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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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CAPO XX - Della preghiera

1. Di questo punto della preghiera io più volte ne ho trattato a lungo nell'altre mie Opere spirituali, come nella Visita al SS. Sagramento, in un trattatello posto ivi in fine; nell'Apparecchio alla morte, e specialmente di questa materia ne ho fatto un libro a parte, intitolato Il gran mezzo della preghiera, dove nella prima parte ho parlato dell'importanza che abbiamo tutti di pregare per salvarci.1 Onde qui solamente raccolgo certe riflessioni più principali circa questo punto, Vedremo in primo luogo quanto è necessaria la preghiera; in secondo luogo quant'ella è efficace appresso a Dio e valevole ad ottenerci ogni grazia; in terzo luogo tratteremo del modo come si ha da pregare.

2. E per prima, in quanto alla necessità della preghiera, bisogna intendere che noi non possiamo far niente di bene senza le grazie attuali di Dio; ma il Signore si protesta che queste grazie egli le concede solamente a coloro che ce le domandano: Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7): Cercate e riceverete. Sicché, dicea S. Teresa, chi non cerca non riceve.2


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La preghiera pertanto agli adulti non solo è necessaria di necessità di precetto, secondo parlano le Scritture: Oportet semper orare (Luc. XVIII, 1). Orate, ut non intretis in tentationem (Marc. XIV, 38). Petite et accipietis (Io. XVI, 24). Le quali parole oportet, orate, petite, come dicono comunemente i Dottori con S. Tommaso, importano rigoroso precetto, che obbliga ciascuno sotto colpa grave. Ad orationem, dice l'Angelico, quilibet homo tenetur ex hoc ipso quod tenetur ad bona spiritualia procuranda; quae procurari non possunt, nisi petantur (In 4. Sent., dist. 15, a. 1, qu. 3).3 Specialmente in tre casi l'uomo è obbligato a pregare: 1. quando si trova in peccato: 2. quando sta in pericolo di morte: 3. quando e assalito da qualche grave tentazione di peccare. Ed ordinariamente poi insegnano i Teologi che chi per un mese o al più due non pregasse (Vedi Lessio, De iust. et iure, lib. 2, c. 37, n. 9), non può essere scusato da peccato mortale.4

Ma non solo, come dissi, il pregare a noi è di necessità di precetto, ma come insegnano S. Basilio, S. Agostino, S. Gio. Grisostomo, Clemente Alessandrino ed altri, è ancora di necessità di mezzo:5 viene a dire che senza pregare è a noi assolutamente impossibile il conservarci in grazia e salvarci, come chiaramente scrisse il Grisostomo: Simpliciter impossibile est, absque deprecationis praesidio, cum virtute degere (Lib. 1, De orando Deum).6 E ciò conclude il mentovato Lessio doversi tenere


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come punto di fede: Fide tenendum est orationem adultis ad salutem esse necessariam, ut colligitur ex Scripturis (Loc. cit.).7

3. Lo stesso bastantemente dichiara più a lungo il Maestro Angelico (3. p. q. 39, a. 5), dove scrive così: Post baptismum autem necessaria est homini iugis oratio ad hoc quod caelum introeat.8 Poiché soggiunge che sebbene col battesimo si cancellano i peccati, nondimeno ci resta da vincer le tentazioni, le quali non avremo noi forza di superare senza la preghiera; onde dice in altro luogo (1. 2. q. 109, a. 10): Postquam aliquis est iustificatus per gratiam, necesse habet a Deo perseverantiae donum, ut scilicet custodiatur a malo usque ad finem vitae.9

Per intendere la ragione di ciò, bisogna sapere per 1. che senza l'aiuto speciale di Dio noi non possiamo star lungo tempo in grazia, senza cadere in qualche colpa mortale; perché sono tanti i nemici che continuamente ci combattono, e noi all'incontro siamo così deboli, che, se Dio non ci soccorre con aiuti speciali, oltre i comuni che da a tutti, non abbiamo forza di resistere. E questa è anche dottrina di fede, dichiarataci dal sagro Concilio di Trento (Sess. VI, de iustif. can. 22), dove dicesi: Si quis dixerit iustificatum vel sine speciali auxilio Dei in accepta iustitia perseverare posse, vel cum eo non


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posse, anathema sit.10 Deve sapersi per 2. che questo aiuto speciale a perseverare in grazia il Signore, almeno ordinariamente parlando, non lo concede se non a chi lo domanda. Constat, dice S. Agostino, alia Deum dare etiam non orantibus, sicut initium fidei; alia nonnisi orantibus praeparasse, sicut in finem perseverantiam (De dono persev., cap. 16).11 Dice in somma il santo dottore, che, eccettuate le prime grazie, come sono le chiamate alla fede o alla penitenza, tutte l'altre, e specialmente la perseveranza, Iddio non le dona se non a chi prega.

4. Quindi raccogliamo da tutto ciò che si è detto, quanto ci è necessario il pregare per conseguire la salute eterna. Tutti i dannati si son dannati per non pregare; se pregavano, non si sarebbero perduti: e tutti i santi si son fatti santi col pregare; se non pregavano, non si sarebbero salvati. Diceva S. Gio. Grisostomo: Persuasum habeamus quod animae mors sit non provolvi ad Dei genua (Lib. I, De or. Deum).12 Bisogna che viviamo persuasi esser lo stesso il non pregare che 'l perdere la vita dell'anima, ch'è la grazia di Dio. - I Padri antichi fecero una conferenza tra di loro per determinare quale fosse l'esercizio più necessario ad un cristiano per salvarsi, e conchiusero essere il continuamente replicar la preghiera di Davide: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina.13 Signore, aiutatemi, ed aiutatemi


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presto; perché se tardate a donarmi il vostro aiuto, io caderò e perderò la vostra grazia. Se faremo così, certamente ci salveremo; se non faremo così, certamente ci perderemo.

5. In secondo luogo bisogna considerare l'efficacia della preghiera. Dice Teodoreto che la preghiera è una, ma ella può ottenere tutti i beni: Oratio, cum sit una, omnia potest.14 Chi prega, ottiene quanto vuole. Ed in ciò io rifletto che Iddio ci fa conoscere l'amore immenso che ha di farci bene. Qual maggior amore può dimostrare taluno ad un suo amico che dirgli: Amico, cercami quel che vuoi, e te lo darò? Or questo appunto dice il Signore ad ognuno di noi: Petite et dabitur vobis (Luc. XI, 10).15 E non vi mette riserba: Quodcumque volueritis, petetis, et fiet vobis (Io. XV, 7). Dice: Qualunque cosa bramerete, chiedetemela e vi sarà data. Scrive S. Ilario che la preghiera può tanto con Dio che quasi lo costringe a donarci tutte le grazie che noi gli domandiamo: Oratio pie Deo vim infert.16

Noi tutti siam poveri e mendici, come dicea Davide: Ego autem mendicus sum et pauper (Psal. XXXIX, 18). Ma se vogliamo


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esser ricchi, a noi sta: cerchiamo a Dio le grazie e ci saran date: cerchiamo assai e ci sarà dato assai. Davide specialmente benedicea il Signore per questa di lui bontà, che univa sempre la sua misericordia alle nostre preghiere: Benedictus Deus qui non amovit orationem meam et misericordiam suam a me (Psal. LXV, 20). Chiosa questo passo S. Agostino e dice: Cum videris non a te amotam deprecationem tuam, securus esto quia non est a te amota misericordia Dei.17 Quando vedi che tu preghi, sta certo che la divina misericordia non mancherà di soccorrerti. E S. Gio. Grisostomo dice che quando noi preghiamo, il Signore, prima che terminiamo di esporgli le nostre domande, egli già n'esaudisce: Semper obtinetur, etiam dum adhuc oramus.18 Anzi di ciò ne abbiamo la promessa di Dio medesimo: Adhuc illis loquentibus, ego audiam (Is. LXV, 24).

6. In terzo luogo vediamo le condizioni con cui si ha da pregare, che è quello che più importa.

Bisogna per 1. pregare con umiltà. Dice S. Giacomo: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (Iac. IV, 6). Iddio resiste alle preghiere de' superbi, e non loro udienza; la di loro superbia è un gran muro che impedisce il Signore dal sentire le loro domande. All'incontro dice l'Ecclesiastico:


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Oratio humiliantis se nubes penetrabit... et non discedet, donec Altissimus aspiciat (Eccli. XXXV, 21). La preghiera di un'anima umile, che stimasi indegna d'esser esaudita, penetra i cieli e si presenta al trono divino, e non si parte finché Iddio non la guarda e l'esaudisce. - Quando dunque cerchiamo le grazie al Signore, bisogna che prima diamo un'occhiata alla nostra indegnità, e specialmente a' tradimenti che gli abbiamo fatti dopo tanti propositi e promesse, per aver troppo confidato alle nostre forze; e così poi, tutti disperati di noi, dobbiam pregare ed implorare dalla sua misericordia l'aiuto che desideriamo.

7. Per 2. bisogna che preghiamo con confidenza. Dice l'Ecclesiastico che non mai s'è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio e sia restato confuso, cioè non esaudito: Nullus speravit in Domino, et confusus est (Eccli. II, 11). Dobbiam pertanto pregare, come dice S. Giacomo, con confidenza sicura, senza punto dubitare di non esser esauditi: Postulet autem in fide nihil haesitans (Iac. I, 6). E poi soggiunge il medesimo apostolo: Qui enim haesitat, similis est fluctui maris qui a vento movetur... Non ergo aestimet homo ille quod accipiat aliquid a Domino (Loc. cit., v. 7). Dice che chi prega dubitando di essere esaudito, agitato come un'onda del mare, sicché un pensiero lo rincora, un altro lo disanima, costui niente riceverà dal Signore. È necessario dunque che confidiamo nella divina misericordia, e crediamo che certamente, pregando, riceveremo la grazia; ed allora certamente la grazia ci sarà fatta, siccome ce ne assicura il nostro medesimo Salvatore: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis et evenient vobis (Marc. XI, 24). Ma, dice S. Agostino, come possiam temere, pregando, di non essere esauditi, mentre Iddio che è la stessa verità, ha promesso di esaudir chi lo prega? Quis falli metuat, dum promisit Veritas? (Lib. 22, De civ. Dei, c. 8).19 Dice in altro luogo il santo: Essendo vero che Dio tante volte nella Scrittura ci esorta a domandare, come poi può succedere che abbia a negarci quello che domandiamo?


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Hortatur ut petas, negabit quod petis?20 No, questo non è possibile, soggiunge il S. Dottore, mentre il Signore col promettere egli s'è obbligato a concedere le grazie che noi gli domandiamo: Promittendo debitorem se fecit (S. Aug., de verb. Dom., serm. 2).21

8. Ma io, direte voi, son peccatrice, merito castighi, non grazie; e perciò temo, perché sono indegna d'essere esaudita. Ma a ciò vi risponde S. Tommaso che la preghiera in impetrar le grazie non si appoggia a' meriti nostri, ma solo alla misericordia di Dio: Oratio in impetrando non innititur nostris meritis, sed soli divinae misericordiae (2. 2. q. 178, a. II, ad 1).22 Perciò disse Gesù Cristo: Petite et dabitur vobis... Omnis enim qui petit accipit (Luc. XI, 9 et 10). Commenta l'autor dell'Opera imperfetta: Omnis, sive iustus sive peccator sit (Hom. 18).23 Il Signore ha promesso di esaudir le preghiere d'ognun che lo prega, non solo del giusto, ma anche del peccatore: basta che preghi. Ma il nostro amoroso Redentore, per toglierci ogni timore quando preghiamo, ci disse in altro luogo: Amen, amen


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dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23). Peccatori, come dicesse, voi non avete meriti appresso mio Padre per essere esauditi: onde fate così: cercategli le grazie in nome mio, cioè per li meriti miei ed io vi prometto ch'egli vi darà quanto voi domandate. Quanto sono belle le parole che a tal proposito scrisse S. Giacomo! Si quis... indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter, nec improperat (Iac. L 5). Se alcuno di voi dice l'Apostolo, ha bisogno della sapienza, s'intende dell'amor divino, che ha da fare? la chieda a Dio, il quale suol dispensar le grazie a mano larga, cioè maggiori di quelle che gli domandiamo. E soggiunge. Nec improperat; viene a dire che quando cerchiamo a Dio i suoi doni, egli non ci ributta col rimproverarci i disgusti che gli abbiam dati, ma allora par che si dimentichi di tutte le nostre ingratitudini, e ci accoglie e ci esaudisce.

9. Per 3. bisogna che preghiamo con perseveranza. Dice S. Ilario che l'ottener le grazie sta nel fermarci a pregare: Obtinere in sola precum mora est (Cap. 6, in Matth.).24 Il Signore vuol esaudire alcuni alla prima volta che lo pregano, altri alla seconda, altri alla terza; e perciò, non sapendo noi quante volte Dio vuole che replichiamo le suppliche, per esaudirci, bisogna che sempre seguitiamo a cercare la grazia che domandiamo.

E parlando specialmente della perseveranza finale, questa è una grazia, come insegna il Concilio di Trento (Sess. VI, c. 13), che da noi non può meritarsi,25 nulladimeno dice S. Agostino che in qualche modo ella si merita col pregare; cioè pregando certamente si ottiene: Hoc ergo Dei donum (perseverantiae) suppliciter emereri potest, id est supplicando


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impetrari (De dono persev., c. 6).26 Ma per ottenerla e salvarsi, avverte S. Tommaso, è necessario a ciascuno che continuamente la domandi a Dio: Necessaria est homini iugis oratio ad hoc quod caelum introeat (3. p. q. 39, a. 5).27 E prima lo disse il medesimo nostro Salvatore: Oportet semper orare et non deficere (Luc. XVIII, 1). Lo disse ancora l'Apostolo: Sine intermissione orate (I Thess. V, 17). Non basta dunque, scrisse il Bellarmino, cercar la perseveranza una o poche volte, bisogna - cercarla ogni giorno, per ottenerla ogni giorno: Quotidie petenda est, ut quotidie obtineatur.28 In quel giorno in cui non la chiederemo, caderemo in peccato, e la perderemo.

10. Dice S. Gregorio che Dio vuol darci la perseveranza, ma per darcela vuol essere importunato e quasi costretto dalle nostre preghiere: Vult Deus rogari, vult cogi, vult quodam modo importunitate vinci (S. Greg., in psal. 6 poenit.).29 E ciò significano quelle premure che ci fa il Signore: Petite et accipietis:


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pulsate et aperietur vobis (Luc. XI, 9):30 Domandate, cercate, bussate; particolarmente così bisogna fare in tempo di tentazioni gravi, per non cadere; bisogna pregare e tornare a pregare, sin tanto che ci vediamo liberi da quelle. Replichiamo allora sempre: Gesù mio, misericordia; Signore, aiutatemi; non permettete ch'io m'abbia a separare da voi.

E con ciò bisogna insieme cercar sempre a Dio lo spirito della preghiera, ch'è la grazia di continuamente pregare, promessa dal Signore alla famiglia di Davide: Et effundam super domum David et super habitatores Ierusalem spiritum gratiae et precum (Zach. XII, 10). Notate: gratiae et precum, perché la preghiera va sempre unita colla grazia che desideriamo. Chi fa così, sarà sempre sicuro di non esser preso da' lacci de' nostri nemici. Frustra... iacitur rete ante oculos pennatorum (Prov. I, 17): Indarno si gitta la rete, dice il Savio, avanti gli occhi degli uccelli, perché quelli subito volano e scampano d'esser presi. Così chi prega scampa da tutte le tentazioni, perché colla preghiera subito se ne vola a Dio, e Dio ne lo libera.

E qui intendiamo che non v'è mai scusa per un peccatore che dice di esser caduto per essergli mancata la forza di resistere; poiché diceva il Concilio di Trento: Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adiuvat ut possis (Sess. 11).31 Iddio non comanda cose impossibili, ma nel darci i precetti ci ammonisce a fare quel che possiamo colla grazia ordinaria, che dona a tutti; e per quel che poi con quella sola grazia non possiamo fare, ci ammonisce a chiedere l'aiuto maggiore che ci bisogna; e chiedendolo noi, egli è pronto a donarcelo.

11. Il Signore dunque ben esaudisce chi lo prega, perché l'ha promesso: ma bisogna intendere che tal promessa non va fatta per le grazie temporali, come della sanità del corpo, di acquistar beni di fortuna, di ottener quell'onore e simili;


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mentre Iddio molte volte giustamente queste grazie le nega, perché vede che quelle ci nocerebbero alla salute dell'anima. Quid infirmo sit utile, dice S. Agostino, magis novit medicus quam aegrotus (Tom. III, c. 212):32 Che cosa giovi all'infermo, non lo conosce egli, ma il medico che lo cura. Pertanto queste grazie temporali, se vogliono cercarsi, debbono cercarsi con rassegnazione e colla condizione se sono spedienti alla nostra salute eterna; altrimenti, se le domandiamo senza questa rassegnazione, il Signore non ci darà neppure udienza.

Ma quando poi son grazie spirituali, non vi vogliono condizioni; bisogna chiederle assolutamente e con sicura speranza di ottenerle. Si ergo vos, cum sitis mali - ecco come il nostro Salvatore ci animò a domandar queste grazie, - nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester... dabit spiritum bonum petentibus se? (Luc. XI, 13). Se voi, dice il Signore, che siete così cattivi e pieni d'amor proprio, non sapete negare ciò che vi chiedono i vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste, che v'ama più d'ogni padre, vi concederà lo spirito buono, cioè quelle grazie che giovano allo spirito, sempre che gliele domandate?


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12. Oh Dio, che molte volte le preghiere di certe persone tutte si riducono a grazie temporali! Ma no, dice S. Teresa: Non è tempo questo di trattar con Dio negozi di poca importanza.33 Cerchiamo le virtù, la luce divina per eseguire la divina volontà; cerchiamo la mansuetudine, la pazienza nelle cose contrarie, la perseveranza, l'amor divino, ch'è quel bene, come dice S. Francesco di Sales, che contiene tutti gli altri beni;34 cerchiamo la grazia di sempre pregare e raccomandarci a Dio. - Quas tuorum preces exaudis, dice S. Agostino, si has non exaudis? (De civit. Dei cap. 8):35 Signor mio, quali preghiere voi esaudite, se non esaudite queste, che son di tanto vostro compiacimento? Eh che Dio ha troppo desiderio di arricchirci


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dei suoi doni, perché è bontà infinita; tanto che dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi che, quando noi gli cerchiamo le grazie, egli in certo modo ci resta obbligato e ci ringrazia, perché allora quasi gli apriamo la via di contentare al suo desiderio che ha di farci bene.36 Se manca, manca per noi, perché non lo preghiamo. Non merita dunque compassione chi resta povero; egli è povero perché non vuol domandare a Dio le grazie che gli bisognano. Perciò dicea S. Teresa ch'ella avrebbe voluto salire su d'un monte, da cui avesse potuto farsi sentire da tutti gli uomini, e di non avrebbe voluto far altro che gridare: Uomini, pregate, pregate, pregate.37

13. Io non mi dilungo più su questa materia, perché, come dissi da principio, ne ho scritto a lungo in più luoghi e specialmente nell'Operetta che ho fatta della preghiera - libro di poca spesa che già va per le mani di molti; - e perciò non voglio recar tedio ad alcuno, che già l'ha letta, in ripeter le stesse cose. Del resto, io non farei altro che scrivere e parlar sempre di questo gran mezzo della preghiera; mentre da una parte osservo che le sante Scritture così del vecchio come del nuovo Testamento ci ripetono tante volte che preghiamo, cerchiamo e gridiamo, se vogliamo le grazie: Clama ad me, et exaudiam te (Iob, XXXIII, 3).38 Invoca me, et eruam te (Psal. XLIX, 15).39 Petite, et dabitur vobis (Matth. VII, 7). Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. XI, 24). Quodcumque volueritis, petetis, et fiet vobis (Io. XV, 7). Si quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam (Io. XIV, 14). E vi sono mille altri passi simili. Io non so come più il Signore avea da spiegare il desiderio ch'egli ha di donarci le sue grazie, e la necessità che abbiam noi di cercarle, se le vogliamo. I santi Padri parimente non fanno altro che esortarci a pregare.


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All'incontro, dico la verità, io mi lamento de' predicatori, de' confessori e degli scrittori, perché vedo che né i predicatori né i confessori ne i libri parlano quanto dovrebbero di questo gran mezzo della preghiera. Si leggano specialmente tanti Quaresimali stampati che vi sono; dove si trova una predica della preghiera? appena se ne ritroverà qualche parola scappata: ed io perciò ne ho scritto a lungo in tante mie Operette, e quando predico, non fo altro che dire e replicare: Pregate, pregate, se volete salvarvi e farvi santi.

È vero che per farci santi ci bisognano tutte le virtù, la mortificazione, l'umiltà, l'ubbidienza e principalmente la santa carità; e per acquistare queste virtù, bisogna usare anche gli altri mezzi, oltre la preghiera, come la meditazione, la comunione, le sante risoluzioni: ma se non preghiamo, con tutte le meditazioni, con tutte le comunioni e risoluzioni, non saremo né mortificatiumiliubbidienti, non ameremo Dio, non resisteremo alle tentazioni, in somma non faremo mai niente di bene. Perciò S. Paolo, dopo aver numerate molte virtù necessarie al cristiano, dice: Orationi instantes (Rom. XII, 12); per significarci come avverte S. Tommaso in detto luogo, che per l'acquisto delle virtù che ci son necessarie, bisogna che attendiamo a continuamente pregare, perché senza pregare non avremo l'aiuto divino, che ci bisogna per esercitar le virtù.40

14. Concludiamo. Sorella benedetta del Signore, se volete dunque salvarvi e farvi santa, raccomandatevi sempre a Gesù Cristo, alla sua divina Madre, all'Angelo Custode ed a' santi Avvocati. Tenete continuamente aperta la bocca e vigilante il cuore a dire: Dio mio, aiutami: Dio mio, aiutami; Maria santissima, aiutami; Angelo mio Custode, santi miei Avvocati, aiutatemi.


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- Diceva il gran Servo di Dio e gran missionario - defunto da pochi anni in Roma in concetto di santo - P. fra Leonardo da Porto Maurizio che noi non dobbiamo lasciar passare momento senza replicare colla bocca o colla mente: Gesù mio, misericordia: Gesù mio, misericordia. Queste parole, dicea, contengono insieme l'atto di dolore e la preghiera per più non peccare. E narra nella sua bellissima operetta Manuale sagro per le monache di aver egli conosciuto un uomo divoto che sempre replicava queste parole: Gesù mio, misericordia: e così spesso che talvolta in un quarto d'ora giungeva a ripeterle trecento volte.41 E lo stesso io consiglio a voi: procurate di praticare ancor voi questa preghiera, sempre che ve ne ricordate: quando vi svegliate, quando state all'orazione, quando vi siete comunicata, quando lavorate, quando passeggiate, quando state a mensa, quando state alla grata, replicate sempre: Gesù mio, misericordia; Gesù mio, misericordia. Ed allora intendete di dire: Gesù mio, io per li peccati miei meriterei l'inferno, ma fidata alla vostra misericordia, spero il perdono e la grazia di sempre amarvi. Gesù mio, aiutatemi.

E non vi scordate di raccomandarvi sempre alla divina Madre, che si chiama la tesoriera e la dispensiera delle divine grazie; che perciò esorta S. Bernardo: Quaeramus gratiam et per Mariam quaeramus; quia quod quaerit, invenit, et frustrari non potest (Serm. de Aquaeductu).42




1 Il Santo Dottore pubblicò a Napoli nel 1757 il Breve trattato della necessità della preghiera, della sua efficacia e delle condizioni con cui deve esser fatta  come «aggiunta» alla III ed. del Cristiano santificato del Vener. Sarnelli. Nel 1758 incluse il trattatello nelle Operette Spirituali, nella cui prima parte trovasi la Visita al SS. Sacramento (ed. XI, Napoli- di Domenico; ed. X, Venezia- Remondini). Diede a luce l' Apparecchio alla morte, parimenti a Napoli nel 1758; Il gran mezzo della preghiera nel 1750 tanto a Napoli quanto a Venezia ed a Bassano, ma in diversa redazione.- La presente Edizione critica contiene il primo e il terzo libro nel vol. II, il secondo poi nel III.



2 Le parole di S. TERESA, più vicine a quelle che riferisce S. Alfonso, sembrano queste: «Pues ya sabéis.... que dice el Señor: Pedit y daros han (Luc. XI, 9). Si no créeis a Su Majestad en las partes de su Evangelio que asigura esto, poco aprovecha, hermanas, que me quiebre yo la cabeza a decirlo.» Camino de perfecciòn, cap. 23. Obras, III, 111.- «¿Por ventura serà mejor callar con mis necesidades, esperando que Vos las remediéis? No, por cierto, que Vos, Señor mio y deleite mio, sabiendo las muchas que habian de ser, y el alivio que nos es contarlas a Vos, decis que os pidamas, y que no dejaréis de dar (Io. XVI, 24).» Exclamaciones del alma a Dios, V. Obras, IV, 276.



3 «Ad orationem quilibet tenetur ex hoc ipso quod tenetur ad bona spiritualia sic procuranda, quae nonnisi divinitus dantur: unde alio modo procurar non possunt nisi ut ab ipso petantur.» S. THOMAS, In IV Sententiarum, dist. 15, qu. 4, art. 1, Ad tertiam quaestionem.



4 Leonardus LESSIUS, S. I., De iustitia et iure, lib. 2, cap. 37, dubitatio 3, n. 9 et seq. N. 12: «Addi potest nos obligari ut non multo tempore oratione abstineamus, v. g. ad mensem unum vel alterum, quia est signum magnae negligentiae suae salutis.»



5 Vedi Appendice, 14.



6 «Et fieri quidem non posse ut sine precibus vita cum virtute ducatur, perspicuum esse omnibus existimo.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De precatione oratio 1, (al. De orando Deum, lib. 1)- MG 50- 777.- Vedi Appendice, 14, c.



7 «Fide tenendum est orationem adultis ad salutem esse necessariam.... Quod sit necessaria, colligitur ex multis Scripturae locis: Eccli. XVIII....: Luc. XVIII....: I Thess., ultimo....: Coloss. IV....: et alibi saepe.» LESSIUS, op. cit., l. c., n. 10.



8 «Post baptismum autem necessaria est homini iugis oratio, ad hoc quod caelum introëat: licet enim per baptismum remittantur peccata, remanet tamen fomes peccati nos impugnans interius, et mundus et daemones qui impugnant exterius. Et ideo signanter dicitur Luc. III quod, Iesu baptizato et orante, apertum est caelum: quia scilicet fidelibus necessaria est oratio post baptismum.» S. THOMAS, Sum. Theol., III, qu. 39, art. 5, c.



9 «Alio modo (cioè non più la virtù della perseveranza, nè il proposito di perseverare, ma il dono della perseveranza) dicitur perseverantia continuatio quaedam boni usque ad finem vitae. Et ad talem perseverantiam habendam homo in gratia constitutus non quidem indiget aliqua alia habituaeli gratia, sed divino auxilio ipsum dirigente et protegente contra tentationum impulsus, sicut ex praecedenti quaestione (cioè ex praecedenti articulo) apparet. Et ideo postquam aliquis est iustificatus per gratiam, necesse habet a Deo petere praedictum perseverantiae donum, ut scilicet custodiatr a malo usque ad finem vitae. Multis enim datur gartia, quibus non datur perseverare in gratia.» S. THOMAS, Sum. Theol., I-II, qu. 109, art. 10, c.- Commentaria Cardinalis CAIETANI, III: «Multis datur gratia, quibus non datur uti ea quando oportet, sed, divina permissione, abiicere eam. Et sic datur donum quo possunt bene operari et resistere tentationibus et perseverare, omnibus quibus datur gratia: non tamen omnibus datur exsecutio horum simpliciter, ut experientia testatur, quia non omnibus dantur extrinseca requisita ad talem executionem. Et ideo oportet orare: Ne proiicias nos in tempore senectutis: cum defecerit virtus nostra, ne derelinquas nos. Domine (ps. LXX, 9); et Ne nos inducas in tentationem.»



10 CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio 6, De iustificatione, canon 22.



11 «Cum constet alia deum, danda etiam no orantibus, sicut initium fidei; alia nonnisi orantibus praeparasse, sicut usque in finem perseverantiam: profecto qui ex se ipso hanc se habere putat, non orat ut habeat. Cavendum est igitur, ne dum timeus ne tepescat hortatio, exstinguatur oratio, accendatur elatio.» S. AUGUSTINUS, Liber de dono perseverantiae, cap. 16, n. 39. ML 45-1017.



12 «Quicumque Deum non precatur, neque divino colloquio assidue frui cupit, mortuus est et anima sensuque caret. Illud est maximum stultitiae ac stuporis argumentum, si honoris fuius mangitudo ignoratur, si precatio non amatur, si non animae mors esse existimatur Deum non adorare (pressius et rectius, ut omnino exigit contextus: coram Deo non provolvi).» S. IO. CHRYSOSTOMUS, De precatione, Oratio 1, (al. De orando Deum, lib. 1). MG 50-776.



13 «Huius.... spiritalis theoriae tradenda vobis est formula, ad quam semper tenacissime vestrum intuitum defingentes.... eamdem salubriter volvere indirupta iugitate discatis.... Quae... nobis a paucis qui antiquissimorum Patrum residui erant, tradita est.... Erit itaque ad perpetuam Dei memoriam possidendam, haec inseparabiliter proposita vobis formula pietatis: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina. Hic namque versiculus non immerito de toto Scripturarum excerptus est instrumento. Recipit enim omnes affectus quicumque inferri humanae possunt naturae, et ad omnem statum atque universos incursus proprie satis et competenter aptatur. Habet siquidem adversus universa discrimina invocationem Dei, habet humilitatem piae confessionis, habet sollicitudinis ac timoris perpetui vigilantiam, habet considerationem fragilitatis suae, exauditionis fiduciam, confidentiam praesentis semperque adstantis praesidii. Qui enim iugiter suum invocat protectorem, certus est eum esse semper praesentem... Hic versiculus onibus infestatione daemonum laborantibus inexpugnabilis murus est, et impenetrabilis lorica, ac munitissimus clypeus....» IO. CASSIANUS, Collatio decima, quae est secunda abbatis ISAAC, De oratione cap. 10: De institutione orationis perpetuae. ML 49-832. 833.



14 Dopo aver ricordato come il santo monaco Marone, colle sue orazioni, guarisse ogni sorta di malattia, conchiude Teodoreto: «Medici quippe unicuique morbo suum applicant remedium: sanctorum autem oratio commune malis omnibus est remedium.» THEODORETUS, Reliigosa Historia (al. Philotheus, al. Theophiles), cap. 16. MG 84-1418; ML 74-75.



15 Luc. XI. 9.



16 Quantunque S. Ilario, come tutti i Santi, più volte raccomandi la preghiera, è chiaro che qui a lui deve sostituirsi S. GIOVANNI CLIMACO, Scala paradisi, gradus 28, MG 88-1139: «Qui scipione orationis semper nititur, non offendet; et si offendere contingat, non cadet in finem. Oratio enim est quaedam pia tyrannis Dei» tyrannis nostra in Deum.



17 «Quamdiu ergo hic sumus, hoc rogemus Deum ut non a nobis amoveat deprecationem nostram et misericordiam suam; id est, ut perseveranter oremus, et perseveranter misereatur. Multi.... in novitate suae conversionis ferventer orant, postea languide, postea negligenter: quasi securi fiunt. Vigilat hostis: dormis tu... Non deficiamus orando: et hoc ex beneficio ipsius est. Propterea dixit: Benedictus Deus meus, qui non amovit deprecationem meam et misericordiam suam a me. Cum videris non a te amotam deprecatione tuam, securus est, quia none st a te amota misericordia eius.» S. AUGUSTINUS Enarratio in ps. 65, n. 24. ML 36-801-



18 «Cum invocarem, exaudivit me Deus iustitiae meae (Ps. IV, 2). Non haec dicit propheta ut solum intelligamus eum fuisse exauditum, sed ut discamus quomodo ipsi quoque. Deum invocantes, cito poterimus exaudiri  et ante finem orationis postulatum consequi. Non dixit enim: Postquam ego invocavi, exaudivit me; sed cum invocarem. Nam ipsius quoque Dei est eiusmodi promissio dum alicubi dicit ei qui invocat: Te adhuc loquente, dicam: Ecce adsum (Is. LVIII, 9, iuxta translationem LXX interpretum).» S. IO. CHRYSOSTOMUS, Expositio in Ps. IV. n. 1. MG. 55-39. «Si hominem rogare volueris, interrogas quid agat, dormiatne, an a negotiis vacet; ministerque non tibi respondet. Ad Deum precandum, nullo horum opus habes: quocumque ieris et invocaveris, ille audit; nulla occupatio, nullus intermedius, minister nullus auditum intercludit. Die: Miserere mei, et statim Deus aderit: Adhuc te loquente, inquit, dicam: Ecce adsum (Is. LVIII, 9). O sermo benignitate plenus! Non exspectat precationis finem: nondum finita oratione, donum accipis.» IDEM, Hom. de Chananaea, n. 11. MG 52-459.



19 «Petite et accipietis: quaerite et invenietis; pulsate et aperietur vobis. Omnis enim qui petit accipit, et quaerens invenit, et pulsanti aperitur (Matth. VII, 7, 8). Promissa tua sunt et quis falli timeat, cum promittit Veritas?» S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib. 12, cap. 1, n. 1. ML 32-825, 826.



20 «Esto mendicus Dei... Mendicum suum sciebat, et ecce paterfamilias et magnus dives, divitiarum scilicet spiritualium, et aeternarum, hortatur, et dicit tibi: Pete, quaere, pulsa.... Hortatur ut petas: negabit quod petis?» S. AUGUSTINUS, Sermo 61, cap. 4, n. 4. ML 38-410.



21 S. AUGUSTINUS, sermo 110, cap. 4, n. 4, (al. De verbis Domini, sermo 31), ML 38-640, 641. S. Agostino, dopo aver dimostrato la veracità di Dio nelle minacce finora non eseguite, dalla sua fedeltà nelle promesse già adempiute, viene a parlare delle promesse non ancora avverate, di quelle cioè che riguardano l' eterno premio dei giusti, e dice: «Promissorum suorum nobis chirographum fecit. Non debendo enim sed promittendo debitorem se Deus fecit: id est non mutuo accipiendo. Non possumus ergo ei dicere: Redde quod accepisti; sed plane dicimus: Redde quod promisisti.» - Pensiero assai familiare a S. Agostino, perchè fondamentale nella questione della grazia e della preghiera. Confessiones, lib. 5, cap. 9, n. 17, ML 32-714: «Dignaris.... eis quibus omnia dimittis, etiam promissionibus tuis debitor fieri.»- Enarratio in Ps. 83, n. 16, ML 37-1068: «Debitorem Dominus ipse se fecit, non accipiendo, sed promittendo.»- Cf. Enarratio in Ps. 109, n. 1, ML 37-1445; sermo 153, cap. 2, n. 2, ML 38-863; sermo 25, cap. 5, n. 6, ML 38-1184: «Parum putatis, quia promissorem tenemus, ut iam debitorem exigamus?»



22 «Oratio, in impetrando, non innititur merito, sed divinae misericordiae.» S. THOMAS, Sum. Theol., II-II, qu. 178, art. 2, ad 1.- «Meritum innititur iustitiae, sed impetratio innititur gratiae.» II-II, qu. 83, art. 16, ad 2.



23 «Ne forte aliqui peccatorum... dicant: «....Nos... indigni, etsi petierimus, non accipiemus...», vide quomodo... tam iustis quam peccatoribus misericordiam Dei commendat, dicens: «Omnis qui petit,» sive iustus sit sive peccator.» Opus imperfectum in Matthaeum (d' autore incerto, ma certamente eretico), hom 18; notatum ut spurium inter Opera S. Io. Chrysostomi. MG 56-732.



24 «In his, quae ignorabimus, via nobis consequendae veritatis aperitur: quam obtinere in sola precum mora est. Ut igitur sentiamus credamusque omnia, et nullo ambiguae voluntatis differamur incerto, orandum est, quaerendum est, pulsandum est: oratione misericordiam, inquisitione pofectum, tentamento aditum reperturi.» S. HILARIUS, Pictaviensis episcopus, Commentarius in Matthaeum, cap. 6, n. 2: ML 9-951.



25 CONCILIUM TRIDENTINUM, sessio 6, cap. 13: «De perseverantiae munere.... quod quidem aliunde haberi non potest nisi ab eo qui potens est eum qui stat statuere ut perseveranter stet, et eum qui cadit restituere, nemo sibi certi aliuqid absoluta certitudine polliceatur, tametsi in Dei auxiliu firmissimam spem collocare et reponere omnes debent...». Canon 22: «Si quis dixerit iustificatum, vel sine speciali auxilio Dei in accepta iustitia perseverare posse, vel cum eo non posse: anathema sit.»



26 Un certo Ilario (non già il vescovo di Arles dello stesso nome, ma un pio laico) aveva scritto (ML 44-953 et seq.) a S. Agostino che si faceva gran rumore «Massiliae, vel aliis etiam locis in Gallia» circa le questioni della predestinazione e della grazia. Tra l' altro, dice (Epistola Hilarii, l. c., n. 4, col. 955, 956): «Quod autem dixit Sanctitas tua, neminem perseverare, nisi perseverandi virtute percepta.... nolunt.... ita hanc perseverantiam praedicari, ut non suppliciter emereri, vel amitti contumaciter possit.» - Risponde S. AGOSTINO, De dono perseverantiae, cap. 6, n. 10, ML 45-999, che, per ogni altro dono di Dio, quando uno l' ha, si può dire che l' abbia avuto; non così della perseveranza: chi non persevera, non ha avuto mai questo dono. Quindi conchiude: «Hoc ergo Dei donum suppliciter amereri potest: sed cum datum fuerit, amitti contumaciter non potest. Cum enim perseveraverit quisque usque in finem, neque hoc  donum potest amittere, nec alia quae poterat ante finem. Quomodo igitur potest amitti, per quod fit ut non amittatur etiam quod posset amitti?»



27 S. THOMAS, Sum. Theol., III, qu. 39, art. 5, c.- Vedi sopra, nota 8.



28 «Perseverantiae donum plane expedit nobis, sed non bene petit qui non assidue petit. Non enim perseverantia res est eiusmodi quae uno die peti et accipi possit, sed quotidie petenda est, ut quotidie detur, et sic tandem fiat ut in finem usque perseveremus. Tunc enim data intelligitur perseverantia cum perseveratum est usque in finem.» S. ROBERTUS BELLARMINUS, Disputationes de controversiis christianae Fidei, tom. 4. De iustificatione, lib. 3, cap. 13.



29 «Vult Deus rogari, vult cogi, vult quadam importunitate vinci. Ideo tibi dicit: Regnum Dei vim patitur, et violenti rapiunt illud (Matth. XI, 12). Esto ergo sedulus in oratione, esto in precibus importunus, cave ne ab oratione deficias. Si dissimulat audire quem rogas, esto violentus, ut vim etiam ipsis inferas caelis. Quid hac rapina locupletius? quid hac gloriosus violentia?» S. GREGORIUS MAGNUS, Exposito in VII Psalmos poenitentiales, Ps. VI, n. 2. ML 79-633.



30 Petite et dabitur vobis; quaerite et invenietis; pulsate et aperietur vobis. Luc. XI, 9.- Petite et accipietis. Io. XVI, 24



31 «Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet et facere quod possis, et adiuvat ut possis. Cuius mandata gravia non sunt, cuius iugum suave est, et onus leve.» CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio 6, Decretum de iustificatione, cap. 11. -

«Si quis dixerit, Dei praecepta, homini etiam iustificato et sub gratia constituto, esse ad observandum impossibilia: anathema sit.» Ibid., Canon 18.



32 «Fideliter supplicans Deo pro necessitatibus huius vitae, et misericorditer auditur, et misericorditer non auditur. Quid enim infirmo sit utile, magis novit medicus quam aegrotus. Si autem id postulat quod Deus et praecipit et promittit, fiet omnino quod poscit; quia accipit caritas quod parat veritas.» S. PROSPER AQUITANUS, Liber sententiarum ex operibus S. Augustini delibatarum, sententia 213 (al. 212): ML 51-457.- Opera S. Augustini, tom. 3, Parisiis, (Chevallon), 1531: Sententiae aliquot velut aphorismi ex omnibus Augustini et aliorum libris decerptae per studiosum aliquem. Sententia 212: «Fideliter supplicans Deo pro necessitatibus huius vitae, misericorditer non auditur. Quid enim infirmo utile sit, magis novit medicus quam aegrotus. Si enim id postulat quod Deus praecepit et promittit, fiet omnino quod poscit, quia accipiet caritas quod parat veritas.» Fol. 244, col. 4.- Per questa sentenza, la ML, l. c., rimanda alla Enarratio in Ps. 59, n. 7; ed è vero quanto al senso generale. Però le parole riferite da S. Alfonso rispondono più esattamente a quanto scrive S. AGOSTINO in Epistolam Ioannis ad Parthos (I Io.), tract. 6, cap. 3, n. 8, ML 35-2024: «Intelligere debemus quia Deus etsi voluntati nostrae non dat, saluti dat. Quid si enim hoc petieris quod tibi obest, et medicus novit quia obest tibi?.... Sit ergo in vobis caritas, fratres, sit in vobis, et securi estote; et quando non vobis datur quod petitis, exaudimini, sed nescitis. Multi dati sunt in manus suas malo suo.... Discite rogare Deum, ut medico committatis, quod ipse novit faciat. Tu morbum confitearis, ille medicamentum adhibeat.... Ille secare vult, urere vult... Tu iam vis revocet manus... Non te exaudit ad voluntatem, sed exaudit ad sanitatem.»



33 «De otro pan (cioè del pane materiale), no tengàis dejado en la voluntad de Dios; digo en estos tiempos de oraciòn que tratàis cosas màs importantes, que tiempos hay otros para que trabajéis y ganéis de comer.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 34. Obras. III, 162.- «¡ Oh hermanas mias en Cristo! ayudadme a suplicar esto a el Señor (ad ottenere cioè la salvezza delle anime), que para eso os juntò aquì; éste es vuestri llamamiento; éstos han de ser vuestros negocios; éstos han de ser vuestros deseos; aquì vuestras làgrimas; éstas vuestras peticiones; no, hermanas mias, por negocios del mundo, que yo me rio y aun me congojo de las cosas que aquì nos vienen a encargar supliquemos a Dios de pedir a Su Majestad rentas y dineros.... Estàse ardiendo el mundo.... ¿y hemos de gastar tiempo en cosas que por ventura, si Dios se las diese, terniamos un alma menos en el cielo? No es, hermanas màs, no es tiempo de tratar con Dios negocios de poca importancia. Por cierto, que si no mirase a la flaqueza umana, que se consuela que las ayuden en todo- y es bien si fuésemos algo,- que holgaria se entendiese no son éstas las cosas que se han de suplicar a Dios con tanto cuidado.» Camino de perfecciòn, cap. 1 (in fine). Obras, III, 11.



34 «Pour ce qui est des vertus, nous les pouvons et devons désirer et demander à Dieu; l' amour de Dieu les comprend toutes.» S. FRANÇOIS DE SALES, Les vrais entretiens spirituels, VI. Œuvres, VI, 93.- «Quand je dis qu' il ne faut rien demander ni rien désirer, j' entends pour les choses de la terre, car pour ce qui est des vertus, nous les pouvons demander; et demandant l' amour de Dieu, nous les y comprenons, car il les contient toutes.» Même ouvrage, XXI. Œuvres, VI, 384.- Cf. Traitè de l' amour de Dieu, liv. 2, ch. 22.



35 Queste sono parole di S. AGOSTINO, - De civitate Dei, lib. 22, cap. 8, n. 3, ML 41-762- ma proferite in tutt' altro senso. Ivi egli parla d' Innocenzo, già avvocato «vicariae praefecturae», il quale, con ferventissime preghiere, ottenne il miracolo della sua guarigione. Il pensiero però di S. Agostino su questo argomento non è dubbio, avendolo egli espresso chiaramente più volte. Così in Enarratio in Ps. 59, n. 8, ML 36-718, dopo aver notato «fidelem.... multa deprecari secundum saeculum et non exaudiri,» non essere esaudito «ad voluntatem» per esserlo «ad utilitatem», soggiunge: «at vero cum illud petis, ut det tibi vitam aeternam Deus, ut det tibi regnum caelorum Deus, ut det tibi ad dexteram Diliis sui stare, cum venerit iudicare terra: securus esto; accipies, si modo non accipis: non enim iam venit tempus ut accipias. Exaudiris, et nescis: quod petis agitur, etsi nescis in quo agitur. In radice res est, nondum in fructu.»



36 «Come può essere questo, che il Padre Eterno riconosca la creatura per benefattrice, la quale ha ricevuto il dono, essendo egli donante, ed ella- che era ed è, di sua natura, mendica- beneficata ed arricchita? Sì, sì. Percchè tanto si compiace di dare, che istima per dono il ricevere che altri fa de' suoi doni, e tanto brama comunicarsi, che il voler partecipare della sua comunicazione gli è come se altri comunicasse qualche gran bene con esso lui.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 3, quinta notte, pag. 126, 127.



37 S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 21. Obras, I. 161.- Vedi Appendice, 15.



38 Ier. XXXIII, 3.



39 Et invoca me in die tribulationis: eruam te, et honorificabis me. Ps. XLIX, 15.



40 «Ostendit (Paulus: Rom. XII, 11, 12) qualiter se debeat habere dilectio caritatis ad Deum. Et primo incipit ab ipsa rationis attentione (sollicitudo).... Secundo quantum ad affectum (fervor).... Tertio quantum ad exterius servitium (Dei servitium)... Quarto quantum ad mercedem servitutis (gaudium ex spe).... Quinto quantum ad difficultatem quam homo patitur in Dei servitio (patientia).... Sexto, quantum ad omnia praedicta, dicit: Orationi instantes, in quo orationis assiduitas designatur.... Per orationem enim in nobis sollicitudo excitatur, fervor accenditur, ad Dei servitium incitamur, gaudium spei in nobis augetur, et auxilium in tribulatione promeremur. Ad Dominum, cum tribularer, clamavi, et exaudivit me (Ps. 119).» S. THOMAS, In Epist. ad Romanos, cap. XII, lectio 2.



41 S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO, O. M. (+ 26 novembre 1751; canonizzato nel 1867), Manuale Sacro, ovvero Raccolta di varie divozioni proprie d' una religiosa che aspira alla perfezione, Roma, 1734, parte 1, n. 12: «Acciò vi si renda facile il mezzo più necessario per arricchirvi di meriti ed assicurarvi il grande affare dell' eterna salute (cioè la preghiera), vi suggerirò una giaculatoria amorosissima, che dovrà essere il vostro pane quotidiano, avendola sempre su la lingua e nel cuore... Rendetevela familiare, e non passi momento che non la proferiate, o mentalmente o vocalmente. Eccola: Gesù mio, misericordia... Dicendo di cuore una sì dolce giaculatoria, verrete a fare un atto di dolore de' vostri peccati, e un atto di domanda per non peccar più, e per ottenere qualsisia grazia... Un servo di Dio morto pochi anni sono in concetto di gran bontà nelle vicinanze di Firenze, aveva sempre questa giaculatoria su le labbra, e fu osservato che talvolta la proferiva più di trecento volte in un quarto d' ora. L' istesso avete a far voi, se non con la medesima frequenza, almeno spessissimo....»- Nel num. 31 poi, dopo aver consigliato varie giaculatorie: d' offerta, di penitenza, di lode, di petizione, d' amore, riassume il tutto in questa «giaculatoria, ed affetto generale: Gesù mio, misericordia», suggerendo a tal riguardo un patto con Dio, d' intender dire tutto con queste tre parole.



42 S. BERNARDUS, In Nativitate B. V. M., sermo De aquaeductu, n. 8. ML 183-441, 442.

 






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