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S. Alfonso Maria de Liguori
Breve ragguaglio...Fr.Vito Curzio

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Testo

 


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Aprì gli occhi alla luce Vito Curzio in Acquaviva, terra situata nella diocesi di Bari, nascendo da pii ed agiati parenti. Per tutto il tempo della gioventù mostrò presuntuosa bizzarria della sua persona, di guisa che fu in pericolo le spesse fiate di perder la vita. Di fatti risentitosi una volta d'un aggravio, che credé tesogli dalla persona di un dottore, ed incontratolo gli tirò un colpo di pistola; però il Signore permise che fallasse il colpo non solo in questa occasione, ma in un'altro eziandio; poiché questionando con un militare ed accalorato di mente, ebbe tanto ardire di tirargli un'archibugiata senza riportarne veruna offesa. Ma mentre Curzio menava una vitaperversa, Iddio già lavorava colla sua grazia nel di lui cuore, destinandolo a sublimi cose; ed usando con lui misericordia lo distolse totalmente


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dalle vanità del secolo, e dalle glorie mondane; perciocché nel ritorno ch'egli fece da Procida in Napoli, dove rattrovavasi per tesoriere del marchese del Vasto, si accompagnò col procuratore del detto marchese D. Cesare Sportelli, col quale strinse amicizia, e frequentandola s'avvide che il pensiero dello Sportelli si rivolgea alle cose celesti, e che era risoluto di abbandonare il mondo1; tantopiù che trovandosi il Curzio una volta in discorso con D. Cesare della nuova Congregazione del SS. Redentore, che si stava istallando nella città di Scala, ne concepì tanto amore che aiutato dalla grazia si vide in un tratto cambiato; ed innamoratosi della santità delle regole che il fondatore vi avea prescritte ne fece vive e grandi istanze per essere annoverato tra i congregati per fratello laico.

E vaglia il vero, non dubbie pruove ei diede per deliberare sulla sua vocazione; ed il Signore Iddio che muove i cuori degli uomini permise che in una visione Vito Curzio riconoscesse la certezza della sua scelta. Difatti in una notte mentre dormiva, gli parve di trovarsi appiè d'un monte smisurato, e di difficile salita; ciò non ostante molti preti ascendevano alla cima di esso con assai faciltà e celerità, di modo che egli tentò di imitarli, ma indarno; poiché appena stendeva il piede si ritrovava più in dietro di quello ch'era, e replicando le mosse, gli riusciva sempre inutile, finattantoché mosso a compassione uno di que' Padri gli cenno di stendere la mano, onde col di lui aiuto avesse potuto giungere felicemente sul monte.

E di vero in questa occasione conobbe la mano


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di Dio, che dimostravasi beneficante verso di lui; e mentre un giorno accompagnato col P. Sportelli andava passeggiando, incontrò un padre della Congregazione del Redentore; ed ancorché ei non vi avea avuto veruna conoscenza, nondimeno lo ravvisò per quello che gli avea disteso la mano per farlo ascendere alla cima del monte, quindi tutto allegro disse al P. Sportelli: Questi è quegli che mi ha dato la mano. Sperimentò in ciò la cura delle anime che Iddio si suol prendere, ed in quell'istante si concepì in lui un sì grande ardore del servizio di Dio nello stato religioso che sul fermo risolvé di dedicarvisi intieramente, per cui perorò caldamente presso il superiore della Congregazione del SS. Redentore, che lo avesse ammesso quanto prima. Queste sì sante sue brame rimasero per lungo tempo senza ascolto, finché il Signore non si compiacque di esaudirlo; poiché il superiore approvato ch'ebbe le sue istanze, non volle che fosse ancora entrato in Congregazione sino a che non gli avrebbe dato ordine di ritirarsi in Scala. Tal differimento lo facea essere molto conturbato, e sospirando a quando a quando la chiamata, sfogava tutto il suo dolore appiè di Gesù Crocifisso, e lo pregava che lo avesse consolato quanto prima. Volle il Signore far prova di lui in ciò; e mentre un giorno egli struggevasi di dolore per questo affare, una voce interna gli parlò dicendo: Orsù apparecchiati, perché presto hai da partire. A tali espressioni egli esultò per la gioia; e difatti non appena erano scorsi otto giorni dacché si era istallata la Congregazione, gli venne imposto dal superiore che si fosse ritirato in Scala per essere ammesso all'abito religioso. Non indugiò un istante, e precipitosamente si diè alla partenza; giunto ivi, e ricevuto dal superiore dovette in quel primo giorno dar saggio di sua ubbidienza, di servire cioè la comunità in tavola. E comeché il suo debole era l'abborrire i disprezzi, così quest'ubbidienza dal nemico degli


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uomini, il quale tutte le operazioni buone fa sembrare difficoltose e gravi, gli fu rappresentata in un modo così stravagante ed obbrobrioso, che Fr. Curzio si fermò a riflettere queste istigazioni del tentatore nemico, e diceva fra sé stesso: Come tu hai da servire in tavola? Forseché sei fatto servitore? Siffatta suggestione e riflessione diabolica cagionarono in lui tanta commozione e disturbamento, che macchinò la trama di vendicarsi con chi gli aveva imposto l'ubbidienza. Ma mentre struggevasi di sdegno, s'accorse che un distinto galantuomo, il quale anche dovea aggregarsi nella Congregazione, serviva anch'egli in tavola; quindi maravigliatosi fortemente il Curzio fu preso da tal pentimento interno che si ristrinse a considerare in quel momento la dominante tentazione, ed aiutato da' suggerimenti del suo Angelo Custode, si sentì nel cuore il seguente contrario avviso: Come questo può servire in tavola, e tu ? ed allora fatto forza a sé stesso e calmatosi si diè con molta rassegnazione a servire alla mensa.

Questa ubbidienza fe' sì, che Fr. Curzio incominciasse ad esser colmato dalla grazia divina di desiderî santi, e soprabbondanti celesti consolazioni. D'allora nell'orazione, e specialmente nel ricevere Gesù sotto le specie Eucaristiche, che era quasi ogni giorno, fu tale l'abbondanza de' lumi e la copia delle lagrime che non v'era forza bastante a poterlo reprimere dal pianto dirotto in cui rompeva, talché la veemenza delle lagrime, e de' singhiozzi pareva che lo volesse soffogare, e spesse fiate il sacerdote che celebrava, nell'amministrargli la comunione, era costretto ad aspettar molto per potergli porgere la sagra particola. E, dopo aver ricettato Gesù nel suo cuore sfogava con seconde lagrime il suo grand'amore verso di lui. Per osservare poi quanta particolar tenerezza egli mostrava nell'orazione, allorché considerava le grandezze del suo Creatore, bastava fargli presenti i misteri della Redenzione, cioè


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la nascita, la passione e la morte di Gesù Cristo. Cose eran queste che lo facevano sollevare di spirito.

In questi santi esercizi lo spirito del Curzio si raffinò in modo che il Signore permise che cessassero in lui quei fervori così sensibili, i quali lo aveano colmato di dolcezze colla lor influenza per lo spazio di circa un anno; sollevandolo però ad un grado più sublime nelle sue orazioni, di guisa che quasi spesso, senza che la sua anima se ne accorgesse, penetrava nella contemplazione delle cose celesti; e in tal modo credeva che Iddio avea da lui sottratto il dono delle grazie, e lo avea messo in abbandono; quindi appena da una sì dolce ed insensibile contemplazione di Dio si scioglieva, prorompeva in questi detti: Che cosa è questa? Io mi ritrovo finita l'orazione in un momento, è vero che pare di essere stato unito con Dio; ma se voglio dire a che ho pensato, non lo so, né so dire che cosa m'abbia fatto. Restava poscia illuminato in modo sì sublime da tale orazione che conoscendo in essa le vanità e grandezze mondane a che vanno a ridursi, reputava matti quegli uomini, i quali sono tutti intenti a fabbricare edificî ed acquistare ricchezze, quasiché la loro felicità consistesse in questa terra. Laonde rinunziando egli a' piaceri che gli offriva la patria, non che all'amore che gli cagionavano i parenti, rivolgeva sempre la sua mente a Dio e non pensava ad altro che ad acquistar maggiormente il grado eminente della perfezione, per cui non gli si vedeva giammai il volto sconvolto dalle passioni tumultuose, ma sempre sereno, indizio della pace del cuore; e gli occhi avendo sempre fissi sulla terra non li volgeva altrove per osservare gli oggetti curiosi che allo sguardo gli si affacciavano, e che sono incentivi pel peccato.

L'esemplarità di Fr. Curzio nella umiliazione e mortificazione riscosse la considerazione e l'imitazione de' suoi coetanei. E dove prima egli eradelicato


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nell'onore, e cotanto abborrevole degli uffizî bassi; da quel momento non isdegnò di abbracciare qualsiasi cosa, la quale gli avrebbe procacciata mortificazione al corpo ed umiliazione per la sua vana persona. Perlocché io mi gioverò di ciò per glorificare la sua memoria, riportando alcuni fatti i quali esaltano di molto la sua umiltà, e mortificazione. Ed in pria egli, anziché avvilirsi, giubilava quando dovea menarsi sulle spalle il letame della comunità, per recarlo nel giardino; ma molto più commendevole era in lui questa virtù allorché conducevasi a prendere l'acqua per la casa, poiché essendo la fontana situata in un luogo assai discosto dal monistero pur tuttavolta non riflettendo affatto Fr. Curzio alla dura fatica s'indossava il grande vase, ed ivi recatosi dopo averlo empito sen ritornava al convento con sì smisurato peso sulle spalle; e molto più l'aggravava il peso per la salita molto aspra e montuosa che dovea battere. Finalmente giunto al monistero non curando la sua spossatezza, e col vase addosso si fermava innanzi ad un'immagine di Gesù crocifisso, e gli offriva quella gran fatica che egli sostenea per amor suo.

Per onorare con maggior rispetto la divina presenza, oltre dei particolari e privati sistemi che praticava, non curava affatto le contrarietà delle stagioni, le quali or con la rigidezza del freddo, ed or con gli ardori del caldo costringono gli uomini a cautelarsi, adattando i vestimenti nell'epoche che variano; ma il Curzio disprezzando tutti questi preservativi, non mai né di està, né d'inverno copriva il suo capo quando girava per la strada; e non essendogli stato una volta per trascuraggine somministrate le vesti del verno, egli senza muover lagnanza, se ne stette colla sola camicia e sottana in un luogo ove il soffio dell'aquilone spira più forte, nella terra di Ciorani. In simil modo industriossi a maltrattare il suo corpo con mortificazioni più straordinarie


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e strane, poiché essendo addetto a coltivare il giardino, ei si scalzava e co' piedi immersi nel fango travagliava, locché con grande suo rammarico gli fu espressamente inibito dal superiore. Parimente gli fu proibito di succhiare la materia che emanava dalla piaga di un infermo vecchio

Ciò non basta, e quel ch'è più ammirevole, si fu il modo crudele con cui trattò il proprio corpo; poiché formatosi una cintola di punte di ferro, lunga circa due palmi, se l'avvolgea a' fianchi, e per gran tempo manteneapenoso strumento sulla sua persona. In un modo più barbaro usava delle aspre e continue discipline a sangue, finché pel continuo flagellarsi giunse una volta ad offendersi un nerbo della gamba, ed in tale stato rimase sino agli ultimi estremi di sua vita. Pel cibo si contentava di semplice pane e brodo, non ostante che avrebbe potuto più degli altri servirsi comodamente, mentre trovavasi assegnato alla divisione delle pietanze, eppure non riserbavacarne, né minestra per sé.

Con eguale successo non degenerò punto dalla perfetta rassegnazione dovuta all'autorità de' superiori in tutto ciò che non è di divieto alla legge di Dio, e mentre ei arbitrariamente studiavasi a tormentare i sensi del suo corpo, Iddio si compiacque metterlo in una pruova più dura e di assai difficile riuscita. E tra le altre cose qui mi piace riferire quell'ubbidienza perfetta ch'eseguì in persona del Vescovo di Scala, il quale gl'impose di estrarre una gran copia d'acqua da una cisterna. Il Curzio senza scoraggiarsi, benché la fatica fosse enorme, e la natura dovea probabilmente ripugnare e risentirsene, nondimeno nell'atto che mettea in pratica siffatto comando ascoltarono gli astanti il seguente dialogo che tra lui medesimo facea: O crepi, o schiatti, questo hai da fare. Ed essendogli altra volta imposto di cooperarsi in pro di un falegname, aiutandolo a segare alcune tavole, fu veduto dopo poche ore


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talmente spossato dalla fatica che quegli mosso a compassione lo pregò che si fosse alquanto riposato, ed indi avrebbe ripigliato il lavoro; ma egli tutto sollecito per adempiere esattamente all'obbligo addossatogli: No, disse, facciamo l'ubbidienza, tira.

Non cessano qui le sante e virtuose azioni del Curzio; e siccome erasi fissato di piacere in tutto e per tutto a Dio, così non si risentiva giammai di certe cose le quali ingiustamente da lui si richiedevano, anzi uniformossi in ispecial modo a siffatto procedimento, che molte volte arbitrariamente creavasi alcune mortificazioni le quali lo innalzavano vieppiù alla conoscenza di Dio. Cercò egli adunque di non addurre scuse di veruna specie, benché risultassero di sua innocenza, e di nascondere col silenzio le altrui colpe anziché contestarle. E vaglia per tutte il divieto avuto dal ministro della casa di non preparare una quantità eccessiva di frutta in tavola, ch'ei era solito mettere per comando del Rettore; ma Fr. Vito, senza turbarsi, seguitò questo sistema ad onta dell'avuta proibizione, e ne riportò una riprensione gagliardissima; eppure non protestò affatto le sue ragioni fintantoché non ne fu a caso avvertito da altri il ministro. Richiedevasi altra volta dal superiore una scrittura di molt'importanza che gli bisognava, e che a caso era stata bruciata da un padre, ne fu interrogato perciò Fr. Curzio se sapeva ove quella si ritrovasse; ed egli benché conosceva la mancanza da chi era stata commessa, nondimeno rispose in termini generali: Si è bruciata; locché suonava lo stesso di averla egli bruciata; quindi ne riportò una riprensione la più grave, ed ei inalterabile, senza scusarsi, la soffrì pazientemente, affinché non si fosse scoverto il padre che l'avea data alle fiamme.

Da ultimo non mi rimane altro a dire di Fr. Vito Curzio che di accennare pochi altri fatti i quali lo distinsero per la sua carità col prossimo. Rimontando


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perciò all'epoca nella quale ei dové entrare in Congregazione, mi piace brevemente riferire che per amore del simile si spogliò di tutto ciò che possedeva nel secolo, ed ogni cosa dispensò ai poverelli. Da questa abnegazione della persona e delle sostanze, Fr. Curzio s'infervorò assai a coadiuvarsi pel prossimo. E siccome per le sue occupazioni non potea tanto facilmente contribuire a sì santo suo desiderio, così ei risolvé di adempirlo non solo nella persona degl'infermi fratelli di Religione, ma co' forestieri eziandio i quali casualmente si trovavano a dimorare nel monastero. Difatti occorsegli una volta che un certo sacerdote fermandosi per poco tempo presso i religiosi della sua Congregazione in Ciorani, cadde infermo con forti dolori viscerali, e flussi di ventre, di modo che per lo spazio di venti giorni quell'infelice fu costretto a guardare il letto, senzaché da sé solo avesse potuto far la menoma azione, laonde fu destinato Fr. Curzio per sollevarlo nelle sue angustie; ed in vero ei con una pazienza esimia accorreva ad ogni minimo bisogno, e non volle neppure la notte riposare altrove, per non dipartirsi dalla stanza del sacerdote. E siccome si approssimava la settimana santa, giorni per lui di continuo esercizio pel servizio del Signore, pur tuttavolta egli credé di piacere più a Dio con quell'atto di carità, che con altre azioni divote solite a farsi in quegli augusti giorni.

Nel tempo che dimorò nella casa di Scala fu sua cura soventi volte discendere in Amalfi per consegnarsi la roba, che ivi giungeva, e quindi condurla al monistero. Eppure per la penosa strada che dovea battersi i facchini soccumbevano al peso enorme, ed ei considerando la fragilità umana, ed infiammato sempre dell'amor divino pel quale si ama il prossimo, pregava, onde sfogar la sua carità, gli stessi facchini che gli permettessero di prestar loro aiuto, dicendo: Orsù, riposatevi voi, perché voglio


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aiutarvi, e condiscendendo quelli a sì dolci istanze e benigne premure, era pur meraviglioso l'osservarlo con carichi di circa 60 e 70 rotoli sugli omeri camminare per sì alpestre montagna! Perlocché appena fu sentita la sua morte da que' facchini, che riceveano i contrassegnisingolari da Fr. Curzio, prorompevano ne' seguenti detti, quando s'incontravano con alcuno dei padri della Congregazione: O Fr. Vito era Santo! quando ci prendea pei viaggi, ci pagava, e poi esso stesso li portava per noi.

Finalmente per metter termine alle virtù del nostro elogiato trovandomi a parlare della sua carità pel prossimo, mi piace conchiudere con quell'atto col quale ei si segnalò nella persona del P. Sarnelli; cioè, quando questi rattrovavasi nell'ultima infermità, Fr. Curzio per procurargli un più agiato letto si privò del suo meschino saccone, e contentossi di dormire per gran tempo sopra le fascine.

Osservammo innanzi quanto fu soggetta la volontà di Fr. Vito a quella de' suoi superiori, non solo, ma di quelli eziandio ch'erano a lui infimi, non sarà disaggradevole il vedere ora che infra tutte quante le sue virtù, questa perché in lui fu assai singolare, lo elevò al grado della perfezione. Quindi diceva egli, che un fratello della Congregazione dev'essere simile alla campana sospesa alla gola della vacca, che non suona, se non si muove l'animale. Così un fratello non deve muoversi se non è spinto dall'ubbidienza. E può senza fallo asserirsi che questa sua prerogativa fu quella che lo menò più presto a fruire della pace di Dio in cielo; poiché trovandosi nella casa di S. Maria della Consolazione in Iliceto fu obbligato dal superiore a portarsi in un lontano paese, ove dovette trattenersi l'intiera notte, e venendogli negato l'alloggio in certo convento fu costretto a dormire in un luogo di aria insalubre; laonde per la incostanza de' tempi fu assalito con tal violenza da una malattia, che neppure gli permise di


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ritirarsi nel convento donde s'era mosso per l'ubbidienza; ed appena poté recarsi nella terra d'Iliceto, ove s'aggravò il male seriamente ed in breve ora si vide prossimo a conseguire il guiderdone promesso da Dio a coloro che lo servono fedelmente, e che sanno vincere le continue disfide che il mondo sempre pronto loro muove nell'aperto e tumultuoso campo delle passioni.

Fr. Curzio con la placidezza del giusto, e con la rassegnazione perfetta al divino volere anelava il momento di tanta felicità, di partecipare a faccia svelata della gloria del suo Signore, che egli avea contemplato in orazione per tutto il tempo di sua vita. Eppure in quegli estremi momenti volle dare l'ultimo saggio della sua ubbidienza col non ricusare in veruna guisa i rimedî quantunque tormentosi che gli erano ordinati dal professore; e la sua pazienza giunse all'eroico, giacché i dolori della malattia lo assalirono in modo straordinario, ed egli senza muover lamento rivolgendo gli occhi al crocifisso Signore, diceva che era un niente quel che soffriva in paragone a tutto ciò che Gesù per suo amore avea patito sulla Croce.

Finalmente la carriera del buon laico era al suo termine; e il confessore domandandogli se bramava di vivere oppure morire, egli tutto fervoroso anelando di unirsi quanto prima a Dio, gli rispose: Voglio solo quel che vuole Dio; ma in quanto a me più desidero di morire, per liberarmi dal pericolo di offenderlo, e per andarlo a vedere, se per sua grazia mi salvo. Per la qual cosa il direttore avvisollo che l'ora era prossima nella quale Gesù volea visitarlo, e darglisi per viatico; che se avea qualche cosa a dirgli per riconciliarsi col suo Dio, lo poteva sicuramente fare in quell'istante; ma egli con umiltà, e con pura coscienza gli disse: Per grazia del Signore non mi occorre alcuno scrupolo. Datemi Gesù. Appena ebbe ricevuto nella sua anima il SS.


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Corpo di Gesù, e munito degli ultimi conforti di nostra santa religione, spirò la sua beata anima nelle braccia del Signore con una pace di Paradiso.

Appena divulgossi la notizia della morte di Fr. Curzio pel paese, che accorse da tutte le case gran quantità di genti per distribuirsi le sue poverissime suppellettili e lacere vesti, onde formarne reliquie. L'esequie furono accompagnate da un concorso immenso di popolo, e da gran numero di gente di civil condizione. Tanto è vero, che i Servi del Signore sono da lui assai onorati, secondo i detti del coronato Profeta! Sarebbonvi moltissime altre cose da registrare intorno alle eroiche azioni di Fr. Vito Curzio; ma per non dilungarci dal divisato fine ci contentiamo di quel poco esposto per incitare i fedeli alla imitazione di sì buon uomo, e così imparare la via che conduce al cielo.

 




1 D. Cesare Sportelli si ritirò nella stessa Congregazione. Ei dopo una vita esemplare diede la sua beata anima al Signore nell'anno 1749, lasciando grande odore di santità. Il suo corpo dopo quattro mesi fu ritrovato sano ed inflessibile, e salassatogli il piede ne cacciò vivo e caldo sangue.




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