Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
S. Alfonso Maria de Liguori
Breve dissertazione...moderni increduli

IntraText CT - Lettura del testo
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 453 -


CAP. II. Della divinità delle sacre scritture.

 

Supposto dunque ch'era necessaria la divina rivelazione, così per credere quel che si dee credere, come per esercitare le vere virtù, vediamo a quale delle religioni ella sia stata fatta. Noi diciamo che ella è stata fatta solamente alla religione cristiana; primieramente perché l'intiera e perfetta rivelazione, fuor della cristiana, non l'ha niuna delle altre religioni.

 

Non l'hanno certamente i gentili, presso i quali (come abbiam veduto) appena v'è restata un'ombra della religion naturale, adorando essi più Dei contro la natural ragione, e con culto pieno di superstizioni abbominevoli.

 

Non l'hanno i maomettani, mentre i loro dogmi sono vani, ridicoli e contraddittorj. Questi sono già compresi, come si sa, nell'alcorano, dove l'empio Maometto fra gli altri errori pone la felicità del paradiso in godere i piaceri brutali della carne. Di più dice ch'egli è il maestro dato da Dio agl'israeliti, i quali, se a lui non avran creduto, saran da esso aggiudicati a gravissimi supplicj. Dice che 'l suo camelo risusciterà e salirà in cielo a regnare con lui. In tanti luoghi poi si contraddice: poiché in uno dice che quelli i quali dalla retta via son traviati, non saran mai perdonati da Dio: ed in un altro dice che i demonj dovranno convertirsi per lo suo alcorano. In un luogo dice che i morti tutti dovranno risorgere; ed in un altro che niuno mai risorgerà. In un luogo dice che dee pregarsi per gl'increduli, in un altro lo nega. Ma la maggior contraddizione si è quella, dove dice che Gesù Cristo è vero profeta e 'l vero Messia promesso da Dio, e che 'l suo vangelo è lume e confermazione del testamento; ma poi nega esser egli Figliuol di Dio, sicché lo rende vero impostore, mentre Gesù Cristo si è dichiarato tante volte e chiaramente per vero Figliuol di Dio, come ci attestano i sacri vangelisti, che da Maometto sono insieme chiamati santi.

 

Non l'hanno finalmente i giudei, perché questi aspettano ancora il Messia, che la religione cristiana prova già venuto, come fra poco vedremo. Oltreché gli ebrei, sebbene un tempo ebbero la vera religione, nulladimeno dopo la venuta del Messia, da lor negata con perversa ostinazione, son caduti in tanta cecità, che al presente la religione che professano è forse più che l'altre piena d'errori, superstizioni e bestemmie contra Dio; mentre i talmudisti (quali si professano gli ebrei odierni) dicono fra le altre inezie, che alcuni rabbini una volta sdegnati contra di Dio, perché in certa disputa egli diè sentenza a favore del loro emulo, lo scomunicarono: onde Iddio quasi riconoscendo l'errore fatto, sorridendo con piacevolezza loro disse: Filii mei me vicerunt1. Dicono di più, che Dio da tempo in tempo va ad un luogo solitario a far gran pianti, per aver distrutto il tempio, e disperso il popolo di Gerusalemme; e che quante volte se ne ricorda, si batte il petto con ambe le mani, e sparge due lagrime sull'oceano. Di più, ch'egli spende tre ore del giorno nello studio della legge mosaica, e l'ultime tre ore le spende a divertirsi con un pesce chiamato Leviatanne; che perciò una volta in questo tempo ad un cero rabbino riuscì d'ingannarlo, poiché si fece portare in morte dal diavolo alle porte del paradiso dove furtivamente passò. Di più dicono che Dio è reo d'un gran peccato, per aver sottratta ingiustamente parte di luce alla luna ed averla data al sole; e che però ravvedutosi del male fatto, comandò poi a' giudei nella legge, che per espiare detto peccato essi offerissero a nome di lui special sacrificio in ogni novilunio.

 

Se dunque la rivelazione è stata necessaria agli uomini, come di sovra abbiam provato, e fuor della cristiana niuna religione l'ha ricevuta, almeno intieramente: dunque la sola religione


- 454 -


cristiana ha la vera ed intiera rivelazione, la quale apparisce a lei data da' libri del vecchio e nuovo testamento.

 

La suddetta pruova è fortissima, ma è solamente negativa; veniamo ora alle pruove positive. Per prima, la stessa rettitudine e santità delle leggi che ha la religion cristiana fa vedere ch'ella è divina. Tutte le altre religioni (come si è veduto) sono piene di errori: la sola cristiana è tutta retta e ragionevole, poiché in quanto alle cose di fede, benché insegni misteri superiori alla ragione, niente nulladimeno insegna ripugnante alla ragione; essendo per altro giusto che Dio esiga da noi che soggettiamo l'intelletto a credere ciocché non comprendiamo col nostro basso intendimento, dando fede alla sua divina parola. In quanto poi a' costumi, ben intendiamo che tutto è giusto e doveroso, così per ciò che riguarda Dio, come per quello che s'appartiene al prossimo, ed a noi stessi: tutto è in tale armonia ed ordine, che meglio non può pensarsi o desiderarsi. Chi non vede, quanto è giusto che noi veneriamo un Dio, onorandolo ed amandolo sovra ogni bene, giacch'egli è un bene infinito? Quanto giusto che ciascuno ami e tratti i suoi prossimi come se stesso, e com'egli desidera d'essere amato e trattato dagli altri? Così certamente si evitano tutte le ingiustizie e dissenzioni; ed all'incontro colla carità si conserva la pace comune. Quanto giusto poi che noi, per conservare la pace e 'l buon ordine in noi stessi, ci asteniamo dalle intemperanze, dalle disonestà, dalle superbie, dalle impazienze e da' mali desiderj o compiacenze?

 

Per secondo si prova la verità della religion cristiana e delle divine scritture dalle profezie fatte in esse scritture, ed indi avverate nel tempo e modo predetto. Ed è certo che la profezia, essendo prescienza e predizione degli avvenimenti futuri ed anche delle future azioni e cogitazioni libere, non può essere che da Dio, ch'è di sapienza infinita, e sa le cause di tutti gli effetti, e contiene tutti i tempi nella sua eternità.

 

Innumerabili son le profezie registrate precisamente nel vecchio testamento e poi avverate a' suoi tempi; ma noi ci contentiamo di notar qui brevemente quelle sole che riguardano la venuta del Messia; perché di queste non può dubitarsi che sieno state veramente enunciate nel vecchio testamento; mentreché se mai da' cristiani fossero state maliziosamente aggiunte (come alcuno vorrebbe opporre) ed inserite ne' suoi libri, certamente gli ebrei, i quali negano la venuta del Messia, e da' quali queste scritture sono a noi pervenute, le negherebbero, e noterebbero le mutazioni e false aggiunzioni fatte da' cristiani. Ma gli ebrei non le negano: solamente essi sconciamente le interpretano a loro capriccio per altre persone, e non per lo Messia: opponendosi in ciò a' rabbini che furono prima di Gesù Cristo, i quali senza dubitarne spiegarono tutte queste profezie del Messia, secondo credono i cristiani, come dimostrano l'Oezio de Demonstr. Evang. ed il Calmet nella sua dissertazione del Messia.

 

Vi è per prima la profezia di Giacobbe1 che dicea così: Non auferetur sceptrum de Iuda et dux de foemore eius, donec veniat qui mittendus est; et ipse erit expectatio gentium. In questa profezia dunque si predisse che il Messia sarebbe allora venuto, quando Giuda, cioè quelli della tribù di Giuda avessero perduto il regno, o sia il dominio supremo significato per lo scettro. E ciò ben si avverò nella venuta di Gesù Nazareno a tempo dell'imperador Ottaviano, poiché la tribù di Giuda sino all'anno 40. prima della nascita del Messia, sempre ebbe principi e giudici che ritennero la podestà suprema del governo; ma dopo il senato romano diede loro per re Erode di nazione straniera; ed indi l'imperadore avendo rilegato Archelao figlio di Erode, ridusse la Giudea in provincia, trasferendo la podestà civile al procuratore


- 455 -


da lui mandato. Ed a tempo di Tito, quando questi distrusse Gerusalemme, e 'l popolo de' giudei si disperse, anche la podestà ecclesiastica fu loro tolta.

 

Per secondo vi è la profezia di Daniele che dicea così: Septuaginta hebdomades abbreviatae sunt super populum tuum, et super urbem sanctam tuam, ut consummetur praevaricatio, et finem accipiat peccatum, et deleatur iniquitas, et adducatur iustitia sempiterna, et impleatur visio et prophetia, et ungatur Sanctus sanctorum. Scito ergo, et animadverte: Ab exitu sermonis, ut iterum aedificetur Ierusalem usque ad Christum ducem hebdomades septem, et hebdomades sexaginta duae erunt (alle quali aggiunte le sette qui antecedentemente nominate, e l'una che appresso si annunzierà, compongono le 70 settimane che a principio della profezia stanno predette), et rursum aedificabitur platea, et muri in angustia temporum. Et post hebdomadas sexaginta duas occidetur Christus; et non erit eius populus, qui negaturus est. Et civitatem et sanctuarium dissipabit populus cum duce venturo; et finis eius vastitas, et post finem belli statuta desolatio. Confirmabit autem pactum multis hebdomada una; et in dimidio hebdomadis deficiet hostia et sacrificium, et erit in templo abominatio desolationis; et usque ad consummationem et finem perseverabit desolatio.

 

Fu dunque predetto in questa profezia che il Messia dovea venire e morire fra lo spazio di 70. settimane. Ogni settimana secondo la sentenza comune abbracciata dagl'interpreti e teologi (checché si dicano alcuni pochi), importa sette anni: sicché fanno in tutto anni 490. Or giusta la profezia questi anni debbon cominciare a numerarsi dal tempo che uscì l'editto dell'imperador persiano, il quale diè il permesso a Neemia di riedificare la città e il tempio di Gerosolima. Questo editto poi, alcuni dicono essere stato concesso da Dario Istaspide, altri da Artaserse Longimano; ma altri dicono dall'anno 7. del regno di questo monarca, altri dal vigesimo, ch'è l'opinione più comune (come può vedersi in Natale Alessandro, e presso Calmet nella dissertazione sopra Daniele), secondo la quale è già venuta a succedere la morte di Gesù Cristo nel fine dell'ultima settimana; poiché (come sta indicato in Esdra1 nell'anno 20. di Artaserse fu eseguito il suo editto; e quest'anno 20. di Artaserse (secondo la cronologia di Eusebio, di Tucidide, e d'altri) accadde nell'anno duecento settanta di Roma, che fu l'anno 487. antecedente all'anno 29. dell'era volgare. Del resto qualunque opinione si tenga del principio delle settimane, dond'egli debba computarsi, tutti concordano che la differenza non è più che di sette in dieci anni; essendoché sebbene altri segnano l'anno 7., altri il 20. d'Artaserse, nulladimeno in ciò forse non v'ha alcuna, o almeno vi è poca differenza; mentre i primi segnano il tempo in cui Artaserse cominciò a regnar solo, i secondi il tempo in cui regnò insieme con Serse suo padre. Sicché quantunque siano diverse le opinioni degli autori, tutte nulladimeno convengono che le 70. settimane vadano a finire circa i tempi della morte di Gesù Cristo. E ciò dee bastarci, poiché l'adempimento della profezia non solo ha da conoscersi dal computo degli anni, ma anche dagli altri segni speciali prenunziati, come dalla distruzione di Gerusalemme, e dalla dispersione de' giudei, avvenute già dopo la morte del Messia, come stava predetto. E questi sono i fatti sostanziali, ai quali principalmente è diretta la profezia; onde vedendo già che quelli sono avverati, non dobbiamo metterci in dubbio per la diversità delle opinioni de' cronologi, i quali trattandosi di tempo così lontano, e del computo di tanti anni, non è maraviglia che si dividano. Tanto più che neppure può fissarsi con certezza, quale sia stato l'anno preciso della morte di Gesù Cristo, per tante altre opinioni che vi sono. Sicché concludiamo


- 456 -


in ciò doversi seguire per vera quella sola opinione che s'accorda coi fatti già accaduti, e coi fatti che da niuno son contrastati.

 

Di più v'è la profezia di Aggeo nel cap. 2. dove si legge che il profeta animò gli ebrei a rifabbricare il tempio, perché ivi sarebbe venuto il Messia a glorificarlo: Confortare, Zorobabel... veniet desideratus cunctis gentibus; et implebo domum istam gloria, dicit Dominus exercituum. Magna erit gloria domus istius novissimae, plusquam primae: et in loco isto dabo pacem. Dunque predisse il profeta che quello sarebbe stato l'ultimo tempio; ma che esso sarebbe stato più glorioso del primo: non per l'oro o per l'argento, ma perché ivi sarebbe venuto il Messia desiderato, che l'avrebbe glorificato colla sua presenza, e col dare nel medesimo la pace a tutte le genti. Or questo tempio è stato già distrutto dopo la morte di Gesù Cristo; se dunque durante questo tempio dovettero tali fatti avvenire, in qual altro tempo noi li troveremo avvenuti, fuori del tempo della morte di Gesù Cristo?

 

Lascio le altre molte profezie così del vecchio come del nuovo testamento; perché supposta la verità già provata di quelle solamente che abbiamo addotte, è superfluo il provare l'esistenza e l'avveramento delle altre. Il voler dubitare poi, se le suddette profezie sieno state scritte prima o dopo de' fatti avvenuti, e se veramente scritte da' profeti, come si legge nella sacra scrittura, ciò non può scusarsi da una gran temerità: poiché i loro libri comunemente sono stati ricevuti sempre come genuini, onde per privarli di questo antico e certo possesso dovrebbesi da' contrarj provare con ragioni chiare e certe, che sieno essi apocrifi. Gli stessi nemici più infesti della religion cristiana, come Celso, Porfirio, Giuliano, ecc. non hanno lor contesa la loro genuinità. Oltreché domandiamo, quali altri mai poteano essere gli autori veri di questi, fuori dei profeti nella scrittura nominati? Non certamente i gentili. Non gli ebrei, mentre in questi libri vi sono tante cose di loro obbrobrio: e di più vi sono le suddette profezie, che chiaramente provano la venuta del Messia ch'essi negano; onde non poteano gli ebrei essere autori di ciò ch'eglino con tanto impegno ributtano. Non i cristiani, per la ragione già mentovata di sopra, poiché i giudei ne avrebbero certamente appurata la falsità, e così si sarebbero ben liberati dagli argomenti che i cristiani dai libri dei profeti contro di loro ricavano.

 

Di più provasi la divinità della religione cristiana con i miracoli nelle stesse scritture registrati. I veri miracoli son quelli che eccedono la virtù naturale, onde non posson farsi che da Dio: il quale all'incontro non può approvare con miracoli una dottrina che sia falsa. Perloché quella religione in cui si trovano veri miracoli, specialmente se sian fatti in confermazione della di lei dottrina, quella dobbiamo tenere certamente per vera. Dicono i contrarj che noi non sappiamo dove arrivi la virtù della natura, e la forza de' demonj. Rispondiamo: In quanto alla natura, è vero che noi non conosciamo tutti i suoi effetti; ma nonpertanto ben ve ne sono alcuni, che secondo la stessa ragion naturale, ed attesa l'uniforme sperienza delle cose, possiamo conoscere non essere possibile che avvengano se non per forza divina, come il vedere il mare dividersi in due parti, facendo le stesse acque l'ufficio di mura per lasciar libera la terra al passaggio, come avvenne agl'israeliti: il vedere il sole che ferma il suo corso al comando d'un uomo, come avvenne a Giosuè: il vedere da una pietra sgorgare un torrente d'acqua al tocco di una verga, come avvenne a Mosè: il veder risorgere a vita un defunto corrotto da quattro giorni, come accadde in persona di Lazzaro: il veder saziato un popolo di cinquemila persone con cinque pani e due pesci, come avvenne colà nella Palestina: il vedere un uomo risorgere dopo tre giorni della


- 457 -


sua morte, ed uscire da un sepolcro chiuso, e custodito da molta gente, ed indi alla presenza di un gran popolo salire al cielo, come avvenne a Gesù Cristo. Chi mai può dire o immaginarsi che tali miracoli sian succeduti per virtù della natura?

 

In quanto poi alla forza de' demonj, concediamo che Dio permette alle volte ch'essi operino alcuni prestigi (come operarono per mezzo dei maghi di Faraone), i quali per altro non sono veri miracoli, ma illusioni, che non hanno né sussistenzadurata, come l'ebbero i miracoli di sopra mentovati. Ma non permette mai Dio che tali prestigi si facciano dai demonj in conferma di una falsa dottrina, onde gli uomini si inducano poi a credere errori contra la vera fede. Sicché trovando noi tanti veri miracoli operati in conferma della dottrina della religion cristiana, e niuno in conferma della dottrina delle altre religioni, dobbiamo dire che la sola cristiana è la vera.

 

Che poi i miracoli di sopra rapportati (oltre tanti altri per brevità ommessi) sian veri ed indubitabili, si prova dalle stesse divine scritture in cui stan registrati, essendoché parte di essi son descritti nel vecchio testamento, la veracità del quale già di sopra si è provata, e parte nel nuovo, in cui vengon riferiti da' discepoli di Gesù Cristo, i quali andando incontro ai tormenti ed alla morte per la verità della fede, non potean certamente per fine umano intender d'ingannare i popoli: o almeno non potean pensare d'ingannare i giudei, i quali, se i fatti non fossero stati veri, chiaramente avrebbero fatto conoscere l'inganno, né se ne sarebbero tanti convertiti. Tantoché i nemici de' cristiani, come Svetonio, Celso, Giuliano, Porfirio, Luciano, parlando de' miracoli di Gesù Cristo cercarono bensì di attribuirli ad opere del demonio, ma non ebbero ardire di negare la verità de' fatti.

 




1 Gault. sec. 6. in Thalmud. er. 9.

1 Gen. c. 49.

1 Lib. 2. cap. 2.




Precedente - Successivo

Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech