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S. Alfonso Maria de Liguori Compendio della vita...P.G.M. Sarnelli IntraText CT - Lettura del testo |
Testo
Nacque il P.D. Gennaro Maria Sarnelli in Napoli a 12. di Settembre dell'anno 1702 dal signor D. Angelo Sarnelli, Barone della terra di Ciorani, e dalla Sign. D. Caterina Scoppa. Costoro ebbero otto figliuoli, sei maschi, e due femmine; de' maschi il quarto fu il nostro D. Gennaro Maria, e 'l quinto fu il Sig. D. Andrea, Prete secolare vivente, il quale con tanta edificazione e profitto del Publico, nella nominata terra di Ciorani con sue rendite ha stabilita una Casa de' Sacerdoti Missionari, acciocché vadino in giro per la Diocesi di Salerno, ed altri luoghi, ajutando la povera gente di Campagna.
Il P.D. Gennaro Maria fin dalla fanciullezza fu inclinato alla divozione ed alle virtù Cristiane; poiché fin d'allora la sua modestia era singolare, tenendo sempre quando trattava con Donne, gli occhi inchiodati in terra, ancorché fossero le proprie sorelle, e la stessa sua Madre. Era grande ancora la sua ubidienza e rassegnazione a' Genitori, mentre quando si accorgeva ch'essi fossero per sua cagione andati in collera, subito cercava loro perdono, baciando loro la mano, e ponendosi tal volta anche inginocchio per rimetterli in calma. Fu parimenti grande sin da fanciullo la sua mortificazione,
poiché fin d'allora si avvezzò a privarsi delle frutta fresche; e quando in sua Casa, dove allora abitava all'incontro S. Francesco Saverio, erano giorni di feste grandi, egli presto se ne usciva per privarsi del vedere i carri, o cavalcate, e del prender rinfreschi. Ond'è che fin dalle azioni della sua puerizia, come dal corso della sua vita, che narraremo, facilmente può argomentarsi aver egli conservata l'innocenza battesimale.
Nell'età di quattordici anni cercò risolutamente al Padre di lasciare il Secolo, e d'entrare nella Compagnia di Gesù per darsi tutto a Dio; ma ciò gli fu impedito per non essere ancora di quell'età che bastasse ad una simile risoluzione. Non però da questo tempo cominciò egli ad essere più divoto, più ritirato, e più fervoroso nelle sue orazioni. Non si vedea conversare con compagni della sua età, e degli stessi suoi impieghi, ma perché amava la solitudine, subito che speditasi dallo studio, si tirava nella Chiesa, e quivi per molto tempo se ne stava avanti il SS. Sagramento, pregando il Signore ad illuminarlo a quale stato lo volesse; e dopo si portava in Casa, dove viveva con edificazione di tutti i suoi Parenti, non dando mai luogo a' risentimenti. Per insinuazione del Padre s'impiegò nella professione di Avvocato, in ciò ben cominciò ad avanzarsi, benché giovine, essendo già Avvocato degli Arredamenti de' sali, e del Signor Duca di Cirifalco. Ma in mezzo a queste applicazioni non lasciava la Santa Messa, la Visita al Venerabile, e l'Orazione mentale; della quale era così innamorato, che quando era disoccupato da' negozi, se ne andava a starsi per lungo tempo nella Chiesa di San. Francesco Saverio: in modo tale che quando
veniva alcuno a cercarlo, ed egli non era in casa, si soleva rispondere da' servi che sapevano il suo costume: Andate a S. Francesco Saverio, che ivi lo troverete. Allorché poi veniva a divertimento nella Terra di suo Padre, che si chiudeva il giorno nella Chiesa Parrocchiale, ed ivi si tratteneva solitario per molto tempo in orazione.
Sin da questo tempo soleva ancora andare a servire più volte la settimana gl'infermi dello Spedale degl'incurabili; e quivi egli solea dire, che vedevasi circondato tutto da' lumi di Dio, sicché lo spedale come dicea, gli serviva per una continua meditazione; e ne usciva tutto consolato nello spirito, e pieno di Dio. E in questo luogo appunto fu chiamato dal Signore a lasciare il Mondo. In effetto indi col consiglio del suo Direttore risolvé di lasciare i Tribunali, e di farsi Sacerdote per attendere solo al Divino servigio; E perciò preso ch'ebbe l'Abito Ecclesiastico, si staccò allora totalmente dalle cose del Secolo, dando per limosina a' poveri quel denaro che teneasi riserbato, ed anche le vesti del Secolo. Diedesi insieme allora ad una vita tutta di Dio, spendendo tutti i giorni in orazione, o nello studio delle scienze necessarie ad un sacerdote, oppure in opere di carità verso il Prossimo.
Per vivere poi con maggior solitudine, e più staccato da' disturbi del mondo, si ritirò a vivere nel Collegio della V. Congregazione della Sagra Famiglia in Napoli, detta de' Cenesi, dove si viveva da que' buoni Sacerdoti con vita esemplare, e con molta edificazione di tutta la città. Nel tempo ch'ivi si trattenne, in altro non s'impiegava che in fare orazione, o in istudiare, o far la
Dottrina Cristiana, per quei contorni, ed in andare più volte la settimana allo Spedale, dove si tratteneva fino a sei ore la volta in consolare, servire, ed istruire quei poveri infermi.
Fra questo tempo egli si aggregò alla V. Congregazione delle Apostoliche Missioni, eretta nell'Arcivescovado di Napoli, per attendere ancora alle Sante Missioni, nelle quali poi fatto Sacerdote si esercitò con tanto esempio, e profitto comune, come vedremo. E dopo alcuni anni avendo avuto notizia della Congregazione del SS. Redentore istituita nella Città di Scala pochi ammi prima, cioè nell'anno 1732. fatta la direzione di Monsignor Falcoja Vescovo di Castellammare; Ed avendo saputo che l'Istituto di questa Congregazione era d'impiegarsi alla coltura della gente abbandonata della Campagna colle missioni, ed altri esercizj spirituali; e che in essa viveasi da' congregati con molta osservanza regolare, con l'obbligo ancora de' voti semplici di Povertà, Ubbidienza e Castità, e Giuramento, e Voto insieme di Perseveranza, egli per desiderio di maggior perfezione, e per consagrarsi tutto a Dio, col consiglio del Padre Manulio della Compagnia di Gesù, morto pochi anni sono in gran concetto di santità, si aggregò alla sudetta Congregazione, e da Napoli si ritirò a Scala (tuttavia non lasciando la Congregazione delle Apostoliche Missioni nominata di sopra, e proseguendo ad esser suo membro, e ad ajutarla in tutte le opere di zelo). Visse ivi per più anni con comune edificazione, dando esempio in tutte le virtù, specialmente nella mortificazione, nella carità col prossimo, e nell'ubbidienza; poiché era singolarmente così ubbidiente a' segni del campanello,
che trovandosi a scrivere, subito si partiva dal tavolino, lasciando anche dimezzate le parole.
Ma poi così per ragione della salute rovinata, come per l'aria che non gli confaceva, come anche per attendere alle opere grandi che aveva tra le mani, specialmente della separazione delle meretrici da dentro la città di Napoli, come a lungo si dirà appresso, per cui bisognava una continua assistenza, fu necessario accordarsegli da' Superiori la licenza di portarsi in Napoli, dove poi terminò la vita. Non pertanto bench'egli abitasse in Napoli, non lasciava da quando in quando di venire ad ajutare i Compagni della sua Congregazione nelle loro Missioni. In Napoli poi, oltre l'opera sudetta delle meritrici, tutto s'impiegava in ajuto delle Anime con tanto zelo che l'Eminentissimo Cardinale Spinelli, al presente Arcivescovo di Napoli, avendo chiamato il P.D. Alfonso di Liguori Rettor Maggiore della mentovata Congregazione per venire co' suoi Compagni a coltivare colle Missioni i Casali della sua Diocesi, per lo quale effetto assegnò loro una stanza permanente nelle pertinenze del Casale di S: Jorio, nel luogo detto di S. Agnello, affine per di là andar girando per gli altri Casali di Napoli, facendo le Missioni a spese d'esso Emin. Arcivescovo, volle che uno de' Compagni fosse il nostro Padre D. Gennaro Maria. Ed avendosi poi dovuto partire dalla Diocesi di Napoli il sudetto P.D. Alfonso per affari della sua Congregazione, il Signor Cardinale lasciò il carico di tutte le Missioni de' Casali al medesimo D. Gennaro, il quale seguitò l'opera incominciata col Signor D. Matteo Testa eccellente Missionario, come a tutti è noto; oggi degnissimo Canonico dell'Arcivescovato di
Napoli. E seguì ad impiegarsi in queste Missioni con immenso profitto de' Popoli fino alla sua beata morte, che gli avvenne pochi anni dopo in Napoli, con gran rammarico non solo del suo zelantissimo Pastore, ma di tutta la Città, che pianse la morte d'un Operario così grande della Vigna del Signore, dicendo, come anche al presente si dice, ch'egli solo valeva per dieci Missionari.
Ma prima di narrare la sua preziosa morte, è ben di riferire in breve qualche cosa più speciale delle sue virtù, che si è potuta raccogliere. Egli fu così amante dell'Orazione, che fin da secolare anche allora che stava impiegato nella professione di Avvocato, semprecché si trovava sbrigato da' suoi negozi, se ne usciva di casa, e se ne andava ad orare in qualche Chiesa, come di sopra si è detto. Ma preso ch'ebbe l'Abito Ecclesiastico, che si diede tutto a quello santo esercizio. Solea specialmente allor andarsene il giorno nella Chiesa della Croce di palazzo, ed ivi chiudevasi solo in un piccolo camerino, che sta ivi dietro la Sacrestia, e colà se ne stava in orazione dal dopo pranzo fino alla sera; e questo era quasi ogni giorno, prima di ritirarsi nel Collegio dei Cinesi, mancandoci solamente allora che si portava allo Spedale. Nell'Orazione riceveva allora tal piena di lumi e di ardori celesti, e tale abbondanza di lagrime, ch'egli stesso poi confessò, che nel principio della sua vita spirituale per le continue lagrime corse pericolo di perdere la vista. Il libro, da cui ritraeva maggior luce, e sentimenti, era quello dei santi Evangeli, donde dicea che appena leggendo un verso, riceveva tal luce dalla Divina Bontà che l'abbisognava sfogare in dirotto pianto, ed allora dicea che gli compariva il Mondo come un pugno di crusca.
Fu veduto più volte ne' Chiostri di detta Chiesa della Croce, e di S. Spirito andar camminando quasi fuori di sé, colle braccia aperte, e gli occhi rivolti al Cielo, gittando infocati sospiri; Talmenteché alcuni giunsero a stimarlo alquanto uscito di cervello. Ed essendogli stato riferito una volta, ch'egli per queste azioni era riputato pazzo, rispose: Cosi è, e vero, sono pazzo; perché pazzo è chi non ama Dio, ed io non l'amo. Un giorno dimandato da un Sacerdote, perché facesse tali cose, ed andasse in tal forma? A tale domanda se gli ricoprì il volto di rossore, rispose all'Amico, che dava in quelle azioni, e sospiri senza che punto se avvedesse. Da quel tempo perfinché visse, egli non volea parlare, né sentir parlar che di Dio, e del bene delle Anime, e di ciò io che scrivo, ne son testimonio, E quando sentiva discorsi indifferenti, molto vi pativa, e perciò allora cercava d'introdurre discorsi spirituali, o pure con bel modo procurava di licenziarsi dalla conversazione.
Fu il nostro D. Gennaro Maria devotissimo del Mistero della SS. Trinità, ne insinuava a tutti la divozione, ne celebrava semprecché poteva la Messa, e ne stampò un divotissimo libretto.
Fu ancora specialmente divoto della Passione di Gesù Cristo, che perciò la sua stanza era piena d'Immagini di Gesù appassionato, e di Croci, delle quali ne fece un gran numero per dispensarle ancora agli altri, volendo che si collocassero nelle case, e nelle strade. Era ancora divotissimo del santo sacrificio della Messa, come può scorgersi dalle sue Opere; e non lasciò mai di dirla ogni giorno sino alla fine di sua vita, contuttoché talvolta a cagione delle sue infermità stava per venir meno sopra l'Altare per debolezza; ed infatti
una volta già venne veramente meno su l'Altare; ma egli si sforzava a dirla quasi spirando l'Anima, protestandosi, che nella Messa avea riposte tutte le sue speranze. Gli era poi così impresso il concetto dell'amore che si meritava Gesù Cristo, che diceva, non doversi altro predicare alle Anime, che amate Gesù Cristo, amate Gesù Cristo.
Fu ancora sommamente divoto di Maria SS. e specialmente della sua Immacolata Concezione, e per insinuare la divozione a tutti, andava da pertutto dispensando le sue Cartelle, ed ancora gran quantità di Abitini, e Rosarj. E perciò nel tempo della ricreazione, che suol praticarsi dopo pranso e dopo cena da' PP della Congregazione; quando con essi si ritrovava, questo era il suo divertimento, infilsare Rosarj e tagliare Cartelle ed Abitini.Era singolarmente divoto del SS. Nome di Maria, onde avendo inteso una volta un sermone del Sacramento da un Predicatore, che predicava con molto zelo, si consolò della predica, ma si afflisse in riflettere, che quegli neppure una volta aveva mentovato l'amato Nome di Maria; pertanto con umiltà lo pregò a non lasciare più nelle sue prediche di nominare il Nome della B. Vergine, perché così avrebbe fatto molto maggior profitto. Egli si pregiava assai del nome di Gennaro Maria; e con chi lo chiamava solamente Gennaro, con dolcezza se ne risentiva, perché non vi aggiungeva quello ancora di Maria. Nel mese di Settembre pregava gli amici, che ringraziassero da sua parte la Divina Madre, perché in questo mese dicea d'avere da Lei ottenuto tutte le grazie che domandate l'avea. La notte, quando andava a letto, per ricordarsi della sua amata Regina, sempre si coricava col Rosario circondato al braccio, e così dormiva. E confidò a
un suo amico, che nelle sue maggiori angustie, e contrasti coll'Inferno, sentiva un gran conforto dal tenere il Rosario nelle mani. Da per tutto predicava le Glorie di Maria, ed in tutte le prediche che faceva, insinuava la divozione. In varj Luoghi facea celebrare a sue spese Novene in onore della Madre di Dio. Compose ancora un divotissimo libretto che tratta delle sue lodi, intitolato le Grandezze di Maria, come si vede tra le altre sue operette spirituali; ed in morte disse che questo s'affligeva, che moriva senza lasciare un libro grande ch'egli già designato avea di dare alla luce, delle Glorie di Maria SS. e già ne avea raccolta la materia.
Notisi qui, che dopo la grande abbondanza di consolazioni celesti, che il Sig. li fé sentire per più anni nel modo di sovra narrato, dal tempo poi che fece una certa Novena con molto fervore nella Vigilia appunto di quella festa com'egli riferì, sentì inaridirsi il cuore fin d'allora con una desolazione sì forte, che gli durò fino all'ultime ore della sua vita, nelle quali solamente il Signore lo favorì di un fervore sensibile, facendolo morire infiammato d'un gran desiderio di andare a vedere il suo Dio, come vedremo. Del resto in tutto l'altro tempo della sua vita, così nelle sue orazioni, come nelle fatiche in ajuto delle Anime, operò sempre con una tale aridità di spirito, che gli pareva d'essere stato abbandonato da Dio, non trovando più sollievo alcuno in tutti gli esercizj spirituali in cui s'impiegava. E ciò anche ne tempi più devoti dell'anno, come di Natale, Settimana Santa, e simili; soffrendo nel tempo stesso terribili tentazioni, specialmente d'infedeltà, di gola, e di disperazione; onde diceva esser restato come incapace di tutte le cose divine, e gli sembrava
sentirsi continuamente intorno all'orecchio, come dicea le parole del Salmo: Multi dicunt animæ meæ, non est salus ipsi in Deo ejus. Appena dicea, trovare qualche respiro in dir solamente alle volte ed esclamare: Dio mio, Dio mio. Anche nelle sue fatiche Apostoliche a beneficio del Prossimo, nelle quali egli spese, ed abbreviò certamente la sua vita, e contuttoché a questo impiego avesse un'inclinazione sì grande per la Divina Gloria; pure in tutte quelle opere che facea, non provava mai niuna consolazione sensibile, ma una gran pena, e tedio, operando tutto a forza, come egli dicea: Ma in verità era tutta forza di spirito, e zelo per dilatare la Gloria di Dio, e compiacere la sua Divina Volontà. Nomi ch'egli teneva sempre nel cuore, nella bocca, e nella penna come può vedersi da' suoi libri; ed in sua vita non altro se gli sentiva nominare, che Gloria di Dio, e volontà di Dio. Sicché quando operò, tutto lo fece puramente per Dio; E perché talvolta nel vedere che avessero buona riuscita le opere da lui intraprese per la Gloria del Signore, egli ne sentiva una certa occulta compiacenza, perciò pregava Dio; e facea pregarlo ancora dagli altri, che anche di quella compiacenza lo spogliasse.
Ma in mezzo a tanta derelizione delle Divine consolazioni mantenne sempre ferma la sua fiducia in Dio, riponendo tutta la sua confidenza nella forza della preghiera. Dicea che nelle tempeste delle sue tentazioni, ed oscurità, il suo conforto erano le parole di Gesù Cristo: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis. Affermava che se Dio non gli avesse fatto altra grazia che di poter solamente pregare, quello solamente l'avrebbe fatto stare contentissimo, attese le promesse
fatte dal Signore a chi prega. Ed in fatti da questa sua confidenza all'orazione egli ottenne tutte le grazie che poi ricevé da Dio; così superò le gran difficultà nelle grandi opere ch'egli intraprese per la Divina Gloria, mentre ne' bisogni maggiori, e nelle cose più ardue sempre ricorreva all'Orazione, ed alle preghiere ancora degli altri, facendo a tal fine celebrare molte Messe, e fare più volte l'anno Novene, ed Esposizioni del Sacramento; Onde solea poi dire, che egli stava in possesso appresso Dio di ottenere sempre più di quello che domandava.
Coll'orazione congiunse la mortificazione. Dacché fu secolare, come si disse, non provava frutta fresche: e ne' principj poi dello stato Ecclesiastico facea tre digiuni in pane, ed acqua la settimana, Gli fu poi necessario lasciarli per raggione della salute consumata: ma seguitò per tutta la sua vita a non assaggiare frutta fresche, se qualche volta assaggiò alcuno, fu per forza di ubbidienza de' suoi superiori. Attestò la Madre ad un suo Confessore, che quando venivano a tavola vivande gustose al palato, come sfogli, pizze, esso quando stava in casa affatto non ne mangiava. Si bilanciava la porzione del cibo, che appena potesse bastare a sostentarlo, e punto non oltrepassava il termine prefisso. Semprecché poteva, contuttoché fosse così logoro di salute, si facea la disciplina, percotendo non già le carni, ma le ossa vestite di pelle, poiché chi lo vedeva, non mirava altro che uno scheletro composto di sole ossa, e pelle, Altro non potendo si tormentava col sopportare senza liberarsene i morsi degli animaletti molesti tormento più duro d'un cilizio, e disciplina.
Nudrì poi sempre un gran desiderio d'essere disprezzato
per amore di Gesù Cristo. Perciò fé risoluzione ferma di non volersi mai giustificare con veruno, quando fosse stato incolpato di qualche difetto: Perciò in tutte le Messe pregava Dio, che gli dasse amore a' disprezzi; ed a tal fine nella Messa, semprecché potea, diceva la colletta ad petendam humilitatem. E confidò ad un Fratello della sua Congregazione che poco tempo dopo di aver cominciato a fare quella preghiera, il Signore l'aveva esaudito, mandandogli molte occasioni d'incontri, nelli quali confessava che Dio non solo gli aveva concessa la grazia di soffrirgli con pazienza, ma anche con giubilo dell'Anima sua, sicché poi quando riceveva qualche disprezzo, subito ne ringraziava sommamente sua divina Maestà; e confidò parimente a quel medesimo Fratello, che i vilipendj non gli erano più di tentazioni, anzi che sentiva un vivo desiderio di vedersi strascinato per Napoli in mezzo del fango. Affine d'esser vilipeso, egli per lo più portava sempre vesti usate, comprate alla Giudeca, e lacerate; protestandosi che non volea avere più parte col Mondo; tantocché rimproverato da' suoi Parenti, che andando così logoro svergognava il loro Casato, egli rispondeva, che non s'inquietassero per questo; perché egli dimandato chi fosse, non avrebbe manifestato esser figlio del Barone Sarnelli; ma avrebbe detto chiamarsi Gennaro Maria, come se il suo cognome fosse stato di Maria, e il nome Gennaro. Una volta entrò a dir Messa nella Chiesa di S. Maria dell'Ajuto in Napoli, ma il Clerico vedendolo così lacero lo licenziò con mala grazia, e non gli permetté di celebrare. Del che egli poi vendicandosidi ciò, ma secondo la vendetta che sogliono i Santi degli
oltraggi che ricevono, cercò di favorir questo Clerico, stato con lui sì scortese, e l'ajutò a fargli prendere il Sacerdozio. In somma visse, e morì così povero, che quando morì, lo stesso Sacerdote che l'assisté, ebbe a provederlo di vesti per seppellirlo, tanto le sue erano lacere, e consumate.
In quanto alla carità verso del prossimo, può dirsi che il nostro D. Gennaro Maria possedé questa virtù in grado sommo. Egli quando stava fuori della Congregazione, vivea poverissimo, mangiava poco, vestiva miseramente, non solo affine di andar disprezzato, come si è detto, ma anche di aver modo di poter così maggiormente provedere i poveri a beneficio de' quali facea le provviste così di vesti, come di cibi. Arrivò alle volte a togliersi le vesti di sopra, e le scarpe da' piedi, ed anche le vivande d'avanti, mentre si cibava, per dargli a' bisognosi. Andava raccogliendo i poveri per Napoli, e li portava unitamente in sua Casa; dove lavava loro i piedi, e gli dava da mangiare, servendoli di sua propria mano. A tal fine nella Casa del Padre si fece assegnare una stanza in mezzo alle grade, la quale era così oscura ed incomoda, che un amico visitandolo vide fin sopra del letto saltare i sorci. Ivi se ne stava appunto per dare udienza a tanti poveri che venivano a trovarlo; poiché altrimenti quelli sarebbero stati discacciati da' servi. Ma non volea per tanto, che colà venissero Donne a richiederlo; quando voleano queste parlargli, esso andava a asentirle dentro qualche Chiesa. Allorché poi entrò nella Congregazione, questa licenza cercò con tante preghiere, ed ottenne dal Superiore, di poter dispensare qualche limosina a' poveri, con procurarsela come meglio poteva.
Era incredibile poi l'affetto che portava agl'infermi dello Spedale, affaticandosi per sollevare que' miserabili non meno nell'Anima che nel corpo. Sin da che era secolare andava mendicando quando poteva di robe comestibili da' suoi congionti, ne faceva poi le sporte, e le mandava allo Spedale. E da Ecclesiastico, sempre che ci andava, solea portare sotto il mantello a quei poveri infermi qualche cosa di rinfresco di dolci, o di frutta, o d'altro che comprava a posta, o pure di cui si privava della porzione che gli toccava a tavola. Si è saputo di più, che a tal fine si fece fare certi vasi di creta lunghi; dove mettevaci robe cucinate, se li appendeva a' fianchi, e li portava agl'infermi. Faceva ancora tante cartoline di tabbacco, e poi le dispensava a' medesimi. Rifaceva loro i letti, lavava loro i piedi, e non lasciava officio alcuno di carità, che potesse esser loro di ristoro.
In quanto poi alle opere di misericordia spirituale, e zelo della salute delle Anime, si può dire che D. Gennaro Maria Sarnelli fu sommamente eroico. Dal tempo che si licenziò dal Mondo, e si diede a servire il Signore nello stato Ecclesiastico, par che questo fu il suo continuo ed unico pensiero, e 'l suo studio non si aggirasse in altro che a trovar modo come meglio poter ajutare le Anime, A ciò sempre pensava, e di ciò sempre parlava, anche ne' discorsi familiari il tempo delle ricreazioni. Alle volte, mentre gli altri si divertivano in detto tempo, egli si vedeva tutto sospeso, e pensieroso, e dimandato a che pensasse, rispondeva: Penso a quelche si può fare per ajutare le Anime di Gesù Cristo. Quando parlava specialmente del gran bisogno che hanno i poveri
d'aiuto spirituale, e d'Operarj, se gli mirava infiammata la faccia per lo zelo, ed anche talvolta si vedea piangere per la compassione. Diceva che egli sentivasi chiamato da Dio ad ajutare specialmente i poveri, e le Anime abbandonate, replicando a tal proposito le parole d'Isaia: Evangelizare pauperibus misit me. Asseriva che si sarebbe stimato dannato, se non avesse atteso a questo impiego, sentendosi intimare le parole di S. Paolo: Væ mihi, si non evangelizavero.
Stando egli in Napoli prima di entrare nella Congregazione, s'era determinato di andare con due altri Sacerdoti facendo Missioni, per le provincie di Calabria e di Abruzzo, come luoghi più destituiti di ajuti spirituali; e perciò il suo santo Avvocato più diletto era S. Giovan Francesco Regis, come Santo Operario più innamorato de' poveri. Ed a questo fine poi, come si è narrato, entrò egli nella Congregazione del SS. Redentore, perché seppe che questo era l'intento principale di quella, di ajutare la povera Gente abbandonata della Campagna.
Egli, quando la salute ce lo permetteva, era indefesso nel predicare e confessare. Nelle Missioni, dopo di aver faticato tutta la mattina, appena preso un poco di cibo, e questo era spesso un poco di pane e d'uva passa, di cui si cibava nella Sacristia della Chiesa; tutto il resto del giorno lo spendeva o a predicare o a confessare. Si è saputo specialmente che in una Missione da lui fatta nella Terra di Bracigliano, egli essendo solo faticò due mesi continui. La mattina vi andava di notte a confessare; all'ora poi tardissima appena si ristorava con una tazza di cioccolata, e poi subito si metteva a predicare, e confessare, giungendo
esso solo a sentire ivi le Confessioni di due mila persone in circa. Similmente si è saputo che in un'altra Missione fatta nella Villa de' Schiavi, Terra della Diocesi di Cajazzo, dove allora vi era un'altra Missioneper quaranta giorni; ed in tutto questo tempo confessava ogni giorno fino a ventidue ore; e poi appena preso un poco di cibo, subito saliva in Pulpito a predicare, e finita la predica si metteva di nuovo a confessare tirando fino a quattr'ore di notte. Di più si sa, che impiegandosi egli in ajuto di certe Anime, arrivò a stare due giorni senza prender cibo. E notisi, che le grandi fatiche ch'esso fece per l'ajuto dell'Anime operando, o scrivendo, come diremo, tutte le fece quasi sempre infermo. Ed a chi le diceva, che prima si stabilisse in salute, e poi si rimettesse ad operare, rispondeva: Se io avessi voluto, e volessi faticare solamente con buona salute, poco o niente averei fatto finora, e niente farei; mentre vedo che il Signore mi vuole continuamente esercitare colle infermità. E replicandogli un tale, che in tal modo sarebbe poco durata la sua vita, rispose: E che più bella cosa che consumare la vita per Dio? Ond'è che fu un continuo prodigio il vederlo così infermo e debole, e così faticare continuamente per le Anime, senza perdere momento di tempo. La notte quando poi scriveva le sue insigni opere spirituali, che poi diede alla luce, durava a scrivere fin dopo la mezza notte. Solamente cessava di scrivere, quando la debolezza l'opprimeva; quindi al fratello laico che l'assisteva in quel tempo disse, che quando alcuno gli dimandasse, che cosa egli stesse facendo, rispondesse o sta scrivendo, o patendo. Attestava che quando doveva intraprendere qualche cosa speciale a beneficio
delle Anime, per lo più il giorno antecedente si sentiva più aggravato dalle sue solite infermità, ma che nel giorno poi in cui dovea metter mano all'opera, si ritrovava invigorito di forze. Alle volte si metteva a predicare in istato che più gli conveniva il letto, che 'l pulpito, ma finita la predica si sentiva molto meglio.
Era tanto poi il fervore con cui predicava, ed erano tali le mozioni delle sue prediche, che alcuni talvolta giungevano a dar la testa per le mura della Chiesa, cercando Confessione. E quando andavano le genti alle sue Missioni, dicevano: andiamo a sentire il Santo, predica un Santo. Quando stava in Napoli, andava ancora spesso a S. Gennaro fuori le mura, non ostante la gran distanza della sua Casa, a predicare a quei poveri vecchi inabili, che sono mantenuti in quel luogo; e quando si ritirò alla Co ngregazione nella stanza di Scala; dicea d'avere avuta una gran pena e dolore in lasciare quest'opera.
Aveva ancora una somma inclinazione ad ajutare i fanciulli poveri; onde diceva che avrebbe sommamente gradito nelle Missioni di aver l'officio di far sempre la Dottrina Cristiana a' figliuoli. Perciò in Napoli andava con gran genio a trovare nello Spedale i fanciulli infetti di tigna; l'istruiva, l'esortava a confessarsi, ed anche li regalava con tanta carità, che quelli soleano chiamarlo il Padre loro. Andava ancora raccogliendo per Napoli per mezzo le piazze i facchinelli, o siano fanciulli poveri che vivono con portare le robe, e che per lo più sono ignoranti delle cose della Fede, questi egli li portava in sua Casa, dove facea loro la Dottrina, gli preparava a confessarsi, e poi dava da mangiare; e per togliere
l'incomodo alle genti di sua casa, egli stesso ajutava ad accomodare le vivande, e poi andava in cucina, avendo sbrigati i fanciulli, a lavar le scudelle da loro usate.
Circa poi gl'infermi dello Spedale si potea chiamare il nostro D. Gennaro il loro innamorato, mentre esso vi andava continuamente, e vi stava lungo tempo; poiché, quando era di mattina, vi si tratteneva fin dopo mezzo giorno, e quando il dopo pranzo, fino ed una e due ore di notte, e sene partiva con desiderio di più trattenersi. Non può spiegarsi la carità che con essi usava, gli esortava a sopportar le pene dell'infermità, gl'istruiva nelle cose della Divina Legge, ed a ben confessarsi; e quando egli non era ancora Confessore, procurava altri buoni Sacerdoti che sentissero le loro confessioni. Si sa ch'egli deliberò di andare ad abitare permanentemente dentro lo Spedale degl'Incurabili, per trovarsi più pronto ad assistere que' poveri, specialmente in punto di morte: e già procurò di ottenere ivi una stanza, ma ciò poi per alcuna difficoltà che se gli oppose, non ebbe effetto. Si sa ancora che spedale delle Galere, dov'egli parimente si portava ad ajutare que' poveri condannati nella salute dell'Anima siede una volta anche in pericolo per cagion del suo zelo di perdervi la vita.
Circa poi le donne pubbliche è ben noto in Napoli quel che fece questo zelante Operario per torle dal peccato. Andava ogni festa alla Parrocchia di S. Matteo a predicare, a fine di ridurre queste miserabili a penitenza; Ed egli fu che indusse la Congregazione dell'Arcivescovado dare a questo fine ogni anno gli esercizj spirituali in quella Parrocchia. Egli poi per ajutare queste povere donne
perdute a sostenersi, non si riserbava niente di quanto avea da sua casa: fino ad andare tutto lacero per Napoli, come si è detto. Egli ne manteneva molte a sue spese, contribuendo a ciascuna di loro un certo sussidio il mese, acciocché si astenessero dal vendere l'onore e le Anime loro. E non solo procurava d'ajutare quelle, che gli si presentavano, ma andava girando attorno, e spiando per Napoli, dove fosse alcuna di loro per salvarla dal peccato. Di queste, sedici ne collocò in Conservatorj, molte ne collocò in matrimonio, due specialmente le mantenne per due anni, e poi le collocò provedendole di letto, ed anche di utensili di casa. E perché alla spesa grande, che in ciò vi bisognava, egli non poteva arrivare col suo livello, poiché tra lo spazio di pochi anni a questa sola opera, vi spese da cinque in sei cento ducati, perciò andava cercando limosine per tutto Napoli non solo per gli luoghi pii, ma anche per le case particolari, con tanta ripugnanza, ch'egli poi diceva sentirsi morire per lo rossore; avendo dovuto in far quest'officio patire non solo incomodi immensi nel replicare le visite, ma ancora rimproveri, ed anche ingiurie. Confidò egli ad un amico, che alcuni, i quali prima lo stimavano e gradivano, quando poi lo vedevano, lo fuggivano, o licenziaveno con mali termini.
Specialmente furono indicibili le fatiche e persecuzioni che soffrì nella grande impresa ch'egli si addossò, a fine di ridurre ad abitare le Meretrici fuori della Città di Napoli a' luoghi separati. Considerando il nostro D. Gennaro, che stando queste Donne infami disperse ne' quartieri della Città, come in quelli, dove prima stavano, sopra Toledo, alla Duchessa, ed altri che sono i
più popolati, davano uno scandalo immenso così a' vicini, come a coloro che passavano per le strade, pensò che non vi era altro modo di riparare a questo gran male, che ridurle ad abitare tutte insieme fuori della Città. Per giungere al compimento di quest'opera, sa Iddio e tutta Napoli le gran fatiche e spese che fece, stampando più libri a posta sotto il titolo di Alfonso del meretricio. Patì di più per questa intrapresa persecuzioni e rimproveri così da' nemici, come da amici, i quali stimando impossibile a lui l'ottenere a buona riuscita da questa impresa, lo sconsigliavano e deridevano. Ma egli sempre forte colla confidenza in Dio, solo e senza appoggi umani, tanto si adoprò co' Ministri principali del Re nostro Padrone, che finalmente arrivò ad aver la consolazione di veder adempito il suo desiderio; essendo uscito un Dispaccio di nove capi spedito al signor Duca di Giovenazzo, Regente allora della G. C. della Vicaria, in vigor del quale si pubblicarono poi i Banni a 4. di Maggio 1738, che tutte le Meretrici uscissero dalla Città, ed andassero ad abitare ne' luoghi loro stabiliti. E l'ordine Reale si eseguì con tanto rigore, che a quelle Donnacce, le quali resisterono a partirsi dalle loro case, furono buttate le robe dalle finestre; E con ciò furono discacciate dalla Città di Napoli da trenta in quaranta mila Meretrici: delle quali parte se ne collocarono in matrimonio, parte se ne chiusero ne' Conservatorj, e l'altre si ritirarono ne' luoghi assegnati, oppure se ne fuggirono altrove. Ma per questo affare il nostro D. Gennaro Maria passò più volte pericolo della vita, e d'esser ucciso dagli Amati di quelle infelici; che perciò i suoi parenti non desistevano
d'impedirlo, per timore di qualche aggravio che venisse fatto a lui, ed in conseguenza a tutta la loro Famiglia; ma egli si protestava, ch'era pronto a patire ogni affronto, e che sarebbe chiamato fortunato, se per quest'opera di tanta gloria di Dio avesse perduta anche la vita.
Questo medesimo zelo ancora della salute delle Anime l'indusse a fare l'immense fatiche che ebbe a soffrire nella stampa de' suoi libri, ne' quali, al vedere lo spirito con cui li scrisse, e precisamente le materie che scelse a trattare, si scorge che egli avea un desiderio sommo di santificare tutto il Mondo, se gli fosse stato possibile. Oltre il mentovato libro contro l'abuso del Meretricio per la Città di Napoli, ne stampò un'altro per
tutte le Città, e Terre del Regno; dove dimostrò che in queste Terre e picciole Città affatto era proibito il permettere le Meretrici: e questo libro lo mandò per tutti i Vescovi del Regno. Indi stampò il presente libro, intitolandolo il Mondo Santificato, che in certo modo può dirsi che ha santificato il Mondo, essendo stato di gran profitto a quanti l'anno avuto per le mani, e questi non sono stati pochi, poiché il libro sudetto non solo è andato per tutto il Regno di Napoli, ma in più altri Regni ancora. Stampò di più un libro intiero contro il vizio della bestemmia per desiderio di vederla estirpata, specialmente dal Regno di Napoli, dove sta così radicato questo vizio maledetto. Stampò un trattato, inserito in un'altro libro sotto il titolo di Mondo Riformato, del rispetto alle Chiese, in cui anche molto si difetta in questo Regno. Stampò un libretto dell'obbligo de' Genitori circa l'educazione de' figli. Un'altro libro per la guida
delle Anime spirituali, intitolato la Discrezione de' Spiriti. Un'altro per bene de' Sacerdoti, col titolo di Ecclesiastico Santificato. Un'altro del Metodo facile per tutti gli esercizj di Missione, utilissimo a' Sacerdoti Missionarj. Ne stampò un'altro con somma sua fatica, avendolo composto in mezzo a dolori ed agonie, com'egli protestò, poiché lo fece verso la fine di sua vita, quando stava più tormentato dal suo mal di Etica, che gli tolse la vita; e questo fu il libro il Cristiano illuminato. Stampò un'altro per sollievo dell'Anime tribolate, col titolo di Anima desolata. Un'altro di Meditazioni divotissime, chiamato l'Anima illuminata. Ha date alla luce ancora altre operette; di cui in fine si porrà la Nota. Designava egli poi di fare altre opere, delle quali già ne avea cominciate alcune a stampare, come un Trattato del Soccorso alle Anime del Purgatorio; un'altro del Modo di placare Dio ne' pubblici Flagelli; un'altro di scelte Riflessioni divote per tutti i giorni dell'anno: Ma poi prevenuto dalla morte le ha lasciate imperfette. Oltre gli altri che aveva in mente di fare, come i Sermoni di Maria SS. per ogni Sabbato, e per tutte le sue Novene; un libro d'Istruzione circa i costumi, e le verità della Fede. In somma tutti i libri ch'egli fece, e pensò di fare, tutti li compose, o designò col desiderio di ajutare le Anime, come egli diceva, anche dopo la sua morte. E stando moribondo, questo appunto espresse al Signor Canonico Sersale, che l'andò a trovare: Signor Canonico (disse) io voglio predicare fino al giorno del Giudizio.
Ma veniamo finalmente alla sua ultima infermità, e beata morte. Il nostro D. Gennaro Maria
durò per molti anni a faticare, come si è detto, sempre infermo, e colla febbre sopra. Egli fece l'ultima Missione a Posilipo, quasi moribondo, e consumato da' stenti e dalle infermità. Onde ritirandosi dalla sudetta Missione a S. Agnello, si accrebbero i suoi dolori, in tal maniera che cessò dalle sue solite fatiche; e non si fida più di dire la Messa; segno conosciuto da tutti, ch'era vicina la sua morte, giacché egli non avea soluto mai lasciarla, come di sopra si è detto. Un giorno volle sforzarsi e celebrarla, ma venne meno sopra l'Altare. Aggravandosi l'infermità, si ritirò in Napoli in casa del Fratello; dove stiede infermo da un mese e giorni. Ivi con tutto che crescessero i suoi dolori e le debolezze, non lasciava la sua Orazione: E perché durava ancora la sua desolazione di spirito, andava cercando conforto a' Servi di Dio che venivano a ritrovarlo. Gli consigliarono i Medici di andare all'aria della Salute, ma per la sua gran debolezza non fu possibile più trasportarlo. Quindici giorni in circa prima di morire, si pose in letto per non alzarsene più. In questo tempo il Signore volle alleggerirgli la Croce della sua derelizione, mentre cominciò a godere una gran pace, e togliendoseli dalla mente ogn'altro pensiero, si gli accese un gran desiderio di unirsi con Dio nella Patria Beata, tantocché dicendoli un Cameriere del suo Padre sperava a Dio che stesse bene e si alzasse, rispose: Oh se potessi gridare, ora griderei che l'unica mia consolazione è di pensare d'avere a morire, e tu mi parli d'alzarmi?
In questo medesimo tempo dimostrò, quanto fosse stata grande sempre la sua sofferenza e carità, poiché patendo pene insoffribili, ed avendo
bisogno d'una assistenza continua, compativa al sommo chi lo serviva, e quando li bisognava qualche cosa, che diceva ad un Fratello della Congregazione che gli mandò il Superiore ad assisterlo: Fratello abbi pazienza per amore di Gesù Cristo, perché poco tempo ci resta. Fra questi giorni diede l'ultimo assetto alle sue cose. Quei pochi dolci che si ritrovava, li mandò allo Spedale per dispensare agl'infermi. Teneva ancora un poco di tabacco, e di questo volle ancora se ne facessero tante cartine per distribuirle a quei poveri. Dispose di tutte le sue cose a beneficio della sua Congregazione del SS. Redentore, acciocché s'impiegassero in limosine ed altre opere pie. Prima di morire diede egli stesso molte limosine, e specialmente si è saputo, che avendo dato il Fratello un certo danaro per lo suo funerale, e Messe da dirsi per lui dopo sua morte, venuto a ritrovarlo il Confessore del Cconservatorio di Castellamare, egli prese di quel danaro venti ducati, dicendo che bastava per le spese dell'esequie l'altro che rimaneva. A questo suo Fratello primogenito; che molto l'assisté in vita ed in morte, disse: Fratello mio, già si accosta il tempo, in cui spero di rimunerarvi quanto avete fatto per me.
Tra questo tempo gli apparve il Demonio in forma di un uomo vestito da Abbate, il quale lo tentollo di vanagloria, dicendogli: Oh Sig. D. Gennaro, tutta Napoli sta afflitta per la vostra infermità, in considerare che si perde un grand'uomo. Egli allora invocò i SS. Nomi di Gesù e di Maria, e quello disparve, e non si vide più. Venne un giorno a ritrovarlo il Signor Canonico Sersale, e dandogli questi speranza di guarire, egli rispose queste parole: Signor Canonico, io sono
stato qualche tempo angustiato da scrupoli; poi per grazia di Gesù Cristo ne fui libero; ora muojo quieto, e senza scrupoli. Quanto io ho fatto, l'ho fatto con pura intenzione di piacere a Dio; il sacrificio è già consumato, non mi parlate più di vita, io voglio il mio Dio.
In questi ultimi giorni di sua vita altro non faceva che continue aspirazioni, ora alla SS. Trinità, spesso replicando quelle parole: Benedica sit Sancta Trinitas, et individua Unitas; confitebimur ei, quia fecit nobiscum misericordiam suam. Ora con Gesù Cristo, ora con Maria, abbracciandosi, e baciando da volta in volta le loro Immagini. Accostandosi alla morte; il F. Laico che l'assisteva notò queste affettuose parole ch'egli pronunziò verso Dio: Padre mio, eccomi quà, già la Creatura torna al Creatore, il figlio torna al Padre. Signore, se vi piace suspiro di venire a vedervi da faccia a faccia; Ma non voglio né morire, né vivere, voglio quello che volete Voi. Voi sapete, che quanto ho fatto, quanto ho pensato, tutto è stato per la Grazia vostra. Le quali parole dette da un moribondo in quel tempo di verità, fanno ben conoscere ch'egli veramente avesse tutto operato secondo allora diceva. La mattina della sua morte disse al Fratello assistente: Fratello, andate apparecchiando le vesti più vecchie che vi sono, per quando sarò morto, acciocché non si perdino con me.
Il Medico lo visitò la mattina verso l'ore quattordici, e licenziandosi il Medico con dirgli oggi ci vedremo, esso rispose: Oggi mi voglio mettere in una dolce agonia. Egli avea raccomandato al Fratello serviente, che gli avesse ogni giorno ricordato di dire il Rosario, mentre dicea voler morire recitando il Rosario. Ed in fatti
così avvenne, poiché cominciando in quella mattina a dire il Rosario, giunto verso la terza posta, l'assalì una grande abbasca, e cominciò a sudare, onde disse al fratello: Già conosco che questo è il sudore della morte. Il Fratello vedendo già avvicinarsi l'ora, mandò subito a chiamare un Sacerdote, ed incominciò a dirgli qualche sentimento di Dio; ma esso l'interruppe, dicendo lascia dire a me, e cominciò a fare dolci colloquj col Signore, ma che non poco s'intendevano più, perché già andava perdendo le forze, e la parola. In entrare all'agonia, i due Fratelli della Congregazione che in quell'ultimo punto l'assistevano, gli domandarono la benedizione, ed egli alzando la mano dolcemente li benedisse. Durò la sua agonia non più che mezz'ora in circa, senza molta inquiete; e fra questo tempo, tenendo egli involto al braccio il Rosario, e stretto in mano il Crocifisso, non lasciava di baciarlo di quando in quando. Quindi dopo aver ricevuta l'Assoluzione dal Sacerdote, giunto a tempo prima che spirasse, placidamente spirò verso le sedici ore in giorno di Martedì 30. di giugno dell'anno 1744. in età d'anni 42. Ed avvenne la sua felice morte l'antevigilia della Visitazione di Maria, come egli già sempre avea desiderato in vita, di morire dentro una novena della Ss. Vergine.
Morto che fu, il suo volto divenne, come attestano coloro che vi si trovarono presenti, bello e grazioso, comparendo colla bocca a riso, e 'l suo corpo incominciò a dare un soave odore, che per molto tempo si sentì nella stanza dov'egli morì, non solo da coloro che l'assisterono, ma anche da' forestieri, che vennero ivi dopo la sua
morte. E 'l suo fratello D. Domenico Sarnelli disse, che non sapea staccarsi da quella stanza dopo la sua morte, provandovi una gran consolazione di spirito. La mattina del giorno appresso fu portato il cadavere alla Chiesa di S. Maria dell'Ajuto, detta degli Coltrari, accompagnato da' Fratelli della detta Congregazione delle Apostoliche Missioni dell'Arcivescovato di Napoli, li quali addoloratissimi della sua morte lo seguirono fino alla detta Chiesa, secondo la pia costumanza di essa Congregazione. Dove arrivato, vennero più persone a piangere, dicendo, è morto il Santo, e lo stesso, andavano gridando per tutti quei contorni. Cominciarono a lacerargli le vesti, procurando ognuna di averne quanto più potea, talmente, che se non si metteva riparo, l'avrebbero lasciato ignudo. Stiede 48 ore insepolto, dopo le quali vennero molti Sacerdoti con altre persone, e lo trovarono tutto flessibile, e che non dava niuno mal'odore; ed avendolo segnato al braccio ed alla testa, dall'una e dall'altra parte uscì vivo sangue. Da molte parti si fecero richieste delle sue reliquie; e da per tutto corse voce, come al presente anche corre, che era morto un Santo. E venivano le genti per divozione alla casa dov'era morto, e piangendo dicevano: Oh il santo di Gesù Cristo, che non era conosciuto! Indi essendosi raccomandate a Dio più persone per li meriti del P.D. Gennaro Maria; hanno ricevute diverse grazie prodigiose, ch'io per non uscire dal mio intento di fare un breve compendio della sua vita, tralascio qui di riferire, sperando che col tempo non mancherà chi le registrerà, scrivendo distesamente la vita di questo gran Servo del Signore.