Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

IntraText CT - Lettura del testo
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 254 -


PUNTO III

Ma tutte queste pene son niente a rispetto della pena del danno. Non fanno l'inferno le tenebre, la puzza, le grida e 'l fuoco; la pena che fa l'inferno è la pena di aver perduto Dio. Dice S. Brunone:1 «Addantur


- 255 -


tormenta tormentis, ac Deo non priventur» (Serm. de Iud. fin.). E S. Gio. Grisostomo:2 «Si mille dixeris gehennas, nihil par dices illius doloris» (Hom. 49. ad Pop.). Ed aggiunge S. Agostino3 che se i dannati godessero la vista di Dio, «nullam poenam sentirent, et infernus ipse verteretur in paradisum» (S. Aug. to. 9. de Tripl. hab.). Per intendere qualche cosa di questa pena, si consideri che se taluno perde (per esempio) una gemma, che valea 100 scudi, sente gran pena, ma se valea 200 sente doppia pena: se 400 più pena. In somma quanto cresce il valore della cosa perduta, tanto cresce la pena. Il dannato qual bene ha perduto? un bene infinito, ch'è Dio; onde dice S. Tommaso4 che sente una pena in certo modo infinita: «Poena damnati est infinita, quia est amissio boni infiniti» (D. Th. 1. 2. q. 87. a. 4).

Questa pena ora solo si teme da' santi. «Haec amantibus, non contemnentibus poena est», dice S. Agostino.5 S. Ignazio di Loiola dicea:6 Signore, ogni pena sopporto, ma questa no, di star privo di Voi. Ma questa pena niente si apprende da' peccatori, che si contentano di vivere i mesi e gli anni senza Dio, perché i miseri vivono fra


- 256 -


le tenebre. In morte non però han da conoscere il gran bene che perdono. L'anima in uscire da questa vita, come dice S. Antonino,7 subito intende ch'ella è creata per Dio: «Separata autem anima a corpore intelligit Deum summum bonum et ad illud esse creatam». Onde subito si slancia per andare ad abbracciarsi col suo sommo bene; ma stando in peccato, sarà da Dio discacciata. Se un cane vede la lepre, ed uno lo tiene con una catena, che forza fa il cane per romper la catena ed andare a pigliar la preda? L'anima in separarsi dal corpo, naturalmente è tirata a Dio, ma il peccato la divide da Dio, e la manda lontana all'inferno. «Iniquitates vestrae diviserunt inter vos, et Deum vestrum» (Is. 59. 2). Tutto l'inferno dunque consiste in quella prima parola della condanna: «Discedite a me, maledicti». Andate, dirà Gesu-Cristo, non voglio che vediate più la mia faccia. «Si mille quis ponat gehennas, nihil tale dicturus est, quale est exosum esse Christo» (Chrysost. hom. 24. in Matth.).8 Allorché Davide9 condannò Assalonne a non comparirgli più davanti, fu tale questa pena ad Assalonne che rispose: Dite a mio padre, che o mi permetta di vedere la sua faccia o mi dia la morte (2. Reg. 14. 24).10 Filippo II11 ad un grande che vide stare irriverente in chiesa, gli disse: Non mi comparite più davanti. Fu tanta la pena di quel grande, che giunto alla casa se ne morì di dolore. Che sarà, quando Dio in morte intimerà al reprobo: Va via che io non voglio vederti più. «Abscondam faciem ab eo, et invenient eum omnia mala» (Deut. 31. 17). Voi (dirà Gesù a' dannati nel giorno finale) non siete più miei, io non sono più vostro. «Voca nomen eius, non populus meus, quia vos non populus meus, et ego non ero vester» (Osea 1. 9).


- 257 -


Che pena è ad un figlio, a cui gli muore il padre, o ad una moglie quando le muore lo sposo, il dire: Padre mio, sposo mio, non t'ho da vedere più. Ah se ora udissimo un'anima dannata che piange, e le chiedessimo: Anima, perché piangi tanto? Questo solo ella risponderebbe: Piango, perché ho perduto Dio, e non l'ho da vedere più. Almeno potesse la misera nell'inferno amare il suo Dio, e rassegnarsi alla sua volontà. Ma no; se potesse ciò fare, l'inferno non sarebbe inferno; l'infelice non può rassegnarsi alla volontà di Dio, perché è fatta nemica della divina volontà. Né può amare più il suo Dio, ma l'odia e l'odierà per sempre; e questo sarà il suo inferno, il conoscere che Dio è un bene sommo e il vedersi poi costretto ad odiarlo, nello stesso tempo che lo conosce degno d'infinito amore. «Ego sum ille nequam privatus amore Dei», così rispose quel demonio, interrogato chi fosse da S. Caterina da Genova.12 Il dannato odierà e maledirà Dio, e maledicendo Dio, maledirà anche i beneficii che gli ha fatti, la creazione, la redenzione, i sagramenti, specialmente del battesimo e della penitenza, e sopra tutto il SS. Sagramento dell'altare. Odierà tutti gli angeli e santi ma specialmente l'angelo suo custode e i santi suoi avvocati, e più di tutti la divina Madre; ma principalmente maledirà le tre divine Persone, e fra queste singolarmente il Figlio di Dio, che un giorno è morto per la di lei salute, maledicendo le sue piaghe, il suo sangue, le sue pene e la sua morte.

Affetti e preghiere

Ah mio Dio, Voi dunque siete il mio sommo bene, bene infinito, ed io volontariamente tante volte v'ho perduto. Sapeva io già


- 258 -


che col mio peccato vi dava un gran disgusto, e che perdeva la vostra grazia, e l'ho fatto? Ah che se non vi vedessi trafitto in croce, o Figlio di Dio, morire per me, non avrei più animo di cercarvi13 e di sperare da Voi perdono. Eterno Padre, non guardate me, guardate questo amato Figlio, che vi cerca14 per me pietà; esauditelo, e perdonatemi. A quest'ora dovrei star nell'inferno da tanti anni senza speranza di potervi più amare, e di ricuperare la vostra grazia perduta. Dio mio, mi pento sopra ogni male di quest'ingiuria che v'ho fatta, di rinunziare alla vostr'amicizia e di disprezzare il vostro amore per li gusti miserabili di questa terra. Oh fossi morto prima mille volte! Come ho potuto essere così cieco e così pazzo! Vi ringrazio, Signor mio, che mi date tempo di poter rimediare al mal fatto. Giacché per misericordia vostra sto fuori dell'inferno, e vi posso amare, Dio mio, vi voglio amare. Non voglio più differire di convertirmi tutto a Voi. V'amo bontà infinita, v'amo15 mia vita, mio tesoro, mio amore, mio tutto. Ricordatemi sempre, o Signore, l'amore che mi avete portato, e l'inferno dove dovrei stare; acciocché questo pensiero mi accenda sempre a farvi atti d'amore e a dirvi sempre: io v'amo, io v'amo, io v'amo.

O Maria Regina, speranza e Madre mia, se stessi nell'inferno, neppure potrei amar più Voi. V'amo Madre mia, e a Voi confido di non lasciare più d'amar Voi e 'l mio Dio. Aiutatemi, pregate Gesù per me.




1 [31.] MANSI, op. cit., tr. 34, disc. 22; II, 646, col. 2: «Sanctus tamen Bruno in sermone de Iudicio finali, longe clarioribus verbis hanc ipsam confirmat veritatem, dicens: Addantur

tormenta tormentis, et poenae poenis; saeviant saevius ministri; at Deo non privemur».



2 [2.] DREXELIUS, Infernus damnatorum, c. II, parag. 2; Opera, I, Lugduni 1658, 148, col. 2: «Hic attonitus Chrysostomus: Nam si mille, ait, dixeris gehennas, nihil illius par dices doloris, quem sustinet anima. Intolerabilis gehenna est, confiteor, et multum intolerabilis, tamen intolerabilior haec regni amissio». Cfr. CHRYSOST., In ep. ad Philipp., c. IV, hom. 14, n. 4; PG 62, 280: «Si sexcentas gehennas attuleris, nihil par afferes dolori illi, quo tunc angitur anima, cum universus quatitur orbis... Intolerabilis res est gehenna, fateor, et valde quidem intolerabilis; attamen intolerabilius mihi videtur de regno cecidisse».



3 [3.] Ps. AUGUSTINUS, De triplici habitaculo, l. unus, c. 4; PL 40, 995: «Cuius faciem si omnes carcere inferni inclusi viderent, nullam poenam, nullum dolorem nullamque tristitiam sentirent; cuius praesentia, si in inferno cum sanctis habitatoribus appareret, continuo infernus in amoenum converteretur paradisum». È in Appendice delle opere di s. Agostino, ma non è autentico (cfr. Glorieux, 28).



4 [10.] S. THOMAS, Summa theol., I-II, q. 87, a. 4, c.: «Ex parte igitur aversionis, respondet peccato poena damni, quae etiam est infinita: est einm amissio infiniti boni, scilicet Dei».



5 [14.] S. AUGUST., Enarrat. in Ps. XLIX, n. 7; PL 36, 569: «Si non veniret ignis die iudicii, et sola peccatoribus immineret separatio a facie Dei, in qualibet essent affluentia deliciarum, non videntes a quo creati sunt, et separati ab illa dulcedine ineffabili vultus eius, in qualibet aeternitate et impunitate peccati, plangere se deberent. Sed quid loquor, aut quibus loquor? Haec amantibus poena est, non contemnentibus». Cfr. CC 38, 580.



6 [14.] ORLANDINI, Historia Societatis Iesu, l. X, nn. 55-62; Romae 1615, 318.



7 [2.] S. ANTONINUS, Summa theol., p. I, tit. V, c. 3, parag. 3; Veronae 1740, col. 402: «Quum anima separatur a corpore, sibi subito infunduntur species omnium rerum naturalium… Et sic cognoscens quod Deus est summum bonum et summe utilis animae, videns se eo privatum sua miseria, quum capax fuerit adquirendi, summe dolet».



8 [15.] CHRYSOST., In Matthaeum, hom. 23 (al. 24), n. 8; PG 57, 317: «Intolerabilis quippe est illa gehenna illaque poena. Attamen licet mille quis gehennas proposuerit, nihil tale dicturus est, quale est ex beata illa excidere gloria, Christo exosum esse, audire ab illo: Non novi vos».



9 [15.] Davide) Davidde VR BR1 BR2.



10 [18.] II Reg., 14, 32.



11 [18.] SINISCALCHI L., La scienza della salute, med. V, punto 2; Padova 1773, 136: «Due cavalieri in Ispagna tosto che udirono dal re Filippo II in pena della poca compostezza, con cui stavano in chiesa: Non mi comparite più innanzi, tornati a casa ne morirono per la doglia».



12 [14.] PEPE F., Discorsi in lode di Maria SS. per tutti i sabbati dell'anno, II, Napoli 1756, 228: «Dimandato un demonio dalla B. Catarina da Genova chi egli si fusse. Dopo un profondo sospiro, rispose: Sono un infelice spirito senza amor di Dio». Alquanto diversamente racconta il fatto ROSIGNOLI C. G., Verità eterne, Bologna 1689, 325: «Imperocché, scongiurandosi un demonio dell'inferno nel corpo di un'energumena, e costretto dal sacerdote cogli esorcismi, a manifestare il suo nome disse con voce lacrimevole: Ego sum ille nequam privatus amore Dei. Io son lo scelerato privo dell'amor di Dio. Alle quali parole la B. Caterina di Genova ivi presente tanto s'inorridì, che come percossa da un fulmine esclamò: Oh orribile miseria, esser privo dell'amor di Dio! Oh inferno degl'inferni, esser privo dell'amor di Dio». Cfr. MARABOTTO, Vita ammirabile e dottrina celeste di S. Caterina Fiesca Adorna, c. XIV, n. 12; Padova 1743, 59-60.



13 [3.] cercarvi) chiedervi VR BR1 BR2.



14 [5.] cerca) chiede VR BR1 BR2.



15 [15.] v'amo) vi amo BR2.






Precedente - Successivo

Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech