- CAPO XI - Della santa umiltà.
- § 4 - Seguita la stessa materia, dove si parla più particolarmente della tolleranza de' disprezzi.
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§ 4 - Seguita la stessa
materia, dove si parla più particolarmente della tolleranza de' disprezzi.
1.
In terzo luogo, per conservarvi umile, bisogna che non vi disturbiate nelle
riprensioni. Chi si turba in vedersi ripresa, è segno che non è giunta ancora
ad esser umile; e perciò dee pregare il Signore che gli doni questa virtù, così
necessaria alla salute, della santa umiltà. Scrive il P. Rodriguez che alcune
religiose fanno come i ricci: se le vuoi toccare, si fanno tutte di
spine;1 viene a dire che subito prorompono in parole d'impazienza, di
rimproveri ed anche di mormorazioni. Multos
novimus, dice S. Gregorio, qui,
arguente nullo, peccatores se confitentur; cum vero de culpa fuerint correpti,
defensionis patrocinium quaerunt, ne
peccatores videantur (Mor. Lib. XXII, cap. 10).2 Abbiam conosciuti
molti, dice, che, quando non vi è stato chi li ha ripresi, si son confessati
peccatori; ma se poi alcuno li ha corretti di qualche
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difetto, han
cercato a tutta possa di difendersi, per non essere stimati difettosi. Molte
religiose fanno lo stesso; ma sentano queste quel che dice lo Spirito Santo: Qui odit correptionem, vestigium est
peccatoris (Eccli. XXI, 7): Chi sdegna d'esser ripreso, non va per la via
de' giusti, ma de' peccatori: viene a dire, va per la via dell'inferno.
2.
Dice S. Bernardo: Medicanti irascitur, qui non irascitur sagittanti (Serm. 3,
de Nat. Dom.):3 Taluno si adira con chi lo medica con riprenderlo, e
non si adira poi con chi lo ferisce con adularlo. Ma ci spaventi l'annunzio
funesto che fa il Savio a coloro che ricusano d'esser corretti: Eo quod detraxerint universae correptioni,
prosperitas stultorum perdet eos (Prov. I, 32):4 Coloro che
rifiutano ogni correzione, si perderanno colla prosperità de' stolti: la
prosperità de' stolti è di non avere chi li corregge o di non far caso delle
correzioni, e perciò miseramente si dannano. Narra il Ven. Beda un fatto
terribile di due monache, le quali essendo state riprese dalla superiora, ne
fecero poco conto. Indi passando da male in peggio, giunsero a fuggirsene dal
monastero; ma essendo state poi ritrovate e ricondotte alla clausura, furono
interrogate dalla badessa, ch'era S. Borgontofora, perché mai si fossero
indotte a commettere un tale eccesso. Risposero: Per non aver dato orecchio
alle di lei riprensioni. Poco dopo infermatesi ambedue a morte, non vollero
confessarsi, e stando in fine di vita gridarono: Aspettate un poco, aspettate. E poi rivolte alle monache dissero: Non
vedete colà quella turba di neri Etiopi che vengono a pigliarci? Ed in
fatti comparvero certe ombre spaventose, che con voce orribile chiamavano le
due misere inferme, e quelle seguendo a gridare: Aspettate, aspettate, spirarono infelicemente l'anime senza
sagramenti.5
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3.
Dice il Grisostomo (Hom. 69, in Matth.) che il giusto, quando è ritrovato nel
difetto, geme per l'errore commesso. Il peccatore ritrovato nel difetto anche
geme, ma non già per l'errore fatto, ma per essere stato conosciuto il suo
errore; ed allora non attende già a pentirsi dell'errore, ma a difendersi e a
sdegnarsi con chi lo corregge.6 Che dite voi, sorella
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benedetta? avete fatto così ancor voi per lo passato con chi per
carità vi ha ripresa di qualche cosa? seguirete a far lo stesso per l'avvenire?
No, vi dice S. Bernardo: Soror, multas
age gratias illi qui increpaverit te; non contristeris cum monstraverit tibi
viam salutis (De discip. cap. 18):7 Dovete molto ringraziar chi vi
riprende di qualche mancanza; è cosa troppo ingiusta il volervi adirare con
colei che vi dimostra la via della salute. Anzi, come consigliava S. Maria
Maddalena de' Pazzi, se potesse riuscire senza disordine, sarebbe bene che vi
procuraste una compagna fedele che vi avvertisse di tutte le vostre mancanze,
di cui forse voi non ve ne accorgete.8 Voi siete piena di miserie e di
difetti, già lo sapete; l'unico rimedio a tanti mali è l'umiliarvi quando li
conoscete o quando le altre ve li fanno conoscere. Dice S. Agostino: Ipsa est perfectio, nostra humilitas (In
Psal. 130).9 Giacché siamo così imperfetti in esercitar le virtù, siamo
almeno perfetti in umiliarci ed in rallegrarci, allorché ci si presentano le
occasioni di confonderci nell'esser ripresi de' nostri mancamenti commessi. Ed
avvertiamo che la nostra superbia più facilmente ci fa soffrire i rimproveri
non meritati che i meritati, perché ne' rimproveri che non meritiamo ci ha meno
parte l'amor proprio. Pertanto, quando voi giustamente siete ripresa, state
accorta ad offerire subito allora a Dio quella confusione e rossore, in
soddisfazione del difetto commesso. Schiacciate lo scorpione sovra la piaga
ch'egli v'ha fatta, servendovi di quella confusione per sanare il mancamento
fatto; e state sicura
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che quanto sarà maggiore l'umiltà con cui
accetterete voi quella riprensione, tanto sarà maggiore la misericordia del
Signore in perdonarvi.
4.
Attendete dunque a praticar questo grande atto di umiltà così caro a Dio, di
non difendervi né scusarvi allorché siete ripresa. Dice S. Teresa che una
monaca quando è incolpata di alcuna mancanza, guadagna più col non difendersi e
non iscusarsi, che se udisse dieci prediche.10 Quindi voi, se mai vi
succede d'esser ripresa di alcuna cosa, anche ingiustamente, lasciate di
giustificarvi in onore della santa umiltà, sempreché la giustificazione non
fosse necessaria per togliere lo scandalo della comunità. Una certa religiosa
scrisse una volta al P. D. Antonio Torres suo direttore, che l'avesse
giustificata appresso d'una persona, d'una certa mancanza di cui era stata
incolpata; ma udite come le rispose il mentovato padre: «Mi son maravigliato
poi come V. R. abbia avuto animo di scrivermi ch'io la giustifichi con N. N. La
compatisco; le faccende cred'io de' giorni passati l'avran fatta dimenticare
subito di ciò che in quella settimana dolorosa sentì del suo Sposo, chiamato
Seduttore. È impossibile che abbia potuto di ciò ricordarsi, e scrivermi in sua
giustificazione. Se ne vergogni, ed a' piedi del suo Crocifisso, scalza e con
una fune al collo, gli domandi perdono dell'infedeltà. Proponga né in questa né
in altra occasione di non mai giustificarsi né scusarsi, ma dir sempre avere
errato, ancorché ne avesse a morire crepando l'anima. Così per lei svergognato
è morto lo Sposo suo, e così ella ha da procurare il possesso di Gesù
Cristo.»11 Dicea
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S. Maria Maddalena de' Pazzi che lo
scusarsi, anche quando le accuse son false, è cessare dall'esser
religiosa.12 La religiosa ch'è vera umile, non solo fugge di scusarsi
de' suoi difetti, ma anzi procura di farli noti a tutti. Leggesi ne' Prodigi
della grazia, dove si parla de' monaci della nuova riforma della Trappa, che un
certo religioso, quando commetteva un difetto, prima andava ad accusarsene
coll'abbate, poi col priore, e non contento di ciò, se ne accusava ancora in
pubblico nel capitolo.13 Dicea la stessa S. Maria Maddalena de' Pazzi
che la monaca la quale scovre le sue colpe, merita che Gesù Cristo le ricopra
col suo sangue.14
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5.
In quarto luogo, se volete acquistare la perfetta umiltà, procurate di
accettare con pace tutti i disprezzi e maltrattamenti che vi vengon fatti.
Questi ben si soffrono con pace da chi veramente crede che merita ogni
disprezzo in pena de' suoi peccati. L'umiliazione è la pietra paragone de'
santi. Dice il Grisostomo che 'l segno più certo per conoscere se ci è virtù in
un'anima, è l'osservare s'ella si porta con mansuetudine nel ricevere gli
affronti.15 Narra il P. Crasset nell'Istoria del Giappone che un certo
missionario agostiniano, andando travestito in tempo dell'ultima persecuzione,
ricevé uno schiaffo senza risentirsi; dal veder ciò fu subito riconosciuto per
cristiano e preso, argomentando quegl'idolatri che una tanta virtù non poteva
esercitarsi che solamente da un cristiano.16 Alcuni, dicea S. Francesco
d'Assisi, mettono la lor santità nel recitar molte orazioni o nel far
penitenze, ma poi non possono soffrire una parola d'ingiuria, non intendendo
quanto maggior guadagno vi è nel sopportare i disprezzi:17 voi farete
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più guadagno accettando un affronto, che facendo dieci digiuni in
pane ed acqua. Vedrete per esempio che si concede ad altre sorelle quello che a
voi si nega: quel che dicono l'altre è inteso, quel che dite voi è pigliato in
derisione: le altre son lodate in tutto ciò che fanno, sono elette agli offici
decorosi, e di voi non si fa alcun conto, anzi in tutto ciò che fate, sempre ne
siete dileggiata; allora si vede, dice S. Doroteo, se siete veramente umile, se
accettate con pace tutte queste umiliazioni e raccomandate a Dio con maggior
amore quelle sorelle che più vi maltrattano; mentre quelle con ciò medicano la
vostra superbia, ch'è il morbo più maligno che può recarvi la morte.18
I superbi, perché si stimano meritevoli d'ogni onore, le umiliazioni che ricevono,
le convertono in accrescere la loro superbia; ma gli umili, perché si stimano
meritevoli d'ogni obbrobrio, i disprezzi lor fatti, li convertono in accrescere
la lor umiltà: Est humilis, dice S.
Bernardo, qui humiliationem convertit in
humilitatem (Serm. 24, in Cant.).19
6.
Sono buone le umiliazioni che noi facciamo da per noi, come il servire
agl'infermi, il baciare i piedi a chi si sente offeso da noi, benché a torto di
ciò si lagni, e simili azioni di umiltà; ma le migliori umiliazioni son quelle
che ci vengon fatte dagli altri, di riprensioni, di accuse, d'ingiurie o
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derisioni, quando noi le abbracciamo con pace per amore di Gesù
Cristo. In igne probatur aurum, dice
lo Spirito Santo, homines vero in camino
humiliationis (Eccli. II, 5):20 Siccome l'oro si prova col fuoco,
così la perfezione degli uomini si prova colle umiliazioni. Dicea S. Maria
Maddalena de' Pazzi: La virtù senza
pruova non è virtù.21 E chi non soffre con animo tranquillo i
disprezzi, non può aver mai spirito di perfezione. Nardus mea dedit odorem suum (Cant. I,
11). Il nardo è un'erba odorifera, ma che allora sparge il suo odore quando è
pestata e strofinata. Oh che bell'odore di suavità da a Dio una monaca umile,
quando abbraccia con pace gli obbrobri, compiacendosi di vedersi maltrattata e
vilipesa, come la più vile del monastero! Zaccaria monaco, interrogato che cosa
dovea farsi per acquistar la vera umiltà, prese la sua cocolla, se la pose
sotto i piedi, tutta la calpestò e poi disse: «Chi si compiace di vedersi
trattato così, com'è trattato questo panno, quegli è vero umile».22 Ed
oh come sarà felice la morte di quella religiosa ch'è vivuta disprezzata nel
suo monastero, soffrendo sempre i suoi disprezzi con pace! No che allora non
odierà, ma ringrazierà coloro che così l'han trattata. Narra S. Giovanni
Climaco (De Obed. grad. 4) che un certo buon monaco per nome Abario, essendo
stato per quindici anni sempre tenuto in poco conto e vilipeso da' suoi
compagni, giunto a morte, molto li ringraziò della carità
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che gli
avevano usata in tenerlo così umiliato, e così spirò con una pace di
paradiso.23
7.
Alcune religiose si lusingano d'esser umili, perché son persuase delle loro
miserie ed hanno ben anche dolore della mala vita fatta; ma poi non vogliono
esser umiliate, né posson tollerare che si manchi verso loro di stima e di
rispetto; e perciò fuggono gli offici bassi e tutto ciò che non si confà colla
loro superbia. Ma che sorta di umiltà è mai questa! Confessano che son degne di
tutte l'ignominie, e poi non possono sopportare una minima disattenzione, anzi
pretendono ossequi ed onori! Est qui nequiter humiliat se, et interiora eius plena sunt dolo (Eccli. XIX,
23). V'è taluno, dice lo Spirito Santo, che si umilia nell'esterno, dicendo
d'essere il peggiore di tutti, ma poi internamente pretende d'essere onorato e
stimato più di tutti. Spero, sorella benedetta, che voi non siate di questa
fatta. Se veramente credete d'esser la peggiore di tutte le vostre sorelle,
contentatevi d'esser trattata peggio di tutte. E perciò amate come vostre
migliori amiche coloro che col disprezzarvi vi aiutano ad umiliarvi e a
distaccarvi dalla gloria terrena, e con ciò ad unirvi più strettamente a Dio,
acciocché in questa vita non andiate cercando altro. che 'l suo santo amore.
8.
Consideratevi come un cane morto e infracidato, si che meritiate d'esser
abborrita da tutti; e con ciò offeritevi a Dio a soffrire ogni obbrobrio per
suo amore e in soddisfazione de'
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disgusti che gli avete dati, senza
mai permettere al vostro amor proprio che se ne lamenti. Pensate che altri
disprezzi più grandi si merita chi ha avuto l'ardire di disprezzare Dio: si
merita di star sotto i piedi de' demoni. Dicea S. Bernardo ch'egli non sapea
ritrovar rimedio più atto a curare le piaghe della sua coscienza, che le
ingiurie e i disprezzi: Ego plagis
conscientiae meae nullum iudico accommodatius medicamentum probris et
contumeliis (Epist. ad Eugen.).24 Rallegratevi dunque voi, sposa
benedetta del Signore, di vedervi avvilita, posposta a tutte le vostre sorelle,
derisa da tutte, tenuta in somma come la più sciocca e disprezzevole della
vostra comunità. Non vi scusate ancora quando siete accusata a torto, né
procurate che altre vi difendano, se non vedete, come ho detto, che lo scusarvi
fosse assolutamente necessario per evitare lo scandalo dell'altre. Non impedite
che si scovrano i vostri difetti ai superiori. Quando ricevete qualche
umiliazione, non andate cercando quale sorella ne sia stata l'autrice; e se mai
venite a saperla, non la rimproverate, né le fate conoscere che lo sapete, né
ve ne lagnate con altre; e nell'orazione, quando pregate per gli altri, la
prima ad esser raccomandata da voi sia quella che vi disprezza e vi perseguita.
Stiate persuasa di quel che dicea il P. Alvarez, che il tempo delle umiliazioni
è il tempo di uscire dalle proprie miserie, e di fare grandi acquisti di
meriti.25 Inoltre dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi che le maggiori carezze
che suol fare lo sposo celeste all'anime sue dilette, sono le croci e gli
affronti:26
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e perciò parlando la santa di se stessa, asseriva
che tutta si consolava quando conversava con persone disprezzate, sapendo
quanto elle sono care a Gesù Cristo.27 Quindi esortava con fervore le
sue monache: Sorelle, il vostro riposo
non sia in altro che nell'essere disprezzate.28 Ma sovra tutto
bisogna aver dinanzi agli occhi quel che disse Gesù Cristo, cioè che quelli son
beati che sono odiati dagli uomini, fuggiti, ingiuriati, ed è vilipeso il loro
nome come infame: Beati eritis, cum vos
oderint homines, et cum separaverint vos et exprobraverint et eiecerint nomen
vestrum, tamquam malum, propter Filium hominis (Lucae VI, 22). Aggiunge
l'apostolo S. Pietro: Si exprobramini in
nomine Christi, beati eritis; quoniam quod est honoris, gloriae et virtutis
Dei, et qui est eius spiritus super
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vos requiescit (I Petr. IV, 14): Allora sarete beati, quando sarete
affrontati per amore di Gesù Cristo, poiché allora sopra di voi riposa il vero
onore, la vera virtù e 'l vero spirito di Dio.
9.
I santi non si son fatti santi cogli applausi e cogli onori, ma colle ingiurie
e disprezzi. S. Ignazio martire, dopo essere, stato prelato, stimato e venerato
da tutti, fu poi mandato a Roma qual reo a soffrire il martirio, e nel viaggio
altro non ricevé che ingiurie e maltrattamenti da' soldati che lo conduceano;
ed allora egli giubilando disse: Nunc
incipio esse Christi discipulus:29 Ora comincio ad esser vero
discepolo di Gesù Cristo mio, che fu tanto disprezzato per me. Similmente S.
Francesco Borgia, stando una notte in letto col P. Bustamante suo compagno del
viaggio in un alloggiamento, accadde che quegli, perché pativa d'asma, tutta la
notte non fece altro che tossire e sputare, e pensando di sputare verso del
muro, sputava addosso S. Francesco, e più volte in faccia. Fatto giorno si
accorse di ciò che avea fatto, e se ne affliggeva; ma il santo gli disse: No,
padre mio, non ti affliggere di ciò, perché certamente in tutta questa stanza
non v'era luogo più adattato agli sputi che la mia faccia.30 Oh Dio, e
che sa una religiosa, se non sa soffrire un affronto per Gesù Cristo? Quella
monaca che non sa sopportare le ingiurie, è segno che ha perduto di vista Gesù
crocifisso. La B. Maria dell'incarnazione, stando una volta avanti di un
Crocifisso, disse alle sue monache: E
sarà possibile, sorelle, che noi sdegniamo di abbracciare i vilipendi, vedendo
Gesù Cristo cosi vilipeso?31
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Un'altra buona religiosa
quando ricevea qualche affronto, se n'andava al Ss. Sagramento e gli diceva:
Signore, io sono una poverella, non ho che offerirvi: vi offerisco questo
regaluccio di quest'ingiuria che ho ricevuta.32 Oh con quanto amore si
abbraccia Gesù Cristo una persona disprezzata, che ha abbracciato il disprezzo!
e come subito egli la consola e l'arricchisce di grazie! Il P. D. Antonio
Torres, parlando di quel tempo quando fu umiliato e trattato da seminatore di
false dottrine, onde per più anni gli fu sospesa la facoltà di prender le
confessioni, scrisse ad una persona queste parole: Sappiate, che in tutto quel tempo che fui calunniato, le consolazioni
spirituali che mi diede il Signore furono cosi grandi che posso dire non averne
avute simili.33
10.
Il soffrire i disprezzi con animo sereno giova non solo per acquistare gran
meriti, ma anche per tirare i prossimi a Dio. Dice S. Giovanni Grisostomo: Mansuetus utilis sibi et aliis.34
Il mansueto che sopporta con pace gli affronti si rende utile a sé ed a tutti
gli altri che l'osservano; poiché dice il santo non esservi cosa che
maggiormente edifichi il prossimo che la mansuetudine di una persona la quale
riceve le ingiurie con volto tranquillo: Nihil
ita conciliat domino familiares, ut quod illum vident mansuetudine iucundum.35
Narra il
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P. Maffei che predicando nel Giappone un religioso della
Compagnia di Gesù, da un insolente gli fu sputato in faccia; egli si nettò col
fazzoletto e proseguì la predica come se niente gli fosse accaduto. Uno degli
ascoltanti, vedendo ciò, si convertì alla fede con dire: Una dottrina che
insegna tanta umiltà non può non esser vera e divina.36 Così anche S. Francesco
di Sales colla sua mansuetudine, soffrendo senza turbarsi tutte le ingiurie che
gli diceano i protestanti, convertì molti eretici.37
11.
E se mai una religiosa ritrovasi in qualche monastero di larga osservanza e
vuol camminar per la perfezione, stia certa che in tutta la sua vita dovrà
sempre esser derisa, mormorata, ingiuriata, perseguitata e odiata. Non v'è
rimedio:
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Abominantur impii eos
qui in recta sunt via, dice lo Spirito Santo (Prov. XXIX, 27). Quei che camminano
per la via larga, non è possibile che non abborriscano coloro che vanno per la
via stretta. La ragione si è perché la vita de' buoni è un continuo rimprovero
alla vita de' cattivi, i quali perciò vorrebbero che tutti vivessero alla
libera com'essi vivono. L'allontanamento dalle grate, l'assistenza al coro,
l'osservanza del silenzio, il distacco dalle amicizie particolari e quasi tutte
le azioni virtuose di quella buona religiosa son chiamate singularità,
santocchierie e fin anche ipocrisie, a fine di farsi tenere per santa. E se poi
quella povera monaca commettesse qualche difetto perché finalmente ella non ha
lasciato d'esser fragile e soggetta a' difetti - se risponde per esempio una
parola di poca pazienza, se talvolta si difende da qualche torto che le vien
fatto, oh come allora tutte si fan sentir gridare: Ecco la santa! questo è quel
che fa la santa che si comunica ogni mattina, che fa sempre silenzio, che porta
cilizi, che sta tutto il giorno al coro a gabbare il mondo! Ed alle volte
aggiungono cose false alle vere. Stia molto attenta a ciò chi vuol farsi santa,
in soffrire ed offerire tutti questi rimproveri a Dio: perché se non volesse
sopportarli, sappia che poco durerà nel suo buon cammino preso; presto lascerà
tutto e diventerà imperfetta come sono l'altre. S. Bernardo, discorrendosi una
volta d'un certo religioso ch'era stimato per santo, disse: «Sarà egli santo,
ma gli manca il meglio, ch'è l'esser tenuto per cattivo.»38
12.
Intendiamo dunque che il più bel pregio de' santi è l'esser perseguitati in
questa vita: Et omnes qui pie volunt
vivere in Christo Iesu, scrisse S. Paolo, persecutionem patientur (II Tim.
III, 12). E 'l nostro Salvatore disse: Si
me persecuti sunt, et vos persequentur (Io. XV, 20). Dice quella religiosa:
Ma io mi fo i fatti miei, non do fastidio
ad alcuna, perché m'hanno da perseguitare? Ma come? tutti i santi sono
stati perseguitati, Gesù Cristo, il capo de' santi, è stato perseguitato, e voi
non volete esser perseguitata? Ma che maggior grazia può farci Dio, dicea S.
Teresa, che farci trattare come volle che fosse trattato il suo Figlio diletto
in questa
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terra?39 Quindi il P. Torres scrisse ad una monaca
sua penitente: Mi creda che fra le grazie
maggiori che il Signore può farle, una principalissima si è il farla degna
d'essere calunniata da tutte, senza trovar credito presso d'alcuna.40
Pertanto, sorella benedetta, quando voi vi vedete disprezzata e tenuta, come
suol dirsi, per pezza di scarpe, rallegratevi e ringraziatene sommamente lo
Sposo, che vi vuol trattata come volle esser trattato egli in questa vita. E
perciò quando state all'orazione, figuratevi tutti i disprezzi, contrarietà e
persecuzioni che possono avvenirvi, ed offeritevi con animo grande a soffrirli
tutti per Gesù Cristo, perché così nelle occasioni poi col divino aiuto vi
troverete più pronta ad accettarli.
13.
In quinto ed ultimo luogo dico che non solo bisogna accettare con pace i
disprezzi, ma sentirne anche contento e gaudio. Il buon religioso, diceva il B. Giuseppe Calasanzio, disprezza il mondo, e gode nell'essere
disprezzato dal mondo.41 Il Ven. P. Luigi da Ponte prima non
giungeva ad intendere come un'anima potesse trovar godimento nel vedersi
disprezzata, ma poi, quando egli fu più perfetto, ben l'intese e 'l
provò.42 Colle forze nostre certamente non possiamo arrivarvi,
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ma ben possiamo coll'aiuto della grazia, come ben vi giunsero i santi
Apostoli, i quali ibant gaudentes a
conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati
(Act. V, 41). In taluni, diceva il B. Calasanzio, si avvera la seconda parte contumeliam pati, di patire qualche
ingiuria, ma non si avvera però la prima ibant
gaudentes, di trovarvi godimento.43 Ma ciò fu quello che S. Ignazio
di Loiola venne dal cielo dopo sua morte ad insegnare a S. Maria Maddalena de'
Pazzi, dicendole che la vera umiltà consiste nell'aver gaudio in tutte quelle
cose, che possono indurci al disprezzo di noi stessi.44
14.
Non tanto godono i mondani negli onori che loro son fatti, quanto godono i
santi nel vedersi vilipesi. Fra Giunipero francescano. quando riceveva
ingiurie, prendeva la sua tonaca e ne faceva un seno, come accogliesse
gemme.45 S. Giovan Francesco Regis, quando nella conversazione co' suoi
religiosi si vedeva posto in burla, non solo ne godeva, ma procurava di dar
fomento ancora alle sue derisioni.46 Perciò i santi par
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che
altro non sapessero desiderare in questa terra che di patire e d'esser
disprezzati per Gesù Cristo. Apparve a S. Giovanni della Croce un giorno il
nostro Salvatore colla croce sulle spalle e coronato di spine, ed in tal figura
gli disse: Giovanni, cercami quel che vuoi. Il santo rispose: Domine, pati et contemni pro te.47
Come se avesse voluto dire: Signore, vedendovi così addolorato e disprezzato
per amor mio, che altro posso domandarvi che dolori e disprezzi? Disse Dio alla
B. Angela da Foligno che 'l segno per conoscere se veramente son sue le
illustrazioni che riceve un'anima, è il vedere se dopo quelle resta ella con
gran desiderio d'esser umiliata per di lui amore.48 Pertanto vuole Gesù
Cristo che non solo non ci disturbiamo nel ricevere le ingiurie e le
persecuzioni, ma che in quelle godiamo e giubiliamo per lo gran premio che
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egli ce ne apparecchia in cielo:
Beati estis cum maledixerint vobis et persecuti vos fuerint... gaudete et
exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis (Matth. V, 11 et 12).
15. Allorché una donzella sta
per entrare in alcun monastero e per consagrarsi a Gesù Cristo, sovra tutto
queste due cose io soglio raccomandarle, cioè l'ubbidienza e la tolleranza de'
disprezzi. E perciò ho voluto alquanto dilungarmi in questa materia, perché son
certo che senza far ciò mi pare impossibile che una religiosa possa avanzarsi
nella perfezione; ed all'incontro, s'ella abbraccerà con allegrezza i
disprezzi, tengo per certo che si farà santa. Humilis corde, diceva S. Paolino, cor Christi est.49 Quella monaca ch'è umile di cuore, com'è
chi gode in vedersi disprezzata, diventa il cuore di Gesù Cristo. Pertanto voi,
sorella benedetta, se avete da farvi santa, tenete per certo che dovrete essere
molto umiliata e vilipesa. Ancorché le vostre compagne fossero tutte sante, il
Signore disporrà che voi, se non sempre, almeno molte volte siate contrariata,
posposta alle altre, tenuta in poco conto, accusata e ripresa. Basta; Gesù
Cristo ben troverà il modo di farvi esser disprezzata per rendervi simile a
lui. Quindi vi prego di praticare ogni giorno quel bel documento, che il P.
Torres dava alle sue penitenti: Dite ogni
giorno un Pater ed un'Ave alla vita disprezzata di Gesù Cristo; ed offeritevi a
soffrire, non solo con pace, ma anche con allegrezza, per suo amore, tutte le
contrarietà e disprezzi ch'egli vorrà mandarvi, con cercargli sempre l'aiuto
per essergli in ciò fedele.50
Preghiera.
Gesù
mio, amor mio, com'è possibile che vedendo voi, mio Dio, così umiliato, sino a
morir da ribaldo su d'un patibolo, io sia così superba? Deh per li meriti de'
vostri disprezzi,
- 431 -
fate ch'io conosca le mie miserie e deformità,
acciocché abborrisca me stessa e soffra con pace per vostro amore tutte le
ingiurie che mi saran fatte. Ah che troppo amabili voi, mio Redentore, avete
renduti gli obbrobri all'anime che v'amano. Deh fate ch'io conosca la vostra
bontà e 'l vostro affetto, acciocché v'ami, ed abbracci ogni disprezzo per
darvi gusto. Fate ch'io discacci da me tutt'i rispetti umani, ed altro non miri
in tutte le mie azioni che il vostro compiacimento.
V'amo,
Gesù mio disprezzato, e propongo colla grazia vostra di non volermi più
risentire né lagnare per qualunque ignominia che mi sarà fatta. Da voi spero la
forza di eseguirlo.
Maria,
madre mia, soccorretemi voi colla vostra intercessione, pregate Gesù per me.
1
«Scite sanctus quidam doctor hos sui defensores et excusatores similes facit
erinaceo, qui dum a venatore se captum vel tractum iri sentit, quam celerrime
caput et pedes introrsum contrahit, et toto corpore spinis exhorrescens in
globum convolvitur, ut, nisi ab aculeis prius compungi velit, eum comprehendere
et capere nequeat, et, ut sanctus scriptor ille ait, «prius sanguinem suum quam
corpus ipsius videat». Tales sunt, inquit, excusatores sui ipsorum; nam si
quidem eos tangere, et quos commisere defectus exprobrare velis, quampridem se
ad instar erinacei defendunt, quin et de cruentabunt et pungent, dicentes, te eius,
quod sugillas, quoque reum esse; alias dicent, regula vetitum esse ne quis
fratrem delinquentem per se reprehendat; alias oggerent, ab aliis sane longe
peccari gravius, in illorum tamen peccata superiores belle connivere. Tange, inquam, erinaceum, et videbis num te pungat.» Alfonsus RODERICIUS, Exercitium
perfectionis, pars 2, tract. 3, cap. 28, num. 8.- In alcune edizioni, si dice, in
nota, questo santo scrittore esser S. Pier Damiani; il quale però al riccio
paragona non già il peccatore che si scusa, ma il demonio che ci tenta: «Sicut
enim ab hericio botrus exuitur acinis; sic a diabolo incautus quilibet homo
nudatur operibus bonis.» S. PETRUS DAMIANUS, Opusc. 53, De bono religiosi status et variorum
animantium tropologia, cap. 6. ML 145-770.
2 «Plerumque homines et culpas
confitentur, et humiles non sunt. Nam multos novimus qui, arguente nullo, peccatores
se esse confitentur; cum vero de culpa sua fuerint fortasse correpti,
defensionis patrocinium quaerunt, ne peccatores esse videantur.» S. GREGORIUS
MAGNUS, Moralia in Iob, lib. 22, cap.
15 (al. 13, al. 9), n. 33. ML 76-232.
3
«Mira perversitas! medicanti irascitur, qui non irascitur sagittanti! Est enim
qui sagittat in obscuro rectos corde
(Ps. X. 3), qui et te ipsum nunc sagittavit ad mortem; et in illum non
commoveris? Mihi indignaris, qui sanum te fieri cupio? Irascimini, inquit, et nolite
peccare (Ps. IV, 5). Si peccato irasceris.... quod
peccaras exterminas. Nunc vero et peccatum retines medicamentum respuendo, et peccare
apponis irrationabiliter irascendo.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 42, n. 3. ML 183-988, 989.
4 Eo
quod.... detraxerint
universae correptioni meae... Prosperitas stultorum perdet
illos. Prov.
I, 29, 30, 32.
5
S. BEDA IL VENERABILE, (Historia
ecclesiastica, lib. 3, cap. 8, ML 95-128) fa menzione di questa santa
badessa «Cuius (cioè dell' ottimo re «Earconbercto») filia Earcongota, ut
condigna parenti soboles, magnarum fuit virgo virtutum, serviens Domino in
monasterio quod in regione Francorum constructum est ab abbatissa nobilissima,
vocabulo Fara, in loco qui dicitur in Brige.» Il luogo chiamavasi «Eboriacas»,
ma il nome volgare era «Brige», da cui venne ed è tuttora chiamata «Brie» la
regione circostante. Ma poi l' uno e l' altro nome cedette a quello di
«Faremoutier». cioè «Farae monasterium». Il nome della fondatrice,
«Burgondofara» fu sostituito, fin dai tempi, come si vede, del Beda, con quello
«Fara». La Vita della santa badessa-
inserita, un tempo, nel terzo tomo delle Opere di S. Beda- fu scritta da
«IONAS, Abbas Elnonensis», lo stesso che scrisse la Vita di S. Colombano. Nel cap. 9, num. 15-17, della «Vita S.
Burgondofarae», ML 87-1079, 1080, si racconta il fatto qui riferito da S:
Alfonso. La disgrazia di quelle misere cominciò col non voler manifestare alla
madre, secondo l' usanza del monastero, e neppure, come è da credersi, nella
confessione sacramentale, le colpe loro. Fuggono dal monastero: ritrovate,
tornano «rugata fronte» (l. c., n. 15). Interrogate 174quae causa discendendi
coegisset,» rispondono «se fore telis stimulatas diaboli, et mentes nequaquam
habere posse directas». Indarno tuta la comunità s' impegnò a farle tornare a
migliori sentimenti. «Dum.... nequaquam cunctarum proficeret correptio, divina
ultione ambae percussae meritas luere didicere poenas... Anxia mater.. hortatur
iterato ut inter supremas horas per confessionem facinus pandant.» Qui è
evidente trattarsi della confessione sacramentale al sacerdote. «Cumque
obdurato corde nihil remedii capere vellent, inter flagella clamare coeperunt:
«Sustinete paululum, sustinete, nec prorsus exspectantes urgete.» Cumque aliae
inquirerent a quibus sustineri rogarent, aiut: «Non aspicitis turbas Aethiopum
adventantium, quae nos rapere et abducere volunt?» Cumque hae quae aderant
terrihbile dictu mirarentur, audiunt fragorem supra cellulam et tegumenta
personantia, ostiumque cellulae patefactum vi, ita ut nigrescentes umbras
astare cernerent, et voces crebro eas clamantes per nomina audirent... Mater
urget ut per confessionem pandant vitia, et sacri Corporis communione
roborentur. At illae, audita sacri Corporis mentione, garrire dentibus ac
frendere coeperunt et stridentes dicere: «Cras, cras;» et inetrin supradictam
vocem repetere: «Exspectate, exspectate, sustinete paululum, sustinete.» Inter quas voces extremum halitum dimiserunt.» (L. c., n. 16.) La loro tomba, separata da
quelle delle monache, fu per tre anni il teatro di orrendi prodigi. (L. c., n.
17.)
6
L' omilia 69 in Matthaeum, dell'
edizione usata da S. Alfonso, è l' omilia 68 della Patrologia di Migne: MG
58-639 et seq. In quella omilia (n. 1, 2: l. c. col. 639-642) S. Giov.
Grisostomo, spiegando la parabola «de agricolis homicidis (Matth. XXI, 33-41),»
mostra come i Giudei non si aprofittarono degli avvisi dati loro, prima dai
Profeti, poi da Cristo medesimo; anzi, offesi delle ammonizioni ricevute,
inveirono contro chi li voleva salvare. A questa condotta, il santo Dottore (n.
2, col. 641) oppone quella di Davidde «qui de parabola Nathani sententiam
tulit» contro se stesso, dolendosi della colpa commessa. E così appare come il
superbo geme di essere scoperto, l' umile di aver peccato. S. Alfonso, secondo
il metodo a lui familiare, riassume, in poche e chiare parole, una dottrina
largamente esposta.- Vedi il nostro vol. I, Appendice,
65, pag. 473.
7 «Multas age gratias illi qui
castigaverit te: illi qui increpaverit te, gratias repende. Si abbatissa vel priorissa
pro salute tua increpaverit te, non contristeris: cum monstraverit tibi viam salutis
tuae, suscipe doctrinam illius gratis.» Liber
de modo bene vivendi, ad sororem, cap. 18. Inter Opera S. Bernardi. ML 184-1232.- Questo opuscolo però non è di S.
Bernardo.
8
«O sarebbe di gran profitto, se vi fosse una compagna Religiosa particolare e
determinata, la quale accusasse tutte le nostre colpe, senza perdonarne pur
una.» Detti e sentenze, § 5, n. 13:
PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in
fine.- «Durò per nove anni continui a umiliarsi a una sua compagna, avanti alla
quale quasi ogni dì si rendeva in colpa de' difetti che le pareva
commettere.... Medesimamente durò molto tempo a dire la colpa de' suoi difetti
ogni dì avanti ad una sua novizia... e sino a che ella visse, sempre volle
avere una particolare, a cui ogni giorno ella s' umiliava de' suoi difetto.»
PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap.
135.
9 «Ipsa est perfectio nostra,
humilitas.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in
Ps. CXXX, n. 14. ML 37-1714.
10 «Verdaderamente, es de gran humildad
verse condenar sin culpa y calla, y es gran imitaciòn del Señor.... Y ansì os
ruego mucho traigàis en esto gran estudio, porque tray consigo grandes
ganancias... Pues cuando no hubiese otra ganancia sino la confusiòn que le
quedarà a la persona que os hubiere culpado de ver que vos sin ella os dejàis
condenar, es grandisimo: màs lvanta una cosa de estas a las veces el alma, que
diez sermones. Pues todas hemos de procurar de ser predicadoras de obras, pues
el Apòstol y nuestra inhabilidad nos quita que lo seamos en las palabras.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 15. Obras, III, 69, 71.
11 «Mi sono maravigliato poi come, sapendo V. R.
il mio genio ed il mio desiderio verso di lei, abbia avuto animo di scrivermi
che la giustifichi con N. N. Liberi Dio me da simile azione, e V. R. dal
perseverare in simile volontà... Vuole il suo Sposo Crocifisso, Re d' ignominie
e di obbrobri, ch' ella si mortifichi, e si uniformi col Capo, Maestro e Sposo
suo. La compatisco. Le faccende, credo io, di questi giorni passati, proprie
delle monache, e l' essersi esteriorata ne' soverchi complimenti, l' avrà fatto
dimenticare subito subito ciò che in quella settimana dolorosissima sentì del
suo Sposo, chiamato con titolo di Seduttore, e ciò per lei. E' impossibile che
abbia potuto di ciò ricordarsi, e prendere in mano la penna, e scrivermi in sua
giustificazione. Se ne vergogni, ed a' piedi del suo Crocifisso, scalza, con
una fune al collo, gli dimandi perdono della infedeltà, e poco amore con che
gli ha corrisposto. Si proponga nè in questa, nè in altra occasione mai non
giustificare nè scusare se stessa; ma dir sempre aver errato, ancorchè ne
avesse a morire crepando l' anima. Così per lei svergognato è morto lo Sposo
suo; così le ha comperata la corona della gloria. E così ella ha da procurarne
la gloria, e 'l possesso di Gesù Cristo. Non altro; mi raccomandi a Gesù
Cristo, pregandolo si degni non farmi partire un iota tutta la vita mia dalla
sua volontà, e dalla seguela delle sue ignominie.» SABBATINI, Vita, lib. 2, cap. 9.
12
«Scusarsi, quando anche fosse taluno accusato a torto, è cessare dall' essere
religioso.» Detti e sentenze, § 5, n.
12. PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in
fine.
13
«La (sua umiltà) si è manifestata nell' ardore con cui ha desiderate e
tollerate le più aspre umiliazioni, delle quali quelle che apparivano più
rigide, erano le sue dilette; e qualora veniva proclamato di alcun difetto nei
capitoli, non mancava mai di aggiungervi circostanze tali, che lo dimostrassero
più colpevole di quel che fosse. Siccome lavorava con gran fervore e con grande
speditezza, massime dacchè gli era stato dato il carico della cucina, sovente
gli accadeva di guastare e di rompere le cose che gli passavano per le mani:
immantinente andava ad accusarsene al P. abate, che ben consapevole delle sue
ottime disposizioni, non mancava mai di riprenderlo severamente. Ritornava un'
ora dopo, ad iscoprirgli qualche nuovo accidente che gli era seguito; e
quantunque l' abate, per dargli occasione di meritare, lo trattasse con
apparente rigore, egli sempre indirizzavasi a lui, per accusarsi di bel nuovo
dei suoi quotidiani difetti. Ma ciò che è più straordinario, si è che andava ad
accusarsi degli stessi mancamenti al padre priore e al padre sottopriore: anzi
non pago di questo, quasi per colmare l amisura, li manifestava sempre
pubblicamente in capitolo alla presenza di tutta la comunità.» Abate di RANCE', I prodigi della grazia espressi nella conversione di alcuni grandi
peccatori, morti da veri penitenti nel monastero della Trappa. Milano, 1715. Conversione e morte di Fra Pietro Durant, nativo
di Bonneville nella diocesi di Lisieux (+ 27 agosto 1689), pag. 192-194.
14
«L ' anima che accusandosi discuopre le sue colpe, merita che Gesù Cristo,
perdonando, gliene le ricuopra col suo sangue.» Detti e sentenze, § 5, n. 11. PUCCINI, Vita, 1671, in fine.
15 «Numquam super proximum
extollamur, numquam de nobis sublimia sentiamus; sed... cedamus aliis, et
inferiores haberi conemur.... nec umquam eis qui nobis
iniuriam intulerunt, adversemur... Haec enim optim aest philosophia...
Mansuetudine et lenitate iracundiam comprimamus. Nihil enim illa potentius,
nihil illa fortius.... Hoc enim certissimum signum quo internoscitur vir
ratione praeditus, si mansuetus fuerit, si lenis, si mitis, si modestus et
quietus: si non quasi servus ducatur et trahatur aut ab ira, aut ab aliis
affectionibus; sed ratione vincat infernos illos incompositos motus,
nobilitatemque suam servet, ne in brutorum ferociam negligentia degeneret. Et
ut discas quantum mansuetudinis et lenitatis sit robur... audi beatum Mosem
hinc potissimum praedicari... Et Moses, inquit,
erat mitissimus omnium hominum, qui super
terram (Num. XII, 3).» S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Genesim, hom. 34, n. 1. MG 53-313-
16
Nella lettura dei quattro volumi del P. CRASSET su la Storia del Giappone, forse ci è sfuggito l' episodio al quale
accenna qui S. Alfonso; ma non ci riesce dare indicazioni più precise.
17
«Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est
regnum caelorum. Multi sunt, qui orationibus et officiis insistentes multas
abstinentias et afflictiones in suis corporibus faciunt, sed de solo verbo,
quod videtur esse iniuria suorum corporum, vel de aliqua re quae eis aufertur,
scandalizati continuo perturbantur. Hi non sunt pauperes spiritu;
quia qui vere pauper est spiritu, se ipsum odit et eos diligit, qui eum
percutiunt in maxillam.» Opuscula S.
P. FRANCISCI, ad Claras Aquas, 1904, Verba
admonitionis S. P. N. Francisci, XIV (pag. 13), De paupertate spiritus.- Queste parole di S. Francesco vengono riferite con
qualche minuta differenza dai vari scrittori ed editori: Waddingus, B. P. Francisci Opuscula, Antverpiae, 1623, tom. 1, pag.
76, 77; Opera S. Francisci, Pedeponti,
1739, pag. 14; Bartholomaeus de Pisis,
Opus conformitatum, Mediolani, 1513, Conformitas
12, pars 2, fol. 122, col. 4: Lohner,
Bibliotheca concionatoria, v. Mansuetudo,
§ 3, n. 10; ecc.
18
«Vero humili quidquid adversi contigerit.... illico iudicat sese dignum ea
adversistate et aerumna... Sine perturbatione, sine molestia, cum omni
tranquillitate.» S. DOROTHEUS, Doctrina
II, n. 3. MG 88-1643.- «Videbit debuisse magis sese fratri illi gratias,
quam iniuriam referre, qui tantae sibi fuerit utilitatis occasio.» Doctrina VII, n. 3. MG 88-1699.-
«Perusadeas tibi esse antidota et medicinas contra superbiam animae tuae,
quidquid convicii, contumeliae et opprobrii tibi contigerit; et orato pro his
qui tibi conviciantur, tamquam pro veris medicis. Qui enim probra et contumelias
odio habet, odio habet humilitatem.» Doctrina XVIII, n. 3. MG 88- 1803.
19 «Non humiliatis, sed humilibus Deus
dat gratiam. Est autem humilis, qui humiliationem convertit in humilitatem, et
ipse est qui dicit Deo: Bonum mihi quod
humiliasti me (Ps. CXVIII, 71).» S. BERNARDUS, In
Cantica, sermo 34, n. 3. ML 183-961.
20 Quoniam
in igne probatur aurum et argentum, homines vero receptibiles in camino
humiliationis. Eccli. II, 5.
21
«La virtù senza prova non è già virtù: e la pazienza senza la sofferenza è una
leggier tintura, la quale sovente non ha che la scorza e l' apparenza del bene,
invece dell' essenza.» Detti e sentenze, §
5, n. 18: PUCCINI, Vita, 1671, in
fine.
22 «Abbas Moyses dixit fratri Zachariae:
«Dic mihi quid faciam?» Ille autem haec audiens, iactavit se pronus in terram
ad pedes eius, dicens: «Tu me interrogas, pater?» Dixit autem ei senex: Crede
mihi, fili Zacharia, quia vidi Spiritum Sanctum descendentem in te, et
propterea compellor interrogare te.» Tunc tollens Zacharias cucullum suum de
capite suo, misit illud sub pedibus suis, et conculcans eum, dixit: «Nisi ita
conculcatus fuerit homo, non potest monachus esse.» De vitis
Patrum lib.
5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio:
libell. 15, n. 17. ML 73-957.- Cf. De
vitis Patrum lib. 3, auctore probabili Ruffino,
n. 86: ML 73-775: lib. 7, auctore graeco incerto, interprete Paschasio, cap. 9, n. 2: ML 73-1032.
23
«Quareban, exempli causa, ex quodam de numero fratrum, qui totos iam quindecim
annos in coenobio traduxerat, cui Abbacyro nomen, quem potissimum ab omnibus
passim exagitari, et prope quotidie ab ipsa mensa per ministros propelli
videbam (erat enim linguae natura aliquantulum intemperantioris), hunc ergo
affatus: «Quid est, inquam, Abbacyre frater, quod te quotidie a coena reiici
videan, et incoenatum ad somnum proficisci?».- «Crede
mihi, pater, inquit, mei patres explorant animum meum, an sim aptus ad vitam
inter monachos degendam... Quam ego mentem magni praesulis nostri et aliorum patrum cum probe
perspectam habeam, omnia aequo animo sustineo... Mihi in
religionis ingressu patres testati sunt, consuesse illos ad tricesimum usque
annum suos tirones... exercere. Et merito hoc, pater Ioannes: sine examine
quippe, seu igne, aurum non politur et perficitur.» Hic ergo generosus
Abbacyrus biennio postquam adveneran, excessit e vita, patres... intermorituris
vocibus allocutus: «Grates, inquit, grates Domino, et vobis, a quibus salutis
meae causa ab daemonum insultibus decem ecce et septem annos liber fui.» Hunc
aequissimus illorum antistes, tamquam confessorem cum sanctis illic sitis
patribus mortuum collocari iussit.» S. IO. CLIMACUS, Scala paradisi, gradus 4. MG 88-694, 695.
24 S. BERNARDUS, Epistola 280, ad Dominum Papam Eugenium, n. 1. ML 182-485.
25
«In un sermone o esortazione domestica.... ci narrò una conferenza avuta colla
Madre Maria Diaz sopra cinque fonti, che vi avea di patire senza propria colpa,
i quali parimente erano fonti di grandissimi meriti... Il quarto fonte si è
sofferire i disonori, i dispregi e' danni, che ci si aumentano per quelli che
patiscono le persone che ci appartengono... enelle religioni succede ciò più
ordinariamente... Or il sofferir... questi disonori con pazienza e con umiltà,
è un fonte di molti e grandi meriti. E il P. Baldassarre ci dicea che questo
era un boccon tutto polpa senza punto di ossa, per esser libero di propria
colpa.» Ven. LODOVICO DA PONTE, Vita, cap. 10, § 2.- «Giunse ad esser
superiore a tutti gli avvenimenti... Da quest' animo, veramente insuperabile,
nasceva quella forza ed efficacia con cui parlava nelle sue esortazioni dell'
amore e dell' affezione agli opprobri, e a sopportare i dispregi, persuadendo
a' suoi uditori che, quando loro occorressero, ne godessero: poichè aveva egli
sperimentato quanto per mezzo loro si vada innanzi nella virtù.» La stessa opera, cap. 40, § 2.
26
«Le carezze e le delizie dello sposo celeste sono gli affronti, le croci e i
tormenti.» Detti e sentenze, § 5, n.
23: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in
fine.- Onde la Santa, nell' «Esercizio spirituale» che «da se stessa compose e
notò.... il quale recitava ogni mattina a Sua Divina Maestà con indicibile
affetto,» dice: «Dipoi farai al tuo Padre Iddio, sposo e maestro, li seguenti
protesti: Primo, protesto d' eleggere
la più alta umiltà.... Ottavo, di
godermi nel dispregio e confusione, siccome Iddio si gode in se stesso.»
PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte
2, cap. 16, pag. 179, 181, 182.
27
Delle offerte e proteste a Dio, che faceva ogni mattina, questa era la IV:
«Protesto d' essere la più favorita degli afflitti e tribolati.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 2, cap. 16;
Venezia, 1671, cap. 81.- «Io ho per sospette quelle creature, le quali sono in
gran credito e stima; perchè sono nominate ed inalzate come anime grandi,
quando non le ama e stima se non qualcheduno. Per lo contrario mi rallegro di
conversare con persone sconosciute e disprezzate.» Detti e sentenze, § 5, n. 8: PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, in fine.- «Esortando le... sue figliuole
spirituali a compiacersi nell' umiliazione e nei dispregi, diceva: «Abbiate
grandemente a sospetto quelle creature stimate ed amate assai da ciascuna, e
per lo contrario godete di confersar con quelle poco apprezzate.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 31.-
«Per avere più comodità d' insegnare ed illuminar le anime, conversava più
volentieri con le più semplici, come sono le novizie minori e le converse. E
quando dai suoi parenti era mandata a visitare per mezzo di serve e di
servitori o di contadine, o che per altra occasione della religione le si
porgeva comodità d' avere a parlare a simil sorte di persone o fanciulli,
sempre dava loro qualche salutifero ricordo e ammaestramento.» PUCCINI, Vita, 1671, cap. 104.
28
Tra le venti regole date alla santa da Gesù, e che le servirono tanto per la
propria perfezione quanto per l' ammaestramento delle anime religiose affidate
alla sua cura, vi sono queste due: «15. Avrai gran desiderio d' esser soggetta
a tutte, ed in orrore l' esser preferita alla minima.- 16. Non intenderai che
il tuo rifugio, riposo e sollazzo sia in altro, che nel dispregio e nell'
umiltà.» PUCCINI, Vita, Firenze,
1611, parte 1, cap. 10; Venezia, 1671, cap. 85.- «Le due basi o gangheri della
Religione sono il fervore di spirito e il disprezzo del mondo e di se stesso.-
La nostra perfezione sopra questi due poli s' aggira, nel desiderio di essere
sottoposta a tutte, e nell' orrore di esser preferita neppure alla minima di
tutte.» Detti e sentenze, § 2, n. 10;
§ 5, n. 14: PUCCINI, Vita, Venezia,
1671, in fine.
29 «Nunc incipio discipulus esse.» S.
IGNATIUS MARTYR, Epistola ad Romanos, V.
MG 5-691.
30 «Totam noctem suspirio ac pituita aestuans
Bustamantius, cum nihil nisi tussisset et excreasset; ubi diluxit, animadvertit
nequaquam, sicut putabat, in parietem foedissimas sordes, sed in Franciscum, ac
saepe in ipsum os eiectas, tacito atque immoto illo. Cumque ad eam speciem
confusus cohorruisset, vetuit Franciscus angi: locum enim nullum consputatu
digniorem fuisse.» Franciscus SACCHINUS,
S. I., Historia Societatis Iesu, pars
3, lib. 8, n. 109.- BARTOLI, Vita, lib. 4, cap.
5.
31 «Elle balsait avec grande dévotion
les pieds du Crucifix, et souvent on la trouvait devant en oraison, le visage
fort embrasé et disant avec une grande ferveur à la sœur qui entrait, sans la
reconnaître: «Eh bien! que dirons-nous en voyant cet objet? Sera-y-il possible
que nous n' embrassions point le mépris en voyant Dieu réduit à une telle
extrémité?» André DU VAL, Vie... de la Bse Sœur Marie de l'
Incarnation (Mme Acarie), liv. 1, ch. 15.- «Hé bien! disait-elle en
montrant le Crucifix, que dirons-nous en voyant cet objet? pourrons-nous
trouver quelque chose dure? qu' y a-t-il de quoi nous nous puissions plaindre,
voyant le Fils de Dieu réduit à une telle extrémité?» MARIN, Vie, ch. 27.
32
«Suor Maria dell' Ascensione, monaca di Siviglia nel monastero della Madonna
delle Grazie, se sentiva qualche parola pungente o molesta, subito ella
ricorreva al Santissimo per ringraziarnelo, e poi diceva con una sincerità
ammirabile: «Ecco, Signore, un presente che io offerisco: vi prego, ricevetelo,
perdonate alla mia sorella, la quale non pensava a quel che ha detto.» Paolo de BARRY, S. I., Solitudine di Filagia, Settimo giorno,
(primo) trattenimento spirituale. Milano (senza data), p. 268.
33
SABBATINI, Vita, lib. 1, cap. 10. -
Vedi Appendice, 14.
34 «Mitis enim homo et sibi suavis et aliis
utilis est: iracundus vero et sibi insuavis, et aliis noxius. Nihil enim
ingratius homine iracundo; ut eo qui irasci nescit nihil iucundius. Cum fera
habitare melius est, quam cum tali homine. Fera namque, quando semel cicuratur,
suam servat legem; illum autem quoties placaveris, toties iterum efferatur...
Saepe quis verbum ex ira profert, quod ut reparet, tota vita opus habet; et
aliquid operatur, quod totam eius vitam subvertat. Quod autem gravissimum est,
brevi tempore, uno opere, uno verbo saepe aeternis privamur bonis... Quamobrem,
rogo, omnia faciamus, ut habc feram frenemus.» S.
IO. CHRYSOSTOMUS, In Acta Apostolorum hom.
6, n. 4. MG 60-62.
35 «Talis mitium est vita: mitis
orphanorum pater est, viduarum patronus... Et
filio reverendus est pater mitis et filius patri; et observandus domino est
servus, et nihil ita conciliat domino familiares, ut quod illum vident erga
omnes modeste se gerere, et mansuetudine cunctuis iucundum.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De mansuetudine sermo. (Si dubita se sia
del Grisostomo). MG 63.551.
36
«Cum aliquot iam menses crudum arduumque novale (apud Amanguntianos) tractasset
(Xaverius), ac, nullodum (i. e. nullo adhuc: Forcellini) fructu, divini verbi semina proiecisset; tandem e
proscisso ac saepius iterato solo, christianae fidei germen emicuit. Germinis eius origo fuit eiusmodi. Concionanti, ut solebat, in publica via Fernando
(Ioanni, Xaverii socio in illa expeditione), praeteriens e plebe nescio quis,
attracta praepingui saliva, repente in mediam inspuit faciem. Ille, sine
perturbatione ulla, sputum linteolo abstergit: ac ne verbo quidem reddito,
coeptam orationem eodem prorsus tenore vultuque prosequitur. Id contemplatus ex
auditoribus quidam haud imperitus rerum aestimator... coepit cogitare apud se: profecto
nobilissimum atque adeo divinum philosophiae genus esse, quod homines ad tantam
aequitatem animi constantiamque perduceret. Dimissa dein concione, domum ad
Fernandum venit; praecipua christianae fidei capita legesque probe cognoscit:
postremo, certis precationibus, Mosique decalogo, ac symbolo Apostolorum e
catechismi formula memoriter haustis, Amangutianorum omnium primus, anteactae
vitae detestatus peccata, sacro fonte renascitur. Hunc alii deinceps divino
impulsu imitati, quorum ad quingentos brevi pervenit numerus; et quidem ita in
proposito firmi stabilesque, uti per varias deinde clades et bellica
infortunia, et nefarias Conziorum conspirationes, magistris ac pastoribus haud
semel orbati, suis tamen ipsi moribus ac vitae ratione, christianam fidem et
disciplinam in hoc usque tempus religiose coluerint.» I. P. MAFFEIUS, S. I., Historiarum
Indicarum libri XVI, Venetiis, 1589, lib. 14, fol. 237, pag. 1.
37
GALLIZIA, Vita, lib. 2, cap. 6 (in
fine).- «J' espère que Dieu me fera la grâce d' endurer plus d'
injures qu' il (un ministre protestant) ne m' en saurait dire; et si nous
sommes bravement humiliés, Dieu sera magnifiquement exalté. Vous verez des
conversions à tas ensuite de cela, mille tombant à gauche et dix mille à
droite. C' est la pratique de Dieu, de tirer son honneur de notre humiliation.»
CAMUS-Collet, Esprit de S. Francois de
Sales, partie 1, ch. 23.
Le
edizioni primitive di Napoli e di Venezia avevano predicanti invece di protestanti:
l' autore corresse nell' ed. napoletana del 1781 (Mich. Stasi).
38
Non ci è dato sapere se e dove sia questo detto fra le Opere del santo Dottore.
39 «Bien serà. hermanas, deciros qué es
el fin para que hace al Señor tantas mercedes en este mundo. Aunque en los
efetos de ellas lo habréis entendido, si advertistes a en ello, os lo quiro
tornar a decir aqui, porque no piense alguna que es para sòlo regalar estas
almas, que seria grande yerro, porque no nos puede su Majestad hacèrnosle
mayor, que es darnos vida que sea imitando a la que viviò su Hijo tan amado; y
ansi tengo yo por cierta, que son estas mercedes para fortalecer nuestra
flaqueza, como aqui he dicho alguna vez, para poderle imitar en el mucho
padecer.» S. TERESA, Las
Moradas, Setimas Moradas, cap. 4. Obras, IV, 202.
40
«Io non desidero altro in questa vita,» sono parole sue in una lettera, «che
veder le mie figlie sempre mortificate sotto i piedi di tutti. Vorrei che non
dicessero parola, ma benedicessero Dio nell' interno, e nell' esterno ne
mostrassero giubilo ed allegrezza. Mi creda, che fra le maggiori grazie che le
può fare il Signore, una principalissima è il farla degna di patire, e di
essere calunniata da tutte le creature senza trovar credito presso ad alcuna.
Quando Gesù Cristo le fa in qualche parte questa misericordia, ne lo benedica.»
SABBATINI, Vita, lib. 2, cap. 5.
41 «Bonus religiosus spernit mundum, et
gaudet sperni ab eo.» TALENTI, Vita, lib.
7, cap. 9, III, 20.
42
«Io l' udii (il V. P. Baldassarre Alvarez) alcune volte a solo a solo parlare
di questi tre compagni di Gesù (Povertà, Disprezzo e Dolore, ossia Povertà,
Umiltà, Pazienza) con tanto sentimento e fervor di spirito, che mi
lasciava stupito ed acceso, e con
desiderio d' imitar il fervore e l' attenzione, con cui egli si univa a questa
compagnia per imitare il suo maestro; e penso certo che per le sue orazioni mi
fece allora Iddio Nostro Signore mercede di darmi un vivo disinganno in simile
materia. Imperciochè meditando io queste medesime tre cose, e sentendo sì gran
difficoltà in amare i disonori, gustar de' disprezzi, che pareami quasi
impossibile, attesa la mia gran fiacchezza, un dì, ch' io stava in orazione
innanzi al Santissimo Sacramento, sentii all' improvviso un raggio di luce, che
passò come un baleno, e mi mostrò esser molto possibile amare il disprezzo e il
disonore, e di amarli sì di cuore e con tal voglia, con quanto gli uomini del
secolo aman l' onore, e mi animai a procurar questo amore con isperanza di
conseguirlo.» Ven. LODOVICO DA PONTE,
Vita del Ven. P. Baldassarre Alvarez, cap.
47 (verso la fine).
43
«In un giorno di quei, nè quali a stato di maggiori villanie caricato, con un
suo religioso confidentemente assai ragionando egli, tutto gioviale in volto,
potè confessargli dicendo: «Già sono arrivato a far quello che di sè dice l'
Apostolo: Pro nomine iesu contumeliam
pati. Questo è un punto assicurato. Procuriamo adesso di guadagnare il
primo, che dice: Ibant Apostoli
gaudentes.» INNOCENZIO DI S. GIUSEPPE, delle Scuole Pie, Vita (Roma, 1734), lib. 4, cap. 13.
44
PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte
2, cap. 12.- Vedi Appendice, 15.
45
«Incredibilia pene videntur quae fecit
et dixit (B. Iuniperus) ad imam sui deiectionem, nec alius quisquam tam
honoris avidus, quam hic vituperii. Proinde cum ab aliquo afficeretur
opprobriis, fimbrias pauperis lacernae expandens, dicebat ei: «Amice, proiicias
huc liberaliter, imple gremium lapidibus istis pretiosis, imple, ne timeas;»
iniurias et opprobria lapides appellans pretiosos.» Lucas WADDINGUS, Annales
Minorum, I, Romae, 1731, anno 1210, XXXVI.- I, Romae, 1731, anno 1210,
XXXVI.- MARCO DA LISBONA, Croniche del P.
S. Francesco, parte 1, lib. 6, cap. 36.
46 «Quand on le raillait dans les
conversations, il montrait une complaisance qui faisait sentir combien il
prenait de plaisir à voir les autres rire à ses dépens; il usait même alors d'
artifice, pour faire durer le sujet de conversation, afin de satisfaire son
goût pour l' humiliation.» DAUBENTON, S. I., Vie, lib. 5, 292.
47
«Stavasi il Santo di notte... in chiesa orando dinanzi una immagine di pittura
(e non di rilievo....) rappresentante Cristo con la croce sulle spalle, per la
qual compassionevol figura aveva Giovanni gran divozione. Quando sentì da essa
uscire una voce che pronunziò: «Giovanni, qual premio vuoi per quel che hai
fatto e patito?».... Non esitando punto nella scelta, soddisfece a Gesù in
questi accenti: «Non voglio, Signore, altro premio che patire ed essere
disprezzato per voi.»... Quantunque dipingendo e raccontando questo successo,
il costume porti di esprimere i due motti in lingua latina, così. Iohannes, quid vis pro laboribus? - Domine,
pati et contemni pro te; contuttociò, dalla maniera che tengono gli autori
di stenderli nella lingua in cui scrivono, mi persuado che favellò Cristo a
Giovanni, e rispondesse Giovanni a Cristo in castigliano.» MARCO DA S.
FRANCESCO, Vita, lib. 3, cap. 1, n.
10. Opere del santo. III, Venezia,
1747.
48
(Parla la Santa:) «Ad declarandum autem utrum esset verun quod dicebat...
quaerebam quod ipse daret vel diceret aliquod signum corporale... Et ipse respondit: «Istud quod quaeris, est signum quod daret tibi solum
laetitiam.... quando illud videres... sed non traheret te de dubio.... Ego
autem dabo tibi signum melius... quod signum erit tecum continue in anima tua,
et quod semper senties. Signum autem erit istud: Tu semper eris fervens in
amore et de amore Dei, et illuminata cognitione Dei intus in te. Hoc autem
signum sit tibi certissimum quod ego sum, quia hoc signum non potest facere
alius nisi ego; et hoc est signum quod ego dimitto intus in anima tua, quod
tibi est melius alio quod petisti. Dimitto in te unum amorem de me, quo anima
tua erit ebria, fervens, et calida assidue de me; ita quod tribulationes amore
mei tolerabis; et si quis dixerit tibi malum, vel fecerit, tu habebis in
gratia, et clamabis te indignam tali gratia. Istum enim amorem habui ego ad
vos, qui fuit tantus, quod pro vobis omnia sustinui patienter et cum
humilitate. Tunc igitur cognosces quod ego sum in te, si quando quis dixerit,
vel fecerit malum tibi, tu habeas non solum patientiam, sed hoc habeas in magno
desiderio, et pro gratia; et hoc est certum signum gratiae Dei....» V. F. Arnaldus, O. M., B. ANGELAE
FULGINATIS Vita et Opuscula, Fulginae,
1714, pars 3: De sua multiplici visione
et consolatione, cap. 10, pag. 80, 81.
49 «Omnis anima fidelis ex Deo est, et
humilis corde cor Christi est.» S. PAULINUS, Nolanus episcopus, Epistola 23, ad Severum, n. 5. ML 61-259.
50
Antonio de TORRES, Pio Oper., Gesù povero e disprezzato, Napoli, 1767,
Avvertimenti spirituali (pag. 11),
cap. 3 (pag. 15): «Ogni giorno visiti il Crocifisso, e dopo d' avergli detto in
onore della sua vita disprezzata un Pater
ed Ave, colla faccia per terra si
offra per amor suo a tutti i disprezzi, obbrobri ed ignominie del mondo. Quando
va a letto la sera, se dopo l' esame di coscienza si ricorda che non ha in quel
dì sofferta qualche ignominia per Dio, ne pianga, e stimi quasi come perduta
quella giornata.»
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