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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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§2. - Dell'umiltà d'Intelletto o sia di giudizio.

1. Dopo aver conosciuti i gran beni che apporta l'umiltà, veniamo alla pratica, ed a vedere che ha da fare chi vuole acquistare questa santa virtù. Altra è l'umiltà d'intelletto, altra l'umiltà di volontà. Parliamo qui della prima, senza cui non può ottenersi l'umiltà di volontà.

L'umiltà d'intelletto consiste nel sentire bassamente di noi stessi e nel tenerci per que' vili e miseri che siamo. Humilitas, dice S. Bernardo, est virtus qua homo sui agnitione sibi vilescit (Tract. de grad. humil.).1 L'umiltà è verità, come


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scrisse S. Teresa, e perciò il Signore ama tanto gli umili, perché essi amano la verità.2 È troppo vero che noi siam niente, siamo ignoranti, ciechi, inabili a fare qualunque bene; altro non abbiamo del nostro che 'l peccato, il quale ci rende più vili del niente, ed altro non possiamo fare che male. Quanto abbiamo e facciamo di bene, tutto è di Dio e viene da Dio. L'umile tiene sempre avanti gli occhi questa verità, e perciò niente appropria a se stesso, se non il male, e si stima meritevole d'ogni disprezzo; e perciò non può soffrire che altri gli attribuisca quel merito che non ha; ed all'incontro si compiace nel vedersi vilipeso e trattato come merita; e così l'umile si rende tanto caro a Dio: Tanto quisque fit Deo pretiosior, quanto sibi vilior, dice S. Gregorio (L. XVIII, Mor. c. 20).3 Quindi dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi, parlando delle monache, che le due basi della perfezione d'una religiosa sono l'amore verso Dio e 'l disprezzo di se stessa; soggiungendo poi che quella vedrà più chiaramente Iddio in cielo, che si sarà più abbassata in terra.4

2. Bisogna dunque sempre pregare con S. Agostino: Noverim me, noverim te, ut amem te et contemnam me (Lib. de Vita beat.):5 Signore, fatemi conoscere chi sono io e chi siete


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voi. Voi siete ogni bene, ed io sono la stessa miseria, che da me non ho niente, non so niente, non posso niente e non vaglio a niente, se non a far male. Dice l'Ecclesiastico che Iddio non è onorato, se non dagli umili: Deus ab humilibus honoratur (III, 2).6 Sì, perché solamente gli umili lo riconoscono per quell'unico e sommo bene ch'egli è. Se dunque volete onorare il vostro Dio, abbiate sempre avanti gli occhi le vostre miserie, confessate con vero sentimento che voi non avete altro del vostro che 'l niente e la malizia, e che Dio è il tutto; e perciò tenete che non siete degna che d'ignominie e di castighi, ed offeritevi ad accettare tutti quelli ch'egli vi manderà.

3. In tanto per prima non vi gloriate di niente: altre cose di quelle che avete fatte voi han fatte i santi; perciò io sempre soglio esortare a far la lezione spirituale sovra le vite de' santi, perché leggendo quelle, almeno ci passerà la superbia, vedendo le grandi cose che i santi hanno operate per Dio, a vista delle quali ben ci vergogneremo del molto poco che abbiam fatto e facciamo noi. Inoltre, come possiamo noi gloriarci di niente, sapendo che se mai in noi vi è qualche cosa di virtù, tutto è dono di Dio? Si glorientur nubes, dice S. Bernardo, quod genuerint imbres, quis non irrideat? (Serm. XIII, in Cant.):7 Se le nuvole volessero gloriarsi della pioggia che


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mandano, chi non le deriderebbe? La stessa derisione meriteressimo noi, se ci gloriassimo di qualche picciolo bene che abbiam fatto. Narra il P. M. Avila che un gran signore sposò una povera contadina; ma acciocch'ella non s'insuperbisse poi col vedersi assistita da' servi e adorna di vesti preziose, volle che la misera antica sua veste si conservasse e fosse continuamente a sua vista.8 Lo stesso dovete fare voi: quando mai scorgete in voi qualche cosa di buono, riguardate la vostra veste antica, e ricordatevi quale foste un tempo, e poi concludete che tutto quel che avete di bene, tutto è limosina che v'ha fatta Iddio.

4. Dicea S. Agostino: Quisquis tibi enumerat merita sua, quid tibi enumerat nisi munera tua? (L. IX Conf. c. 13):9 Signore, chi vi presenta i meriti suoi, che altro vi presenta se non i doni vostri? S. Teresa quando facea qualche opera buona o la vedeva fare da altre, subito mettevasi a lodarne Dio, pensando che tutto quel bene da Dio veniva.10 Quindi saggiamente


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avvertiva la santa, che l'umiltà non impedisce di conoscere le grazie speciali che il Signore ha donate a noi più abbondantemente che agli altri. Ciò non è superbia, dice S. Teresa, ma una tal riconoscenza aiuta la nostra umiltà e la nostra gratitudine nel farci vedere più indegni degli altri, e più degli altri favoriti.11 E soggiunge la santa che non mai un'anima si spingerà a fare grandi cose per Dio, se non riconosce di aver ricevute grandi cose da Dio.12 Tutto sta a distinguer sempre ciò ch'è di Dio, e ciò ch'è nostro. S. Paolo non facea scrupolo a dire ch'egli avea faticato per Gesù Cristo più di tutti gli altri apostoli: Abundantius illis omnibus laboravi (I Cor. XV, 10). Ma poi confessava che quanto avea fatto non era opera sua, ma della divina grazia che l'aveva assistito: Non ego autem, sed gratia Dei mecum (Ibid.).

5. In secondo luogo, sapendo voi che senza Dio non potete niente, non mai confidate nelle vostre forze, ma fate come facea S. Filippo Neri, che vivea disperato di se stesso.13 Il superbo confida nel suo valore, e perciò cade; come appunto avvenne a S. Pietro, il quale si protestò con Gesù Cristo che


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neppur la morte l'avrebbe indotto a negarlo: Etiamsi oportuerit me mori tecum, non te negabo (Matth. XXVI, 35). Ma perché ciò disse confidando nelle proprie forze, appena giunto poi nella casa del pontefice rinnegò il suo Maestro. Guardatevi pertanto di confidar mai nelle vostre risoluzioni fatte e nella vostra buona volontà presente, ma riponete tutta la vostra confidenza in Dio, dicendo sempre: Omnia possum in eo qui me confortat (Philip. IV, 13): Io posso tutto, non in me, ma in Dio che mi forza. Ed allora sperate di fare grandi cose, poiché, come dice Isaia (XL, 31): Qui... sperant in Domino, mutabunt fortitudinem: gli umili che confidano in Dio, mutano fortezza, mentre diffidando di loro stessi, lasciano d'esser deboli qual'erano, ed acquistano la fortezza di Dio. Quindi dicea il B. Giuseppe Calasanzio: Chi vuole che Dio si serva di lui per cose grandi, procuri di esser il più umile di tutti.14 Fate come faceva S. Caterina da Siena, la quale, quand'era tentata di vanagloria, ella si umiliava; quando poi era tentata di diffidenza, confidava in Dio; onde il demonio un giorno pieno di rabbia le disse: Sii maledetta tu e chi ti ha insegnato questo modo di vincermi, giacché non so più come pigliarti (Dial. cap. 67).15 Quando dunque il demonio vi dice che non ci


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è timore per voi di cadere, tremate, e pensate che per un momento che Dio vi lascia, voi siete perduta; quando poi vi tenta di diffidenza, dite animosamente con Davide: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum (Psal. XXX, 2): Signore, io ho poste in voi tutte le mie speranze; confido di non avermi a veder mai confusa, priva della vostra grazia e fatta schiava dell'inferno.

6. In terzo luogo, se mai per disgrazia cadete in qualche peccato o difetto, non diffidate, ma umiliatevi, pentitevi, e, conoscendo allora maggiormente la vostra debolezza, abbandonatevi con maggior confidenza nel Signore. Lo sdegnarci con noi stessi dopo il difetto commesso, non è umiltà, ma superbia che ci fa maravigliare come abbiam potuto cadere in quella mancanza; è superbia ed è arte del demonio che pretende di farci lasciare la via della perfezione, diffidati di poterla proseguire, ed indi farci precipitare in maggiori peccati. No, allora più che mai confidiamo nel Signore, valendoci delle nostre infedeltà per più sperare nella divina misericordia. Così s'intende quel che disse l'Apostolo: Omnia cooperantur in bonum (Rom. VIII, 28). Dove soggiunge la glossa: Etiam peccata. Disse a questo proposito il Signore a S. Geltrude: Quando alcuno ha una macchia sulla mano, lava la mano, e quella resta più netta di prima; così l'anima dopo il difetto, purificandosi col pentimento, si rende più grata di prima agli occhi miei.16 E specialmente Iddio permette alle volte a quell'anime


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le quali non sono ben fondate nell'umiltà, che cadano in qualche fallo, affinché imparino a diffidare di loro stesse, per confidare solamente nel suo aiuto. Allorché dunque, sorella benedetta, vi trovate caduta in qualche difetto, non restate così caduta, subito rialzatevi con un atto di amore e di dolore, proponete l'emenda, e accrescete la confidenza in Dio. Dite allora con S. Caterina da Genova: Signore, questi sono i frutti dell'orto mio, e se non mi tenete le mani sopra, io farò peggio di questo; ma spero in voi di non cadervi più, come propongo.17 E se mai ricadete in quel difetto, fate sempre così, e non lasciate mai la risoluzione di farvi santa.

7. In quarto luogo, se mai sapete che alcuna persona sia caduta in qualche grave fallo, non v'insuperbite di voi né ve n'ammirate, ma compatitela e tremate di voi stessa, confessando con Davide: Nisi quia Dominus adiuvit me, paulo minus habitasset in inferno anima mea (Psal. XCIII, 17): Se 'l Signore non mi avesse tenute le mani sopra, a quest'ora starei nell'inferno. Pertanto state attenta a non vanagloriarvi mai di esser esente da quei difetti che vedete nell'altre; altrimenti il Signore in castigo permetterà che vi cadiate anche voi. Narra Cassiano (Collat. II, cap. 13) che un certo monaco giovane, essendo per lungo tempo molestato da una forte tentazione disonesta, andò a ritrovare un padre vecchio per riceverne aiuto; ma quegli in cambio di dargli animo e consolarlo, maggiormente l'avvilì e l'afflisse co' tanti rimproveri che gli fece, dicendogli: Come? un monaco pensare a queste sozzure! Ma che avvenne? permise poi il Signore che il vecchio fosse talmente insultato dallo spirito d'impurità che andava correndo


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come pazzo per lo monastero. Allora l'abbate Apollo, che era stato informato già della sua indiscretezza usata col giovane, l'andò a trovare e gli disse: Sappi, fratello, che Dio ha permesso in te questa tentazione in pena dell'esserti così ammirato di quel povero giovane che a te ricorse per aiuto, ed acciocché impari a compatire gli altri in simili casi.18 Ciò anche avvertì l'Apostolo a' suoi discepoli, cioè che, dovendo taluno correggere un altro, non lo facesse con disprezzo del povero tentato: onde, prima di far la correzione, egli si considerasse dello stesso modo miserabile e facile a cadere come il caduto; altrimenti Iddio permetterebbe ch'egli fosse assalito dalla stessa tentazione e forse che si trovasse anche precipitato in quello stesso peccato, in cui si maravigliava di vedere inciampato il suo prossimo: Fratres, etsi praeoccupatus fuerit homo in aliquo delicto... huiusmodi instruite in spiritu lenitatis, considerans te ipsum, ne et tu tenteris (Gal. VI, 1). E narra a tal proposito il medesimo Cassiano (Lib. 5, de Inst. Ren. II, 30) che un certo abbate, nominato Machete, confessava di sé che in tre difetti, di cui avea prima giudicati i suoi fratelli, era poi egli miseramente in tutti e tre caduto.19

8. In quinto luogo stimatevi voi la maggior peccatrice che viva su questa terra. L'anime che sono veramente umili, perché si trovano più illuminate dalla luce divina, siccome elle maggiormente conoscono le divine perfezioni, così maggiormente


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vedono le loro miserie e peccati. E quindi nasce che i santi, con tutto che facessero vita così esemplare e così differente dagli uomini mondani, pure si chiamavano, non per esagerazione, ma con vero sentimento, i maggiori peccatori che vivessero nel mondo. Così si chiamava S. Francesco d'Assisi.20 S. Tommaso da Villanova era in un continuo spavento per lo conto, com'egli dicea, di dover rendere a Dio della sua mala vita.21 S. Geltrude stimava un miracolo, come non si aprisse la terra sotto i suoi piedi e non l'ingoiasse per li suoi peccati.22


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S. Paolo primo eremita piangeva dicendo: Guai a me peccatore, che ingiustamente porto il nome di monaco.23 Narra similmente a questo proposito il P. M. Avila (Tract. V, de Spir. S. c. 4) che una persona di grande virtù, avendo pregato Dio che le facesse vedere qual era l'anima sua, ebbe la grazia, e la vide così deforme ed abbominevole, benché non vi fossero altri peccati che veniali, che esclamò: Signore, per misericordia, levatemi davanti gli occhi la figura di questo mostro.24

9. Quindi voi guardatevi di preferirvi mai ad alcuna. Basta credersi migliore degli altri, per diventare peggiore di tutti. Ceteros contempsisti: ceteris peior factus es, dice Tritemio.25 Così parimente basta che taluno creda di avere gran meriti, per non averne più e perderli tutti. Il merito principale della nostra umiltà sta nel credere sinceramente di non averne, e di non meritare altro che rimproveri e castighi. I doni e le grazie che Dio v'ha concesse, non servirebbero che a farvi condannare con maggior rigore nel giudizio, se voi ve ne abusaste con preferirvi agli altri. Ma non basta il non anteporvi ad alcuna, bisogna, come ho detto, che vi stimiate l'ultima e la peggiore di tutte le vostre sorelle. E perché? prima perché voi conoscete certamente già in voi tanti vostri peccati, ma non sapete i peccati dell'altre; ed all'incontro non vi son note le virtù occulte, che forse tiene quella persona che voi disprezzate.


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Inoltre dovete considerare che a proporzione de' lumi e de' doni che il Signore v'ha dati, dovreste a quest'ora esser santa. Eh che se le grazie che avete ricevute voi, Dio le avesse fatte ad un infedele, forse quegli sarebbe divenuto un serafino, e voi vi trovate così misera e piena di difetti! Questo pensiero della vostra ingratitudine dee farvi stare sempre colla faccia sotto i piedi di tutte, poiché il peccato, come dice l'Angelico, tanto si rende più grave, quanto è maggiore l'ingratitudine di chi lo commette;26 onde può essere che un solo vostro peccato pesi più avanti a Dio che cento peccati d'un'altra non così favorita e colmata di grazie come voi. Ma voi già sapete d'averne fatti tanti: sapete che la vostra vita non è stata altro che una continua tessitura di colpe volontarie; e se mai v'è stata alcun'opera buona, tuttavia sarà stata cosi piena di difetti e d'amor proprio, che meritava forse più castigo che premio.

Per tutti questi riflessi voi dovete stimarvi indegna, secondo esortava a tutte le monache S. Maria Maddalena de' Pazzi, neppur di baciar la terra che calpestano le vostre sorelle.27 Dovete credere che se riceveste tutti gli affronti immaginabili, e se vi trovaste nel fondo dell'inferno, sotto tutti i dannati, tutto sarebbe poco a confronto di quel che voi meritate. E perciò dall'abisso di queste vostre miserie alzate sempre la voce a Dio, dicendo: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina:28 Signore, pensate ad aiutarmi e ad aiutarmi presto; altrimenti io son perduta e vi offenderò peggio di prima e più di tutti. Ma questa preghiera bisogna che la replicate sempre, quasi in ogni momento, mentre state nel coro, quando vi trovate nella cella, quando camminate per lo monastero, quando andate alla grata, quando andate a mensa, quando vi levate la mattina, quando vi mettete a dormire, sempre, sempre: Signore, aiutatemi: Signore,


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assistetemi: Signore, abbiate pietà di me. Altrimenti in quel punto che lascerete di raccomandarvi a Dio, potrete diventare la più scellerata del mondo. E guardatevi poi, più che dalla morte, da ogni minimo atto o pensiero di superbia. Termino questo punto con quel gran detto di S. Bernardo: In anima non est timenda quantalibet humiliatio; horrenda autem nimium vel minima elatio (Serm. 3, in Cant.):29 Qualunque umiliazione non può mai farci temere d'alcun male, ma dee temersi all'incontro di qualunque minima alterigia, perché questa può precipitarci in ogni male.

Preghiera.

Dio dell'anima mia, vi ringrazio che mi fate conoscere che quanto stima il mondo, tutto è pazzia. Datemi intanto forza di staccarmene prima che me ne stacchi la morte. Misera me, che sono stata tanti anni nella casa vostra, ho lasciato il secolo per farmi santa, e sinora che profitto ho fatto? Oimè quante piaghe schifose vedo sopra l'anima mia! Gesù mio, abbiate compassione di me, e sanatemi. Voi potete e volete sanarmi, s'io voglio mutar vita; sì che voglio emendarmi. Voi avete promesso di scordarvi delle offese ricevute, se 'l peccatore si pente: Si impius egerit poenitentiam, omnium iniquitatum eius non recordabor (Ezech. XVIII, 21).30 Io mi pento più d'ogni male di aver disprezzato il vostro amore; scordatevi dunque di quante amarezze vi ho date. Per l'avvenire prima voglio perder la vita che darvi qualunque minimo disgusto deliberato.

Dio mio, vi voglio amare. E se non amo voi, chi voglio amare? Voi siete così degno d'essere amato: voi m'avete creata, mi avete redenta colla vostra morte, mi avete chiamata alla religione, voi mi avete colmata di tante grazie: voi dunque siete quegli che meritate tutto il mio amore, perciò voi solo io voglio amare.


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Regina mia e mia grande avvocata, Maria, aiutatemi colla vostra intercessione, acciocch'io non sia più ingrata al vostro Figlio.




1 «Humilitatis vero talis potest esse definitio: Humilitas est virtus qua homo verissima sui cognitione sibi ipsi vilescit.» S. BERNARDUS, De gradibus humilitatis et superbiae, cap. 1, n. 2. ML 182-942.



2 «Una vez estaba yo considerando por què razòn ea Nuestro Señor tan amigo de esta virtud de la humildad, y pùsoseme delante, a mi parecer sin considerarlo, sino de presto, esto: que es porque Dios es sum aVerdad, y la humildad es andar en verdad; que lo es muy grande no tener cosa buena de nosotros, sino la miseria y ser nada; y quien esto no entiende, anda en mentira. A quien màs lo entienda, agrada màs a la sum aVerdad, porque anda en ella. Plega a Dios, hermanas, nos haga merced de no salir jamàs de este propio conocimiento. Amèn.» S. TERESA, Las Moradas, Moradas sextas, cap. 10. Obras, IV, 171, 172.



3 «Sciendum magnopere est quia tanto unaquaeque anima fit pretiosior ante oculos Dei, quanto prae amore veritatis despectior fuerit ante oculos suos... Tanto ergo fit quisque vilior Deo, quanto pretiosior sibi; tanto pretiosior Deo, quanto propter eum vilior sibi.» S. GREGORIUS MAGNUS, Moralium in Iob, lib. 18, cap. 38 (al. 22). ML 76-70.



4 «Le due basi o gangheri della Religione sono il fervore di spirito, e il disprezzo del mondo e di se stesso.» Detti e sentenze, § 2, n. 10: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in fine.- «I medesimi giardini (leggi: gradini) che ci sbassano in terra, ci sollevano in gloria nel paradiso. E quegli più chiaramente vedrà la divina Essenza, che si sarà abbassato più umilmente.» La stessa opera, l. c., § 5, n. 6.



5 «Ratio. Ora brevissime ac perfectissime, quantum potes. Augustinus. Deus semper idem, noverim me, noverim te. Oratum est.» S. AUGUSTINUS, Soliloquia, lib. 2, cap. 1. ML 22 885.- Quel che segue, cioè «ut amem te et contemnam me», è ad mentem S. Augustini. Della cognizione di Dio, fonte dell' amore, scrive: «Nemo autem cognoscit Deum, nisi qui intelligit illum esse summum atque incommutabile bonum, cuius participatione fit bonus.» Epistola 140, cap. 35, n. 81. ML 33-575. Della cognizione di se stesso, fonte dell' umiltà: «Diximus non ausum fuisse oculos ad caelum levare publicanum. Quare caelum non attendebat? Quia se attendebat. Se attendebat, ut primo sibi displiceret, et sic Deo placeret.» E' pensiero assai familiare a S. Agostino, anzi fondamentale nella sua dottrina, doversi associare e difatti associarsi l' amore a Dio col disprezzo di se stesso: «Fecerunt itaque civitates duas amores duo: terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui.» De civitate Dei, lib. 14, cap. 28. ML 41-436.- Nel libro De Beata Vita, il dialogo si conchiude (n. 35, ML 32-976) con questa sentenza: «Illa est igitur plena satietas animorum, haec est beata vita, pie perfecteque cognoscere a quo inducaris in veritatem, qua veritate perfruaris, per quid connectaris summo modo (al. summo bono). Quae tria unum Deum... ostendunt.»



6 Quanto magnus es, humilia te in omnibus, et coram deo invenies gratiam: quoniam magna potentia Dei solius, et ab humilibus honoratur. Eccli. III, 20, 21.



7 «Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis. At vero non bonae, sed plane iniquae voluntatis est, qui nequaquam pace contentus.... inquietus anhelat et ad gloriam Dei, nec pacem proinde retinens, nec gloriam apprehendens. Quis credat parieti, si se dicat parturire radium, quem suscipit per fenestram? aut si glorientur nubes quod imbres genuerint, quis non irrideat? Mihi liquido constat, nec de canalibus oriri rivos aquarum, nec de labiis vel dentibus verba prudentiae, etsi sensus ultra corporeus non attingat.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 13, n. 5. ML 183-836, 837.



8 «Mi par molto notabile un fatto che fece già un savio uomo... e fu questo: che essendo egli ricco e prudente e nobile, prese per moglie una povera contadina, non tirato da mala affezione, ma con buon giudizio e discorso, cioè per aver una moglie che fosse tutta umile, obbediente, ed amorevole verso di lui, vedendosi maritata a persona di cui non meritava ella esser serva; e perchè le vesti, le gioie, e tutti gli altri ornamenti che le avea dati, come conveniva alla consorte d' un tal personaggio, non avessero a insuperbirla, prese quella veste, che prima avea, tutta stracciata e vile, ed appiccolla in una sala del suo palazzo acciocchè ella a tutte l' ore potesse vederla e considerarla; sicchè ricordandosi della sua povertà passata, non avesse a invanirsi per la presente prosperità. Però, signora mia, s' ingegni ancor essa ricordarsi spesso della povertà sua spirituale ne' tempi passati; nè giammai parta da lei quella profonda umiltà, quella gratitudine e quel grande amore che deve a chi tante grazie le ha fatto sino al presente, e gliene farà anco per l' avvenire, il quale sia benedetto in eterno. Amen.» B. GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, Roma, 1669, parte 2, lettera 65.



9 «Quisquis autem tibi enumerat vera merita sua, quid tibi enumerat nisi munera tua? O si cognoscant se homines homines, et qui gloriatur, in Domino glorietur! (II Cor. X, 17).» S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib. 9, cap. 13, n. 34. ML 32-778.



10 La Santa Madre Teresa non ricorda mai, nei suoi scritti, alcun bene che veda in se stessa o in altri, senza innalzarsi colla mente e col cuore a Dio, pienezza e fonte d' ogni bene, e senza esaltarne le misericordie. Al Padre «Garcia de Toledo» (Libro de la Vida, cap. 14, fine: Obras, I, 106) scrive: «Entramos, me parece podemos cantar una cosa (cioè le misericordie di Dio), aunque en diferente manera, porque es mucho màs lo que yo debo a Dios, porque me ha perdonado màs, como vuestra merced sabe.» Allo stesso, nella lettera con cui accompagna il manoscritto del Libro de la Vida - Obras, I, 372 - dice: «Sea bendito por siempre, que yo espero en su misericordia nos veremos adonde màs claramente vuestra merced y yo veamos las grandes que ha hecho con nosotros, y para siempre jamas le alabemos. Amen.» Onde la Santa Madre viene rappresentata con questo motto che sventola intorno al suo capo, come se uscisse perennemente dalle sue labbra: Misericordias Domini in aeternum cantabo.



11 «No cure de unas humildades que hay, de que pienso tratar, que les parece humildad no entender que el Señor les va dando dones. Entendamos bien, bien, como ello es, que nos los da Dios sin ningùn merecimiento nuestro, y agradezcamoslo a Su Majestad; porque si no conocemos que recibimos, no despertamos a amar. Y es cosa muy cierta, que mientra màs vemos estamos ricos, sobre conocer somos pobres, màs aprovechamiento nos viene, y aun màs verdadera humildad.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 10. Obras, I, 70, 71.



12 «Es cosa muy clara que amamos màs a una persona, cuando mucho se nos acuerda las buenas obras que nos hace.. Es menester sacar fuerzas de nuevo para servir, y procurar no ser ingratos; porque con esa condiciòn las (riquezas u joyas) da el Señor.... ¿ Còmo aprovecharà y gastarà con largueza el que no entende que està rico? Es imposible, conforme a nuestra naturaleza, a mi parecer, tener animo para cosas grandes, quien no entiende està favorecido de Dios.» S. TERESA, Op. cit., 71, 72.



13 «Spesso gli veniva detto: «Son disperato;» onde incontrandosi un giorno in due religiosi di S. Domenico, il Santo passò in mezzo di loro, dicendo: «Lasciatemi passare, che son disperato.».... Credendosi quei padri ch' ei fosse tale in quel senso che comunemente si prende, lo ritennero, e cominciarono a confortarlo, facendogli molte interrogazioni; ma egli alla fine sorridendo disse: «Son disperato di me stesso, ma confido in Dio.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 17, n. 2.



14 «Soleva scrivere....: «L' umiltà è la strada del paradiso... All' entrare della porta stretta, si vedrà chi si avrà saputo umiliare mentre ne ha avuto occasione.... La santa umiltà è segno grande di predestinazione.... Quanto uno si vede più favorito da Dio con alcune grazie... tanto più si deve umiliare per non perderle, e si perdono con ogni poco di presunzione o estimazion  di se stesso. Procuri di essere il più umile di tutti, chi vuole che il Signore si serva di esso in cose grandi, nella conversione delle anime.» Vincenzo TALENTI, O. S. P., Vita, lib. 6, cap. 7, II.- «Nei 2 di maggio 1648, scrive al P. Tommaso Accardo; «Conseguirà le virtù con abbondanza chi acquisterà con diligenza la santa virtù dell' umiltà, essendo vero che il religioso tantum habet virtutis quantum habet humilitatis.» La stessa opera, l. c.



15 (Parla il Padre Eterno): «Conviene per vostra utilità, e per campare l' inganno del dimonio, e per esser piacevoli a me, che sempre vi dilarghiate il cuore e l' affetto nella smisurata misericordia mia con vera umiltà. Che sai che la superbia del dimonio non può sostenere la mente umile, nè la sua confusione la larghezza della mia bontà e misericordia, dove l' anima in verità speri. E però se ben ti ricorda, quando el dimonio ti voleva atterrare per confusione, volendoti mostrare che la vita tua fusse stata inganno.... tu allora facesti quello che tu dovevi fare... cioè che tu t' inalzasti nella misericordia mia, con umiltà, dicendo: «Io confesso al mio Creatore che la vita mia non è passata altro che in tenebre; ma io mi nascondarò nelle piaghe di Cristo crocifisso, e bagnarommi nel sangue suo; e così avrò consumate le iniquità mie....» Sai ch' allora il dimonio fuggì. E tornando poi coll' altra, cioè di volerti levare in alto per superbia, dicendo: «T sei perfetta e piacevole a Dio, e non bisogna più che t' affligga, nè che pianga i difetti tuoi;» donandoti io allora el lume, vedesti la via che ti conveniva fare, cioè d' umiliarti; e rispondesti al dimonio, dicendo: «Miserabile a me! Giovanni Battista non fece mai peccato, e fu santificato nel ventre della madre, e nondimeno fece tanta penitencia. E io, ò commesso cotanti difetti, e non cominciai mai a cognoscerlo con pianto e con vera contrizione, vedendo chi è Dio ch' è offeso da me, e chi son io che l' offendo.» Allora el dimonio, non potendo sostenere l' umiltà della mente nella speranza della mia bontà, disse a te: «Maladetta sia tu, che modo non posso truovare con teco. Se io ti pongo a basso per confusione; e tu ti levi in alto alla misericordia. E se io ti pongo in alto: e tu ti poni al basso, venendo nell' inferno per umiltà. Et intro lo inferno mi perseguiti. Si che io non tornarò più a te, però che tu mi percuoti col bastone della carità.» S. CATERINA DA SIENA, Il Dialogo, cap. 66 (Trattato della orazione, cap. 3). Opere, tom. 4, (Siena, 1707), pag. 98.



16 «Orans... pro quadam, quae sacramenta Dominici Corporis levi de causa intermiserat.... talis similitudinis accepit responsum: «Sicut homo qui manifestam maculam deprehendit in manu sua, statim manus suas lavat; sed post lavationem mundatur non solum a manifesta macula, verum etiam totae manus ipsius redduntur mundiores; sic contingit quandoque electis meis, quos permitto cadere in aliqua levi culpa ut inde poenitentes mihi ex humilitate magis placiti fiant...» S. GERTRUDIS MAGNA, Legatus divinae pietatis, lib. 3, cap. 18.- «Pro quadam persona tentata Dominum exorans, tale accepit responsum: «Ego tentationem illam immisi, et permitto ei, ad hoc ut talem defectum suum recognoscens et dolens, dolendoque devincere studens, nec praevalens, humiliteur; et per hoc alii eius defectus quos non recognoscit, coram oculis meis ex parte deleantur; sicut contingere solet in quibuslibet qui dum unam maculam evidentiorem in manibus suis considerant, manus totas abluunt, sicque et ab aliis sordibus mundantur...» Idem opus, cap. 77.



17 «Quando le accadeva qualche cosa di difetto, o di pena, subito diceva fra se stessa: «Queste cose son tutte prodotte da questa mia maligna parte, la quale son ben certa che non sa nè può far da sè altri frutti che questi, li quali in tutto son cattivi: e più non ne fa perchè Dio la tiene.» MARABOTTO E VERNAZZA, Vita, Padova, 1743, cap. 16, n. 3.



18 IO. CASSIANUS, Collatio 2, cap. 13. ML 49, col. 544-547.- Vedi Appendice, 12.



19 «Hic idem senex (Maches) cum insitueret nos neminem diiudicare debere, intulit tria fuisse in quibus discusserit vel reprehenderit fratres, quod scilicet uvam (intellige non fructum vitis, sed carunculam in intima oris parte, seu fine palatii, dependentem circa fauces) sibi nonnulli paterentur abscindi; quod haberent in cellulis sagum; quod oleum benedicentes exposscentibus saecularibus darent: et haec omnia se incurrisse dicebat. Nam aegritudinem uvae contrahens, «Tamdiu, inquit, eius languore distabui, donec tam doloris necessitate quam seniorum omnium adhortatione compulsus, abscindi eam permitterem. Cuius etiam infirmitatis obtentu sagum quoque habere coactus sum. Oleum etiam benedicere ac supplicantibus dare, quod prae omnibus exsecrabar, utpote iudicans illud ex magna cordis praesumptione descendere, circumdantibus me repente saecularibus multis, ita constrictus sum, ut aliter eos nullatenus evadere possem, nisi a me summa vi et obtestationibus extorsissent, ut oblato ab eis vassculo manum meam impresso crucis signaculo superponerem: itaque se credentes benedictionis oleum consecutos, tandem me aliquando relaxarunt. Quibus mihi manifeste compertum est, iisdem causis ac vitiis monachum obligari, in quibus de aliis iudicare praesumpserit.» IO. CASSIANUS, De coenobiorum institutis, lib. 5, cap. 30. ML 49-246, 247.



20 «Amator humilium Deus altioribus ipsum (Franciscum) dignum iudicabat fastigiis, secundum quod uni fratri... visio caelitus ostensa monstravit.... In ecstasi factus, vidit inter multas in caelo sedes unam ceteris digniorem, pretiosis ornatam lapidibus et omni gloria refulgentem... Audivit inter haec vicem dicentem sibi: «Sedes ista unius de ruentibus fuit et nunc humili servatur Francisco.» Reversus demum frater ad se... virum beatum exterius prodeuntem solito fuit more secutus... Solerter ab eo quaesivit quid de se ipso sentiret. Ad quem humilis Christi servus: «Videor, ait, mihi maximus peccatorum.» Cui cum frater diceret ex adverso, quod hoc nec posset sana conscientia dicere nec sentire, subiunxit: «Si quantumcumque sceleratum hominem tanta fuisset Christus misericordia prosecutus, arbitror sane, quod multo quam ego Deo gratior esset.» Confirmatus fuit frater ex tam admirabilis humilitatis auditu de veritate visionis ostensae.» S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 6, n. 6. Opera, VIII, ad Claras Aquas, 1898, pag. 521.- Questo compagno di S. Francesco, dice Vadingo, (Annales, a. 1212, n. 42) essere stato Fr. Ruffino; Marco da Lisbona (Croniche, part. 1, lib. 1, cap. 68), Fr. Pacifico.



21 Racconta un biografo del santo (Vita, auctore Michaele SALONIO, coaevo, lib. 2, cap. 15: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 18 septembris, num 431) che, per convertire un sacerdote scandaloso, gli disse: «Propter mea delicta permisit Deus ut tu ad tantum flagitium deductus sis, quantum est, subtrahere ipsi virginem, iam paratum quae professionem emitteret et ipsi sponsa evaderet. Si equidem bonus antistes exstitissem, haud permissura fuisset divina eius benignitas tantam perfidiam, quantum tu illi exhibuisti: quia ego sum pastor improbus, tu ovis es adeo flagitiosa.» Et multis lacrimis ad Crucifixum conversus dixit: «Domine, tam grande crimen ab homine isto commissum, et iniuriam tibi ab eodem illatam, permisisti ob mea delicta. Ipsum, Domine, lumine tuo collustra; da ipsi suorum peccatorum notitiam, da spiritum verae poenitentiae et emendationis; et quoniam ob delicta mea te laesit tam graviter, iustum est, Domine, ut ego luam.» E il santo (n. 432) cominciò a flagellarsi sino al sangue, dinanzi al colpevole, e lo convertì.- Altri fatti simili riferisce un altro biografo: Vita altera (brevior), n. 12: inter Acta Sanctorum Bollandiana.



22 «Quadam vice dum iret in via,ex magna deiectione suimet, dixit ad Dominum: «Maximum miraculorum tuorum, Domine, hoc praecipue reputo quod terra haec tam indignissimam me gestat peccatricem.» Ex quibus verbis Dominus, qui omnem humiliantem se exaltat, dignantissime commotus benignissime respondit: «Libens terra se tibi calcabilem praebet, dum universalis caeli dignitas cum ingenti exsultationis tripudio horam illam iucundissimam praestoletur qua te gestare dignetur.» S. GERTRUDIS MAGNA, O. S. B., Legatus divinae pietatis, lib. 1, cap. 11, pag. 32, 33.



23 Leggi: «S. Antonio, tornando dal visitare S. Paolo, piangeva....» - «Cui (Antonio) cum duo discipuli, qui ei iam longaevo ministrare coepeerant, occurrissent dicentes: «Ubi tamdiu moratus es, pater?» respondit: «Vae mihi peccatori, qui falsum monachi nomen fero. Vidi Eliam, vidi Ioannem in deserto, et vere vidi Paulum in paradiso.» S. HIERONYMUS, Vita S. Pauli primi eremitae, n. 13. ML 23-26.



24 «Yo conoci una persona que rogò muchas veces a Dios que le descubriese quién él era. Abriòle Dios los ojos tantico, y le hubiera de costar caaro. Viòse tan feisimo, tan bediondo, tan sucio, tan abominable, que a grandes voces decia: Señor, por vuestra misericordia, me quitad este espejo de delante de mis ojos, no quiero ver màs mi figura.» B. JUAN DE AVILA, Tratado V del Espiritu Santo, Obras, IV, 287: Madrid, 1895.



25 «Ad primum itaque quo se cogitatio cunctis iactitat meliorem, hoc tibi responsum sit, quia eo quo te meliorem aestimas, deterior factus. Quanto enim quisque exstiterit melior, tanto erit procul dubio et humilior. Numquid talis es, qualis deberes? Si bonus es, meliorem te reputando, iam desinis esse quod es. Nemo enim se potest cogitare bonum, nisi prius de bono collapsus fuerit ad malum.» Ioannes TRITHEMIUS, Abbas Spanheimensis, O. S. B., De religiosorum tentationibus libri duo: lib. 2, cap. 4: De tentatione superbiae et filiarum eius. Opera pia et spiritualia (cura et studio Io. Busaei, S. I.), Moguntiae, 1605, pag. 707).



26 «Ista peccata (ex deliberatione procedentia) tanto magis alicui imputantur, quanto maior est. Et hoc potest esse propter quatuor.... Secundo, propter ingratitudinem: quia omne bonum quo quis magnificatur, est Dei beneficium, cui homo fit ingratus peccando. Et quantum ad hoc, quaelibet maioritas, etiam in temporalibus bonis, peccatum aggravat.» S. THOMAS, Sum. Theol., I-II, qu. 73, art. 10, c.



27 «La Religiosa dee stimarsi indegna di conversare con le suore, anzi anche di baciar la terra, la quale esse calpestano.» Detti e sentenze, § 5, n. 58: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671 (in fine).



28 Ps. LXIX, 2.



29 «In anima non est plane timenda quantalibet humiliatio, horrenda autem nimiumque pavenda vel minima temere praesumpta erectio.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 37, n. 7. ML 183-974.



30 Si autem impius egerit poenitentiam ab omnibus peccatis suis, quae operatus est, custodierit omnia praecepta mea, et fecerit iudicium et iustitiam, vita vivet et non morietur. Omnium iniquitatum eius, quas operatus est, non recordabor: in iustitia sua, quam operatus est, vivet. Ezech. XVIII, 21, 22.






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