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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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CAPO XIX - Della purità d'intenzione.

1. La purità d'intenzione consiste in far tutto ciò che si fa per solo fine di piacere a Dio. E qui bisogna intendere che l'intenzione buona o cattiva, colla quale si fa un'opera, fa che l'opera sia buona o cattiva innanzi a Dio. Dice il Signore: Si oculus tuus fuerit simplex, totum corpus tuum lucidum erit; si autem oculus tuus fuerit nequam, totum corpus tuum tenebrosum erit (Matth. VI, 22 et 23). Per l'occhio intendono i Santi Padri l'intenzione; per lo corpo poi intendono l'azione che si fa. Quindi ci fa saper Gesù Cristo che se la nostra intenzione è semplice, cioè se non ha altro fine che 'l suo compiacimento, allora l'opera è tutta buona e risplendente di purità; se poi l'intenzione è doppia, cioè se ha qualche altro fine men retto, l'opera sarà cattiva. La santa semplicità non ammette in sé altro che il solo gusto di Dio.

Sicché la retta intenzione è l'anima delle nostre azioni che loro vita e fa che sieno buone. Avanti gli uomini


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cresce il prezzo dell'opera, quanto è maggior la fatica che vi s'impiega: ma avanti a Dio tanto cresce il prezzo dell'opera, quanto cresce la buona intenzione con cui si fa; perché, siccome dice la Scrittura, gli uomini guardano solamente l'opere esterne, ma Dio guarda il cuore, cioè la volontà con cui le facciano:1 Homo enim videt ea quae parent, Dominus autem intuetur cor (I Reg. XVI, 7). Vi è più bell'azione che patire il martirio e dar la vita per la fede? Ma dice S. Paolo: Et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest (I Cor. XIII, 3): Ancorché io dessi il corpo mio alle fiamme, se non lo do per Dio, niente mi giova. Sì, perché dicono i SS. Padri che non fanno il martire i tormenti e la morte che patisce, ma la causa e l'intenzione per cui patisce: Martyrem non facit poena, sed causa.2

2. Quindi diceva il Profeta regale: Holocausta medullata offeram tibi (Psal. LXV, 15): Signore, io voglio offerirvi sacrifici colle midolle. Alcuni offeriscono a Dio sacrifici, ma senza midolle, cioè senza la pura intenzione di solamente a lui piacere, e tali offerte Dio non l'accetta. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: Iddio rimunera le nostre azioni a peso di purità,3 cioè secondo è più o men pura la nostra intenzione di piacergli. Perciò scrisse S. Agostino: Non valde attendas quid homo faciat; sed quid, dum facit, aspiciat:4 Non istare a vedere quel


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che fai, ma il fine con cui lo fai; poiché tanto, soggiunge S. Ambrogio, farai di bene, quanto intendi di farlo per la gloria di Dio: Tantum facis, quantum intendis.5

Ne' Sagri Cantici, parlandosi della sposa, si dimanda: Quae est ista quae ascendit per desertum, sicut virgula fumi ex aromatibus myrrhae et thuris et universi pulveris pigmentarii? (Cant. III, 6). Per la mirra s'intende la mortificazione, per l'incenso s'intende l'orazione, e per la polvere pigmentaria s'intendono tutte l'altre virtù. Ma la sposa intanto vien di tutte lodata, perché tutte le sue virtù componeano una verghetta di fumo odoroso, che s'alzava diritta a Dio: viene a dire che tutte non aveano altra mira che di piacere al divino sposo.

3. Per veder quanto vaglia appresso Dio la buona intenzione, ne abbiamo due gran prove ed esempi ne' Vangeli.

Il primo esempio è quello che narra S. Luca (VIII, 43): che mentre il nostro Redentore camminava un giorno in tempo della sua predicazione, accompagnato da molta gente che lo seguiva, una donna che pativa flusso di sangue, tanto si spinse fra quella turba che giunse a toccare il lembo della veste di Gesù Cristo, il quale dimandò allora: Quis... me tetigit? Ma con maraviglia allora i discepoli gli risposero: Maestro, le turbe vi opprimono, e voi dite: Chi mi ha toccato? Ma il Signore non intendeva del tocco materiale, ma della fede e divozione con cui quella donna avea toccata la sua veste. Quindi scrisse S. Agostino: Tangit Christum fides paucorum, premit eum turba multorum (De verb. Dom., serm. 8).6 Molti


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premono Gesù Cristo, ma pochi son quelli che lo toccano. Molte monache fanno gran fatiche per lo monastero, per avanzare le rendite, per far riuscire pompose le feste, e fanno altre cose che paiono grandi: ma perché il loro intento non è puro, elle premono Gesù Cristo, ma non lo toccano; onde più presto l'incomodano che lo contentano.

L'altro esempio è di quella povera vedova, la quale avea posti due minuti7 nella cassa del tempio, dove gli altri avean poste gran somme; ma parlando di lei il Salvatore, disse: Amen dico vobis, quoniam vidua haec pauper plus omnibus misit (Marc. XII, 41). Spiegando questo passo S. Cipriano scrive che intanto ciò disse il Signore, perché egli non tanto riguarda l'opera che si fa, quanto l'affetto e la purità d'intenzione con cui si fa: Considerans non quantum, sed ex quanto dedisset (S. Cypr., De op. et eleem.).8

4. Veniamo alla pratica. - Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi alle sue novizie: In tutti i vostri esercizi non cercate mai voi stesse.9 Una religiosa che nelle sue azioni cerca se stessa,


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operando o per esser lodata o per propria soddisfazione, sapete che fa? dice il profeta Aggeo, fa a guisa di colui che mette le monete, ricevute in paga delle sue fatiche, in un sacco bucato: Et qui mercedes congregavit, misit eas in sacculum pertusum (Aggaei I, 6). Viene a dire che perde tutto. Perciò avvertì il Signore: Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videant opera vestra bona (Matth. VI).10 State attenti, dice Dio, a non operare per solo fine d'esser veduti e lodati dagli uomini: perché facendo cosi allorché ne chiederete da me la ricompensa, vi dirò: Recepisti mercedem tuam, avete ottenuta già quella lode che cercavate; ora da me che pretendete? Narra il Surio nella vita di S. Pacomio che un certo monaco, in vece d'una stuoia, come faceano gli altri compagni, un giorno ne avea fatte due e le avea esposte a vista del santo, acciocché ne l'avesse lodato; ma S. Pacomio, mirandole, disse agli altri monaci: Vedete questo fratello, ha faticato sino alla notte ed ha offerta tutta la sua fatica al demonio.11


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5. Ma vediamo quali sono i segni per conoscere se l'opera vostra è fatta veramente per Dio.

Il primo segno è quando, non avendo prospero esito l'opera intrapresa, voi niente ve ne turbate, e ne restate colla stessa pace, come aveste ottenuto l'intento. E così avverrà quando l'avete fatta solo per Dio, poiché vedendo che Dio non l'ha voluta, neppure voi la volete; ben sapendo ch'egli non cerca conto da voi, se siasi conseguito o no l'effetto dell'opera, ma solamente se quella l'avete posta con retto fine di piacergli.

Il secondo è se voi tanto godete di quel bene operato per mezzo d'altri, quanto se fatto si fosse per mezzo vostro, poiché chi altro non cerca che la divina gloria, non va cercando s'ella avviene per mezzo d'altri o per mezzo suo.

Il terzo segno è quando voi non desiderate più un officio che un altro, più un'incombenza che un'altra, ma state contenta d'ogni cosa12 che dall'ubbidienza vi viene imposta, mentre in ogni cosa altro non cercate che il gusto di Dio.

Il quarto segno è quando nelle vostre buon'opere non desiderateapprovazioniringraziamenti, ma benché ne siate mormorata e pagata di maltrattamenti, rimanete nello spirito colla stessa tranquillità primiera, pensando che già avete conseguito l'intento di piacere a Dio, ch'era tutto il vostro fine.

6. E quando mai accadesse che d'alcuna cosa foste molto lodata dagli altri, e se ne venisse la vanagloria a prendervi per farvi compiacere di quelle lodi, non occorre che molto vi affanniate a discacciarla con atti contrari; il meglio è che non le diate udienza, e le diciate, come insegnava il P. Giovanni Avila: Sei arrivata tardi, perché l'opera mia già me la trovo data a Dio.13 Del resto, quando fate qualche azione virtuosa, come di osservar puntualmente le regole, trattenervi al coro a fare orazione, star ritirata, mortificarvi, aiutar le converse nelle loro fatiche, e far simili atti di edificazione, per dare anche buon esempio all'altre, non v'impedisca di farli il timore


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d'esser veduta e lodata, sempreché voi tutto lo fate per Dio. Piace al Signore che gli altri osservino le nostre buone opere, acciocché così s'inducano ad imitarle e diano gloria a Dio: Sic luceat, egli disse, lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona et glorificent Patrem vestrum qui in caelis est (Matth. V, 16). Tutto sta che le facciamo con retto fine. Ed allora quando viene la vanagloria, diciamole con S. Bernardo, il quale, tentato di vanità nell'atto che predicava, le rispose: Nec propter te coepi nec propter te desinam:14 Né per te ho cominciata la predica né per timore di te lascerò di compirla; altro non ho preteso nel predicare che di dar gusto a Dio. Dicea S. Francesco Saverio che una persona la quale sa di aversi meritato l'inferno per li suoi peccati, quando vien lodata dagli uomini, dee prender quegli applausi come ingiurie e derisioni che gli si facessero.15 In oltre dicea S. Teresa: Quando noi


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pretendiamo di piacere a Dio solo, il Signore ci darà forza per vincere ogni vanagloria.16

7. In tre modi poi la nostra intenzione può esser buona nelle azioni di virtù che esercitiamo.

Nel primo modo, quando le facciamo per impetrar da Dio i beni temporali, come chi limosine, fa dir Messe o digiuna per esser liberato da qualche infermità, calunnia o altro travaglio temporale. Questa intenzione è buona, purché si faccia con rassegnazione alla divina volontà; ma è la meno perfetta, mentre il suo oggetto non passa la terra.

Nel secondo modo, quando operiamo per soddisfare alla divina Giustizia le pene meritate per le nostre colpe, o per ottenere da Dio i beni spirituali, come le virtù, i meriti e maggior gloria in paradiso; questa intenzione è molto migliore della prima.


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Ma la più perfetta è nel terzo modo, cioè quando nelle nostre opere altro non miriamo che il solo gusto di Dio e l'adempimento della sua santa volontà. E questa intenzione è ancora la più meritoria, perché quanto più noi nel fare il bene ci dimentichiamo di noi tanto più Dio di noi si ricorderà, e ci colmerà di grazie, com'egli disse un giorno a S. Caterina da Siena: Figlia mia, tu pensa a me, ed io penserò a te.17 E volea dire: Pensa tu solamente, a compiacermi, ed io avrò cura del tuo profitto nelle virtù, delle tue vittorie contra i nemici, della tua perfezione e della tua gloria in cielo. Ciò appunto era quel che dicea la sagra sposa: Ego dilecto meo, et ad me conversio eius (Cant. VII, 10).

8. Oh chi avesse lo spirito di quella divota donna, che fu veduta da un religioso domenicano, mentr'egli viaggiava con S. Luigi re di Francia nella Palestina. Portava la donna in una mano un vaso d'acqua e nell'altra una fiaccola accesa: interrogata poi dal religioso a che fine ciò portasse, rispose: Io con quest'acqua vorrei smorzar l'inferno, e con questa fiaccola; bruciare il paradiso, affinché tutti servissero a Dio non per timore dell'inferno, né per la speranza del paradiso, ma solo per amore e per dargli gusto.18 Questo in fatti è imitare l'amor


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de' beati, che altro non cercano che 'l compiacimento di Dio; mentr'essi, come dice S. Tommaso (Opusc. 63), più godono della felicità di Dio che della propria.19 E questo è quell'entrare nel gaudio del loro Signore che vien detto ad ogni beato, allora ch'entra in paradiso: Intra in gaudium Domini tui (Matth. XXV, 21). - Sicché, dice S. Bernardo, allora un'anima opera con perfezione quando operatur non ut ipsa Deo placeat, sed quia placet Deo quod operatur:20 Quando è tanto ella dimenticata di se stessa, che opera non a fine che Dio si compiaccia di lei, ma solo acciocché l'opera sua gradisca a Dio. Onde poi il santo lo pregava: Amem te propter te:21 Signore,


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fate ch'io v'ami, non per piacere a me, ma solo per gradire a voi e per far la vostra volontà.

9. Dicea S. Francesco di Sales a tal proposito: Le spose amanti di Gesù Cristo non si purificano per esser pure, non si ornano per esser belle, ma solo per piacere al loro Sposo. E la confidenza che hanno e esse nella bontà del loro Amante le libera da ogni sollecitudine e diffidenza di non essere abbastanza belle, e le fa contentare d'una dolce e fedel preparazione fatta di buon cuore. Imitiamo il divin Salvatore che disse: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio. Dopo che non ci resta altro che morire della morte d'amore, non vivendo più in noi, ma facendo in noi vivere Gesù Cristo col dire: Così sia fatto, Signore, perché cosi piace a voi.22


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E qui si avverta esser meglio e più sicuro operare per fine di far la volontà di Dio, che per accrescere la sua gloria, poiché così eviteremo ogni inganno dell'amor proprio; perché molte volte noi col pretesto che quella cosa sia di gloria di Dio, facciamo la volontà nostra; ma all'incontro, quando noi cerchiamo di eseguire la divina volontà e quello che più piace a Dio, non possiamo mai errare. Ed intendiamo che nel far la volontà Dio è la maggior gloria che possiamo dargli. Così operò sempre il nostro Salvatore, facendo tutto per adempire il volere del suo Eterno Padre, come egli più volte si protestò: Non quaero voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Io. V, 30). Ed in altro luogo: Ego quae placita sunt ei facio semper (Io. VIII, 29). E perciò di Gesù con ragione fu detto ch'egli in tutto avea bene operato: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). E se noi facciamo ancora così, e colle nostre opere giungiamo a dar gusto a Dio, che altro andiamo cercando, dice S. Giovanni Grisostomo? Si dignus fueris agere aliquid, quod Deo placet, aliam, praeter id, mercedem requiris? (Lib. 2, de compunct. cord.).23 Se sei fatta degna di far qualche cosa che piace a Dio, qual premio più grande, oltre di questo, tu pretendi? ti pare poco premio il potere fu, misera creatura, dar gusto a Dio?

10. Persuadiamoci che 'l Signore non cerca da noi cose grandi, ma solamente che quel poco che gli diamo, glielo diamo con retta intenzione. Dice S. Agostino: Si non habet arca quod donet, habet cor et voluntas (In Ps. 103, conc. 2).24 Se la tua


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cassa, per esser povera, non ha che donare a Dio, la tua volontà ti darà molto che donare, se gli darai quello che fai per solo fine di piacergli. Pone me, dice il Signore a ciascuno, ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. VIII, 6): Se vuoi compiacermi mettimi come segno sopra il tuo cuore e sopra il tuo braccio; viene a dire: fa che in quanto desideri ed in quanto operi, io sia l'unico scopo di tutt'i tuoi desideri e di tutte le tue azioni. Egli giunge a dire che un'anima la quale opera a solo fine di dargli gusto, ella diventa sua sorella e sua sposa, e gli lascia ferito il cuore con ferita d'amore, sì che non può lasciare d'amarla: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa, vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli occhi significa l'unico riguardo che ha l'anima sposa ne' suoi esercizi di far la divina volontà, quando ella non fa orazione che per piacere a Dio, non si comunica se non per dar gusto a Dio, non ubbidisce a' superiori se non per ubbidire a Dio, riconoscendo Dio in essi, come dice l'Apostolo: Servientes sicut Deo et non hominibus (Ephes. VI, 7). E così fa tutte le altre sue azioni per dar gloria a Dio, eseguendo quel ch'esorta il medesimo Apostolo: Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam Dei facite (I Cor. X, 31).

Dicea la Ven. Beatrice dell'Incarnazione, prima figlia di S. Teresa: Non v'è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa, benché minima, fatta per Dio.25 E con ragione ciò dicea, perché tutte l'azioni fatte per dar gusto a Dio, sono atti d'amor divino, a' quali tocca un premio eterno. Quindi scrisse il P. Rodriguez che la purità d'intenzione è un'alchimia celeste per cui il ferro diventa oro:26 cioè l'opere più basse, come il


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mangiare, il dormire, il lavorare, il ricrearsi, fatte per Dio, tutte diventano oro di santa carità. Onde credea S. Maria Maddalena de' Pazzi, come dicea, che chi facesse con pura intenzione tutto ciò che fa, anderebbe diritto in paradiso, senza toccar purgatorio.27

11. Pertanto voi, sposa benedetta del Signore, procurate sin dalla mattina in isvegliarvi, d'indrizzare a Dio tutte le opere di quel giorno, offerendole unite colle azioni, che fece il nostro Salvatore nella sua vita, perché cosi gli saranno più accette.

Attendete poi a rinnovare la stessa intenzione nel principio d'ogni opera che fate, almeno delle più principali, come sono l'orazione, la comunione, l'assistenza alla Messa, il lavoro, il pasto, la ricreazione, dicendo sempre, almeno mentalmente: Signore, non intendo in questo il gusto mio, ma solo di fare la vostra volontà. Un santo romita, come rapporta il P. Sangiurè, (Erar. ecc., tom. 4, cap. 4), prima di metter mano a qualunque opera, alzava gli occhi al cielo e fermavasi alquanto; domandato poi che cosa allora facesse, rispondea: Procuro d'indovinare il tiro.28 Volendo dire che siccome l'arciero piglia la mira verso lo scopo per indovinare il colpo, cosi bisogna prender di mira Iddio, acciocché ogni nostra azione riesca buona.

Nel progresso poi dell'opera è bene che si rinnovi l'intenzione di dar gusto a Dio. S. Maria Maddalena de' Pazzi, allorché vedeva alcuna sua novizia occupata in qualche faccenda, ella soleva interrogarla: Sorella, a che fine fate questa cosa? E quando colei non rispondea subito che la facea per Dio, la


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riprendeva.29

E se voi vi trovate occupata in faccende impostevi dall'ubbidienza, non vi rammaricate che non potete spender quel tempo in orare, come vorreste. n P. Baldassare Alvarez, stando un giorno molto occupato, e bramando di sbrigarsene per andar ad orare, intese dirsi dal Signore: Benché non ti tenga meco, ti basti ch'io mi serva di te.30

12. Chi tutto quel che opera lo fa per Dio, farà che i giorni suoi si ritrovino pieni, secondo disse il Savio: Et dies pleni invenientur in eis (Sap. IV, 13).31 Giorni pieni s'intendono quelli che s'impiegano intieramente per gradire agli occhi divini. All'incontro i giorni non impiegati per Dio, son giorni vuoti; che perciò dice il Salmista che i peccatori non giungono a vivere la metà de' loro giorni: Viri sanguinum et dolosi non dimidiabunt dies suos (Psal. LIV, 24). Un santo religioso francescano, come si narra nelle Croniche (Part. 3, lib. 8, cap. 2), essendogli domandato da quanto tempo era religioso, rispose: Ah povero me! son bensì settantacinque anni che porto quest'abito santo, ma da quanto tempo io sia vero religioso, non di nome, ma di fatti, non lo so; io per me neppure da un punto posso dire d'essere stato religioso.32 Volesse Iddio che quel che


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disse costui per umiltà, non lo debbiano dire con verità molte monache, le quali staranno forse da trenta e più anni nel monastero, e non ancora han cominciato ad esser religiose! Quindi dicea S. Eusebio: Illum diem vixisse te computa, qui puritatis habuit lucem (Hom. ad monach.):33 Pensa d'aver vivuto per quello solo giorno, in cui le tue opere hanno avuta luce di purità, cioè sono state da te fatte col solo fine di piacere a Dio.

Esaminate pertanto voi, sorella benedetta, le vostre azioni, e vedete quante potete chiamarle veramente pure, cioè che le abbiate fatte solo per Dio, purificate da ogni amor proprio; e se per lo passato non le trovate, procurate di farle tali per l'avvenire, e così avrete la sorte di sentirvi dire nel giorno della vostra morte dal Signore: Euge, serve bone et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, super multa te constituam (Matth. XXV, 21). Rallegrati, mia buona serva, perché tu mi sei stata fedele in poche cose, facendole per solo fine di piacere a me, io te le rimunererò con molti e gran premi.




1 Le ediz. Remondiniane dal 1771 in poi hanno: facciamo.



2 «Ardeant licet fiammis, et ignibus traditi vel obiecti bestiis animas suas ponant, non erit illa fidei corona, sed poena perfidiae... Occidi talis potest, coronari non potest.» S. CYPRIANUS, Liber de unitate Ecclesiae, n. 14. ML 4-511.- Cf. IDEM, Epistola ad Antonianum de Cornelio et Novatiano, n. 29, in fine. ML 3-794.- «Sanguis effusus is tantum martyrem facit, qui pro Christi nomine funditur.» S. HIERONYMUS, In Epist. ad Philemonem, v. 1 sq. ML 26-605.- «Martyrem non facit poena, sed causa.» S. AUGUSTINUS, sermo 231, cap. 2, n. 2.- S. Agostino ripete spesso questa sentenza, non di rado negli stessi temini o quasi: Enarr. in Ps. 34, sermo 2, nn. 1, 12: ML 36-333, 340; in Ps. 43, n. 1: ML 36-483; Contra Cresconium, lib. 3, cap. 47, n. 51: ML 43-525; etc.- «Persecutio, dum non rationabiliter sustinetur, nequaquam proficit ad salutem... Debetis enim scire, sicut beatus Cyprianus (come ora l' abbiam veduto, la sentenza è di S. Cipriano, l' espressione di S. Agostino) ait, quod martyrem non facit poena, sed causa.» S. GREGORIUS MAGNUS, Epistola 51. ML 77-592.- Così altri.



3 «Spesso... con abbondanza di lagrime e di sospiri soleva dire: «A peso di purità, o sorelle mie, ci vuol premiare Dio in quell' altra vita.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 58.



4 «Bonum enim opus intentio facit... Non valde attendas quid homo faciat, sed quid cum facit aspiciat, quo lacertos optimae gubernationis dirigat. Fac enim hominem optime gubernare navim, et perdidisse quo tendit... Nonne iste quanto sibi videtur in navi gubernanda agilior et efficacior, tanto periculosius eam sic gubernat, ut ad naufragium properando perducat?» S. AUGUSTINUS, In Ps. 31, Enarratio 2, n. 4. ML 36-259, 260.



5 «Nec illa est perfecta liberalitas, si iactantiae causa magis quam misericordiae largiaris. Affectus tuum nomen imponit operi tuo: quomodo a te proficiscitur, sic aestimatur. Vides quam moralem iudicem habeas. Te consulit, quomodo opus tuum suscipiat, mentem tuam prius interrogat.» S. AMBROSIUS, De officis ministrorum, lib. 1, cap. 30, n. 147. ML 16-66.



6 «Quasi enim sic ambularet ut a nullo prorsus corpore tangeretur, ita dixit: Quis me tetigit? Et illi: Turbae te comprimunt. Et tamquam diceret Dominus: «Tangentem quaero, non prementem.» Sic etiam nunc est corpus eius, id est, Ecclesia eius. Tangit eam fides paucorum, premit turba multorum... Tolerabat ille prementes, quaerebat tangentes.» S. AUGUSTINUS, Sermo 62 (alias, De verbis Domini, 6), cap. 3, n. 5; cap. 7, n. 11. ML 38-416, 420.- «Turba premit te, tu unum tangentem commemoras... Turba ista premere novit, tangere non novit. Constat hoc eum significare voluisse... ut illum tactum fidem credamus esse tangentis, vel potius credentis accessum.» IDEM, Sermo 244, n. 3, col. 1150.



7 Cum venisset autem vidua una pauper, misit duo minuta, quod est quadrans (Luc. XII, 45). Al tempo di Gesù Cristo, il?, ossia minutum della Volgata, la più piccola moneta di bronzo, valeva meno di un centesimo della nostra moneta. L' asse valeva cinque centesimi nostri, ed il ? ne era l' ottava parte.



8 «Intuere in Evangelio viduam.... inter ipsas pressuras et angustias egestatis operantem, in gazophylacium duo quae sola sibi fuerant minuta mittentem: quam cum animadverteret Dominus et videret, non de patrimonio sed de animo opus eius examinans, et considerans non quantum sed ex quanto dedisset, respondit et dixit: Amen dico vobis quoniam vidua ista plus omnibus misit in dona Dei.... (Luc. XXI, 3).» S. CYPRIANUS, Liber de opere et eleemosynis, n. 15. ML 4-613.



9 «Altra volta raccontò sei virtù esser necessarie alla vera religiosa, e così disse: «Primo: In tutti i suoi esercizi interni ed esterni, non cerchi mai la religiosa se stessa, o il proprio comodo...» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 29: Avvisi e documenti spirituali ch' ella dava pe acquistare la perfezione religiosa.- «Siccome ella, nel suo operare, non aveva altra mira che di piacere e dar gloria a Dio, così insegnava alle sue discepole... Mostrava loro con vari discorsi e ragionamenti quant ograta si rendeva a Dio quell' anima che opera con questa pura intenzione... Detestava loro come peste delle opere, l' operare a caso, e senza considerazione, o per altro fine che di piacere a Dio... Spesso improvvisamente interrogava quando una e quando l' altra, con che intenzione avessero fatto e facessero le opere e gli esercizi che avevano fra mano.... «Se.... quanto facciamo, è solo per piacergli (a Dio) e per onorarlo e glorificarlo, a quelle che così fanno, non si può torre che sieno unite con Dio.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 107.



10 Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus ut videamini ab eis. Matth. VI, 1.



11 «Accidit ut, cum sederet aliquando magnus (nempe Pachomius) cum quibusdam aliis magnis fratribus, quidam frater monasterii duas, quas eo die fecerat, parvas storeas poneret ante suam cellam, ex adverso eius loci, in quo magnus Pachomius sedebat cum fratribus. Hoc autem fecerat elatus vanae gloriae cogitatione, existimans se in hoc esse laudandum a magno Pachomio, quod tali esset usus diligentia: cum regula hoc contineat, ut unusquisque frater unam in die faciat stoream. Cum autem vidisset magnus Pachomius em fratrem hoc fecisse ad ostentationem, et animadvertisset illius eo tendere cogitationem, valde suspirans, dixit fratribus, qui cum eo sedebant: «Videte hunc fratrem, qui amane hucusque laboravit, diabolo totum suum donavit laborem, et sui operis nihil relinquit, quo suam recrearet animam: quoniam magis amavit hominum gloriam quam Dei: et labore quidem suum corpus consumpsit, fructu vero laborum vacuam reddidit animam.» Vocatumque illum fratrem increpavit, et praecepit ut, orantibus fratribus, duas tenens storeas pene eos, diceret «Rogo vos, fratres, ut oretis pro infelici mea anima, ut summe misericors Deus vestris precibus eius misereatur, quae has duas parvas soreas eius regno praetulit.» Et rursus dum fratres comederent, iussit eum eodem modo stare in medio eorum cum storeis, donec fratres a mensa surgerent. Et postea iussit eum includi solum in cella, et tempore quinque mensium quotidie facere duas storeas, et vesci pane solo cum sale, et nullum fratrem eum convenire.» Vita S. P. N. Pachomii, ex Simeone Malaphraste, apud Surium, De probatis Sanctorum historiis, die 14 maii, tom. 3, Coloniae Agrippinae, 1579, pag. 292.- Questa Vita è la stessa che si ritrova presso il Rosveido, De Vitis Patrum, lib. 1, ML 73-221 et seq., «auctore graeco incerto, Pachomii coaetaneo, interprete Dionysio Exiguo» (+530). Metafraste ha riprodotto esattamente l' opera primitiva, con aggiunta di più cose, tra l' altre il fatto ora riferito, che mancano nella traduzione di Dionigi; quindi, osserva il Rosveido (ML 73-228): «videtur Metaphrastes in perfectiora exemplaria incidisse.»



12 Nell' ediz. napolet. del 1781 leggesi: ma fate ogni cosa.



13 «Fatevi anco beffe della vanagloria, dicendole: Nè per te io fo questo, nè per te lascierò io di farlo... E quanto pur venga in campo la vanagloria, ditele voi: Tarde venis, che già tutto è di Dio.» B. GIOVANNI AVILA, Lettere spirituali, parte 1, lettera 30, Roma, 1669, pag. 172.



14 E' celebre questo detto attribuito a S. Bernardo. L' hanno riferito, tra molti, S. Ignazio, il Rodriguez, il B. Giovanni Avila, S. Francesco di Sales (Lettre 1564, Œuvres, XIX, 51), Lohner (Bibliotheca concionatoria, v. Vanagloria), ecc. Ma l' abbiamo ricercato invano nelle Vite antiche del Santo Dottore e nelle sue Opere, come pure in tutta la primitiva letteratura Cisterciense e Bernardina.- Se non altro, riflette il pensiero di S. BERNARDO sulla vanagloria, la quale egli stimava doversi combattere col disprezzo. «Non videntes necat inanis gloria, caecos et negligentes qui... non vident, quam sit frivola, quam sit caduca, quam vana, quam inutilis;» il che ben considerato, «non iam occidit... gloria, sed occiditur.» In Ps. «Qui habitat», sermo 14, n. 7: ML 183-242. Si veda presso il GOFFREDO, (S. Bernardi Vita prima, lib. 3), come egli spiegasse i suoi miracoli, non trovandovi occasione di stima propria (cap. 7, n. 20, ML 185-315): come pure «inter summos quosque honores et favores populorum, vel sublimium personarum, alterum sibi mutuatus hominem videbatur, seque potius reputabat absentem, velut quoddam somnium suspicatus;» mentre, nella società dei suoi semplici fratelli, «ubi... amico semper liceret humilitate frui, ibi se invenisse gaudebat, et in propriam redisse personam (l. c., n. 22, col. 316.»



15 «Illud autem vos moneo, ne bona hominum de vobis opino vos nimium oblectet, nisi forte, ut hoc magis vestri vos pudeat.» S. FRANCISCUS XAVERIUS, Epistolarum vol. 2, lib. 3, Epistola 18, Societati Goam. n. 21. Bononiae, sine anno, pag. 157.- «Petis a me, mi Gaspar, ut quoniam multus esse soleo in commendanda humilitate... etiam eius exercenda quamdam methodum suggerere ne graver.... Quoniam tua causa volo plurimum, et tibi audiens circumstrepere plausus concionum, interdum... vereor ne, dum te sentis placere omnibus, incipias ipse tibi non displicere: adscritam hic quae in mentem veniunt, idonea, ni fallor, ut velut amuleti vice tibi sint ad praevertendam vim noxiam blandi veneni arrogantiae... Ante omnia toto animo incumbe ad captandam ex ipso successu tuarum... orationum, occasionem... tui deprimendi: clare intelligendo ac profitendo, nihil in eo tuum esse, totam laudem ad Deum, tuae... facultatis et profectus... audientium unicum auctorem, fidelissime referendo. Quin etiam agnoscas oportet, debere te populo fructum istum universum... te nihil aliud nisi ministrum esse alieni beneficii... quippe cum et tua intelligendi lux, et agendi vigor, et ipsa docilitas permotioque auditorum, Dei utique sint munera, non tuis, sed Ecclesiae ac pii populi meritis concessa.» Considera pure, diec il Santo, quanta parte abbiano, nel frutto del tuo lavoro, le preghiere e le fatiche dei tuoi confratelli, anche distanti. «Iuverit etiam fructum, quantuscumque provenit, comparare cum longe uberiori, proventuro si non interciperetur tuo vitio... Erunt hi (sensus) quasi stimuli excussuri gloriationem vanam....» Pensa poi, soggiunge, quanti, dopo aver predicato meglio di te, e con maggiori applausi e maggior frutto, si son trovati miserabilmente dannati, per aver cercato la gloria propria, e non quella di Dio. «Circumspiciat se quisque... si recte calculos posuerit accepti ac redditi, no esse cur glorietur, abundare unde metuat et quare se deprimat, intelliget.» In quel negozio della salute delle anime, tutto è di Dio, fuorchè i difetti- errori, infedeltà, imprudenze- che vi intromettiamo: «haec nostri peculii sunt, nam conversiones hominum opera sunt Dei.» Nè paragonarti ad altri, credendoti più utile di loro: «tu potius certa tibi persuasione sublice: ex illuvie ac tenebris vilia domi officia tractantium istorum, splendores tuos nasci; hos, inquam, fratres tuos humiles Dei causa sordidis ministeriis intentos, ab eo cui devote serviunt, impetrare tibi vim ac facultatem quae te clarum efficit: quibus ideo plus longe debeas, quam ipsi tibi. Tali praeoccupatus sensu intimo, nunquam hos despicies, sed penitus amabis ac venerabis, infra ipso te deprimens, magno animi tui profectu.» Id. op., II, lib. 4, Epistola 14, P. Gaspari Barzaeo, pag. 315-321.- Però, la parola riferita da S. Alfonso, non l' abbiamo rintracciata.



16 «Es cosa muy cierta, que mientra màs vemos estamos ricos, sobre conocer somos pobres, màs aprovechiamento nos viene, y aun màs verdadera humildad. Lo demàs es acobardar el ànimo a parecer que no es capaz de grandes bienes, si en comenzando el Señor a dòrselos, comienza ël a atemorizarse con miedo de vanagloria. Creamos que quien nos da los bienes, nos darà gracia para que en comenzando el demonio a tentarle en este caso, lo entienda, y fortaleza para resistir; digo, si andamos con llaneza delante de Dios, pretendiendo contentar sòlo a El, y no a los hombres.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 10. Obras, I, 71.



17 «Apparendo un' altra volta a Caterina, (il Signore) le disse: «Figliuola, pensa a me; che se tu lo farai, io immantinente penserò a te.» B. RAIMONDO DA CAPUA, O. P., Vita, parte 1, cap. 10, n. 6.



18 «Rex in consilio suo decrevit, quod per nuntios suos responsum ad Damasci soldanum mitteret, ac cum iis eo destinaret religiosum quemdam. Ordinis fratrum Praedicatorum, cui nomem erat frater Yvo le Breton... quia intelligebat sermonem Saracenicum... At narrare hic lubet aliquid, quod ex dicto fratre Yvone cognovi: id est, quod a domo regis tendens ad hospitium legatorum soldani, regis nuntium perlaturus, in platea invenerit feminam aetatis valde provectae, quae dextera gerebat scutelam igne plenam, et sinistra ampullam aqua repletam. Frater Yvo ipsam interrogavit: «Mulier, quid hoc igne vis facere, aquaque, illa, quam gestas?» Illa ei respondit, igne se caelum cremare velle, atque aqua exstinguere velle infernum; ut numquam deinde caelum esset, aut infernus. Rogavit eam religiosus, cur verba eiusmodi proferret. Illa ei respondit: «Quia, inquiebat, nequaquam volo, ut quis umquam bene operetur in hoc mundo, ut pro mercede caelum possideat, neque itidem, ut quis a peccato se abstineat prae timore ignis inferni. At omnino hoc faciendum est ex integro perfectoque amore, quo ferri nos oportet in Deum Creatorem nostrum, qui summum est bonum, quique tantopere nos amavit, ut morti se submiserit ad redemptionem nostram, hancque mortem sustinuerit propter peccatum primi parentis nostri Adam, atque ad salutem nostram.» Acta Sanctorum Bollandiana, die 25 augusti: Vita S. Ludovici (tertia), auctore Ioanne de JOINVILLE, cap. 19, nn. 171, 172. Parisiis et Romae, 1868, pag. 729, 730.



19 «Tanta puritate anima afficitur in congratulatione Dei quod potius vult ipsum esse beatum quam seipsam esse beatam.» De beatitudine, opusculum 63, cap. 7: inter Opuscula S. Thomae, Opera, XVII, Romae, 1570.- Questo opuscolo non è genuino. Però la sentenza qui riferita è conseguenza di quanto insegna S. Tommaso sulla natura della carità, la quale raggiunse la sua ultima perfezione «in patria». Dice infatti l' ANGELICO, Quaestiones disputatae, De caritate, qu. unica, art. 10, ad 4: «Est autem de ratione caritatis ut Deus super omnia diligatur, et ut nullum creatum ei preferatur in amore.» E pure, De malo, qu. 1, art. 5, c., post medium: «Caritas autem ordinat acium voluntatis in Deum; non autem solum sic quod homo bono divino fruatur, hoc enim pertinet ad amorem qui dicitur concupiscentiae; sed secundum quod bonum divinum est in ipso Deo, quod ad amorem amicitiae pertinet.»



20 «Postquam vero consolationem receperit, sollicitus est et quaerit quomodo placeat ei cui se probavit. Facit quidquid boni facit, ut soli placeat suo conditori. Transit ad tertium gradum sui profectus; ut sit scilicet amicus sapientiae.... Nihil aliud ei restat, nisi ut ad quartum gradum ascendat, ubi dicitur esse sapiens. Hoc autem fit quando iam operatur, non ut ipse Deo placeat, quod utique in tertio gradu fecerat; sed quia placet ei Deus, vel quia placet Deo quod operatur.» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, Sermo 103, nn. 1-4. ML 183, col. 728-730.



21 Dopo aver parlato dell' anima che, amando se stessa, ricorre a Dio per ricevere i suoi benefici; che poi ama Dio a causa dei suoi beneficii; aggiunge San Bernardo che la moltitudine di questi beneficii indurrà quell' anima. «etsi fuerit ferreum pectus et cor lapideum»- ad amare un Dio così buono «propter ipsum». E allora: «Amat caste, et casto non gravatur obedire mandato, castificans magis cor suum.... in obedientia caritatis. Amat iuste, et mandatum iustum libenter amplectitur. Amor iste merito gratus, quia gratuitus... Qualis suscipitur, talis et redditur. Qui enim sic amat, haud secus profecto quam amatus est, amat; quaerens et ipse vicissim, non quae sua sunt, sed quae Iesu Christi, quemadmodum ille nostra, vel potius nos, et non sua quaesivit... iste est tertius amoris gradus, quo iam propter se ipsum Deus diligitur.» S. BERNARDUS, Liber de diligendo Deo, cap. 9, n. 26, ML 182-989, 990.- Prosegue il Santo Dottore: «Felix qui meruit ad quartum usque (gradum) pertingere, quatenus nec seipsum diligat homo nisi propter Deum. Amor iste mons est, et mons Dei excelsus... Beatum dixerim et sanctum, cui tale aliquid in hac mortali vita raro interdum, aut vel semel, et hoc ipsum raptim, atque unius vix momenti spatio experiri donatum est... Quoniam tamen Scriptura loquitur, Deum omnia fecisse propter semetipsum; erit profecto ut factura sese quandoque (almeno nell' altra vita) conformet et concordet Auctori. Oportet proinde in eumdem nos affectum quandoque transire: ut quomodo Deus omnia esse voluit propter semetipsum, sic nos quoque nec nos ipsos, nec aliud aliquid fuisse vel esse velimus, nisi aeque propter ipsum, ob solam videlicet ipsius voluntatem, non nostram voluptatem. Delectabit sane non tam nostra, vel sopita necessitas, vel sortita felicitas, quam quod eius in nobis et de nobis voluntas adimpleta videbitur.» Quindi nota il Santo esser questo l' oggetto della nostra quotidiana preghiera: Fiat oluntas tua: ed esclama e sospira e supplica: «O amor sanctus et castus! o dulcis et suavis affectio! o pura et defaecata intentio voluntatis!... Quando hoc erit? quis hoc videbit? quis possidebit? Quando veniam et apparebo ante faciem Dei? Domine Deus meus, tibi dixit cor meum, exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram.» Ibid., cap. 10, n. 27 et 28: ML 183-990, 991, 992.



22 «Les amantes spirituelles, épouses du Roi céleste, se mirent voirement de temps en temps... pour voir si elles sont bien agencées au gré de leur Amant; et cela se fait ès examens de la conscience... Mais n' est-ce pas un amour bien pur, bien net et bien simple, puisqu' elles ne se purifient pas pour être pures, elles ne se parent pas pour être belles, ains seulement pour plaire à leur Amant, auquel si la laideur était aussi agréable, elles l' aimeraient autant que la beauté? Et si, ces simples colobes n' emploient pas un soin ni fort long ni aucunement empresse ò se laver et parer, car la confiance que leur amour leur donne d' être grandement aimées, quoiqu' indignes- je dis la confiance que leur amour leur donne en l' amour et en la bonté de leur Amant.- leur ôte tout empressement et défiance de ne pas être assez belles: outre que le désir d' aimer, plutôt que de se parer et préparer à l' amour, leur retranche toute curieuse sollicitude et les fait contenter d' une douce et fidéle préparation, faite amoureusement et de bon cœur.... Oyons et imitons le divin Sauveur, qui... chante les souverains traits de son amour sur l' arbre de la croix; il les conclut tous ainsi: Mon Père, je remets et recomande mon esprit entre vos mains. Après que nous aurons dit cela,... que reste-t-il sinon d' expirer et mourir de la mort de l' amour, ne vivant plus à nous-mêmes, mais Jésus-Christ vivant en nous? Alors cesseront toutes les inquiétudes de notre cœur.... Car qui est entre les mains de Dieu et qui repose dans son sein, qui s' est abandonnè à son amour et qui s' est remis à son bon plaisir, qu' est-ce qui le peut ébranler et mouvoir? Certes, en toutes occurrences, sans s' amuser à philosopher sur les causes, raisons et motifs des événements, il prononea de cœur ce saint acquiescement du Sauveur: Oui, non Pére, car ainsi il a été agréé devant vous (Matth. XI, 26). S. FRANÇOIS DE SALES, Les vrais entretiens spirituels, XII: Œuvres, VI, Annecy, 1895, pag. 217-219.- Cf. Œuvres, XXI. Lettre 2100, à la Mère de Chantal, pag. 189.



23 «Quid ais, o homo pusillanimis et infelix? res Deo placita agenda tibi proponitur, et tu de mercede sollicitus es?.... Rem Deo acceptam facis, et aliam mercedem requiris? Vere ignoras quantum boni sit placere Deo: si id namque scires, nullum aliud huic par praemium esse putares.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De compunctione lib. 2, ad Stelechium, n. 6. MG 47-420.



24 «Supplicem nullum spernas, et cui dare non potes quod petierit, non eum spernas: si potes dare, da; si non potes, affabilem te praesta: coronat Deus intus voluntatem, ubi non invenit facultatem. Nemo dicat: Non habeo. Caritas non de sacello erogatur.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. 103, sermo 1, n. 19: ML 37-1351.- «Unde autem procedit eleemosyna? De corde. Si enim manum porrigas, nec in corde miserearis, nihil fecisti; si autem in corde miserearis, etiamsi non habeas quod porrigas manu, acceptat Deus eleemosynam tuam.» IDEM, Enarr. in Ps. 125, n. 5: ML 37-1660.



25 «E' la prima rosa che... piantata da Teresa in terra, scelse il celeste giardiniero per il suo (giardino) del cielo: perchè, sebbene morirono altre prima di lei, ad ogni modo ella fu la prima di quelle che meritarono istoria particolare. Le pagò il Signore il molto che l' amò e lo servì, con darle per istorica la sua santa Madre.» FRANCESCO DI SANTA MARIA, Riforma de' Scalzi di N. S. del Carmine, tom. 1, lib. 1, cap. 19.- Di lei scrisse S. Teresa: «Todo lo que jacia de labor y de oficios, era con un fin que no dejaba perder el mérito, y ansi decia a las hermanas: «Non tiene precio la cosa màs pequeña que se hace, si va por amor de Dios; no habiamos de menear los ojos, hermanas, si no fuese por este fin y por agradarle.» S. TERESA, Las Fundaciones, cap. 12. Obras, V, p. 97.



26 «Haec vera et certissima est alchymia, illa ab hominibus disputata ars, qua praeparamur ad purissimum ex aere et ferro metallis vilibus, aurum conflandum: licet enim opus ex se sit vilissimum, hoc modo fit sublimissimum maximique valoris.» A. RODERICIUS, S. I., Exercitium perfectionis, pars 1, tract. 3, cap. 8, n. 4.



27 «Diceva che chi facesse tutte l' opere sue con questa pura intnzione di dar gloria a Dio, dopo la morte anderia in paradiso senza toccare il purgatorio.» PUCCINI, Vita (1671), cap. 107.



28 «Ainsi lisons-nous d' un des anciens Pères, qu' il avait accoutumè de demeurer un peu pensif devant que de commencer aucune œuvre; et interrogé pour-quoi il le faisait, répondit que nous œuvres n' ayant point de vraie bonté que ce qu' elles en prennent des bonnes intentions, il s' alliquait pour lors à en produire une bonne et bien pure, afin de rendre son action bonne et valable; imitant l' archer, qui voulant tirer au blanc, demeure quelque temps pour appointer sa flèche, et prendre sa visée.» J.-B- SAINT-JURE, S. I., De la connaissance et de l' amour du Fils de Dieu N.-S. Jèsus-Christ, liv. 3, (ch. 15 ou) part. 2, ch. 3, section 3. Paris, 12e édition, in-fol., 1688, pag. 558, col. 2.



29 «Spesso improvvisamente interrogava quando una e quando l' altra (delle sue discepole), con che intenzione avessero fatto e facessero le opere e gli esercizi che avevano fra mano; e se trovava alcuna che non sapesse risponderle, congetturando di qui che aveva operato a caso, la riprendeva, e le diceva: «Non vedete che perdere ilmerito di quest' opera? Iddio non si pasce d' opere fatte a caso». PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 107.



30 «Vedendosi quasi oppresso dalle molte e spesse occupazioni, dolcemente querelandosi col suo Dio perchè gli mancasse il tempo di trattenersi solo a solo con lui: «Fu fatta, dice, dal Signore questa parola nel mio interno: Bastili ch' io mi servo di te, quantunque io non ti tenga meco: - e con questo rimasi rasserenato e contento.» Ven. Lod. DA PONTE, S. I., Vita, cap. 49; - cap. 2, § 1.



31 Consummatus in brevi explevit tempora multa. Sap. IV, 13.- Et dies pleni invenientur in eis. Ps. LXXII, 10.



32 «F. Gerardo da Firenze.... frate laico semplice... era di singolare ubbidienza e di gran carità.... Una volta gli fu domandato quanto tempo era stato frate; rispose che non era un punto; e non essendo inteso.... disse: «Io so che sono 75 anni ch' io porto quest' abito di Frate Minore; ma quanto tempo io sia stato vero frate coll' opere, io non lo so». Dimandatogli dal Vicario della Provincia quanto tempo avea vivuto nell' Ordine, rispose: «Una sol notte»; nè l' intendendo il Vicario, meglio si dichiarò, dicendo: «Quando i Conventuali vollero la prima volta distruggere l' Osservanza, una notte s' unirono nella chiesa di S. Bernardino il B. F. Giovanni da Capistrano, il B. F. Giacomo della Marca, e io era con loro, e tutta quella notte si consumò in orazioni e in parlare di Dio, siccome conveniva a' Frati Minori: perciò quella sol notte mi parve d' essere Frate Minore in tutta la mia vita.» MARCO DA LISBONA, Croniche, parte 3, lib. 8, cap. 27.



33 «Illum diem vixisse te computa, qui puritatis et sanctae meditationis habuit lucem, quem non conversatio tenebrosa mutavit in noctem.» S. Eusebius Emissenus (seu Emesenus) episcopus, Homilia 9, ad monachos. Opera, Parisiis, 1575.- Leggi: S. EUCHERIUS, Lugdunensis, Homilia 9, ad monachos: ML 50-855.- Oltrechè di opere non sue, e di una edizione di piccolo formato, ma nitidissima, gli antichi editori hanno arricchito Eusebio (+360 circa), vescovo di Emesa (oggi Hims o Homs di Siria), del titolo di Santo, certamente non meritato, se non altro a causa della sua più che deficiente ortodossia.

 






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