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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Storia delle Eresie

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ART. V. DEGLI ANTI-TRINITARI E SOCINIANI

 

§. 1. Di Michele Serveto.

138. Qualità di Serveto; suoi studi, viaggi e prava dottrina. 139. Va in Ginevra, ove disputa con Calvino, che lo fa morir bruciato. 140. Valentino Gentile, e sua empia dottrina. 141. Vien penitenziato in Ginevra, e si ritratta. 142. Ricade, e muore decapitato. 143. Giorgio Blandrata perverte il principe. Sua disputa co' Riformati. Muore trucidato. 144. Bernardino Ochino cappuccino; sua vita nella religione; sua perversione e fuga in Ginevra. 145. Va a Strasburgo, e poi ad Inghilterra con Bucero. Muore infelicemente in Polonia. 146. Mala dottrina di Lelio Socino. 147. Di Fausto Socino, suoi viaggi, libri e morte. 148. Errori de' Sociniani.

 

138. Michele Serveto, capo degli Anti-trinitarj, fu spagnuolo di Tarragona in Catalogna, e fu uomo d'ingegno3, ma stravolto; ed avea tanta presunzione di sé, che si stimava il più dotto di tutto il mondo, non avendo ancora 25 anni compiti. Andò prima in Parigi a studiar medicina in quella università. Essendo venuti ivi dalla Germania alcuni professori luterani chiamati da Francesco I., che desiderava per tali uomini render celebre la sua università, Serveto apprese da essi la lingua


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latina, la greca e l'ebraica, ed insieme colle lingue s'imbevé de' loro errori. Onde ritrovandosi nel Delfinato, ed avendo incominciato ivi a seminarli1, fu accusato per luterano; ma egli si discolpò, dicendo che riprovava quell'empia dottrina. Andò dipoi in Lione, e di passò in Germania; e da Germania andò in Africa per istruirsi dell'alcorano de' Maomettani. Indi si portò in Polonia dove si fermò; e gonfio del suo sapere, sdegnando di seguire altra setta, si formò una religione a parte, composta degli errori di tutte le sette; ed allora si mutò il cognome di Serveto in Revez, come nota il Varillas. Egli condannava con Lutero tutto ciò che Lutero riprovava della chiesa cattolica: rigettava il battesimo de' fanciulli cogli Anabattisti: dicea co' Sacramentari che l'eucaristia non era che una figura del corpo e sangue di Gesù Cristo: ma gli errori suoi più esecrandi furono contra la ss. Trinità, specialmente contra la divinità di Gesù Cristo e dello Spirito santo. Negava con Sabellio la distinzione delle tre Persone divine: negava con Ario che il Verbo era Dio: negava anche con Macedonio che fosse Dio lo Spirito santo dicendo che in Dio non vi era che una natura ed una persona; e che il Figliuolo e lo Spirito santo non erano che due emanazioni dell'essenza divina, le quali ebbero principio colla creazione del mondo. In modo che, come scrive il Iovet2, l'arianismo ch'era stato abolito per 800 e più anni, fu rinnovato da Serveto verso l'anno 1530. E perché allora in Europa, e specialmente ne' regni oltremontani, era tutto in confusione per la peste di tante eresie che giravano, non gli mancarono molti seguaci. Oltre degli errori nominati negli empj libri di Serveto, vi erano seminati gli errori di Apollinare, di Nestorio e di Eutiche, come si può leggere nella relazione che ne adducono Natale Alessandro e 'l cardinal Gotti ne' luoghi citati. Diceva di più che l'uomo non commette peccato mortale prima delli venti anni. Diceva che l'anima per lo peccato diventa mortale come il corpo. Di più, dava per lecita la poligamia, con altre bestemmie che possono leggersi presso gli autori citati.

 

139. Lasciando poi Serveto la Germania e la Polonia, volea venire in Italia per infettarla parimente colla sua eresia. Passò per Ginevra, dove era Calvino, il quale, perché era stato accusato di arianismo, aveva egli scritto contra i libri di Serveto; e per togliersi l'infamia di ariano a spese di Serveto (come si disse all'art. III. §. 1. num. 67), lo fe' accusare da un suo servo e mettere in prigione dal magistrato. Indi ebbe con lui una lunga disputa in Ginevra: Serveto dicea che per decidere le cose della fede bastava la sola scrittura, senz'avvalersi de' ss. padri e dei concilj; ed in verità la stessa regola avea già tenuta Calvino contra i cattolici; onde il povero Calvino, quando Serveto spiegava a modo suo i testi della scrittura che parlano della trinità e della divinità di Gesù Cristo, si trovò molto imbarazzato nel provare questi due misterj senz'avvalersi dei concilj e de' padri; tanto più che lo stesso Calvino, interpretando quelle parole Ego et Pater meus unum sumus3, avea detto, essersi ingannati i padri nel dire che in quel passo dimostravasi l'unità dell'essenza nel Padre e nel Figliuolo, ma che ivi significavasi solamente la perfetta uniformità delle loro volontà. Pertanto Calvino vedendo che Serveto ostinatamente negava le tre persone divine, prese un altro espediente per trovarsi di sopra; espose alle università de' cantoni zuingliani le proposizioni di Serveto, e da quelle fe' condannarlo; e poi con sentenza del senato di Ginevra nell'anno 1553. a' 27 di ottobre lo fe' morire bruciato vivo, nel modo che narrammo nel citato num. 67.4. Ma colla morte di Serveto non finì questa maledetta setta, poiché per mezzo de' suoi scritti e discepoli ella si stese nella Russia, Valachia,


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Moravia e Silesia; ed indi si divise in 32 altre sette, e divenne più potente in quelle parti il partito degli Anti-trinitarj, che quello de' Luterani e Calvinisti.

 

§. 2. Di Valentino Gentile, Giorgio Blandrata e Bernardino Ochino.

 

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 Valentino Gentile fu calabrese di Cosenza, e fu discepolo di Serveto. Egli si maravigliava1 che i riformati aveano fatte tante liti coi cattolici circa i sacramenti, il purgatorio, i digiuni e simili cose di non grande importanza, e poi nel mistero principale della fede, cioè nella Trinità, si accordavano co' romani. Valentino per altro aveva adottati i dogmi di Serveto, ma li spiegava in altri termini diversi; diceva2 che nella Trinità concorrono tre cose, l'essenza, ch'era il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Il Padre è l'unico e vero Dio essenziatore, il Figlio e lo Spirito santo sono essenziati. Egli non dava al Padre la persona di padre, perché secondo lui quella essenza per se stessa era il vero Dio; altrimenti, dicea che ammettendosi la persona del Padre dovea dirsi non trinità, ma quaternità. E così Valentino negava esser tre persone della stessa essenza, come noi crediamo: riconosceva egli3 in Dio tre spiriti eterni; ma dicea che fuori del Padre gli altri due erano minori di lui, mentre il Padre avea dato loro due divinità diverse dalla sua. Nel libro ch'egli presentò a Sigismondo Augusto re di Polonia4, si lamentava di tante voci mostruose inventate nella chiesa di persone, di essenza e di trinità, che pervertono (come dicea) tutt'i misteri divini. Ammettea che fossero tre essenze eterne e sante, come si dice nel simbolo di s. Atanasio, ma in tutto l'altro che ivi si legge, dicea doversi quello chiamare Symbolum Satanasium.

 

141. Ritrovandosi Valentino in Ginevra5 con altri suoi compagni Anti-trinitarj nell'anno 1558., ed avendo essi ivi dato sospetto della loro eresia, furono obbligati dal magistrato a firmare una confessione di fede circa la Trinità; Valentino la sottoscrisse con giuramento, ma fintamente, poiché seguitò appresso a spargere i suoi errori; onde, convinto di spergiuro, fu carcerato. Egli dalla carcere presentò la sua confessione, ma perché quella era infetta della sua eresia, Calvino fortemente l'impugnò; ed allora egli per timore finse di pentirsi de' suoi errori, e dalla carcere mandò la sua ritrattazione, dicendo: Confiteor, Patrem, Filium et Spiritum sanctum esse unum Deum, idest tres personas distinctas in una essentia. Pater non est Filius, nec Filius est Spiritus sanctus, sed unaquaeque illarum personarum est integra illa essentia. Item Filius et Spiritus sanctus, quantum ad divinam naturam, sunt unus Deus cum Patre, cui sunt coaequales et coaeterni. Hoc sentio, et corde ac ore profiteor. Haereses autem contrarias damno, et nominatim blasphemias quas descripsi etc. Avesse voluto Dio, e Valentino avesse seguito a professare questa confessione, che allora fece, perché non avrebbe fatta poi quella morte infelice che fece appresso, come diremo.

 

142. Non ostante però questa sua ritrattazione, il senato di Ginevra nell'anno 1558. lo condannò6 a stare un giorno ignudo sino alla camicia colla candela in mano inginocchiato, ed in tal forma dové cercar perdono a Dio ed alla giustizia, delle sue bestemmie, e gittar colle sue proprie mani alle fiamme i suoi scritti, e nella stessa forma fu portato per le vie della città. Gli fu in oltre proibito di uscire dalla città, anzi fu ritenuto in carcere; ma impetrò la licenza di uscirne, dando giuramento di non partire. Egli nonperò uscito che fu, prese la fuga; andò prima in casa di un certo Gribaldo, giuriconsulto paduano, infetto della stessa peste, che si trovava in Savoia,


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ed ivi seguì a deridere la Trinità. Fu in quel paese anche posto in prigione, dalla quale anche uscì ed andò in Lione, ove diè fuori un suo libello contra il simbolo di s. Atanasio. Da Lione poi si portò in Polonia, e di discacciato dal re Sigismondo, capitò a Berna, dove fu accusato da Musculo nell'anno 1566. Ed essendo stato preso, fu carcerato e condannato alla morte per la sua ostinazione, ed ivi ostinato morì, dicendo prima di sottometter la testa alla scure: Altri sono stati martiri per lo Figlio, io muoio martire per lo Padre1. Sciocco! morendo nemico del Figlio, moriva nemico anche del Padre.

 

143. Giorgio Blandrata fu anche discepolo di Serveto; era egli piemontese e medico di professione: avendo letti i libri di Serveto, si attaccò alla sua dottrina; onde vedendo di non istar sicuro nel suo paese per gl'inquisitori che procedeano con rigore prima andò in Polonia, dipoi nell'anno 1553. capitò in Transilvania2, dove gli riuscì di farsi medico del re Giovanni Sigismondo, e del suo primo ministro Petrovitz, ch'era luterano, e con tale occasione cercò di loro insinuare l'arianismo. Ivi eran molti luterani e calvinisti, i quali fortemente si opposero alla dottrina del Blandrata; il principe per toglier le contese3 ordinò una pubblica disputa, della quale esso medesimo si giudice. Sortì già la conferenza in Varadino alla presenza del re, e v'intervennero già i riformati da una parte, e Blandrata dall'altra con altri ariani suoi compagni. Proposero questi i passi della scrittura di cui servivasi Ario per impugnare la divinità di Gesù Cristo. I riformati all'incontro per rispondere a quei testi dovettero avvalersi del concilio di Nicea e de' ss. padri, che ne spiegavano il retto senso, ed a' quali diceano doversi stare, altrimenti ognuno potrebbe a suo arbitrio interpretar le scritture. Ma allora uno degli ariani si fece avanti ed a voce alta disse: «Come? quando voi opponete a' papisti i vostri passi di scrittura per difender la dottrina vostra, e quelli rispondono che il vero senso di tali testi dee prendersi da' concilj e da' ss. Padri; voi dite che i santi padri ed i vescovi de' concilj erano uomini soggetti ad ingannarsi come tutti gli altri; e dite che per intender i dogmi di fede basta la sola parola di Dio, ch'è chiara da sé, e non ha bisogno di spiegazione; ed ora volete servirvi contro di noi di quelle stesse armi che voi riprovate ne' cattolici?» Questa risposta fu applaudita dal principe e dalla maggior parte dell'adunanza, e i predicanti rimasero confusi senza saper che rispondere; onde in Transilvania l'arianismo si la setta più comune. E così dopo 900. anni in circa fu rinnovata ivi l'empia dottrina di Ario. Ma dee notarsi con Iovet4, che quelli i quali l'abbracciarono, prima furono tutti o luterani o calvinisti; ed i capi fecero una morte infelice. Paolo Alciato loro compagno all'ultimo si fece maomettano, come scrive il Gotti; Francesco Davide, come scrive Natale Alessandro, morì oppresso da una casa che gli cadde sopra; un altro chiamato Lismanino si precipitò da se stesso in un pozzo; e Blandrata5 fu trucidato da un suo parente per prendersi le di lui robe.

 

144. Bernardino Ochino fu anche antitrinitario. Egli prima fu cappuccino; gli eretici lo fanno fondatore dei cappuccini; ma la cronaca, e più altri autori6 comunemente dicono che fu solo un tempo generale de' cappuccini; poiché il vero fondatore fu fra Matteo da Basso nell'anno 1525., ed Ochino vestì il loro abito nove anni appresso nel 1534., quando in quella riforma eranvi già 300. professi. Per otto anni fu egli religioso, e nel 1542. gittò il cappuccio. A principio nella religione fece vita esemplare7, vestiva poveramente, andava sempre a piedi


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nudi, portava una lunga barba, ed affettava di esser molto infermo e mortificato; quando era alloggiato in casa di nobili, viaggiando, appena si cibava di una sola vivanda, e delle più semplici, bevendo poco vino; stendeva il suo mantello sulla terra ed ivi dormiva. Del resto era vano di se stesso, specialmente per gli applausi che ricevea dalle sue prediche, ornate più di parole scelte, che di buone dottrine; ma tuttavia erano piene le chiese dove predicava. Quel Valdez sagramentario, che prevaricar nella fede Pietro Vermigli, o sia Pietro Martire (come si disse all'art. II. §. 1. n. 57.), sedusse ancora questo povero frate. Si avvide il maligno che l'Ochino era gonfio di sé per le sue prediche1, onde andava spesso a sentirlo, e con tale occasione lodandolo quanto potea, s'introdusse nella familiarità per renderlo del suo partito; e perché Ochino avea gran concetto del proprio merito, giunto che fu ad esser generale, sperava di essere innalzato dal papa a maggiori dignità nella chiesa; ma non vedendosi fatto poi né cardinalevescovo, stava crucciato verso la corte di Roma, e così il Valdez ebbe l'intento di guadagnarlo. Onde Ochino, infettato già del veleno di Zuinglio e di Calvino, cominciò dal pulpito a dir male del papa e della sede romana, e predicando nell'arcivescovado di Napoli, dopo avervi predicato il Vermigli, cominciò a sparlare anche del purgatorio e delle indulgenze; ed insieme allora gittò i primi semi di quella gran rivoluzione che avvenne poi nell'anno 1656. nella stessa città. Informato il papa delle di lui procedure, lo chiamò a Roma a renderne conto. Gli amici lo consigliarono ad andarvi; ma perché egli stava leso, ripugnò di metter piede in Roma: stando pertanto irresoluto, andò a Bologna, ove si trovava il cardinal Contarini legato pontificio; cercò Ochino di parlargli e cattivarne la sua protezione; ma perché il cardinale stava gravissimamente infermo, come in fatti fra poco tempo di quell'infermità se ne morì, quando entrò Ochino, e gli si raccomandò, il cardinale ricevello con freddezza, e per la febbre che tormentavalo attualmente, appena lo salutò, e licenziollo. Onde Ochino, sospettando allora che il cardinale, informato delle sue malvagità, lo facesse carcerare, gittò il cappuccio, e passando per Fiorenza concertò insieme col Vermigli, che ivi allora si trovava, di andare a Ginevra, comun rifugio degli apostati. In effetto arrivò colà prima del Vermigli, e menò seco una giovane che poi ivi stesso sposò (essendo in età di 60. anni), per dar sicurezza di essersi separato dalla chiesa cattolica; e di scrisse poi un'apologia di sua fuga, insolentendo contra la sua religion francescana e contra il papa; onde il papa ch'era allora Paolo III., stette in pensiero di dismettere tutta la religione de' cappuccini, finché non si persuase che Ochino non si avea fatto fra' cappuccini alcuno compagno nella sua falsa dottrina abbracciata.

 

145. Giunto che fu Ochino in Ginevra, Calvino lo ricevé di buona grazia; ma vedendo poi che il cappuccino poco lo lodava, e che più presto aderiva alla dottrina di Lutero, che alla sua, cominciò a disprezzarlo. Ed Ochino, sdegnando l'una e l'altra dottrina, per acquistar fama volle inventare una nuova setta; e aderendo all'eresia di Ario; cacciò fuori certi suoi libretti in lingua italiana, ove confondea le tre divine Persone e le loro proprietà, con molte altre stravaganze; pertanto Calvino per sentenza del senato lo bandire da Ginevra. Andò Ochino a Basilea, ma perché ivi né pure si vide sicuro, si portò a Strasburgo a trovar Bucero che proteggea tutti gli eretici; e Bucero gli fece dare ivi una cattedra di teologia; e poi lo condusse seco ad Inghilterra insieme col Vermigli. Ma di furono ambedue scacciati poi a tempo della regina Maria, insieme colla ciurma di trentamila eretici che quella buona principessa bandì dal regno. Ochino da Inghilterra andò prima in


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Germania e di in Polonia; di dove essendo stato anche discacciato cogli altri eretici dal re Sigismondo, egli, trovandosi in età decrepita, e abbandonato da tutti, si ricoverò nascostamente in casa d'un certo suo amico, ed ivi morì di peste nell'anno 1564., lasciando due figliuoli ed una figlia, poiché la donna da lui sposata era già morta. Il card. Gotti ed il Moreri con altri vogliono che Ochino sia morto da apostata ed impenitente. All'incontro Zaccaria Boverio negli annali de' pp. cappuccini prova con ragioni ed autorità di altri scrittori, specialmente di Paolo Grifaldo domenicano, e dello stesso Teodoro Beza, ch'egli prima di morire abiurò tutti i suoi errori, e sagramentalmente si confessò. A questo sentimento del Boverio aderiscono il Menochio, e Giacomo Simidei. Io però non voglio su di tal punto dare il mio giudizio né in favore né contra la conversione dell'Ochino, essendo questa una cosa assai intricata e dubbiosa; sicché stimo meglio seguire in ciò le pedate dello Spondano e del Graveson, i quali lasciano la verità della detta conversione nello stesso piede in cui era prima presso degli scrittori1.

§. 3. De' Sociniani.

 

146. Lelio e Fausto Socino nacquero in Siena, e da essi trassero il nome i Sociniani. Lelio fu figlio di Mariano Socino insigne giuriconsulto, e nacque nell'anno 1525. Fu egli di raro ingegno, che superava tutt'i compagni negli studj; ma ebbe la disgrazia di conversare con alcuni protestanti, da' quali fu pervertito; e perciò non vedendosi sicuro in Italia per l'inquisizione che vegliava sugli eretici, nell'anno 1547. Lelio, essendo di 21. anni, andò girando per quattro anni per diversi regni, Francia, Inghilterra, Fiandra, Germania, Polonia, e finalmente capitò in Elvezia, e si fermò in Zurigo. Egli fu amico di Calvino, Melantone, Beza, e di simili altri ministri del demonio, come si scorge dalle lettere mandategli da' medesimi; ma principalmente egli seguì la dottrina di Serveto contra la Trinità. Quando intese che Serveto era stato bruciato in Ginevra, cercò nascondersi, ed andò in Polonia ed in Boemia; ma poi ritornato a Zurigo, ivi gli giunse la morte nell'anno 1562. e morì in età di 37. anni2.

147. Fausto Socino fu suo nipote nato nel 1539.; egli era infetto della stessa pece di Lelio suo zio. Essendo poi in età di 23. anni, ed avendo intesa la morte dello zio, subito andò a Zurigo e si prese i di lui scritti, che poi egli pubblicò con maggior danno della chiesa. Indi3 fingendosi cattolico, ritornato in Italia si trattenne per nove anni presso il gran duca di Toscana, il quale l'onorava e regalava; ma perché in Italia non poteva egli andare spargendo i suoi errori come desiderava; si portò a Basilea, dove per tre anni si fermò, ed ivi stese la sua empia teologia in due tomi, ed indi seguì a promulgarla per finché visse, in Transilvania ed in Polonia, prima in privati discorsi, e poi cogli scritti che furono molti; poiché oltre la teologia cacciò fuori i commentarj ne' capi 5. e 6. di s. Matteo, e nel principio di s. Giovanni, nel cap. 7. ad Romanos nell'epistola prima di san Giovanni, ed altri diversi trattati velenosi riferiti dal p. Alessandro4. Ma nell'anno 1598.5 fu costretto a fuggire da Cracovia, e si ritirò in un villaggio in cui seguitò a scrivere i suoi errori, ed ivi morì a' 3. di marzo 1604. in età di 65. anni, lasciando una sola figlia.

 

148. Gli errori de' sociniani son molti, e stanno a lungo riferiti presso il p. Alessandro, e 'l card. Gotti6; io ne riferirò qui solamente i più principali. Dicono per 1., che la cognizione di Dio e della religione non può aversi dai


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fonti della natura. Per 2. che a' cristiani non è necessaria la lezione del Testamento antico, mentre tutto vi è nel nuovo. Per 3. negano la tradizione. Per 4. asseriscono che nell'essenza divina non vi è che una persona. Per 5. che il Figlio di Dio impropriamente si chiama Dio. Per 6. che lo Spirito santo non è persona divina, ma solo è una divina virtù. Per 7. che Gesù Cristo è vero uomo, ma non è puro uomo; mentre fu onorato della filiazione di Dio a riguardo d'essere stato egli formato senza opera umana; del resto bestemmiano non essere stato Cristo prima della b. Vergine. Per 8. negano aver Iddio assunta la natura umana in unità di persona. Per 9. che Cristo intanto è nostro Salvatore, perché ci annunziò la via della salute. Per 10. che l'uomo prima di commettere il peccato non fu immortale né ebbe la giustizia originale. Per 11. che Cristo non consumò il suo sagrificio sulla croce, ma quando entrò in cielo. Per 12. che Cristo non risorse per propria virtù. E di più, che il corpo di Cristo dopo l'ascensione fu annichilato, ed ora in cielo egli ha un corpo meramente spirituale. Per 13. che il battesimo non è necessario alla salute, né con quello si acquista la grazia. Per 14. che nell'eucaristia altro non si riceve che il pane ed il vino; e che tali simboli servono solo per ricordarci della morte di Cristo. Per 15. circa la grazia i Sociniani seguitano Pelagio, dicendo che ad osservar la legge bastano le forze naturali. Per 16. dicono che Dio non ha cognizione infallibile delle cose future, le quali dipendono dalla libertà dell'uomo. Per 17. che l'anime non vivono dopo la morte: dicono che gli empj sono annichilati, eccettuati quelli che nel giudizio si troveranno vivi, e costoro anderanno al fuoco eterno, ma i dannati non sempre patiranno. Per 18. dicono con Lutero che la chiesa è mancata, né vi è stata sempre. Per 19. che l'Anticristo cominciò ad essere quando cominciò il primato del vescovo romano. (Gran cosa! tutti gli eretici se l'han presa sempre colla primazia del papa!) Per 20. che le parole, Tu es Petrus, et super hanc petram etc., furono dette così a s. Pietro, come agli altri apostoli egualmente. Per 21. che le parole, Et portae inferi non praevalebunt adversus eam, non importano già che la chiesa non possa mancare. Per 22. che le chiavi date a s. Pietro non importavano altro che aver la facoltà di dichiarare che si appartiene o no allo stato di coloro che godono la divina grazia. Per 23. negano la fede a' concilj generali. Per 24. dicono non esser lecito ai cristiani difender la loro vita colla forza contra gl'ingiusti aggressori, perché non può accadere che Dio permetta che un uomo pio e religioso si trovi in tale pericolo, d'onde lo voglia salvo, ma non altrimenti, che collo spargimento dell'uman sangue. In oltre, che l'omicidio dell'aggressore è più grave dell'occisione del nemico, perché uccidendo taluno il suo nemico, uccide chi gli ha fatto male; ma chi uccide il suo aggressore, uccide chi non gli ha fatto ancora alcun male, ma che ha soltanto volontà di offendermi o uccidermi: anzi di chi non posso sicuramente sapere se sia venuto ad assaltarmi coll'animo di uccidermi o più tosto soltanto di atterrirmi per più sicuramente rubarmi. Ecco le parole della proposizione di Socino riferite da Natale Alessandro nel luogo citato all'errore 39.: Non licere christianis vitam suam, suorumque, contra latrones et invasores, vi opposita defendere, si possint; quia fieri non potest ut Deus hominem vere pium, ipsique ex animo confidentem, tali involvi patiatur periculo, in quo ipsum servatum velit, sed non aliter, quam sanguinis humani effusione. Homicidium aggressoris pro graviori delicto habendum esse, quam ipsam vindictam. Vindicando enim retribuo iniuriam iam acceptam: at hic occido hominem qui me forsan nondum laeserat, nedum occiderat, sed qui voluntatem tantum habuit me laedendi aut occidendi; imo de quo certo scire non possum, an me animo occidendi,


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et non potius terrendi tantum, quo tutius me spoliare possit, aggrediatur. Per 25., che a' predicatori non è necessaria la missione de' superiori della chiesa; e che il detto di s. Paolo: Quomodo praedicabunt, nisi mittantur? si intende, quando si predicano dottrine nuove non ancora intese, qual fu la dottrina predicata dagli apostoli a' gentili, e perciò ebbero bisogno della missione. Tralascio gli altri errori che sono di minor momento; chi vuol saperli può leggerli presso Natale Alessandro nel luogo citato. Il male si è che questa setta maledetta ancor vive, e specialmente va serpeggiando in Olanda e nella Brettagna. Di tal veleno son già infetti quei che si chiamano Deisti, come si vede da' libri che al presente escono di giorno in giorno. Di Fausto Socino sogliono i suoi seguaci cantar questi versi in sua lode:

Tota licet Babylon destruxit tecta Lutherus,

Muros Calvinus, sed fundamenta Socinus1. Con ragione dicono così, perché i Sociniani han corrotti tutti, ed anche i principali dogmi della fede.

 




3 Iovet. ist. delle relig. t. 2. p. 287. Varillas t. 1. l. 8. p. 370. Nat. Al. t. 19. art. 14. §. 1. Gotti ver. rel. l. 2. c. 115. §. 1. Van-Ranst sec. 16. p. 325.

1 Varillas al luogo cit..



2 Iovet p. 288.



3 Io. 10. 30.



4 Nat. Al. t. 19. a. 14. §. 1. in fin. Van-Ranst p. 326.

1 Van-Ranst hist. sec. 16. p. 326.



2 Gotti c. 115. §. 2. n. 1. Nat. Al. t. 19. a. 14. §. 2. Iovet t. 2. p. 296.



3 Iovet. al luogo cit.



4 Van-Ranst loc. cit.



5 Gotti cit. §. 2. n. 2. et 3. Nat. Al. cit. §. 2.



6 Gotti loc. cit. Nat. Al. cit. §. 2.

1 Spondan. ad an. 1561. n. 34. Van-Ranst sec. 16. p. 327. Gotti c. 115. §. 2. n. 5.



2 Iovet. ist. delle rel. p. 291. Gotti §. 2. n. 6. Nat. Al. t. 19. a. 14. §. 3.



3 Iovet p. 294.



4 Iovet al luogo cit. p. 300.



5 Nat. Al. §. 3. Gotti §. 2. n. 6. Iovet al l. cit.



6 Varillas ist. t. 2. l. 17. p. 109. Gotti c. 115. §. 2. n. 8.



7 Varillas nel luogo cit. p. 110.

1 Varillas p. 111.

1 Gotti cit. §. 2. n. 8. Varillas p. 112. et seq. Nat. Al. t. 19. a.14. §. 3. Van-Ranst sec. 16. p. 328. Bernin. t. 4. sec. 16. c. 5. Berti brev. hist. eccl. sec. 16. c. 3. Bover. in ann. capuccin. 1543. Menoch cent. p. 2. c. 89. Paulus Grifald. decis. ad. cath. in ind. error. et haeret. Simidei comp. stor. degli eresiarchi sec. 16. Graveson t. 4. hist. eccl. colloq. 3.



2 Nat. Alex. t. 19. a. 14. §. 4. n. 2. Gotti c. 116. §. 3. n. 1. Van-Ranst sec. 16. p. 328.



3 Gotti loc. cit. n. 2.



4 Nat. Al. loc. cit. n. 1.



5 Gotti cit. n. 2.



6 Nat. Al. n. 2. Gotti n. 3.

1 Gotti c. 115. §. 3. n. 15. Van-Ranst p. 308.






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