni sotto la spada, ed altri sotto le battiture: tolse la vista ad innumerabili persone: ad alcune fece ungere la barba con olio e cera liquefatta, e poi vi appiccava la fiamma; ed altri mandò in esilio dopo molti tormenti. A tale eccesso giunse il furore di Costantino contro i veneratori delle sacre immagini. Ma con tutte le sue crudeltà egli non poté distrugger la religione; e Dio finalmente lo punì con una infermità straordinaria nell'anno 775, secondo il Danes, facendolo uscir dal mondo colla morte di Antioco e con una penitenza simile a quella di quel perfido principe4. Scrive il Fleury5 che Costantino avendo veduta una corona di gemme, che l'imperatore Eraclio avea donata alla chiesa maggiore, se la prese; ma dopo aversela posta sul capo, fu assalito da certi carboncelli, e soppraggiuntagli una violenta febbre, morì spasimando fra' dolori. Aggiunge il Van-Ranst6 ch'egli morì bruciato da un fuoco interno, esclamando che moriva bruciato vivo per le ingiurie fatte alle sacre immagini della divina madre Maria.

 

15. A Costantino Copronimo succedette Leone IV. suo figlio. Questi per assodare la sua autorità, nel principio si fece riputar cattolico, e specialmente volle che fosse trattata con gran rispetto la madre di Dio: permise a' religiosi dispersi dalle persecuzioni di rientrare ne' loro monasterj, e gli onorò della sua benevolenza: assegnò pastori cattolici alle chiese, e parve di lasciar tutti in libertà. Ma subito che si vide stabilito nel trono, si tolse la maschera, e rinnovò la persecuzione colla stessa furia del padre. E perché ebbe sospetto che l'imperatrice Irene sua moglie segretamente onorasse le immagini, la scacciò dalla sua presenza, e non volle più vederla. Ma il regno di questo principe poco durò; imperocché assalito da un morbo strano, simile a quello del padre, morì dopo aver regnato appena cinque anni. Trovavasi già associato all'imperio Costantino suo figlio; ma perché quegli era fanciullo di dieci anni, ne assunse il governo l'imperatrice Irene sua madre, per la cui pietà prese vigore la religione cattolica. Trovavasi allora patriarca di Costantinopoli Paolo. Costui assalito da una grave malattia, si ritirò improvvisamente in un monastero, e dichiarò all'imperatrice ch'egli contro sua coscienza avea condannate le immagini per compiacer l'imperator Copronimo.


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Ma perché questo prelato era uomo di virtù, l'imperatrice procurò di obbligarlo a ripigliare il governo della sua chiesa; Paolo non però stette forte a ricusarlo, dicendo di volere attendere da quel tempo in avanti a piangere il suo peccato1.

16. Fu sostituito a Paolo di comun consenso Tarasio ancora laico, il quale era il primo segretario di stato; ma egli vedendo separata quella sede dalla comunione delle altre sedi patriarcali, l'accettò solamente colla condizione, che si convocasse quanto prima un concilio universale per riunire tutte le chiese in una stessa credenza. Accettata da tutti questa condizione, Tarasio fu consacrato patriarca, e subito egli mandò la sua professione di fede a papa Adriano; al quale scrisse ancora l'imperatrice in nome di Costantino suo figlio ed anche in nome suo, pregandolo di consentire alla convocazione di un concilio ecumenico, con assistervi insieme egli di persona, affin di ristabilire l'antica tradizione intorno al culto delle sacre immagini; ed in caso che non potesse intervenirvi, almeno vi mandasse i suoi legati. Il pontefice rispose all'imperatrice, pregandola a procurare in tutti i modi che i greci onorassero le sacre immagini come si onoravano da' romani, giusta la tradizione de' padri; e poi soggiunse che, se riusciva impossibile di ristabilire tal culto senza tenere un concilio, conveniva che prima in presenza de' legati fosse dichiarato nullo il falso concilio tenuto a tempo dell'imperator Leone. Di più chiedea che l'imperatore mandasse una dichiarazione giurata in nome suo e dell'imperatrice sua madre ed anche del patriarca e di tutto il senato, che nel concilio darebbero un'intiera libertà2.

17. Indi il papa mandò a Costantinopoli due legati, cioè Pietro arciprete della chiesa romana e Pietro abate del monastero di s. Saba; e vi giunsero in tempo, in cui l'imperatore e l'imperatrice erano in Tracia. Ciò rendea più arditi i vescovi iconoclasti, ch'erano in maggior numero, ed eran seguiti da molti laici. Questi diceano che bisognava sostener la condanna delle immagini, e non ammetter nuovo concilio. Ritornarono l'imperatore e l'imperatrice a Costantinopoli, e fu determinato il giorno primo di agosto dell'anno 786 per l'apertura del concilio nella chiesa degli apostoli. Ma la sera del precedente giorno andarono i soldati al battisterio della chiesa gridando che non voleano il concilio. Il patriarca ne avvisò l'imperatrice, e non ostante il tumulto si stimò non differire il concilio, che già si raccolse nel vegnente giorno. Adunati che furono i vescovi, mentre leggevansi alcune lettere sinodiche, vennero i soldati spinti dai vescovi scismatici, e, facendo strepito fuori delle porte, fecero sentire che non soffrirebbero di veder rivocato ciò ch'era stato ordinato sotto l'imperator Costantino; e poi entrarono in chiesa colle spade, minacciando di uccidere il patriarca ed i vescovi. L'imperatrice mandò i soldati della sua guardia per raffrenarli, ma niente ottenne; e frattanto i vescovi sediziosi cantavano vittoria. Contuttociò il patriarca non si arrestò di entrare nel santuario co' vescovi cattolici, ed ivi celebrò i santi misterj, senza dar segno di timore; ma l'imperatrice mandò a dirgli che per allora si fosse ritirato, affin di schivare l'empito di quella sedizione. Onde ciascuno si ritirò al suo albergo, e così sedossi il tumulto. Indi l'imperatrice nel seguente mese chiamò dalla Tracia il rinforzo di altre truppe, e discacciò dalla città con le loro famiglie tutte quelle che avean servito sotto l'imperator Costantino suo suocero, ch'erano imbevute de' suoi errori3.

18. Essendosi poi in tal modo assicurata dalle truppe e da' capi delle sedizioni, a maggio del seguente anno 787 fece convocar di nuovo tutti i vescovi, per tenere il concilio a Nicea in Bitinia; ed in effetto ai 24 di settembre


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dell'anno 7871 si diede principio al concilio nella chiesa di s. Sofia di Nicea da 350 vescovi co' legati della sede apostolica e delle tre sedi patriarcali ed ancora con molti monaci ed archimandriti. in questo concilio presedettero i legati di Adriano papa, come si raccoglie dagli atti, dove son nominati i legati del pontefice romano prima del patriarca Tarasio e degli altri legati delle sedi patriarcali. Avverte pertanto il Graveson falsamente Fozio asserire che in questo settimo concilio presedette Tarasio; siccome insieme falsamente scrive che negli altri sinodi ecumenici avea preseduto sempre il vescovo di Costantinopoli. In questo concilio si tennero sette sessioni. Nella prima si lesse la supplica di più vescovi, i quali condannavano l'eresia degl'Iconoclasti, e chiedevano nel tempo stesso perdono in avere soscritto il conciliabolo di Copronimo. Il concilio, dopo aver esaminata la loro causa, li ricevette a misericordia e li ristabilì nelle loro dignità; ma differì il ricevimento di quei vescovi, ch'erano vissuti più lungo tempo nell'eresia. Nella seconda sessione si lessero le lettere di Adriano papa all'imperatore ed a Tarasio. Nella terza furono lette le lettere di Tarasio agli altri patriarchi e de' patriarchi a Tarasio; e furono ristabiliti nelle loro sedi molti altri vescovi. Nella quarta furono lette molte testimonianze della scrittura e de' padri che conprovavano il culto delle sante immagini. Nella quinta fu dimostrato che gl'Iconoclasti avean preso il loro errore da' Gentili, dai Giudei, Manichei e Saraceni. Nella sesta si confutò capo per capo quanto era stato definito nel conciliabolo di Costantinopoli2. Nella settima sessione si stabilì il culto delle sante immagini. Il cardinal Gotti3 riferisce tutte le parole del decreto; noi ne riferiremo qui le parole più sostanziali: Sequentes catholicae traditionem ecclesiae, definimus sicut figuram pretiosae crucis, ita sanctas imagines proponendas, in ecclesiis et in parietibus, domibus et viis, tam D.N. Iesu Christi, quam sanctae Dei Genitricis, angelorum et omnium sanctorum. Quanto enim frequentius per imaginalem formationem videntur, tanto qui has contemplantur alacrius diriguntur ad primitivorum eorum memoriam, et ad honorariam his adorationem tribuendam, non tamen ad veram latriam, quae secundum fidem est, quaeque solam divinam naturam decet, impertiendam. Imaginis enim honor ad primitivum transit, et qui adorat imaginem, adorat in ea depicti subsistentiam, idest personam. Di poi si fulminò l'anatema contro coloro, qui audent aliter sapere, aut docere, vel proiicere aliquid ex his, quae ecclesiae deputata, sive evangelium, sive figuram crucis, sive imaginalem picturam, sive sanctas reliquias martyris etc. Indi la riferita definizione fu sottoscritta da tutti i vescovi.

 

19. Giunti non però che furono gli atti di questo concilio in Francia4, i vescovi di quel regno, adunati nel sinodo di Francfort, positivamente li riprovarono; come anche fece il re Carlo Magno ne' quattro libri chiamati Carolini, composti da lui stesso, o più verosimilmente pubblicati sotto il suo nome nell'anno 790. Ma ciò avvenne, come avverte il Selvaggi nelle note alla storia del Mosheim5, per un errore appreso di fatto, credendo che i padri niceni avessero concesso alle immagini de' santi il culto anche di latria, come apparisce dal canone 2. del detto sinodo di Francfort, ove si disse: Allata est in medium quaestio de nova graecorum synodo, quam de adorandis imaginibus Constantinopoli fecerunt, in qua scriptum habebatur ut qui imaginibus sanctorum, ita, ut Deificae Trinitati, servitium aut adorationem non impenderent, anathema iudicarentur. Qui supra sanctissimi patres nostri omnimodis adorationem renuentes contempserunt,


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atque consentientes condemnaverunt. Questo errore avvenne, come scrive il Danes, per l'infedele versione degli atti del concilio Niceno pervenuti in Francia e tradotti dal greco. Del resto nel Niceno fu chiaramente espresso, come notammo di sovra al numero antecedente 18., che il culto che si dava alle immagini de' santi, si dirigea solamente ad honorariam his adorationem tribuendam, non tamen ad veram latriam, quae secundum fidem est, quaeque solam divinam naturam decet, impertiendam.

 

20. Di più, come scrive il Graveson, i vescovi francesi non aveano voluto riconoscere il Niceno per un concilio generale, ma lo teneano solamente per un sinodo nazionale de' greci; giacché quasi tutto era stato composto di vescovi orientali; tanto più che non si vedea confermato dal papa Adriano colla solita lettera agl'imperatori, ed a tutta la chiesa. Ma scrive il Danes: Sed rebus plenius elucidatis, sine nullo aperto dissidio res tota transacta est. Soggiunge nondimeno che in oriente nel secolo IX. varj imperatori aderenti al partito degl'Iconoclasti rinnovarono la persecuzione contro i cattolici, e tali furono Niceforo, Leone Armeno, Michele Balbo e precisamente Teofilo, che superò gli altri nella crudeltà. Ma essendo egli morto nell'anno 842., l'imperatrice Teodora sua moglie, donna cattolica e pia, amministrando ella l'imperio per Michele suo figlio, restituì la pace alla chiesa, in modo che nell'oriente gl'Iconoclasti lasciarono di tumultuare. Tuttavia il loro errore cominciò a risorgere nell'occidente nel secolo XII. Sotto l'anno 1126. prima per i Petrobusiani e poi per gli Erriciani ed appresso per gli Albigesi. Inoltre dopo 200 anni risorse per i seguaci di Vicleffo, per gli Ussiti in Boemia e per Carlostadio in Vittemberga, benché contraddicente Lutero, e finalmente per i discepoli di Zuinglio e di Calvino, che furono prodi emulatori de' Leoni e dei Copronimi. E conchiude il Danes dicendo: Hi, si talibus gloriantur auctoribus, nos eos sane illis minime invidebimus; quin etiam per nos licebit, ut iisdem adiungant iudaeos et saracenos, a quibus furor iste sumpsit exordium. Circa la venerazione verso le sacre immagini, si osservi quel che ne ho scritto nell'opera mia dogmatica sopra il concilio di Trento alla sessione 25. § 4. numero 35., ove sta discussa questa materia, e si trova provato il culto dovuto alle sante immagini della ss. Trinità, della croce di Gesù Cristo, della sua divina Madre e de' santi, colla tradizione, colle autorità de' padri e coll'istoria antica: ed ivi insieme sta risposto alle obbiezioni degli eretici.

 




1 Nat. Alex. t. 12. sect. 8. c. 2. a. 1. Hermant t. 1. c. 283. Fleury t. 6. l. 42. n. 1. Baron. an. 723. n. 17. et vide an. 726. n. 3.



2 Nat. Alex. loc. cit. Fleury loc. cit.



3 Fleury l. 42. n. 3.



4 Fleury loc. cit. n. 4. ex. Theophil.

1 Fleury t. 6. l. 42. n. 4.



2 Theoph. an. 10. p. 340. ap. Fleury loc. cit. Baron. an. 754. n. 42.



3 Fleury loc. cit.



4 Fleury t. 6. l. 42. n. 5.

1 Baron. an. 754. n. 37. Fleury loc. cit. n. 5. con Anast. in Greg. II. et Theoph. a. 13. p. 343. etc.



2 Fleury loc. cit. n. 6.



3 Fleury t. 6. l. 42. n. 6.

1 Theoph. an. 13. p. 343. ap. Fleury loc. cit. n. 7.



2 Fleury t. 6. l. 42. n. 7. et 8.



3 Fleury loc. cit. n. 9.



4 Anast. in Greg. III. n. 8. et 9. ap. Fleury l. 42. n. 16.

1 Fleury t. 6. l. 42. n. 16 e 17.



2 Hermant t. 1. c. 287. Gotti t. 2. c. 80. §. 1. n. 15. 16. e 17.



3 T. 12. c. 2. a. 1. §. 1.



4 Hermant t. 1. c. 289. Baron. 763. n. 19.

1 Fleury l. 43. n. 32.



2 Fleury loc. cit. n. 46.

1 Fleury l. 43. n. 36.



2 Fleury n. 8.



3 Nat. Alex. t. 12. c. 2. a. 1. §. 2. Fleury l. 44. n. 7.



4 Hermant c. 299. e 300.



5 L. 44. n. 16.



6 Sec. 8. p. 147.

1 Hermant t. 1. c. 304. e 305.



2 Fleury l. 44. n. 25.



3 Ibid. num. 28.

1 Fleury n. 29. Nat. t. 12. c. 2. a. 3. Graves. t. 5. colloq. 4.



2 Fleury l. 44. n. 29.



3 Ver. relig. ec. t. 2. c. 80. §. 4.



4 Graveson hist. eccl. t. 3. colloq. 4.



5 Selvag. Nota 65. ad t. 10. Mosheim p. 1063.




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