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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

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PUNTO II

Ma non solo dice Salomone che i beni di questo mondo sono vanità, che non contentano, ma sono pene che affliggono lo spirito: «Et ecce universa vanitas, et afflictio spiritus» (Eccl. 1. 14). Poveri peccatori! pretendono di farsi felici co' loro peccati, ma non trovano che amarezza e rimorso: «Contritio, et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt» (Ps. 13. 3). Che pace! che pace! No, dice Dio: «Non est pax impiis, dicit Dominus» (Is. 48. 22). Primieramente il peccato porta con sé il terrore della divina vendetta. Se alcuno tiene un nemico potente, non mangia, né dorme mai quieto; e chi ha per nemico Dio, può stare in pace? «Pavor his qui operantur malum» (Prov. 10. 29). Chi sta in peccato, se sente tremar la terra, se sente tuonare, oh come trema! Ogni fronda che si muove, lo spaventa. «Sonitus terroris semper in aure eius» (Iob. 15. 21). Fugge sempre, senza veder chi lo perseguita. «Fugit impius, nemine persequente» (Prov. 28. 1). E chi lo perseguita? il medesimo suo peccato. Caino dopo che uccise il fratello Abele dicea: «Omnis igitur, qui invenerit me, occidet me» (Gen. 4. 14). E con tutto che il Signore l'assicurò che niuno l'avrebbe offeso: «Dixitque ei Dominus: Nequaquam ita fiet»;1 pure dice la Scrittura che Caino «habitavit profugus in terra» (Ibid.):2 andò sempre fuggendo da un luogo ad un altro. Chi era il persecutore di Caino, se non il suo peccato?

In oltre il peccato porta seco il rimorso della coscienza, ch'è quel verme tiranno che sempre rode. Va il misero peccatore alla commedia, al festino, al banchetto: ma tu (gli dice la coscienza) stai in disgrazia di Dio; se muori, dove vai? Il rimorso della coscienza è una penagrande anche in questa vita, che taluni per liberarsene, son giunti a darsi volontariamente la morte. Uno di costoro fu Giuda, come si


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sa, che per disperazione da se stesso si appiccò. Si narra d'un altro, che avendo ucciso un fanciullo,3 per isfuggir la pena del rimorso andò a farsi religioso; ma neppure nella religione trovando pace, andò a confessare il suo delitto al giudice, e si fe' condannare a morte.

Che cosa è un'anima che sta senza Dio? Dice lo Spirito Santo ch'è un mare in tempesta: «Impii autem quasi mare fervens, quod quiescere non potest» (Isa. 57. 20). Dimando, se taluno fosse portato ad un festino di musica, di balli e rinfreschi, e stesse ivi appeso co' piedi, colla testa in giù, potrebbe godere di questo spasso? Tàl'è quell'uomo che sta coll'anima sotto sopra, stando in mezzo a i beni di questo mondo, ma senza Dio. Egli mangerà, beverà, ballerà: porteràbene quella ricca veste, riceverà quegli onori, otterrà quel posto, quella possessione, ma non avrà mai pace. «Non est pax impiis».4 La pace solo da Dio si ottiene, e Dio la agli amici, non già a' nemici suoi.

I beni di questa terra, dice S. Vincenzo Ferreri,5 vanno da fuori non entrano già nel cuore: «Sunt aquae, quae non intrant illuc, ubi est sitis». Porterà quel peccatore una bella veste ricamata, terrà un bel diamante al dito, si ciberà a suo genio; ma il suo povero cuore resterà pieno di spine e di fiele, perciò lo vedrai che con tutte le sue ricchezze, delizie e spassi, sta sempre inquieto, e ad ogni cosa contraria s'infuria, e si stizza, diventando come un cane arrabbiato. Chi ama Dio, nelle cose avverse si rassegna alla divina volontà, e trova pace; ma ciò non può farlo chi vive nemico alla volontà di Dio, e perciò non ha via di quietarsi. Serve il misero al demonio, serve ad un tiranno, che lo paga d'affanni e d'amarezze. E non possono venir meno le parole di Dio che dice: «Eo quod non servieris Deo tuo in gaudio, servies inimico tuo in fame, et siti, et nuditate, et omni penuria» (Deut. 28. 48).6 Che non patisce quel vendicativo, dopo che si è vendicato! quel disonesto dopo ch'è giunto al suo intento! quell'ambizioso! quell'avaro! Oh quanti, se patissero per Dio quel che patiscono per dannarsi, diventerebbero gran santi!


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Affetti e preghiere

Oh vita mia perduta! Oh se avessi, Dio mio, patite per servirvi le pene, che ho sofferto per offendervi, quanti meriti ora mi ritroverei per lo paradiso! Ah mio Signore, e perché vi lasciai, e perdei la vostra grazia? per gusti avvelenati e brevi, che appena avuti svanirono, e mi lasciarono il cuore pieno di spine e d'amarezze. Ah peccati miei, vi detesto, e vi maledico mille volte, e benedico la vostra pietà, mio Dio, che con tanta pazienza m'ha sopportato. V'amo, o mio Creatore e Redentore, che avete data la vita per me; e perché v'amo, mi pento con tutto il cuore di avervi offeso. Dio mio, Dio mio, e perché v'ho perduto? e perché v'ho cambiato? Ora conosco il male, che ho fatto, e risolvo di perdere ogni cosa, anche la vita, prima che l'amor vostro. Datemi luce, Eterno Padre, per amore di Gesu-Cristo; fatemi conoscere il gran bene che siete Voi, e la viltà de' beni, che mi presenta il demonio, per farmi perdere la grazia vostra. Io v'amo, ma desidero di più amarvi. Fate che Voi solo siate l'unico mio pensiero, l'unico mio desiderio, l'unico mio amore; tutto spero dalla vostra bontà per li meriti del vostro Figlio.

Maria Madre mia, per l'amore che portate a Gesu-Cristo, vi prego ad impetrarmi luce e forza di servirlo e d'amarlo7 sino alla morte.




1 [25.] Gen., 14, 15.



2 [26.] Gen., 14, 16.



3 [2.] MOSCHUS IOANNES, Pratum spirituale: De vitis Patrum, l. X, c. 166; PL 74, 203. Vedi pure il testo greco: PG 87, 3034.



4 [13.] Is., 48, 22. Lo stesso testo si ritrova al c. 62, 21.



5 [15.] S. VINCENTIUS FERRERI, Sermones aestivales, Domin. XV post festum SS. Trinitatis, sermo 3; Venetiis 1573, 436: «Ideo David: Satiabor cum apparuerit gloria tua, quia divitiae huius mundi non satiant cor, imo faciunt plus appetere. Ratio, quia fames divitiarum est in corde, quo non intrant pecunia, sed replent vel satiant bursam vel taxiam, quo intrant».



6 [28.] Deut., 28, 47-48.



7 [20.] e d'amarlo) d'amarlo VR.






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