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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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§ 2 - Dalla pazienza nell'infermità, povertà, disprezzi e desolazioni.

1. In primo luogo dee praticarsi la pazienza nell'infermità.

Le infermità sono la pietra paragone, dove si scovre lo spirito d'una persona, s'è oro o rame. Alcune religiose, quando godono sanità, sono allegre, pazienti e divote; ma quando poi son visitate da qualche malattia, allora fanno mille difetti, e paiono inconsolabili: perdono la pazienza con tutte, ancora con chi le assiste per affetto di carità: si lagnano d'ogni dolore o incomodo che patiscono: si lamentano di tutti, del medico, della superiora, delle infermiere, dicendo che sono trascurate, e che poco le assistono. Ecco l'oro che si è scoverto rame. - Ma come, padre mio, dice quella, io patisco tanto, e non posso neppure lamentarmi e dire quel che patisco? Io non vi proibisco di palesare i vostri dolori, quando son gravi; ma quando son leggieri, è debolezza il lagnarvene con tutte, e voler che tutte vi sieno intorno a compatire. E se i rimedi non giungono a liberarvi da' vostri patimenti, voglio che non ve n'impazientiate,


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ma con pazienza vi rassegniate al volere di Dio. - Quell'altra dice: Ma dov'è la carita? Vedete come queste mie sorelle si sono scordate di me, e mi hanno abbandonata in questo letto! Povera inferma, io vi compatisco non per l'infermità del corpo, ma per la poca pazienza che ci avete, la quale vi rende doppiamente inferma, di corpo e d'anima. Le sorelle si sono scordate di voi; ma voi vi siete scordata di Gesù Cristo, che morì abbandonato per amor vostro su d'una croce! E che serve a lamentarvi di questa e di quell'altra? lamentatevi di voi, che avete poco amore a Gesù Cristo, e perciò avete tanta poca pazienza. Diceva il B. Giuseppe Calasanzio: Se vi fosse pazienza negl'infermi, non vi sarebbero più lamenti.1 Scrive Salviano che molte persone, se fossero di buona salute, non potrebbero esser sante: Si fortes fuerint, sancti esse non possent (Lib. 1, de gubern. Dei).2 Come in fatti, parlando specialmente delle donne sante, si legge nelle loro Vite che quasi tutte sono state piene di diverse infermità. S. Teresa per quarant'anni non ebbe un giorno senza dolori.3 E perciò soggiunge Salviano che le persone dedicate all'amor di Gesù Cristo, stanno inferme, ed inferme vogliono essere: Homines Christo dediti, infirmi sunt et volunt esse (Loc. cit.).4

2. Dice quell'altra: Io non ricuso di star inferma, ma mi dispiace che, stando così, non posso andar al coro, non comunicarmi,


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non fare orazione, e son di peso al monastero. Lasciate ch'io vi risponda ad uno ad uno. Ditemi: Perché volete andare al coro a dir l'Officio ed alla chiesa a comunicarvi? Per dar gusto a Dio? Bene; ma se 'l gusto di Dio è che voi non andiate né a dir l'Officio ne a far la Comunione, ma che ve ne stiate in questo letto a patire, perché avete da affliggervi? Il P. M. Avila (Epist. 2) ad un sacerdote infermo scrisse così: Amico, non istare a far il conto di quel che faresti essendo sano, ma contentati di star infermo per quanto a Dio piacerà. Se tu cerchi la volontà di Dio, che cosa più t'importa lo star sano che infermo?5 Anzi dicea S. Francesco di Sales che si serve più Dio col patire che coll'operare.6 - Dite che stando infermo, non potete fare orazione. E perché non potete fare orazione? Concedo che non potrete applicar la mente a meditare, ma perché non potete guardar il Crocifisso ed offerirgli le pene che soffrite? E che più bella orazione di questa, che patire e rassegnarvi alla divina volontà, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo, e così presentarli a Dio? - Dite che, stando così, siete inutile e portate peso alla comunità. Ma siccome voi vi uniformate al voler di Dio, così dovete anche voi supponere che si uniformino le vostre sorelle, vedendo che voi, non per vostra colpa, ma per voler di Dio, apportate questo peso al monastero. Eh che questi desideri e lamenti


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non nascono dall'amore a Dio, ma dall'amor proprio; poiché vorressimo servire il Signore, non come piace a lui, ma come piace a noi.

3. Eh via, abbracciatevi con pace voi tutte le infermità che Dio vi manda, se volete veramente dargli gusto, e volete insieme dar buon esempio alle vostre sorelle. Oh che bella edificazione una religiosa la quale, con tutti i dolori che patisce, ed anche in pericolo di morte in cui si trovasse, si fa vedere con volto sereno, non si lamenta né de' medici né delle monache, ma tutte ringrazia di quell'assistenza, o molta o poca, che le fanno, ed accetta con ubbidienza i rimedi che l'applicano, per quanto amari o dolorosi che sieno. Santa Liduvina, come narra il Surio, per 38 anni stiede sovra una tavola, abbandonata, coverta di piaghe e cruciata da' dolori, e non mai si lamentò di niente, ma tutto abbracciò con pace.7 La B. Umiliana di Firenze francescana, patendo diversi morbi dolorosi e violenti, alzava le mani al cielo, dicendo sempre: Siate benedetto, amor mio, siate benedetto.8 S. Chiara similmente per 28 anni stiè sempre inferma, e non mai le uscì dalla bocca un minimo lamento.9 S. Teodoro abbate in tutta


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la sua vita soffrì una piaga dolorosa, e dicea che il Signore ce la dava per poterlo continuamente ringraziare, come in fatti egli sempre così facea (Sur. 22 april.).10 Quando patiamo qualche dolore, diamo un'occhiata a tanti santi martiri, a cui furon lacerate le carni con unghie di ferro o pure bruciate con piastre infocate, e così pigliamo animo ad offerire a Dio quel dolore che soffriamo.

Alla pazienza nelle infermità va unita ancora la pazienza nel rigore delle stagioni. Allorché fa molto freddo o molto caldo, taluna s'inquieta e si lamenta, specialmente se allora le mancano quelle vesti o quei sollievi che vorrebbe. Voi non fate così, ma benedite queste creature, come ministre della volontà di Dio, e dite con Daniele: Benedicite ignis et aestus Domino. Benedicite gelu et frigus Domino (Dan. III, v. 66 et 69).

4. Sopra tutto in tempo d'infermità dobbiamo accettare con pazienza la morte, se mai per noi è giunta, e quella morte che Dio vorrà. E che cosa è mai questa vita, se non una continua tempesta, dove stiamo sempre in pericolo di perderci? S. Luigi Gonzaga, morendo nel fiore di sua gioventù, abbracciò allegramente la morte, dicendo: Ora mi ritrovo, come spero, in grazia di Dio; appresso non so che ne sarebbe di me; onde contento io lascio questa terra, se ora piace a Dio di chiamarmi all'altra vita.11 - Ma direte voi: S. Luigi era santo, io son peccatrice. Ma udite quel che vi risponde il P. M. Avila: che ognuno il quale si ritrova con buona disposizione, ancorché mediocre, dee desiderar la morte, per evitare il pericolo di perdere la divina grazia, nel quale sempre si sta vivendo


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su questa terra.12 Che più bella cosa che assicurarci con una buona morte di non potere più perdere Dio! - Ma io, replicate voi, sinora non ho acquistato niente per l'anima; vorrei vivere per far qualche cosa prima di morire. Ma se Dio vi chiama all'altra vita, come sapete voi che appresso non fareste peggio di prima? e che, cadendo in altri peccati, non vi dannereste? E poi, s'altro non fosse, noi dobbiamo con pace abbracciar la morte quando viene, perché quella ci libera da' peccati. In questa vita niuno vive esente da' peccati, almeno leggieri; quindi dice S. Bernardo: Cur vitam desideramus, in qua quanto amplius vivimus, tanto plus peccamus? (Medit. cap. 8):13 Perché desideriamo di vivere, sapendo che quanto più si moltiplicano i nostri giorni, più si moltiplicano le nostre colpe? Inoltre, se amiamo Dio, dobbiam sospirare di andare a vederlo e ad amarlo da faccia a faccia in paradiso; ma se la morte non ci apre la porta, non possiamo aver l'entrata in quella patria felice. Perciò esclamava a Dio l'innamorato S. Agostino: Eia moriar, Domine, ut te videam:14 Signore, fatemi morire, acciocch'io possa venire a vedervi.

5. In secondo luogo bisogna aver pazienza negl'incomodi della povertà, quando ci mancano i beni temporali.

Che cosa può bastare, dice S. Agostino, a chi non basta


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Dio? Quid tibi sufficit, cui Deus non sufficit?15 Chi ha Dio, ha tutto, ancorché gli manchino tutte l'altre cose; onde allora può dire: Deus meus et omnia. Perciò dice l'Apostolo che i santi non hanno niente, ma possedono tutto: Nihil habentes et omnia possidentes (II Cor. VI, 10). Quando dunque vi mancano i rimedi nelle infermità, vi manca il cibo, vi manca il fuoco d'inverno, vi manca la veste, dite: Dio mio, tu solo mi basti; e così consolatevi.

6. Così parimente abbracciatevi le perdite delle creature, come delle robe, de' parenti, delle amiche. Taluna se perde una bagattella, un libro, un cerino, una medaglia, rivolta tutto il monastero, e non può darsene pace. Se poi le muore un parente, una monaca affezionata, resta inconsolabile; lascia l'orazione, lascia le comunioni, e si fa impaziente con tutte; si chiude nella sua cella, non vuole prender cibo, discaccia chi la viene a consolare. E bene? io direi a costei: e questo è l'amore che portate a Dio? Dunque non è vero che Dio era ogni vostro bene, mentre si vede che ora, avendo perduta una creatura, non trovate più pace, e par che non vi curate più di Dio. Ditemi che ne ricavate con questo abbandonarvi alla malinconia? Pensate forse di piacere alla persona defonta? No, voi dispiacete a Dio ed ancora a colei. Quanto più grato le sarebbe che voi, uniformandovi alla divina volontà, vi applicaste non a piangere né ad urlare da matta, con rendervi impraticabile, ma ad unirvi più con Dio e pregare per lei se si ritrova nel purgatorio. Lo spargere qualche lagrima nella morte de' suoi è debolezza che si concede alla natura; ma il troppo dolersene è debolezza di spirito e d'amore a Dio. Le religiose sante anche sentono le morti delle persone lor care, ma pensando che così ha voluto Dio, subito si rassegnano, e con pace vanno a pregare per esse, ed indi accrescono le orazioni, accrescono le comunioni, e più si stringono con Dio, ravvivando la speranza di andare un giorno unitamente a goderlo in paradiso.

7. Altre monache poi che fanno le più divote, non tanto si affliggono della perdita de' parenti ed amiche, quanto della


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perdita de' loro direttori; e par che allora vorrebbero quasi pigliarsela con Dio, dicendo che l'ha abbandonate, con toglier loro l'aiuto e la guida spirituale. Oh che pazzia! Dio è quello che ci ha da far santi, non il confessore. Vuole bensì il Signore che noi non lasciamo il direttore, sempre che l'abbiamo, per intender da esso quel che vuole Dio da noi. Ma quando Dio ce lo toglie, sarà sua cura di darcene un altro o di supplire in altro modo. L'inquietarci dunque, allorché ci manca il solito direttore, non è spirito, ma è imperfezione ed imperfezione grande; poiché una tale inquietitudine16 o nasce da qualche attacco di terra o almeno nasce da difetto di confidenza in Dio. Pertanto voi, sorella benedetta, se avete il vostro direttore, procurate di starne sempre sciolta, pronta a starne priva, sempre che così vuole Dio. E quando egli vi lasciasse, o il Signore se lo chiamasse all'altra vita, dite allora con Giobbe: Dominus dedit, Dominus abstulit...: sit nomen Domini benedictum.17 Allora voi ben potete seguitar le regole ch'egli v'ha date, finché troviate altro direttore a proposito: e frattanto nelle cose occorrenti regolatevi col confessore ordinario, il quale, comunemente parlando, può dirsi la guida più sicura, perché quegli vi è assegnato da Dio, e il direttore particolare ve lo scegliete voi.

8. In terzo luogo bisogna praticar la pazienza ne' disprezzi e persecuzioni.

Ma io non ho mancato a niente, dite voi, perché ho da patire quest'affronto? perché ho da essere perseguitata? Questo non lo vuole Dio. Ma voi non sapete la risposta che diede Gesù Cristo a S. Pietro martire, il quale si lagnava di star carcerato a torto, dicendo: Ma, Signore, che male ho fatt'io, che ho da partire questa mortificazione? E il Crocifisso gli rispose: Ed io che male ho fatto, che ho dovuto esser trafitto in questa croce?18 Se dunque, sorella mia, il vostro Redentore


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ha voluto abbracciar la morte per vostro amore, non è gran cosa che voi abbracciate cotesta mortificazione per amor suo. È vero che Dio non vuole il peccato di chi v'ingiuria o vi perseguita; ma ben vuole che voi soffriate questa contrarietà per suo amore, ed anche per vostro bene. Quantunque, dice S. Agostino, noi non abbiamo la colpa che ci viene imputata, abbiamo nondimeno gli altri nostri peccati, che meritano un tal castigo, e castigo assai più grande di quello: Esto non habemus peccatum quod obiicitur, habemus tamen quod digne in nobis flagelletur (S. Aug., in Psalm. 68).19

9. Tutti i santi sono stati perseguitati in questo mondo. S. Basilio fu accusato come eretico appresso S. Damaso Papa. S. Cirillo Alessandrino fu di più condannato come eretico da un concilio di quaranta vescovi, ed indi fu privato del vescovado. S. Atanasio fu accusato come stregone. S. Giovan Grisostomo come disonesto. S. Romualdo in età di cento e più anni fu incolpato d'un peccato enorme, per cui v'era chi dicea che il santo meritava d'esser bruciato vivo. S. Francesco di Sales fu infamato di aver pratica impudica con una donna di mondo, e stiede per tre anni con questa taccia sopra, finché poi si scovrì la sua innocenza.20 Narrasi ancora di S. Liduvina che un giorno entrò una donna nella sua stanza, e cominciò a maltrattarla colle ingiurie più atroci che posson


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dirsi, e perché la santa se ne stava nella sua solita pace, quella tigre, più infuriandosi, si pose a sputarle in faccia; e vedendo che la santa neppure se ne turbava, posesi a gridare come pazza.21 Non v'è rimedio, dice l'Apostolo: Omnes qui pie volunt vivere in Christo Iesu, persecutionem patientur (II Tim. III, 12). Tutti quei che voglion seguir Gesù Cristo, hanno da esser perseguitati. Se non vuoi alcuna persecuzione, parla S. Agostino, dei temere che forse non hai ancor cominciato a seguir Gesù Cristo.22 Chi più innocente e santo del nostro Salvatore? e pure gli uomini giunsero a perseguitarlo tanto, che 'l fecero morire lacerato e svergognato sopra d'una croce. Quindi S. Paolo, affin di animarci a soffrire con pace le persecuzioni, ci esorta a tener sempre innanzi alla mente il Crocifisso: Recogitate... eum qui talem sustinuit a peccatoribus adversum semet ipsum contradictionem (Heb. XII, 3). Stiam sicuri che quando noi soffriamo con pace le persecuzioni, Dio prenderà la difesa della nostra causa, e se mai permetterà


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che in questa terra restiam disonorati, lo farà per rimunerare poi la nostra pazienza con onori più grandi nell'altra vita.

10. In quarto ed ultimo luogo dobbiam praticar la pazienza nelle desolazioni di spirito, che sono le pene più sensibili e più dure che può trovare in questa terra un'anima che ama Dio.

Quando l'anima è assistita dalle divine consolazioni, tutte le ingiurie, i dolori, le perdite e le persecuzioni non solo non l'affliggono, ma vie più la consolano; dandole occasione allora di offerire al suo Signore quelle pene, e con tali offerte di stringersi più col suo diletto. La pena amara d'un'anima amante è il vedersi senza divozione, senza fervore, senza desideri, svogliata e tediosa nell'orazione e nella comunione. Ma dice S. Teresa che Dio maggiormente prova il loro amore allora quando elle senza gusto, anzi con angoscia e pena, sieguono pazientemente il lor cammino. Dice la santa: Con aridità e tentazioni fa prova il Signore de' suoi amanti.23 La B. Angela da Foligno, vedendosi in tale stato di aridità, si lamentava con Dio come così l'avesse abbandonata: No, figlia, le rispose il Signore, ora t'amo più di prima, e più ti accosto a me.24 Alcune religiose principianti, vedendosi desolate, si


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stimano come abbandonate da Dio o pure pensano che non faccia per esse il cammino della perfezione, e così lasciano la via intrapresa, cominciano a dar libertà ai sensi e perdono quanto han fatto. State attenta voi, non vi fate ingannare dal nemico; quando vi trovate in aridità, state costante e non lasciate niente de' vostri soliti esercizi divoti. Umiliatevi allora e dite che così meritate d'esser trattata per li vostri peccati. Sovra tutto rassegnatevi nella divina volontà, ed allor più che mai confidate in Dio, perché allora è il tempo di rendervi più cara al vostro divino sposo. Pensate voi forse che i santi nella loro vita sono stati sempre in consolazioni e tenerezze celesti? Sappiate che i santi la maggior parte della vita l'han passata in desolazioni ed oscurità. E dico la verità, come ho appreso colla sperienza, io poco mi fido di quell'anime che abbondano di dolcezze spirituali, se prima non son passate per la via delle pene interne; perché non rare volte avviene che quest'anime van bene sin tanto che dura la consolazione, ma quando poi son provate coll'aridità, lasciano tutto e si abbandonano alla vita tepida.

11. Ma dice colei: Io non ricuso questa croce, s'è volontà di Dio; ma quel che mi affligge è il timore che questo abbandono sia castigo delle mie infedeltà. Ma io vi rispondo: Sia castigo, come dite; e specialmente vi dico che se avete mancato con mettere affetto a qualche creatura, Iddio, ch'è geloso del cuore delle sue spose, giustamente si è ritirato. Sia castigo dunque; è egli giusto? è volere di Dio che voi l'accettiate? Accettatelo dunque in pace, e frattanto togliete le cause della vostra desolazione, togliete l'affetto alle creature, togliete il dissipamento di spirito in troppo vedere, parlare e sentire, e di nuovo donatevi tutta a Dio; e così il Signore subito si scorderà de' vostri difetti, e vi ritornerà nella primiera grazia. Ma non andate cercando che egli vi consoli colle antiche tenerezze; cercategli più presto che vi dia fortezza ad essergli fedele. E persuadetevi che Dio non manda le desolazioni che per nostro maggior profitto, e per provare il nostro amore. Disse egli a S. Gertrude che gli piaceano molto quelle anime che lo servivano


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a spese proprie,25 cioè con aridità e senza alcuna dolcezza sensibile.

12. L'amore non tanto si prova nel seguir chi ci accarezza, quanto nell'andare appresso a chi ci fugge. Ma non temere, dice S. Bernardo, o sposa di Gesù Cristo: Ne timeas, o sponsa, si paulisper subtrahit Iesus faciem suam; omnia cooperantur in bonum; recedit ad cautelam, ne incipias contemnere sodales... ut desideratus avidius quaeratur (S. Bern., In scala claust.).26 Non dubitare, dice il santo, se lo Sposo per poco ti nasconde la sua faccia, sappi che tutto fa per tuo bene; egli si ritira per tua sicurezza, acciocché vedendoti molto accarezzata non cominci a disprezzar le compagne col riputarti miglior di loro; e lo fa ancora acciocché più lo desideri, e con maggior ansia lo vai cercando. Frattanto bisogna che perseveri in tutti i tuoi buoni esercizi, ancorché vi patissi agonie di morte: agonia più tormentosa fu quella che patì il tuo Sposo nell'orto di Getsemani, allorché si apparecchiava alla morte e pregava per te: Factus in agonia, prolixius orabat (Luc. XXII, 43). Siegui perciò costante ad andarlo cercando, ch'egli non tarderà a venire a consolarti. Exspecta Dominum, quia veniens veniet et non tardabit (Psal. XXVI, 14).27 E se non viene a darti consolazioni e tenerezze, contentati che ti


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doni animo e fortezza per amarlo senza la paga delle presenti dolcezze: piace più a Dio l'amor forte che 'l tenero.

13. Ma parlando generalmente di tutte le tribulazioni che possono avvenirci, dice S. Tommaso che molto giova a riceverle con fortezza il premeditarle prima che vengano.28 Così Gesù Cristo premonì i discepoli: In mundo pressuram habebitis; sed confidite, ego vici mundum (Io. XVI, 33): Figli miei, sappiate che nel mondo sarete afflitti e depressi; ma confidate in me che ho vinto il mondo. La ragione di ciò si è perché la previsione d'un travaglio abbracciato con pazienza, fa formarcene l'idea non già come d'un male, ma come d'un bene a riguardo della vita eterna; ed in tal modo la premeditazione toglie all'anima quel timore di male, che seco porta quel travaglio. Così hanno praticato i santi: hanno abbracciate le croci in lontananza, prima che arrivassero; e così poi si son trovati pronti a soffrirle con pace, anche quando improvvisamente sono loro arrivate. Pertanto voi avvezzatevi nell'orazione ad accettare quelle tribulazioni che verisimilmente possono accadervi. E quando quella tribulazione, accadendo, vi paresse impossibile a soffrirla, pregate il Signore che in tal caso vi dia l'aiuto suo, e confidate in lui, dicendo: Omnia possum in eo qui me confortat (Philip. IV, 13). E facendo così, non dubitate, che in quel caso la preghiera v'impetrerà quella forza che voi non avete. E come i santi martiri hanno avuto il vigore di sopportare tanti tormenti e le morti più dolorose, se non col pregare e raccomandarsi a Dio? Quando voi vi trovate già sotto la croce, di nuovo subito ricorrete alla preghiera. Tristatur aliquis vestrum? oret; così ci ammonisce S. Giacomo (Ep., V, 13): Si trova alcun di voi afflitto da qualche travaglio o passione? preghi e non lasci di pregare, finché non vede il cuore rimesso in calma. Invoca me, dice Dio medesimo, in die tribulationis; eruam te, et honorificabis me (Psal. XLIX, 15): Quando sei tribulato, chiamami in aiuto; ed io ti libererò dalle tue angustie, e tu mi darai onore. Quando l'anima tribulata


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si raccomanda a Dio, o egli la libera dal male che patisce, o pure le la grazia di patirlo con pazienza, e così l'anima allora onora il suo Signore. Dicea S. Ignazio di Loiola che la maggior afflizione ch'egli avesse potuta soffrire in questo mondo, sarebbe stata il veder distrutta la Compagnia, ma sperava in tal caso che con un quarto d'ora di orazione si sarebbe rasserenato.29 Inoltre in tempo di tribulazione procurate di comunicarvi più spesso. Gli antichi Cristiani in tempo di persecuzione così si apparecchiavano al martirio, collo spesso comunicarsi. Di più conferite allora col direttore o con altra persona spirituale, perché una parola di conforto molto vi gioverà a portar la croce con pazienza. Ma guardatevi di conferire con qualche persona imperfetta, perché questa potrà maggiormente disturbarvi e mettervi in confusione; specialmente nel caso che aveste ricevuta qualche ingiuria o che soffriate attualmente qualche persecuzione. Ma sovra tutto, ritorno a dire, ricorrete all'orazione; e specialmente andate al santissimo Sacramento e pregatelo che vi faccia in tutto uniformare alla sua santa volontà. Egli promette di consolar tutti i tribulati che a lui ricorrono: Venite ad me, omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. XI, 28).

Preghiera.

Mio Dio, io vi offerisco le pene di Gesù vostro Figlio in soddisfazione de' miei peccati. Questo è quell'Agnello che voi miraste un giorno sagrificato per la gloria vostra e per la nostra salute sull'altare della croce: per amore di questa vittima a voi si cara, perdonatemi quanti disgusti io v'ho dati per lo passato, gravi e leggieri; mentr'io di tutti me ne dolgo con tutto il cuore, per avere offeso voi, bontà infinita.


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Voi mi chiamate al vostro amore; ecco, io lascio tutto e vengo a voi, mio tesoro, mia vita. Per amor vostro rinunzio a tutti i beni, onori e piaceri del mondo. V'amo, o sommo bene, più di ogni altro bene. Ah Gesù mio, non permettete ch'io più resista e sia ingrata a tante finezze d'affetto che m'avete dimostrate. Deh scovritemi sempre più le grandezze della vostra bontà, acciocch'io m'innamori di voi, amabile infinito. Voi vi siete fatto vedere innamorato dell'anima mia, ed io potrò amare altri che voi? No, mio Redentore, che da ogg'innanzi solo a voi voglio vivere, solo voi voglio amare.

O Maria madre mia, aiutatemi voi, ed impetratemi la grazia d'esser fedele in questa mia promessa.




1 «Non erit clamor in valetudinario, si patientia fuerit in infirmo, et caritas in infirmario.» TALENTI, Vita, lib. 7, cap. 9, III, n. 19.



2 «Quaeris igitur... qua ragione infirmi sint sancti viri. Respondeo breviter, quia ideo sancti viri infirmiores se esse faciunt, quia si fortes fuerint, sancti esse vix possunt. Opinior enim omnes omnino homines cibis ac poculis fortes esse; infirmos autem abstinentia, ariditate, ieiuniis. Non ergo mirum est quod infirmi sunt qui usum earum rerum respuunt per quas alii fortes fiunt. Et est ratio cur respuant, dicente Paulo apostolo de se ipso: Castigo corpus meum, et servituti subiicio: ne forte cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar (I Cor. IX, 27). Si infirmitatem corporis appetendam sibi etiam Apostolus putat, quis sapienter evitat? Si fortitudinem carnis Apostolus metuit, quis rationabiliter fortis esse praesumit?» S. SALVIANUS, De gubernatione Dei, lib. 1, n. 3. ML 53-34.



3 «Yo conozco una persona (parla di se stessa la Santa Madre), que desde que comenzò el Señor a hacerla esta merced que queda dicha, que ha cuarenta años, no puede decir con verdad que ha estado dia sin tener dolores, y otras maneras de padecer: de falta de salud corporal, digo, sin otros grandes trabajos.» S. TERESA, Moradas sextas, cap. 1. Obras, IV, 102.



4 Dopo il testo citato di sopra, nota 2, continua così il SALVIANO (l. c.): «Haec ergo ratio est, qua homines Christo dediti et infirmi sunt et volunt esse.»



5 «Non andate, di grazia, fantasticando sopra quello ch' avreste fatto stando voi sano; ma piuttosto, quanto piacerete al Signore, contentandovi di star, come state, infermo. E se cercate, come crede, la volontà di Dio puramente, che importa a voi lo star più infermo che sano? poichè dalla volontà sua pende ogni nostro bene.» B. GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, Roma, 1669, parte 1, lett. 48. A un sacerdote infermo.



6 «Il disait qu' on servait Dieu plus saintement en souffrant qu' en agissant, ajoutant que Notre Seigneur nous avait plus sauvès, s' il fallait ainsi dire, en souffrant qu' en agissant.» S. JEANNE DE CHANTAL, Déposition pour la canonisation de S. François, art. 31. Vie et Œuvres, III, pag. 166, Paris, 1876.- «Et vous me dites que vous me laissez à penser comme vous servirez Dieu pendant le temps que vous serez sur le lit! Et suis content d' y penser, ma bonne Fille. Savez-vous ce que je pense? A votre avis, ma chère Sœur, quand fut-ce que notre Sauveur fit le plus grand service à son Père? Sans doute que ce fut étant couchè sur l' arbre de la croix, ayant pieds et mains percés: ce fut là le plus grand acte de son service. Et comme le servait-il? En souffrant et en offrant; ses souffrances étaient une odeur de suavitè (Ephes. V, 2) à son Père. Et voilà donc le service que vous ferez à Dieu sur votre lit: vous souffrirez et offrirez vos souffrances à sa Majesté.» S. FRANÇOIS DE SALES, Letre 241, à Madame Bourgeois, abbesse du Puits-d' Orbe. Œuvres, XII, Annecy, 1902, p. 392.



7 Di santa Lidovina, delle sue infermità, della sua pazienza, vedi il nostro vol. I, Appendice, 96, pag. 517 e seg. Ivi, pag. 518, c, dopo aver segnato esattamente l' occasione e la data della prima infermità, dopo la quale mai più si riebbe - essendo appena guarita, anzi ancora convalescente da un' altra malattia, di cui non si segna esattamente la durata e della quale non teniamo conto- concludiamo: «Porro, ex illo tempore, numquam non aegrotavit neque aliquando a gravissimis doloribus immunis fuit. Si ergo numeres ab ineunte mense februario 1395 ad medium mensem aprilem 1433, quo decessit, habes 38 annos completos et continuos in omnimodis infirmitatibus transaactos.»



8 «Fu la Beata Umiliana de' Cerchi nativa di Fiorenza (vedova dopo cinque anni di matrimonio) del terz' Ordine, la quale passò di questa vita al Signore l' anno 1246, a dì 11 di maggio... Eta talmente innamorata della croce di Cristo che in ogni incomodo suo e afflizione acerba, alzava verso il ciel le mani, e poi accomodatele in croce, con animo tranquillo e con sereno volto, ringraziando e benedicendo Dio, diceva: «Benedetto sii tu, Amor mio.» Ciò nel colmo dei suoi travagli mostrava con più accesa fiamma di carità, e talmente era nell' amor assorta, e trasformata in Cristo, che, assalita dai più gravi accidenti delle infermità, allora vie più rinforzando l' amore, solea dire ai circostanti: «Non vedete voi come il Signore benignamente mi visita?» MARCO DA LISBONA, Croniche dei Frati Minori, parte 2, lib. 1, cap. 19, 20.



9«Essendo stata ventiotto anni continui oppressa da varie e diverse infermità, mai si sentì da lei una mormorazione, nè alcun lamento, anzi sempre uscivano dalla bocca sua parole sante, e rendimenti di grazia al Signore». MARCO DA LISBONA, Croniche degli Ordini instituiti dal P. S. Francesco, parte 1, lib. 8, cap. 23.



10 «Ut igitur, in hoc sancto Christi imitatore, Dei virtus per infirmitatem perficeretur, corpus eius vulnere affectum erat: quod si quando per se cicatricem obduxerat, indumenti asperitate rursum exulcerabatur. Hoc ille vulnere ad obitum usque laboravit, sibique illud a Deo fuisse datum dicebat, ut ei assidue gratias ageret.» SURIUS, De probatis Sanctorum historiis, die 22 aprilis: Vita S. P. N. Theodori, Siceorum Archimandritae, a GEORGIO presbytero, eius discipulo eiusdemque mansionis praefecto, conscripta. (Surius, II, Coloniae Agrippinae, 1571, p. 758).- Acta Sanctorum Bollandiana, die 22 aprilis: Vita S. Theodori Siceotae, Episcopi Anastasiopolitani, Archimandritae coenobiorum in Galatia (septimo saeculo), p. 93.



11 «O quanto volentieri cambierei con Tiberio (un suo compagno, già moribondo), e morirei in un luogo suo, se Dio N. S. me ne volesse far grazia!».... «Dico questo, perchè adesso ho qualche probabilità di essere in grazia di Dio, ma non so poi quel che sarà per l' avvenire, e però morirei volentieri.» CEPARI, Vita, parte 2, cap. 26.



12 «R. P. M. Avila dicebat, ei etiam, qui nonnisi mediocrem dispositionem haberet, mortem tamen potius desiderandam videri, quam vitam; idque ob assiduum, in quo degimus, peccandi periculum, quod omne per mortem tollitur.» Alfonsus RODERICIUS, S. I., Exercitium perfectionis, pars 1, tract. 8, cap. 20, n. 8. Non trovandosi, per quanto sappiamo, questo detto nè nella Vita nè nelle Opere del B. Avila, può congetturarsi che l' abbia conosciuto il P. Rodriguez per tradizione orale.



13 «Cur ergo tantopere vitam istam desideramus, in qua quanto amplius vivimus, tanto plus peccamus?» Meditationes piissimae de cognitione humanae conditionis. Inter Opera S. Bernardi, ML 184-488.- «In omnibus fere manuscriptis Bernardo tribuuntur... Quae Bernardo nec indignae sunt, nec tamen eius esse nobis videntur.» Così il Mabillon, ML 184-486. Vedi il nostro volume I, Appendice, 116, pag. 548.



14 «Eia, Domine, moriar ut te videam!» Soliloquia animae ad Deum, cap. 1. Inter Opera S. Augustini, ML 40-865.- Questa operetta non è di S. Agostino, ma di un compilatore, per altro non spregevole, probabilmente di Alchero, monaco di Chiaravalle (verso l' anno 1200). Però vi si trovano parecchie sentenze di S. Agostino, e, tra le altre, quella che vien qui riferita. «Noli abscondere a me faciem tuam: moriar, ne moriar, ut eam videam.» S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib. 1, cap. 5, n. 5. ML 32-663.- Come, più forse di ogni altro, abbia egregiamente parlato S. AGOSTINO del desiderio della morte, per il desiderio di veder Dio, vedi nel nostro vol. I, Appendice, 117, pag. 550.



15 «Cibus et panis aeternus, et Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Disce, et doce; vive, et pasce. Deus qui tibi dat, nihil melius quam se tibi dat. Avare, quid aliud quaerebas? Aut si aliud petas, quid tibi sufficit, cui Deus non sufficit?» S. AUGUSTINUS, Sermo 195, cap. 3, n. 4. ML 38-620.



16 Inquietudine.



17 Iob I, 21.



18 «Virgines Sanctae ex superna curia eum aliquando visitabant... Quidam Fratres... iuxta cellam eius transeuntes.... mulierum voces audientes... in Capitulo.... accusaverunt eum... Interrogatur.... nec explicat... nec tamen fatetur.... Iubet igitur Prior a conventu illo Fr. Petrum discedere... Poenitentiam humiliter suscipit... Quadam autem nocte... piam querelam faciens ad Crucifixum, dicebat: «Mi Domine, tu scis in causa illa innocentiam meam: cur permisisti me sic iudicari?» Et Crucifixi imago ad eum: «Et ego, Petre, quid feci mali, ut cum tantis opprobriis et contumeliis condemnarer ad crucem? Disce ergo exemplo meo omnia aequanimiter ferre.» THOMAS DE LENTINO coaevus), O. P., Vita, cap. 1, n. 6: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 29 aprilis.- «Cum ob fidei constantiam et devotionem... multas persecutiones et molestias pateretur... quadam die apud Mediolanum ante Crucifixi imaginem... cum lacrymis.... se prostravit, et.... dixit: «Domine Iesu Christe... tu scis me non egisse ea propter quae tantas sustinere merear angustias.» Cui protinus imago Crucifixi respondit: «Fr. Petre, et ego, quid egli ut crucis supplicium sustinerem? Verumtamen confide, quia ego tecum sum et ad me cum corona honoris et gloriae venies.» Ibid., cap. 3, n. 24.



19 «Ideo enim prior ille (scilicet Christus Dominus) sustinuit, ut nos sustinere disceremus. Et si ille, qui non habebat quod illi obiiciebatur; quanto magis nos qui, etsi non habemus peccatum quod nobis obiicit inimicus, habemus tamen alterum quod digne in nobis flagelletur? Nescio quis te furem dicit, et non es fur, ut non sis aliuqid quod Deo displicet. Porro si ille qui omnino nihil rapuerat.... dictus est peccator(Io. IX, 24), dictus est iniquus, dictus est Beelzebub (Matth. X. 25), dictus est insanus; tu dedignaris, serve, audire pro meritis tuis, quod Dominus audivit nullis meritis suis?» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. LXVIII, Sermo 1, n. 12. ML 36-850.



20 Di queste calunnie contro i santi insigni, vedi Appendice, 1.



21 «Venit tempore quodam mulier quaedam... fremens et furens; quae innumeris B. Lydwinam coepit lacessere convitiis, iniuriis, contumeliis, et exprobrationibus: quae ac si nil aliud in corpore quam cor fellitum et venenum aspidum sub labiis possideret, et pauperculam martyrem Lydwinam ad iracundiam provocare transmissa veniret; cum se minime verbis calumniosis et venenosis profecisse nosset, cospit exsecrabilibus sputis faciem venerandam deturpare. Sed nec iis virginem permotam videns, coepit tandem clamoribus et maledictis, quasi vim passa foret, vicinos concitare. Virgo vero patiens... animam suam.... in patientia possidebat, ita ut mirarentur universi. Nec moram passa felix nostra Lydwina... gratiam pro contumelia... beneficentiam pro sputorum illitione, protinus, eodem videlicet vespere, eidem mulierculae refudit. Misit autem illi per internuntios clam benedictionem cum munere.... dicens: «Nonne ipsis me beneficam impendere teneor, qui mihi caritatis viam dilatare non cessant, qua me distendendo merear? Illis debitricem me sentio... qui viam mandatorum Domini.... currere me compellunt.» IO. BRUGMANNUS, Vita posterior, pars 2, cap. 1, n. 71: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 14 aprilis, pag. 318, 319.



22 «Primus botrus in torculari pressus est Christus. Cum ille botrus passione expressus est, manavit illud unde calix inebrians quam praeclarus est! (Ps. XXII, 5). Dicat ergo et corpus eius, intuens caput suum: Miserere mei, Domine, quoniam conculcavit me homo: tota die bellans tribulavit me (Ps. LV, 2). Tota die, toto tempore... Si putas te non habere tribulationem, nondum coepisti esse christianus. Et ubi est vox Apostoli: Sed et omnes qui volunt in Christo pie vivere, persecutiones patientur? (II. Tim. III, 12). Si ergo non pateris ullam pro Christo persecutionem, vide ne non coeperis in Christo pie vivere. Cum autem coeperis in Christo pie vivere, ingressus es torcular; praepara te ad pressuras; sed noli esse aridus, ne de pressura nihil exeat.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. LV, Sermo (ad plebem Carthaginensem), n. 4. Ml 36-649.



23 «¿Pues qué harà aqui el que ve que en muchos dias no hay sino sequedad, y desgusto y desabor....?.... Se determine, aunque para toda la vida le dure esta sequedad, no dejar a Cristo caer con la cruz; tiempo vernà que se lo pague por junto. No haya miedo que se pierda el trabajo, a buen amo sirve, mirandole està, no haga caso de malos pensamientos; mire que también los representaba el demonio a S. Jerònimo, en el desierto.- Su precio se tienen estos trabajos... Sè que son grandisimos... Tengo para mi, que quiere el Señor dar muchas veces a el principio, y otras a la postre, estos tormentos, y otras muchas tentaciones, que se ofrecen, para probar a sus amadores y saber si podràn beber el càliz y ayudarle a llevar la cruz, antes que ponga en ellos grandes tesoros.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 11. Obras, I, 79, 80.



24 (Parla la Beata): «Quadam alia vice ego stabam tribulata spirituali tribulatione, et non videbatur mihi quod aliquid sentirem de Deo per unum mensem; imo videbatur mihi quod essem quasi derelicta a Deo. Et non poteram confiteri peccata mea.... Et ideo non poteram laudare Deum, nec stare in oratione. Sed tantum videbatur mihi, quod remansisset de Deo quod scilicet non tantum tribulabar quantum debebam tribulari... Et tandem, miserante Deo, facta est mihi locutio talis: «Filia mea amata a Deo Omnipotente, et ab omnibus Sanctis paradisi, Deus amorem suum reposuit in te, et habet ad te amorem plusquam ad feminam Vallis Spoletanae.» Et anima mea respondit clamans: «Quomodo possum hoc credere, cum sim plena tribulatione, et videatur mihi quod sim quasi a Deo derelicta?» Et respondit: «Quando videtur tibi quod sis magis derelicta, es magis a me amata, et propinquior Deo.» V. F. Arnaldus, O. M., B. ANGELAE FULGINATIS Vita et Opuscula, lib. 1, pars 8, cap. 2. Fulginae, 1714, pag. 124, 125.



25 «Alia etiam vice, dum simili de causa (ob reverentiam Sacramenti) alteram (sororem) expavescentem videret et pro ea oraret, Dominus respondit: «Vellem ut electi mei me tam crudelem non aestimarent, sed crederent quia pro bono, imo pro optimo acceptarent (leggi: acceptarem), si super expensis suis mihi aliquod servitium exhiberent.» Verbi gratia: super expensis propriis Deo sacrificium persolvit, qui cum non habet saporem dilectionis, nihil tamen minus servit Deo in orationibus, genuflexionibus et similibus, et super his confidit de benigna pietate Dei, quod tamen placite illud acceptet.» S. GERTRUDIS MAGNA, Legatus divinae pietatis, lib. 3, cap. 18: ediz. Solesmen., pag. 158.



26 «Ne timeas, o sponsa, ne desperes, ne existimes te contemni, si paulisper tibi subtrahit sponsus faicem suam. Omnia ista cooperantur tibi in bonum, et de accessu et recessu lucrum acquiris. Tibi venit, tibi et recedit. Venit ad consolationem, recedit ad cautelam, ne magnitudo consolationis extollat te; ne, si semper apud te sit sponsus, incipias contemnere sodales, et hanc continuam visitationem non iam gratiae attribuas, sed naturae... Vulgare proverbium est, quod nimia familiaritas parit contemptum. Recedit ergo, ne forte nimis assiduus contemnatur, et (ut) absens magis desideretur, desideratus avidius quaeratur, diu quaesitus tandem gratius inveniatur.» Scala claustralium sive tractatus de modo orandi, cap. 8, n. 9. ML 184-480. Inter Opera S. Bernardi. L' autore è GUIGONE, il «Legislatore» dei Certosini. Cf. Le Couteulx, Annales Ordinis Cartusiensis, I, 299, 300.



27 Exspecta Dominum. Ps. XXVI, 14.- Exspecta illum: quia veniens veniet, et non tardabit. Habacuc II, 3.



28 «Omnia corporalia, et bona et mala, quanto magis considerantur, minora apparent. Et ideo... ex praemeditatione minuitur timor futuri mali. Secundo... remedia.... homo potest praeparare ad repellendum futurum malum.» S. THOMAS, Summa Theol., I-II, qu. 42. a. 5, c.- «Eligit fortis praemeditari pericula quae possunt imminere, ut eis resistere possit, aut facilius ea ferre.» II-II, qu. 123, a. 9, c.



29 «Dum aegrotaret, admonitus a medico ne se angoribus daret... cogitare attente secum coepit, num res tam nova et acerba sibi posset accidere, quae se molestia aliqua afficeret, et perpetuam animi securitatem perturbaret. Haec cogitanti, illud... solum occurit: si quo modo Societas nostra dissolveretur.... Quaesivit ex se, quam diuturna haec molestia futura esset: statuebatque, si hoc nulla sua culpa evenisset, post quartam horae partem, quam in oratione posuisset... si quid ex ea re cepisset molestiae, facile depositurum, etiam si universa, inquit, Societas deleatur, et tamquam sal aqua dissolvatur.» Petr. RIBADENEIRA, S. I., Vita, lib. 5, cap. 1.






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