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S. Alfonso Maria de Liguori
Vittorie dei Martiri

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PARTE PRIMA

§. 1. Di s. Ignazio martire.

1. Sant'Ignazio vescovo d'Antiochia, chiamato anche Teoforo, cioè Porta-Dio, visse nel primo secolo della chiesa. Egli fu discepolo degli apostoli e specialmente di s. Giovanni. Da essi fu battezzato ed indi ordinato vescovo dalla chiesa di Antiochia che fu fondata e governata prima dall'apostolo s. Pietro, e dove i discepoli di Gesù Cristo presero il nome di cristiani.

2. S. Ignazio prese il governo di quella chiesa dopo la morte di s. Evodio, succeduto a s. Pietro e morto nell'anno 69. del Signore; benché il p. Orsi reca l'opinione di altri che vogliono esser succeduto s. Ignazio immediatamente a s. Pietro. Il santo governò quella chiesa con tanto zelo che tutte le chiese della Siria ricorreano a lui, come ad un oracolo. Nella persecuzione di Domiziano ebbe molto a patire ed a faticare con gran rischio della sua vita per la conservazione della fede, dando coraggio a tutti acciocché non prevaricassero. Del resto sin d'allora sospirava il martirio, solendo dire che non credeva di amar Gesù Cristo, se non quando avesse data per esso la vita.

3. Morto Domiziano nell'anno 96. e succedutogli Nerva, calmò la tempesta. Ma fra questo tempo non lasciavano gli eretici di perturbar la chiesa; onde il santo nella lettera che scrisse a' fedeli di Smirne gli esortò a guardarsi di parlare con essi: Contentatevi, dice, di pregare Dio per costoro, i quali si astengono dall'eucaristia, perché negano esservi in essa la carne di Gesù Cristo che ha patito per li nostri peccati.

4. Nell'anno 105. ritornò la tempesta sotto l'imperatore Traiano, il quale, avendo vinti gli sciti e i daci, affin di onorare i suoi dei, obbligò tutti con suo editto a sacrificare in loro onore sotto pena di morte. Marciando egli poi contro i parti, e ritrovandosi in Antiochia, intese ivi con quanto zelo e frutto s. Ignazio promovea la religione cristiana; Traiano lo chiamò alla sua presenza, e venuto gli disse: Sei tu quel cattivo


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demonio, chiamato Teoforo, che ti prendi piacere di violare i nostri comandi di sacrificare ai nostri dei, e seduci questa città predicando la legge di Cristo? Rispose s. Ignazio: Sì, principe, io mi chiamo Teoforo; ma da niuno può Teoforo esser chiamato demonio, perché i demonj van lontani dai servi di Dio. Se mi chiami demonio, perché ad essi io sono molesto con dissipar le loro insidie, ben merito tal nome. Traiano l'interrogò che significasse il nome di Teoforo. Rispose: significa Porta-Dio. Replicò Traiano: Tu porti Dio nel cuore; e noi non abbiamo in noi anche gli dei che ci aiutano? Allora Ignazio con santo ardimento disse: È un errore, o principe, dare il nome di dei a' demonj che voi altri adorate: uno è il vero e solo Dio, creatore del cielo e della terra; e non vi è che un solo Gesù Cristo unico suo Figliuolo. L'imperatore ripigliò: Parli tu di colui che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato? Ed il santo replicò: Sì, di colui parlo che ha condannata la malizia dei demonj a star sotto i piedi de' cristiani che portano Gesù nel cuore. E poi gli soggiunse che molto egli sarebbe stato felice e felice il suo regno, se avesse creduto in Gesù Cristo. Ma l'imperatore su di ciò non diedegli udienza e gli promise di farlo sacerdote di Giove e padre del senato, se avesse sacrificato a' suoi dei. Il santo rispose che gli bastava esser sacerdote di Gesù Cristo, per cui anelava di spargere il sangue. Allora Traiano sdegnato pronunziò la sentenza che Ignazio fosse condotto incatenato da' soldati a Roma, per essere pascolo delle fiere e servire di spettacolo al popolo.

5. S. Ignazio, intesa la sentenza, alzando gli occhi al cielo: Vi ringrazio, Signore, disse, che vi siete degnato di farmi degno di darvi una prova dell'amor mio, sacrificandovi la mia vita; e perciò anelo che presto vengano le fiere a sbranarmi e così vi offerisca il sacrifizio di tutto me stesso. Indi presentò le mani per essere incatenato, e ginocchioni baciò le catene e lieto se le cinse. Raccomandò poi a Dio con lagrime la chiesa e subito fu consegnato a' soldati ed andò a Seleucia con due suoi diaconi, Filone ed Adatopode, i quali credonsi avere poi scritti gli atti del suo martirio, e da Seleucia passò a Smirne. Per dove il santo passava non lasciava di confortare i fedeli a perseverar nella fede e nell'orazione, ad amare i beni del cielo e disprezzar quelli della terra. I cristiani a folla gli andavano incontro per riceverne la benedizione; specialmente i vescovi e preti delle chiese dell'Asia venivano uniti a salutarlo, ed in vederlo andar così allegro alla morte piangeano per tenerezza. Giunto a Smirne, si abbracciò con s. Policarpo con vicendevol consolazione, e di scrisse tre lettere alle chiese di Efeso, di Magnesia e di Trallia piene di santo spirito. Scrisse fra le altre cose agli Efesi: Io per Gesù Cristo porto le mie catene che sono per me perle spirituali, di cui fo più conto che di tutti i tesori del mondo.

6. Sapendo poi che da Smirne doveano andare a Roma alcuni di Efeso per via più corta della sua, scrisse per essi la lettera che è la più celebre a' fedeli romani. La lettera è lunga, io ne trascrivo qui le cose più rilevanti in succinto. Scrisse loro così: «Lasciatemi esser cibo delle fiere e per loro mezzo


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giungere al possesso del mio Dio. Sono frumento di Dio, debbo esser macinato da' denti delle fiere per essere un mondo pane di Cristo. Goda io delle bestie che desidero trovar pronte a divorarmi; io stesso le alletterò affinché presto lo facciano né mi rispettino, come han fatto con altri martiri; quando esse non volessero venire io le costringerò a sbranarmi. Perdonatemi, figli miei, io ben so quel che mi giova. Ora comincio ad esser discepolo di Cristo, mentre nulla desidero delle cose visibili, acciocché io ritrovi Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le fiere, il frangimento delle ossa, la divisione delle membra, lo sbranamento del corpo e tutti i tormenti inventati dal demonio vengano sopra di me, purché io mi unisca con Gesù Cristo. Meglio è per me morire per Gesù Cristo, che l'esser re di tutto il mondo. Perdonatemi, fratelli, non m'impedite di giungere alla vita né vi opponete alla mia morte. Lasciatemi imitar la passione del mio Dio. Non m'invidiate la mia buona sorte. E se quando sarò costà, io vi parlassi altrimenti, non mi ascoltate, ma attendete a quel che ora vi scrivo. Il mio amore è stato crocifisso. Non mi curo di alcun cibo corruttibile, desidero il pane della vita ch'è la carne di Gesù Cristo e la bevanda del suo sangue. Se consumerò il mio sacrificio, sarà segno che voi l'avete voluto e che veramente mi amate».

7. Giunse di poi a Troade, donde scrisse altre lettere a Filadelfia, a Smirne ed un'altra al suo amico s. Policarpo, a cui raccomandò la chiesa di Antiochia. Ma temendo i soldati di giungere a Roma troppo tardi, giacché i giuochi pubblici stavano in fine, affrettarono il cammino, con piacere per altro del santo che anelava di arrivar presto al suo supplicio. Giunti che furono in Roma, i cristiani vennero in folla ad incontrarlo e salutarlo. Pensavano essi, come riferisce il Fleury, d'indurre il popolo a non chiedere la di lui morte; ma il santo replicò loro ciò che prima scritto avea nella sua lettera, e li quietò. Entrato che fu in Roma s'inginocchiò cogli altri cristiani, offerendosi a Dio per quel suo prossimo sacrificio e pregò per la pace della chiesa. Subito fu condotto all'anfiteatro ov'erano accorsi innumerabili gentili. Udendo egli i ruggiti delle fiere replicò quelle parole: Son frumento di Dio, debbo esser macinato da' denti delle bestie per essere offerto come pane puro a Gesù Cristo. Il santo in un momento fu divorato da' leoni, come già avea desiderato, ed ivi allora in punto di spirare fu inteso pronunziare il santo nome di Gesù. Altro non restò del suo corpo che le ossa più dure, le quali furono prese da' suoi due diaconi e trasportate in Antiochia. Nella notte seguente apparve loro s. Ignazio risplendente di una gran luce. Il suo martirio avvenne a' 20. di dicembre nell'anno 107. Essendo stata poi Antiochia distrutta da' Saraceni, le reliquie del santo furon portate a Roma nella chiesa di s. Clemente, ove ora si venerano con gran divozione. Gli atti del martirio di s. Ignazio sono riportati dal Ruinart nella sua raccolta degli atti sinceri de' martiri.




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