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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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ART. IV. ERESIE DEL SECOLO XIV.

31. De' Beguardi e delle Beguine e de' loro errori condannati da Clemente V. 32. Di Marsilio di Padova e Giovanni Ianduno e de' loro errori condannati come ereticali da Giovanni XXII. 33. Di Giovanni Wicleffo e de' principj della sua eresia. 34. Si vale di Giovanni Valleo. Morte dell'arcivescovo di Cantorbery. 35 Condanna degli articoli. 35. di Wicleffo fatta dal concilio di Costanza. 36. Prodigi accaduti in conferma della presenza reale di Gesù Cristo nell'eucaristia. 37. e 38. Morte di Wicleffo.

 

31. In questo secolo vi furono i Beguardi e le Beguine, che insorsero nella Germania. Il Van-Ranst3 distingue i Beguardi buoni, che professarono specialmente nella Fiandra la terza regola di s. Francesco, e le buone Beguine, molte delle quali in Brabanzia, Fiandra ed altre provincie vicine religiosamente vissero, ma senza voti; avendo queste avuta origine da s. Begga, figlia di Pipino Lavense, o pure da Lamberto Begnio pio sacerdote, che visse nell'anno 1170. Distingue, dico, i buoni Beguardi, da' Beguardi cattivi, i quali aveano nella loro setta le Beguine, che menavano vita poco onesta. Non si sa la causa perché questi eretici chiamavansi con tal nome; del resto essi ebbero un nome comune co' Fraticelli e cogli altri eretici seguaci di Gerardo Segarelli e Dulcino, i quali ambedue morirono abbruciati per causa dei loro errori. La dottrina de' Beguardi e Beguine non era meno stravagante, che empia. Diceano: Homo in hac vita potest talem perfectionis gradum assequi, ut reddatur penitus impeccabilis, nec amplius in gratia proficere queat. 2. Ieiunare non oportet hominem, nec orare, postquam gradum


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perfectionis huiusmodi fuerit assecutus, quia tunc sensualitas est ita perfecte spiritui et rationi subiecta, ut possit homo libere corpori concedere quidquid placet. 3. Illi qui sunt in praedicto gradu perfectionis non sunt humanae subiecti obedientiae, nec ad aliqua praecepta ecclesiae obligantur. 4. Homo potest ita finalem beatitudinem secundum omnem gradum perfectionis in praesenti assequi, sicut eam in vita beata obtinebit. 5. Quaelibet intellectualis natura in seipsa est beata, nec anima indiget lumine gloriae ad Deum videndum. 6. In actibus virtutum se exercere est hominis imperfecti; quia anima perfecti dimittit a se virtutes. 7. Mulieris osculum, cum ad hoc natura non inclinet, est mortale peccatum; actus autem carnalis, cum ad hoc natura inclinet, peccatum non est, maxime cum tentatur exercens. 8. In elevatione corporis Christi non debet huiusmodi perfectus homo ei reverentiam exhibere; foret enim imperfectio, si ab altitudine suae contemplationis ad cogitationem eucharistiae, seu humanitatis Christi descenderet. Avvertasi qui che più proposizioni di queste furono poi adottate dai moderni Quietisti. Finalmente questi eretici furono condannati da Clemente V. papa nel concilio generale tenuto in Vienna del Delfinato nell'anno 13111.

32. In questo stesso secolo comparvero ancora due altri eretici, cioè Marsilio di Menandrino della città di Padova e Giovanni Ianduno della città di Perugia. Marsilio cacciò fuori un libro che intitolò Defensorem pacis; al quale poi il Ianduno aggiunse l'opera sua. Gli errori di costoro, sparsi nei loro libri, furon condannati come ereticali dal papa Giovanni XXII., e furon confutati da molti dotti scrittori nominati da Natale Alessandro, il quale riferisce gli errori in tal forma2: 1. Christum Dominum, quando solvit tributum Caesari, id ex obligatione, non ex pietate fecisse. 2. Christum in coelos ascendentem nullum in ecclesia visibile caput constituisse, nullum vicarium reliquisse: nec s. Petrum plus auctoritatis, quam apostolos reliquos accepisse. 3. Ad imperatorem spectare pontifices instituere, deturbare, ac punire. 4. Imperatorem, sede vacante, ecclesiam regere posse. 5. Sacerdotes omnes, adhuc episcopos, et pontifices ex institutione Christi esse aequalis auctoritatis et iurisdictionis; nisi imperator unum ampliorem alio potestatem habere velit. 6. Totam ecclesiam simul iunctam nullum hominem punitione coactiva coercere posse. 7. Excommunicationis vel interdicti ferre sententiam nulli episcopo, aut ipsorum collegio licere absque auctoritate principis. 8. Non minus episcopi communiter, aut divisim excommunicare possunt pontificem, quam illos pontifex communione privare potest. 9. Matrimoniorum humana dumtaxat, non divina lege prohibitorum, dispensatio ad principem spectare. 10. Penes principem esse iudicium coactivum de capacitate promovendorum ad sacros ordines; nec episcopo fas esse quemquam absque ipsius auctoritate promovere etc. Passiamo ora a parlare di Wicleffo, che fu il gonfaloniere di tutti gli eretici pretesi riformati.

 

33. Nell'anno 1374 ebbe principio nell'Inghilterra l'eresia di Giovanni Wicleffo coll'occasione che vacò il vescovado di Wigorne o Winton. Era egli curato di Luttevort nella diocesi di Lincoln. Era dotto nella teologia scolastica, che insegnava pubblicamente da professor reale nell'università di Oxford; ed era ancora buon predicatore, mentre il suo uditorio era de' più frequentati. Menava insieme allora una vita austera, vestendo poveramente, e camminando a piedi nudi. Vacò il vescovado nominato di sopra, ed egli secondo le misure da lui prese credea non potergli uscir di mano; ma restò deluso3. Venne frattanto a morte Eduardo III. che regnava, e


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lasciò erede del regno Riccardo suo nipote e figlio di Eduardo primogenito, già prima defunto. Riccardo non avea allora più che undici anni; onde restò il governo in mano del duca di Lancastro figlio secondogenito del morto re Eduardo. Il duca di Lancastro era poco amante della religione; all'incontro Wicleffo, che stava disgustato col clero d'Inghilterra e colla corte di Roma, trovandosi protetto dal duca di Lancastro, cominciò allora a seminare le sue pestifere proposizioni1. Gregorio XI., che allora ancora viveva, avendo ciò saputo, mandò a lamentarsi coll'arcivescovo di Cantuaria e col vescovo di Londra, come avessero trascurato di comprimere quella nuova eresia che sorgeva; e di ciò ne scrisse premurose lettere così a' mentovati vescovi, come al re ed alla università di Oxonio2. Onde da un sinodo congregato di vescovi e di dottori fu citato a comparirvi Wicleffo, ed a render ragione dei suoi detti. Comparve egli avanti al sinodo, e cercò di medicare gli errori seminati, spiegandoli in altro senso di quello con cui gli avea predicati. Perloché fu allora trattato da imprudente, ma fu assoluto, e gli fu imposto silenzio3.

34. Uscì fra questo tempo in aiuto di Wicleffo un certo mal sacerdote Giovanni Valleo, il quale era fuggito dalla carcere, tenuto ivi dal suo vescovo per molti suoi delitti. Questi andò a trovar Wicleffo, il quale l'abbracciò e lo pose a predicar la sua dottrina. Il maligno discepolo cominciò a predicare al popolo, che per il bene comune bisognava estirpare i magistrati ed i nobili; e così predicando per più luoghi giunse ad acquistarsi il seguito di 200 mila persone, intendendo, come dicea, di stabilire una eguaglianza fra tutti. I sediziosi andarono a parlare al re; ma fu loro negata una udienza per opera dell'arcivescovo di Cantuaria, ch'era allora Simone di Suberì, o di Suberia, buono ecclesiastico, ma che debolmente si era opposto ai progressi di Wicleffo. Saputosi da' sediziosi che l'arcivescovo avea fatto negar l'udienza dal re, risolsero di ucciderlo; ed in fatti l'assalirono nel suo palazzo vescovile, ove lo trovarono genuflesso raccomandandosi a Dio, ed apparecchiandosi alla morte. Egli cominciò a parlare ad essi con dolcezza per muoverli a quietarsi; ma nel mentre che parlava, se gli fece avanti il carnefice destinato, chiamato Giovanni Starlino, e gli disse che cessasse di parlare, e si preparasse a morire. Allora il buon prelato confessò che meritava quel castigo, e poi stese il collo per ricevere il colpo. Il manigoldo diede il colpo; ma o perché la spada non tagliava, o perché egli era poco pratico, non gli recise la testa. Gli replicò il secondo, il terzo e sino al settimo colpo; e solamente all'ottavo gli riuscì di troncare il capo all'afflitto arcivescovo4. Riferisce il Bernino da Valsingamo5 che il suddetto carnefice subito restò invasato dal demonio; e di più ch'egli dopo il misfatto andava per le vie colla spada pendente dal petto, vantandosi di aver con quella ucciso l'arcivescovo, e che andava in Londra a riceverne la mercede. E n'ebbe già la giusta mercede; perché giunto in Londra fu punito da' giudici colla morte: e nello stesso tempo il Valleo fu squartato sul patibolo con altri complici.

 

35. All'arcivescovo Simone fu sostituito Guglielmo di Courtenay, il quale in un altro sinodo tenuto in Londra condannò 24. proposizioni di Wicleffo, e 10. specialmente come eretiche, le quali appresso furono anche condannate dall'università di Parigi, e poi dal papa Giovanni XXIII. in un concilio tenuto in Roma, e finalmente dal concilio di Costanza tenuto nell'anno 1415. nella sessione VIII., ove furono dannati 45. articoli di Wicleffo, i più come eretici,


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e gli altri come erronei, o temerarj ec., fra' quali furono compresi 24 già prima dannati. I 45. articoli condannati dal concilio sono i seguenti, riferiti da Natale Alessandro e da altri1: Substantia panis materialis et similiter substantia vini materialis remanent in sacramento altaris. 2. Accidentia panis non manent sine subiecto in eodem sacramento. 3. Christus non est in eodem sacramento identice et realiter in propria praesentia corporali. 4. Si episcopus, vel sacerdos existat in peccato mortali, non ordinat, non consecrat, non conficit, non baptizat. 5. Non est fundatum in scriptura quod Christus missam ordinaverit. 6. Deus debet obedire diabolo. 7. Si homo fuerit debite contritus, omnis confessio exterior est superflua et inutilis. 8. Si papa sit praescitus et malus et per consequens membrum diaboli, non habet potestatem super fideles. 9. Post Urbanum VI. non est aliquis recipiendus in papam, sed vivendum est, more graecorum, sub legibus propriis. 10. Contra scripturam sacram est quod viri ecclesiastici habeant possessiones. 11. Nullus praelatus debet excommunicare aliquem, nisi prius eum sciat excommunicatum a Deo; et qui aliter excommunicat fit ex hoc haereticus, vel excommunicatus. 12. Praelatus excommunicans clericum qui appellavit ad regem, vel ad concilium regni, eo ipso traditor est regis et regni. 13. Illi qui dimittunt praedicare sive audire verbum Dei propter excommunicationem hominum, sunt excommunicati, et in Dei iudicio traditores Christi habentur. 14. Licet alicui diacono vel presbytero praedicare verbum Dei absque auctoritate sedis apostolicae, sive episcopi catholici. 15. Nullus est dominus civilis, nullus est praelatus, nullus est episcopus, dum est in peccato mortali. 16. Domini temporales possunt ad arbitrium suum auferre bona temporalia ab ecclesia, possessionatis habitualiter delinquentibus, idest ex habitu, non solum actu delinquentibus. 17. Populares possunt ad suum libitum dominos delinquentes corrigere. 18. Decimae sunt purae eleemosynae, et possunt parochiani propter peccata suorum praelatorum ad libitum suum eas auferre. 19. Speciales orationes applicatae uni personae per praelatos, vel religiosos, non magis prosunt eidem, quam generales ceteris paribus. 20. Conferens eleemosynam fratribus est excommunicatus eo facto. 21. Si aliquis ingreditur religionem privatam qualemcumque, tam possessionatorum, quam mendicantium, redditur ineptior et inhabilior ad observationem mandatorum Dei. 22. Sancti instituendo religiones privatas, sic instituendo, peccaverunt. 23. Religiosi viventes in religionibus privatis non sunt de religione christiana. 24. Fratres tenentur per labores manuum victum acquirere et non per mendicitatem. 25. Omnes sunt simoniaci, qui se obligant orare pro aliis, eis in temporalibus subvenientibus. 26. Oratio praesciti nulli valet. 27. Omnia de necessitate absoluta eveniunt. 28. Confirmatio iuvenem clericorum ordinatio, locorum consecratio reservantur papae et episcopis, propter cupiditatem lucri temporalis et honoris. 29. Universitates, studia, collegia, graduationes et magisteria, in eisdem sunt vana, a gentilitate introducta, et tantum prosunt ecclesiae, sicut diabolus. 30. Excommunicatio papae, vel cuiuscunque praelati non est timenda, quia est censura antichristi. 31. Peccant fundantes claustra, et ingredientes sunt viri diabolici. 32. Ditare clerum est contra regulam Christi. 33. Silvester papa et Constantinus imperator erraverunt ecclesiam dotando. 34. Omnes de ordine mendicantium sunt haeretici; et dantes eis eleemosynam sunt excommunicati. 35. Ingredientes religionem, aut aliquem ordinem, eo ipso inhabiles sunt ad observanda divina praecepta, et per consequens ad perveniendum ad regna coelorum, nisi apostataverint ab eisdem. 36. Papa cum omnibus clericis suis possessionem habentibus sunt haeretici, eo quod possessiones habent, et consentientes eis, omnes videlicet domini seculares et ceteri


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laici. 37. Ecclesia romana est synagoga Satanae, nec papa est proximus et immediatus vicarius Christi. 38. Decretales epistolae sunt apocryphae, et seducunt a fide Christi; et clerici sunt stulti qui student eis. 39. Imperator et domini seculares sunt seducti a diabolo, ut ecclesiam dotarent bonis temporalibus. 40. Electio papae a cardinalibus a diabolo est introducta. 41. Non est de necessitate salutis credere romanam ecclesiam esse supremam inter alias ecclesias. 42. Fatuum est credere indulgentiis papae et episcoporum. 43. Iuramenta illicita sunt quae fiunt ad corroborandos contractus et commercia civilia. 44. Augustinus, Benedictus, et Bernardus damnati sunt, nisi poenituerint de hoc, quod habuerunt possessiones, et instituerunt, et intraverunt religiones; et sic a papa usque ad ultimum religiosum omnes sunt haeretici. 45. Omnes religiones indifferenter introductae sunt a diabolo.

 

36. Sopra gli articoli descritti rifletto che Wicleffo, il quale è stato il patriarca degli eretici più moderni, con modo particolare se l'ha presa contro il sacramento dell'eucaristia, come si vede nelle tre prime proposizioni dannate, ed indi è stato poi seguito dagli altri novatori, che tutti han cercato di combattere, chi di un modo e chi di un altro, il dogma insegnato dalla chiesa circa il sacramento dell'altare. Ma fra questo tempo Iddio per confermare la verità di questo sacramento, leggo avere operati varj prodigi; de' quali, tralasciando gli altri, voglio qui almeno riferirne tre molto stupendi, riferiti da buoni autori. Narra Nicola Serario1, che nell'anno 1408., quando i seguaci di Wicleffo si affaticavano a riprovare la realtà dell'eucaristia; avvenne che si scoprisse il seguente fatto. Un certo sacerdote chiamato Errico Otho, mentre un giorno dicea messa nella terra di Durn nella diocesi di Wirtzburgo, per sua poca attenzione rovesciò casualmente il calice già consacrato: onde sul corporale si diffuse tutto il sangue di Gesù Cristo, che subito comparve nella specie di vero sangue nel colore; in mezzo poi del corporale apparve l'immagine del crocifisso, e dai lati vedeansi più Veroniche, le quali dimostravano il capo del Signore coronato di spine. Il sacerdote atterrito, quantunque altri avessero già osservato il fatto, prese quel panno, e lo nascose sotto una pietra dello stesso altare, acciocché consumandosi quello col tempo, se ne fosse perduta la memoria. Ma Iddio non volle che questo prodigio restasse occulto: stando in punto di morte il sacerdote, era egli tormentato dal rimorso di coscienza, più che dal morbo che pativa, talmente che desiderava morire, e penava in veder ritardarglisi la morte. Allora confessò il fatto, e dichiarò dove stava quel panno miracoloso, e dopo ciò subito morì. Il tutto fu trovato vero, e da per tutto si sparse la fama del miracolo, e Dio l'aumentò con nuovi miracoli, in modo che il magistrato ne fece diligente inquisizione, e ne mandò una distinta relazione al papa, il quale poi nell'anno 1445., con un breve dato ai 31. di marzo, invitò tutti i divoti ad ornare quel luogo con maggior decoro in memoria di quel miracolo.

 

37. Il secondo prodigio vien riferito da Tommaso Tretero2. Alcuni ebrei, avendo avuta in mano un'ostia consacrata per mezzo di una serva cristiana subornata con danari, si portarono in una caverna, ed ivi con coltelli sovra una tavola tagliarono in più pezzi quella particola in disprezzo della nostra fede. Da que' sacri frammenti si vide allora uscire molto sangue. Ma i perfidi niente commossi di tale miracolo, sotterrarono quei frammenti in un praticello vicino alla città di Posnania, e si partirono. Sopravvenendo poi ivi un fanciullo cattolico, che pasceva alcuni buoi, vide alzati in aria quei pezzetti consacrati tutti risplendenti come lucide fiammelle, e nello stesso tempo vide i buoi che inginocchiati


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gli adoravano. Il fanciullo ne fece avvisato il padre, il quale trovando vero il fatto, ne diede notizia al magistrato ed al popolo; onde accorse a quel luogo una gran moltitudine di gente, e videro tutti in aria più frammenti dell'ostia che rilucevano, e a piè di essi i buoi che inginocchiati li veneravano. Allora venne ancora in quel luogo processionalmente il vescovo col clero, e raccolti nella pisside quei preziosi avanzi, li portarono alla chiesa. Ivi poi fu presto edificata una piccola cappella, che dal re di Polonia Wenceslao fu dilatata in sontuoso tempio, dove Stefano Damalenicio arcivescovo Gnesnese attesta di aver veduto co' proprj occhi quei frammenti insanguinati. Di più Tilmanno Bredembachio1, narra che nell'anno 1384. in Inghilterra un certo nobile, Osuvaldo Mulfer, risedendo in un villaggio, andò alla chiesa per ricevere ivi la comunione in tempo di pasqua, e pretese che gli si desse l'ostia maggiore. Il sacerdote per timore di qualche danno se gliela negasse, gli pose l'ostia grande sulla lingua; ma in quell'atto ad Osuvaldo si aprì la terra sotto i piedi avanti l'altare, come volesse ingoiarlo. Il misero essendo caduto in quella fossa sino alle ginocchia, stese le mani, e afferrò i lati dell'altare; ma l'altare da lui toccato si ammollì come cera, e cedette alle sue mani. Osuvaldo, vedendosi vicina la vendetta di Dio, pentito della sua superbia cercava misericordia, e non poteva inghiottire l'ostia, poiché il Signore nol permetteva: onde il sacerdote la prese e la ripose nel sacrario, ma la prese tinta di color sanguigno. E il nominato Tilmanno essendo andato a posta in quel luogo, vide cogli occhi proprj quell'ostia tinta di sangue, vide l'altare, ove apparivano impresse le vestigia delle mani di Osuvaldo, ed osservò ancora la terra, ove quegli avea cominciato ad essere assorbito, la quale stava coperta con cancelli di ferro. Dice poi che Osuvaldo, così da Dio corretto, cadde infermo, e dopo non molto tempo se ne morì, ma penitente.

 

38. Torniamo ora a Wicleffo, per vedere la funesta fine che fece. Egli nell'anno 1385. nella festa di s. Tommaso di Cantuaria aveasi apparecchiato un sermone, non in lode, ma in vituperio e dispregio del santo. Il Signore però non volle lasciare impunito quest'altro suo misfatto; poiché dopo due giorni, nel giorno di s. Silvestro fu assalito da una terribile paralisia, la quale gli causò mortali convulsioni, e lo deformò, storcendogli quella maledetta bocca, colla quale avea proferite tante bestemmie, in modo che non poté più parlare, e così morì da disperato, come scrive il Walsingamo2. Il re Riccardo proibì di poi tutti i libri di Wicleffo, ed ordinò che si bruciassero. Wicleffo scrisse più libri: ma il principale e più pestifero fu quello del Trialogo tra Alithia, Pseudi e Fronesi, cioè la verità, la menzogna e la sapienza. Contro di lui scrissero più autori dotti, confutandolo; ma niuno meglio di lui confutò se stesso, contraddicendosi in molti luoghi. Il contraddirsi è il carattere usuale e proprio degli eretici3. L'accademia di Oxonio condannò 260 proposizioni di Wicleffo raccolte da' suoi libri; ma il concilio di Costanza protestossi che tutte quelle conteneansi già fra i 145. articoli condannati.

 




3 Hist. Haer. p. 221.

1 Hermant t. 2. c. 139. Van-Ranst p. 238. sec. 14. Nat. Alex. t. 15. loc. cit. art. 11.



2 Nat. Alex. t. 16. c. 3. a. 13. p. 193.



3 Varillas hist. circa la relig. t. 1. l. 1. Gotti ver. relig. t. 2. c. 104. §. 1. Nat. Alex. sec. 15. c. 3. a. 22. §. 1. Graveson sec. 14. colloq. 3. Van-Ranst hist. Haer. p. 241. Bernin. t. 3. sec. 14. c. 8.



1 Nat. Alex. §. 6. n. 1. Graves. loc. cit. n. 2.



2 Gotti ib. n. 3. Nat. Alex. §. 6. n. 1. Graves. loc. cit.



3 Nat. Alex. §. 6. n. 1. Gotti ibid. n. 5. et Graves. loc. cit.



4 Gotti loc. cit. num. 5. Van-Ranst dicto n. 241. Bernin t. 3. c. 9.



5 Bernin. loc. cit. c. 9. con Ricard. an. 1381. dal Valsingamo.

1 Sec. 14. cap. 3. art. 22. §. 6. Gotti ibid. §. 2. num. 6. Van-Ranst pag. 241.



1 Serar. Moguntinar. rerum l. 5.



2 De mirac. euchar.

1 Bredembach. in collat. l. 1. c. 35.



2 Ap. Bernin. t. 3. c. 9. Van-Ranst p. 241. e vedi ancora Varillas t. 1. l. 1. e Gotti loc. cit.



3 Graveson sec. 15. colloq. 31. Bernin. t. 3. c. 9. p. 609. c. 8.




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