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S. Alfonso Maria de Liguori La vera Sposa di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO XIV - Della rassegnazione nella volontà di Dio.
§ 1 - Quanto vale il rassegnarsi nella divina volontà.
1. Dice S. Giovan Grisostomo che tutta la perfezione dell'amore verso Dio consiste nella rassegnazione al suo divino volere.1 Siccome l'odio divide le volontà de' nemici, così l'amore
unisce le volontà degli amanti; sicché l'uno non voglia, se non quello che l'altro vuole. Idem velle et idem nolle firma amicitia est, scrisse S. Girolamo a Demetriade.2 Quindi dice il Savio: Fideles in dilectione acquiescent illi (Sap. III, 9): L'anime fedeli in amare Dio, si accordano a tutto ciò ch'egli vuole. Questo sagrificio del proprio volere, mentre noi non abbiamo cosa più cara che la propria volontà, è il sagrificio in somma più gradito che possiamo offerire al Signore. E questo è quello ch'egli con tanta premura continuamente ci dimanda: Praebe, fili mi, cor tuum mihi (Prov. XXIII, 26): Figlio, dammi il tuo cuore, cioè la tua volontà. Per ogni altra cosa che noi daremo a Dio, ma riserbandoci la propria volontà, egli non sarà mai contento. Mi spiego con questo esempio: Se voi aveste due serve, di cui una vuol sempre faticare, ma sempre a suo modo, l'altra poi fatica meno, ma vi ubbidisce in tutto quel che le dite; certamente voi molto amereste questa seconda, e poco o niente la prima. Oh quante volte noi c'inganniamo col voler intraprendere certi affari di nostro genio, a' quali non vediamo concorrervi la divina volontà, e diciamo: Ma questa cosa che voglio fare, e cosa di gloria di Dio. Ma bisogna persuaderci che la maggior gloria che noi possiamo dare a Dio è di uniformarci alla sua santa volontà.
Diceva il B. Errico Susone: Dio non è tanto glorificato quando tu abbondi di lumi e consolazioni spirituali, quanto allora che tu ti sottometti al suo divino beneplacito.3 Quindi è che la B. Stefana da Soncino vide tra i serafini alcune anime da lei conosciute in terra, e le fu rivelato che quelle erano giunte a tanta altezza per l'unione perfetta avuta in vita alla volontà di Dio.4
2. Tutta la malizia del peccato consiste nel volere quel che non vuole Dio; poiché allora, come dice S. Anselmo, in certo modo cerchiamo di toglier la corona a Dio: Cum homo vult aliquid per propriam voluntatem, Deo aufert quasi suam coronam; sicut enim corona soli regi competit, sic propria voluntas soli Deo (S. Ans., Lib. de Simil., c. 8).5 Chi vuol seguire la propria volontà contra la divina, quasi rapisce a Dio la sua
corona, perché siccome la corona spetta solamente al re, così il far la propria volontà, senza dipender da altri, spetta solamente a Dio. Inoltre disse Samuele a Saulle che il non volersi uniformare alla divina volontà, è una specie d'idolatria: Quasi scelus idololatriae nolle acquiescere (I Reg. XV, 23). Dicesi idolatria, perché allora l'uomo, in vece di adorare la volontà divina, adora la propria. Or siccome tutta la malvagità della creatura consiste nel contraddire al suo Creatore, così tutta la di lei bontà consiste nell'unirsi al di lui volere. Chi si uniforma al voler divino, diventa uomo secondo il cuore di Dio, com'egli disse di Davide: Inveni... virum secundum cor meum, qui facit omnes voluntates meas (II Reg. I, 14).6 Di più, dice il Signore: Un'anima uniformata, sarà chiamata col nome di mia volontà: Vocabitur voluntas mea in ea (Is. LXVI, 2).7 Sì, perché in quest'anima fortunata, essendo morta la volontà propria, solo vive quella di Dio.
3. Oh beato chi può sempre dire come dicea la sagra Sposa: Anima mea liquefacta est ut dilectus meus locutus est (Cant. V, 6): L'anima mia si è liquefatta, subito che il mio diletto ha parlato. Perché dice liquefatta? Attendete: le cose liquide non ritengono più figura propria, ma prendono quella del vaso in cui son poste; così l'anime amanti non ritengono propri voleri, ma si uniformano a tutto quel che vuole l'amato. Ciò importa l'avere una volontà docile e tenera a tutte le cose di piacere di Dio; a differenza di coloro, i quali hanno la volontà dura che resiste. Un istrumento allora è buono, quando ubbidisce all'artefice che l'adopera; altrimenti a che serve? Per esempio, se vi fosse un pennello che resistesse alla mano del pittore, s'è tirato alla destra, si voltasse alla sinistra, s'è tirato in giù, volesse andar su, che farebbe il pittore? non lo butterebbe subito al fuoco? Taluni mettono la lor santità nel far penitenze, altri in comunicarsi spesso, altri in recitar molte orazioni vocali. Ma no, dice S. Tommaso, la perfezione non consiste in queste cose, consiste nel sottometterci alla divina volontà: Mentis humanae perfectio in hoc consistit, quod Deo subiiciatur (2. 2. q. 82, a. 8).8 Le penitenze
le orazioni, le comunioni, in tanto son buone, in quanto le vuole Dio, ond'è ch'elle non servono che per mezzi ad unirci alla divina volontà; ma tutta la perfezione e santità sta nell'eseguire ciò che vuole Dio da noi. In somma la divina volontà è la regola d'ogni bontà e virtù. Ella, perch'è santa, tutto santifica, anche le azioni indifferenti, quando son fatte per dar gusto a Dio. Voluntas Dei sanctificatio vestra, dice l'Apostolo (I Thess. IV, 3): L'adempimento della divina volontà è la santificazione dell'anime vostre.
4. So bene che gli uomini volentieri si uniformano al volere di Dio nelle cose prospere, ma poi non vogliono uniformarsi nelle avverse. Ma ciò è una gran pazzia, perché così noi veniamo a soffrire i mali doppiamente e senza merito, mentreché, o vogliamo o non vogliamo, la volontà di Dio s'ha da adempire: Consilium meum stabit, et omnis voluntas mea fiet (Is. XLVI, 10). Dunque, se quell'inferma non accetta i suoi dolori con pazienza, ma si adira e se la prende con tutti, ella che fa? forse coll'adirarsi si libera da' dolori? no, ma l'accresce, poiché resistendo alla volontà di Dio, patisce già quei dolori, e di più vi perde la pace: Quis restitit ei, et pacem habuit? (Iob IX, 4). Quando, all'incontro, se li abbracciasse con pace, meno li sentirebbe, e si consolerebbe col pensiero di dar gusto a Dio, accettando quella croce dalle sue mani. Oh che gusto da al Signore chi in tempo di tribulazioni dice con Davide: Obmutui et non aperui os meum, quoniam tu fecisti (Psal. XXXVIII, 10): Mio Dio, ho chiusa la mia bocca, e non ho ardito di parlare, sapendo che voi l'avete fatto. No, che noi non abbiamo chi meglio di Dio possa procurare il nostro bene, e chi ci ami più di questo nostro Creatore. E persuadiamoci che quanto egli fa, lo fa per nostro bene e perché ci ama. Molte cose a noi sembrano disgrazie, e le chiamiamo disgrazie; ma se intendessimo il fine per cui Iddio le dispone, vedressimo che sono grazie. Parve una gran disgrazia quella che avvenne al re Manasse, d'essere spogliato del regno e fatto schiavo del principe degli Assiri; e pure quella fu la sua fortuna, poiché dopo quell'avversità, egli si accostò a Dio e fe' penitenza della sua mala vita: Qui postquam coangustatus
est, oravit Dominum Deum suum: et egit poenitentiam valde coram Deo (II Paral. XXXIII, 12). Noi patiamo di vertigini, onde ci pare che molte cose vadano alla riversa; e non conosciamo che non sono le cose che girano, ma è il nostro capo guasto, è l'amor proprio che ci fa vedere le cose altrimenti da quelle che sono. Dice quella monaca: Ma che cosa è questa, che tutte le cose mi vanno storte! No, sorella mia, andate storta voi, va storta la vostra volontà; perché tutto quel che succede, tutto lo fa Iddio e lo fa per vostro bene, ma voi non lo sapete conoscere.
5. E chi mai possiamo trovar noi che sia più sollecito del nostro bene e della nostra salute, fuori di Dio? Per farci intendere egli questa verità, ora si assomiglia ad un pastore che va trovando per lo deserto la pecorella perduta (Luc. XV, 4); ora ad una madre che non sa scordarsi del proprio figlio: Numquid oblivisci potest mulier infantem suum, ut non misereatur filio uteri sui? (Is. XLIX,15); ora ad una gallina che raccoglie e covre i suoi pulcini sotto le sue ale, acciocché non patiscano danno: Ierusalem, Ierusalem... quoties volui congregare filios tuos, quemadmodum gallina congregat pullos suos sub alas, et noluisti? (Matth. XXIII, 37). Iddio in somma, dice Davide, circonda noi colla sua buona volontà, per liberarci da tutti i danni de' nostri nemici: Ut scuto bonae voluntatis tuae coronasti nos (Psal. V, 13).
E perché poi non ci abbandoniamo noi tutti nelle mani di questo buon padre? Non sarebbe pazzo quel cieco che, stando in mezzo a' dirupi, ricusasse la guida d'un padre che l'ama, e volesse andare per altra via a suo capriccio? Felici quell'anime che si fan condurre da Dio per quella via per cui le porta! Narra il P. Sangiurè nel suo Erario spirituale che un certo giovane, volendo entrar nella Compagnia, fu rifiutato per cagione che gli mancava la vista d'un occhio. Or chi non avrebbe detto che quel difetto fosse una gran disavventura per quel povero giovane? E pure quel difetto fu la causa della miglior sorte che potesse incontrare; poiché, atteso quel difetto, in tanto fu ricevuto, in quanto si obbligò di andare all'Indie in missione; in fatti vi andò, ed ebbe la sorte di morire martire per la fede.9 - Dicea
a tal proposito il Ven. P. Baldassare Alvarez: Il regno dei cieli è il regno degli storpiati, dei tentati e de' disprezzati.10 Lasciamoci dunque come ciechi guidar sempre da Dio, per qualunque via piana o erta ci conduca, sicuri che per quella via troverem la salute. Dicea S. Teresa: Il Signore non manda mai un travaglio senza pagarlo con qualche favore, sempreché noi l'accettiamo con rassegnazione.11
6. Oh la gran pace che gode un'anima che tiene la sua volontà tutta uniformata alla volontà di Dio! Non volendo ella altro se non quel che vuole Dio, ha sempre tutto ciò che
vuole; perché quanto accade nel mondo, già tutto accade per volontà di Dio. Narra il Panormitano che il re Alfonso, chiamato il grande, interrogato una volta qual uomo egli stimasse felice in questa terra, saggiamente rispose: Colui che tutto si abbandona nella volontà di Dio.12 Ed in verità, da che mai nascono tutte le nostre inquietudini, se non dal non avvenirci le cose secondo noi le vogliamo, e dal ripugnare alla divina volontà? Giusta pena, dice S. Bernardo: Ad iustam legem Dei pertinuit, ut qui a Deo noluit suaviter regi, poenaliter a se ipso regeretur (Epist. 21, ad Chartus.):13 Iddio giustamente
dispone che chi ricusa di farsi governar da esso con pace, sia governato da se stesso con angustie ed affanni. Chi all'incontro non vuol altro se non ciò che vuole Dio, egli vede sempre adempito tutto quel che vuole; e perciò sta sempre in pace così nelle prosperità, come nelle avversità. Quando vedete dunque una persona che sta mesta, dite ch'ella sta mesta perché non è rassegnata nella volontà di Dio. I santi anche in mezzo alle persecuzioni più dure, a' tormenti più dolorosi, non sanno che cosa sia mestizia; e perché? perché stanno uniti alla divina volontà: Non contristabit iustum quidquid acciderit ei (Prov. XII, 21). Quindi saggiamente cantò il cardinal Petrucci:
Questo mondo volubile e cadente
I suoi vezzi più cari e i suoi contenti
Han sembianza di gioie, e son tormenti.
Ma se Cristo seguite, i suoi tormenti
Han sembianza di pene, e son contenti.14
7. Diceva Salviano, parlando dei santi: Humiles sunt, hoc volunt; pauperes sunt, paupertate delectantur; itaque quidquid acciderit, iam beati dicendi sunt:15 Eglino, se sono umiliati,
questo vogliono; se patiscono povertà, se ne compiacciono; sicché in qualunque avversità che a loro avviene, stan contenti; e perciò cominciano fin da questa vita ad esser beati. Sentirà bensì il senso pena in quelle cose che li son contrarie, ma tutto ciò sarà nella parte inferiore, ma nella superiore vi regnerà la pace. Sono i santi, dice il P. Rodriguez, simili al monte Olimpo, dove nelle falde vi son piogge e tuoni, ma nella cima, che sta sollevata sopra la mezzana regione dell'aria, vi è una perpetua calma.16 Simili in somma al nostro Salvatore Gesù, al quale, in mezzo a tutti i dolori e vituperi della sua Passione, niente si diminuì la sua bella pace. Anzi i santi, allorché più patiscono, più godono nello spirito, sapendo che in accettar quei patimenti dan gusto al loro Signore, che unicamente amano. Ciò lo sperimentò Davide, dicendo: Virga tua et baculus tuus ipsa me consolata sunt (Psal. XXII, 4). Dicea S. Teresa: E qual maggiore acquisto può esservi che aver qualche testimonianza che diamo gusto a Dio?17 E 'l P. Maestro Avila ci lasciò scritto: Vale più un Benedetto sia Dio nelle cose avverse, che seimila ringraziamenti nelle cose prospere.18
8. Ma quella religiosa dice: Io accetto tutte le croci che mi vengono da Dio, le perdite, i dolori, le infermità; ma come posso poi sopportare tanti maltrattamenti e persecuzioni ingiuste? Chi così mi perseguita è certo che pecca, e Dio non vuole il peccato. - Ma, sorella mia, non sapete voi che tutto fa Dio? Bona et mala, vita et mors... a Deo sunt (Eccli. XI, 14): Le prosperità e le avversità, la vita e la morte, tutte vengono da Dio. Bisogna intendere che in ogni azione vi è l'esser fisico che appartiene al materiale dell'azione, e l'esser morale che appartiene alla ragione; l'esser morale di quell'azione, ch'è il peccato di colei la quale vi perseguita, questo s'appartiene alla di lei malizia, ma l'esser fisico s'appartiene al concorso
divino: di modo che non vuole Iddio il peccato di colei, ma vuole che voi soffriate quella persecuzione, ed esso è quegli che ve la manda. Quando a Giobbe furon tolti i suoi bestiami Iddio non voleva il peccato de' ladri, ma volea che Giobbe patisse quella perdita, e perciò disse poi Giobbe: Dominus dedit, Dominus abstulit; sit nomen Domini benedictum; sicut Domino placuit, ita factum est (Iob I, 21).19 Dice S. Agostino che non disse Giobbe: Dominus dedit, et diabolus abstulit; sed Dominus dedit, et Dominus abstulit (S. Aug., Conc. II, in Psal. 32).20 Il Signore neppur voleva il peccato de' Giudei di far morir Gesù Cristo, ma Gesù Cristo disse a S. Pietro: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum? (Io. XVIII, 11). Spiegando con ciò che la sua morte gli era data per mano de' Giudei, ma gli veniva mandata dall'Eterno suo Padre. Dice S. Doroteo che colui il quale è maltrattato da un altro uomo e si vendica contro di quello, fa appunto come i cani che, percossi dalla pietra, vanno a morder quella, senza mirar la mano che la manda.21 Bisogna dunque, in ogni maltrattamento che riceviamo dal prossimo, mirar la mano di Dio che ce lo manda, e così rassegnarci alla sua santa volontà.
Amato mio Salvatore, voi avete sofferti tanti dolori e vituperi per amor mio, ed io per le miserie di questa terra vi ho voltate tante volte le spalle. Vi ringrazio d'avermi aspettato sinora. Se allora io moriva, non vi potrei più amare. Giacché ora io posso amarvi, io voglio amarvi con tutto il mio cuore. accoglietemi, amor mio, ora che a voi ritorno intenerita e addolorata de' disgusti che vi ho dati, non mi discacciate. Ma se quando io disprezzava il vostro amore, voi non avete lasciato di venirmi appresso, come posso temere che mi discacciate ora che altro non desidero che l'amor vostro? A questo fine voi mi avete così sopportata, acciocch'io v'amassi; sì che vi voglio amare. V'amo, Dio mio, con tutto il cuore, ed ho più dolore d'avervi offeso per lo passato, che se avessi patito ogni altro male.
O amore dell'anima mia, per l'avvenire non voglio darvi più alcun disgusto avvertitamente, e voglio fare tutto quello che volete voi. La vostra volontà sarà da ogg'innanzi l'unico amor mio. Fatemi voi intendere ciò che ho da fare per compiacervi, ch'io tutto voglio farlo. Io voglio amarvi davvero; e perciò abbraccio tutte le tribulazioni che volete mandarmi. Castigatemi in questa vita, acciocché nell'altra io poss'amarvi in eterno. Dio mio, datemi forza di esservi fedele.
Maria, madre mia, a voi mi raccomando, non lasciate mai di pregare Gesù per me.
Del piacer lusinghiero
Trovar saldo riposo a la mia mente.
Ma ben veggio, c' al fine
Questo mondo volubile e cadente
E' scena di ruine:
E i suoi vezzi più cari, e i suoi contenti.
Han sembianza di gioie e son tormenti.
Credetelo a me, O miseri cori,
Che gioie migliori
V' insegna la Fè.
Là sovra le stelle
Al vostro desio
Si serbano in Dio
Delitie più belle.
All' hor che più ride,
Il mondo v' inganna:
Ha gioia, ch' affanna,
Ha gloria, ch' uccide.
Ma se Cristo seguite, i suoi tormenti
Han sembianza di pene e son contenti.»
Pier Matteo PETRUCCI, prete dell' Oratorio (Vesc. di Iesi nel 1681, Cardinale nel 1686), Poesie sacre e spirituali, Macerata, presso G. Piccini, 1675, parte II, pag. 92.