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S. Alfonso Maria de Liguori
Condotta ammirabile della Divina Provv.

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CAP. II. Della distruzione di Gerusalemme operata da Dio per mezzo de' romani.

SOMMARIO

1. Sollevazione degli ebrei. 2. Roma incendiata da Nerone. 3. Segni della rovina della Giudea. 4. Carcerazione di s. Pietro, e di s. Paolo, e morte di Simone Mago. 5. Martirio de' due santi apostoli. 6. Cresce la sollevazione degli ebrei, e comincia la guerra. 7. Gli ebrei uccidono più soldati romani. 8. Vespasiano è destinato a punire i giudei, e Giuseppe ebreo è deputato al governo delle due Galilee. 9. Vespasiano entra col suo esercito, assedia, e prende la Galilea. 10. Predizione di G. C. della distruzione della città, e del tempio. 11. Fazioni di ebrei tra loro nemiche. 12. Morte di Nerone, e come avvenne. Vespasiano fu eletto imperadore. 13. Vespasiano è acclamato per tutto l'imperio. 14. Guerra tra gli stessi ebrei. 15. Tito è mandato a demolir Gerusalemme. 16. Tito, volendo riconoscer la città, si trova in pericolo; ma se ne libera, e mette l'assedio alla città; e frattanto gli ebrei seguitano ad uccidersi tra di loro. 17. Tito propone la pace, ma è rigettato; ond'egli devasta i sobborghi. 18. I romani entrano nel primo, e poi nel secondo recinto. 19. Tito di nuovo offferisce la pace, ma in vano; indi fa crocifiggere una quantità di ebrei. 20. Fa circondar la città con un muro, ond'essa si riempie di cadaveri. 21. Per la fame una madre uccide, e mangia parte del figlio. 22. Sono da' soldati uccisi molti ebrei per ritrovar le monete supposte nelle loro viscere. 23. Incendio del tempio. 24. Eccidio che vi sopravvenne. 25. Sagrificj fatti alle false deità. 26. Tito entra glorioso in Gerusalemme. In questo assedio si numerano un milione e centomila persone perite di ferro, o di miseria. 27. Tito fa demolire la città, ed il tempio, dalle fondamenta. 28. Trionfo di Vespasiano e di Tito, in Roma, per la vittoria della Giudea.

 

1. Verso l'anno 64 di Gesù Cristo fu mandato alla Giudea per governatore Gessio Floro, il quale sopravvenendo ad Albino, che avea commessi molti eccessi, ne aggiunse tanti che fece perdere la memoria di quelli di Albino. Così Iddio diede principio alla sua vendetta contro gli ebrei. Floro dividea coi ladri i loro furti e poi a prezzo d'oro li lasciava impuniti. Giunse a desolare paesi intieri ed anche città: onde gli ebrei, oppressi da tante ruine, finalmente si sollevarono contro i romani.

 

2. In quel tempo avvenne che Nerone fece metter fuoco alla città di Roma. L'incendio durò per 19 giorni in modo che di 14 rioni di cui la città costava tre furono ridotti in cenere, e di sette altri non rimasero che alcune case cadute. Narrasi


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che allora Nerone, mentre il fuoco più ardeva, salì sopra una torre e colà in veste di suonatore di lira si pose a cantare un poema da lui composto sull'incendio di Troia: e tutte queste circostanze fecero credere ch'egli fosse l'autore di quell'incendio. Il tiranno poi, facendone incolpare i cristiani, fece prendere molti di loro, de' quali alcuni fece coprire di pelli di fiere acciocché fossero lacerati dai cani, altri fece crocifiggere ed altri li fece morire bruciati, avendoli fatti vestire con vesti di tele impeciate che poi fece mettere in fiamme.

 

3. Intanto tutto si preparava per la guerra nella Giudea e per l'ultima sua desolazione, predetta già dal profeta Daniele. Anzi questa, come riferisce Giuseppe1, fu presagita da nuovi prodigj che seguirono nel giorno della pasqua dell'anno precedente alla guerra. Una notte apparve il tempio tutto illuminato come ardesse in un gran fuoco; onde alcuni prudenti dissero essere quella illuminazione un presagio del fuoco che indi dovea consumarlo. Un'altra notte si trovò da sé aperta una porta di bronzo del tempio, la quale per chiuderla nella sera vi bisognavano venti uomini. In un giorno poi del seguente mese di maggio al tramontar del sole furono veduti nell'aria carri e truppe di soldati sovra nuvole sparse per di sopra alla città. Di più, come scrivono Giuseppe2, ed anche Tacito3, nella festa di pentecoste i sacerdoti, entrati la notte nel tempio per offerirvi i profumi e far le altre loro funzioni, udirono uno strepito e poi una voce che dicea: «Usciamo di qua.» Dice s. Gio. Grisostomo4, credersi che fossero gli angeli che abbandonavano gli ebrei. Inoltre già quattro anni prima della guerra Giuseppe scrisse che un certo uomo rozzo andava gridando per la città: Guai a te, Gerusalemme, guai a te! Lo sgridarono gli altri, lo bastonarono acciocché tacesse; ma egli seguiva sempre a replicare: Guai a te, Gerusalemme, guai a te!

 

4. Verso questo tempo Iddio rivelò a s. Pietro ch'era vicino il tempo di sua morte; onde il santo ne avvisò i suoi discepoli nella seconda sua lettera5, con quelle parole: Certus quod velox est depositio tabernaculi mei, secundum quod et Dominus noster Iesus Christus significavit mihi. Narrano Origene6, e s. Ambrogio7, che mentre s. Pietro usciva di Roma gli apparve Gesù Cristo, al quale avendo s. Pietro dimandato: Signore, dove andate? Rispose il Salvatore: Vengo a Roma per esservi di nuovo crocifisso. Allora comprese s. Pietro ch'egli dovea dar compimento alla predizione fattagli dal Signore del suo martirio e ritornò a Roma. Nello stesso tempo venne a Roma s. Paolo, il quale unendosi con s. Pietro convertirono molte persone; onde Nerone, non potendo soffrire i progressi che la religione faceva in Roma, li fece chiudere in carcere. Al che, come scrivono Arnobio8, e Calmet9, Nerone fu maggiormente spinto per cagion della morte di Simone mago, il quale in un giorno, per dimostrarsi simile a Gesù Cristo, si fece alzare in aria colla sua magia da' demonj in un carro di fuoco, ma s. Pietro e s. Paolo colle loro orazioni ottennero che i demonj il lasciassero cadere a terra, onde il misero si spezzò le gambe, e vedendo poi che non potea più vivere, per disperazione si precipitò dall'alto della sua casa e così finì la vita, ed a tal fatto molti si convertirono.

 

5. In quel tempo s. Paolo scrisse la sua epistola prima a Timoteo; e credesi, secondo scrivono s. Basilio10, e s. Girolamo11, che questa lettera fu circolare per tutte le chiese dell'Asia, come scritta a tutti i fedeli. Di poi scrisse la seconda a Timoteo, considerandosi come prossimo al martirio, siccome già in Roma allora, ai 29 di giugno dell'anno 69 di Gesù Cristo (secondo porta il Calmet), per ordine di Nerone s. Pietro e s. Paolo consumarono il lor sacrificio: s. Pietro, come scrivono Eusebio12, Prudenzio ed altri, fu crocifisso col capo ingiù e secondo egli stesso avea dimandato, non credendosi degno di paragonarsi a Gesù Cristo che morì col capo insù; e s. Paolo morì decollato. S. Pietro poi morì vicino ad una ripa del Tevere, e s. Paolo alle Acque Salvie; ed ambedue questi santi furono dai cristiani seppelliti, s. Pietro nel Vaticano, e s. Paolo nella Via d'Ostia. Ma colla morte di questi due santi apostoli non mancò la fede, come credea Nerone, anzi molto si aumentò.

 

6. Ma ritorniamo all'istoria della guerra nella Giudea. Narrammo già che gli ebrei irritati dal governatore Gessio si sollevarono contro il medesimo: ma egli, invece di fermare le sue imprese, maggiormente le accrebbe; e tra le altre sue insolenze mandò a prendersi 17 talenti nel tempio, dicendo che servivano all'imperatore.


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Il popolo allora corse furibondo al tempio, invocando Cesare e biasimando Gessio, il quale trovavasi allora lontano da Gerusalemme; onde avendo inteso il tumulto fatto contro di lui, venne subito alla città, dove ordino a' soldati che dessero il sacco nella piazza maggiore con uccidere ognuno che incontravano. E così eseguirono i soldati ed uccisero da 3600 persone e crocifissero altri co' chiodi. Indi uscì egli stesso per la città colle truppe; ma gli ebrei da' tetti colle frecce e colle pietre lo costrinsero a ritirarsi.

 

7. Indi i sediziosi assediarono i soldati nel castello di Messada. Il popolo non volea che si maltrattassero i romani, ma i sediziosi fecero deporre le armi ai soldati e poi li uccisero tutti, ed uccisero anche quelli della guarnigione romana che stavano nella città.

 

8. Dopo tanti disordini venne nella Giudea Cestio Gallo, che per li romani governava la Siria. Gli ebrei se gli fecero sopra e lo sconfissero. Ma quest'ultima loro vittoria fece loro disperar la pace: poiché Cestio liberatosi da quel pericolo dimandò soccorso a Nerone, che si trovava in Acaia, informandolo del tutto: e Nerone elesse Vespasiano per andare a punire l'audacia degli ebrei; e benché questo capitano non fossegli molto gradito, nondimeno, perché avea data più volte esperienza del suo valore e prudenza, lo preferì ad altri capitani. Gli ebrei allora, vedendosi già sovra la guerra de' romani, deputarono più scelti personaggi pel governo di varie città e piazze della Giudea; e fra essi fu eletto Giuseppe lo storico e deputato al governo delle due Galilee, dove egli pose in armi più di cento mila uomini per resistere a' nemici. In questo tempo Giovanni di Giscala uomo ingannatore si offerì in aiuto a Giuseppe con 400 ladri suoi seguaci; ma poi avendosi fatto egli molto danaro co' latrocinj, lasciò Giuseppe e gli diventò nemico. Si è fatta qui preventivamente menzione di questo empio Giscala, perché di dentro dovrà essere più volte nominato per le sue replicate furberie.

 

9. Nell'anno pertanto 69 di Gesù Cristo Nerone nominò Vespasiano generale degli eserciti della Siria e gli diede il comando della guerra contro gli ebrei. Vespasiano avuto questo incarico, mandò prima Tito suo figliuolo in Alessandria, donde fece venire più legioni di romani; ed egli poi adunò nella Siria un esercito di 60 mila uomini di romani e di altre truppe ausiliarie, e con queste forze entrò nella Galilea. Giuseppe allora si pose nella fortezza di Iosafat, dove sostenne l'assedio de' romani per 46 giorni, in fine de' quali dopo la presa della fortezza furon numerati 40 mila ebrei uccisi e molti altri fatti prigioni. Giuseppe si salvò dentro una caverna con altri 40 de' suoi; i quali scorgendo che Giuseppe volea rendersi a Vespasiano, minacciarono di ucciderlo se non si avesse data la morte da se stesso: ma egli stette forte a non compiacerli, dicendo a niuno esser lecito il togliersi la vita. Ma non avendo potuto persuadere di ciò i compagni, finalmente fece metter la sorte a chi prima di loro dovesse morire; e Dio dispose che tutti gli altri restassero uccisi, e Giuseppe, essendo rimasto vivo, si rendé a Vespasiano. Vespasiano volea mandarlo a Nerone, ma Giuseppe parlandogli da solo a solo gli disse queste parole: «Signore, io vengo da parte di Dio a dirvi che Nerone poco ha da vivere; onde a me tocca di considerar come mio imperatore solo voi, e dopo voi Tito vostro figliuolo. Fatemi custodire in carcere, come a voi piace, e poi trattatemi come l'uomo più empio del mondo, se ciò non si avveraVespasiano, intesa quella predizione, cominciò a trattarlo con dolcezza, ma tuttavia seguì a farlo strettamente custodire1.

 

10. Ma giunse presto allora la distruzione della Giudea, predetta prima da Daniele e poi da Gesù Cristo; il quale nei giorni precedenti alla sua morte, andando da Betania a Gerusalemme e guardando da lontano quella città infelice, pianse la sua rovina, come attesta s. Luca, 19, 41: Et ut appropinquavit, videns civitatem, flevit super illam. Ed allora predisse che i nemici doveano circondarla da per tutto con un muro che dovea metterla nell'estreme angustie della fame, la quale poi finì di desolarla: Quia venient dies in te, et circumdabunt te inimici tui vallo, et circumdabunt te et coangustabunt te undique. V. 43. Predisse insieme la totale distruzione della città: Et non relinquent in te lapidem super lapidem, v. 44. E lo stesso prenunziò del tempio allorché uscendo da quello disse a' suoi discepoli: Videtis haec omnia? Amen dico vobis, non relinquetur hic lapis super lapidem qui non destruatur2. Il che tutto si avverò.

 

11. Stava in quel tempo Gerusalemme divisa in diverse fazioni, le quali avean cominciato a distruggerla: poiché prima della guerra co' romani i faziosi presero le armi e cominciarono a spogliarsi l'uno coll'altro. Vi era da una parte la fazione


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de' ladri, che presero il nome di zelanti. Da un'altra parte vi era la fazione di Giovanni di Giscala e da un'altra la fazione degli idumei, che aveano presa la legge de' giudei; questi in numero di ventimila si unirono coi zelanti ed uccisero gli ebrei che guardavan il tempio la notte, e poi venuto il giorno uccisero quanti ne incontrarono. I romani, vedendo quella gran disunione fra gli ebrei, voleano che Vespasiano andasse ad assalirli; ma Vespasiano si trattenne e volle camminar con prudenza per non vederli tutti distrutti.

 

12. Fra questo tempo successe la morte di Nerone, la quale avvenne in questo modo. Il tiranno alzandosi una notte si trovò abbandonato dalle sue guardie: ond'egli, vedendo già venuta a termine la sua ruina, andò a bussar le porte di diverse case, ma niuno volle dargli l'entrata; perloché egli con quattro suoi liberti se ne fuggì. Quelli per salvarlo il posero chiuso in una cava di arena. Ma fra questo tempo il senato dichiarò Galba imperatore e Nerone nemico dell'impero, condannandolo a morire strascinato e flagellato sino a rendere lo spirito. Nerone, fatto inteso di questo decreto, con un pugnale si ferì gravemente la gola. Venne allora un centurione, come volesse soccorrerlo in quel pericolo; egli rispose: «È troppo tardi,» e spirò. Galba prese possesso dell'impero: onde Vespasiano mandò Tito suo figlio in Roma a salutarlo. Ma Tito stando in viaggio intese che Galba dopo sette mesi era stato ucciso da' soldati, che in luogo di Galba aveano eletto Ottone. Ma Ottone avendo poi perduta la battaglia con Vitellio suo rivale, ch'era stato già acclamato dalle truppe in Germania, si uccise da se stesso, onde restò acclamato Vitellio. Ma i soldati di Alessandria e della Siria elessero Vespasiano per loro imperatore, e per tale il riconobbe di poi tutto l'oriente, e così restò padrone dell'impero. Allora Vespasiano diede la libertà a Giuseppe, il quale continuò a godere la grazia di Vespasiano e poi anche di Tito che gli successe nell'impero.

 

13. Fra questo tempo i zelanti si unirono con Giovanni di Giscala e co' suoi seguaci e riempirono Gerusalemme di violenze e crudeltà. Ma poi si divisero, ed allora un certo Simone, che avea fatto un altro partito, soccorso dal popolo, assalì il Giscala ed i zelanti, che occupavano il tempio. Nello stesso tempo Vespasiano mandò in Italia Muciano con un esercito per abbattere Vitellio, che gli contrastava l'impero. A Muciano riuscì di sconfiggere l'esercito di Vitellio; onde entrò vittorioso in Roma ed ivi fece riconoscere Vespasiano per unico imperatore: e così Vespasiano fu di poi riconosciuto da tutte le altre parti dell'impero, e fu universalmente restituita la pace.

 

14. All'incontro, nella Giudea durava la ribellione: onde, mentre Vespasiano stava per passare in Roma e destinava Tito a metter l'assedio a Gerusalemme, accadde che Eleazaro figlio di Simone fece un altro partito in Gerusalemme ed unendosi con una parte de' zelanti s'impadronì della parte interiore del tempio e ridusse Giovanni di Giscala ed i zelanti a difendersi nel solo cortile d'Israele. Eleazaro, più debole di forze, non osava assalire Giovanni, il quale all'incontro temea di assalire Eleazaro, che aveva il vantaggio del luogo, cioè il cortile de' sacerdoti. Simone dall'altra parte che tenea la parte superiore della città e gran parte dell'inferiore, non cessava di danneggiare Giovanni. Eleazaro non avea che 2400 uomini d'armi, Giovanni ne avea seimila, e Simone dieci mila con cinque mila idumei. Eleazaro e Simone, quando altro non poteano, bruciavano le provvisioni dei viveri: onde il popolo era una preda sbranata da molte fiere.

 

15. Nell'anno poi 73 di Gesù Cristo Vespasiano mandò Tito colle truppe a prendere e demolire Gerusalemme. Tito avea cinque legioni di romani e ventotto reggimenti delle città confederate. Iddio in quel tempo dispose per esecuzione della sua giusta vendetta contro la Giudea che quasi tutta la nazione ebrea si trovasse in Gerusalemme per la solennità della pasqua, nella quale 37 anni prima aveano fatto morir Gesù Cristo: onde sì per l'assedio de' romani, come per la moltitudine della gente presto si avanzò la fame, e colla fame crebbe anche la peste per la quantità di coloro che morivano: in modo che in fine della guerra si numerarono morte un milione e centomila persone.

 

16. Tito, giunto che fu a Gerusalemme, volle andare a riconoscere la città con seicento cavalli. Sperava che il popolo in vederlo gli avrebbe richiesta la pace, ma in un subito videsi assaltato da molti ebrei, ed allora Tito ritrovossi con pochi de' suoi, poiché le altre sue genti erano restate indietro e non sapeano il pericolo in cui Tito si ritrovava: ond'egli allora si diè coraggio e colla spada alla mano si pose in mezzo a' nemici ed uccise quanti gli si opposero; e Dio non permise che egli restasse atterrato dalla moltitudine


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delle frecce che gli ebrei gli lanciarono in quell'incontro, e se ne tornò al campo senza alcuna ferita. Indi fece Tito accampare quattro legioni sul monte degli olivi. Gli ebrei alla loro vista e dopo qualche scaramuccia, si ritirarono nella città. Eleazaro fece entrare nel tempio e nel cortile de' sacerdoti molti del popolo, ma Giovanni di Giscala vi fece anche entrare alcuni dei suoi colle armi nascoste sotto le vesti: e questi all'improvviso assalirono la gente di Eleazaro, che si pose a fuggire; ed i sediziosi uccisero tante persone che il cortile de' sacerdoti era pieno di sangue e di cadaveri.

 

17. Indi quelli di Eleazaro si unirono contro i romani colla gente di Giovanni, ma nello stesso tempo combatteano fra di loro. Giovanni era padrone del tempio, il rimanente della città era di Simone. Tito con una parte dell'esercito si accampò vicino alla città, e frattanto faceva abbattere e spianare gli orti e gli alberi; e nello stesso tempo per mezzo di Giuseppe fece fare proposizioni di pace agli ebrei, ma quelli non gli diedero orecchio. Finsero bensì un giorno di volergli dar la città, onde alcuni romani vi entrarono in buona fede: ma gli ebrei con empito si fecero loro sopra in modo che i romani a stento poterono salvarsi. Indi Tito volle riconoscere le parti della città per vedere quale fosse la più debole per darvi l'assalto. Mandò poi a tal fine in ruina i sobborghi, facendo tagliare tutti gli alberi, ed ivi piantò le piatteforme; e frattanto coprendosi i romani dietro le macchine uccisero molti ebrei: i quali non lasciavano di fare frequenti sortite, ma sempre erano respinti da' romani, che colle pietre lanciate dalle macchine uccidevano molti ebrei.

 

18. Di poi Tito fece avanzare gli arieti e le altre macchine; onde restaron le mura battute in tre parti. Di più fece innalzare sovra i terrapieni tre torri; dalle quali allontanandosi gli ebrei per cagion dei dardi che ne uscivano, gli arieti aprirono una gran breccia nel muro, in modo che i romani entrarono già nella città senza resistenza, e così fu preso il primo ricinto delle mura e fu posto l'attacco al secondo muro. Gli ebrei non cessavano dalle sortite, ma sempre si ritiravano con perdita. Tito di nuovo fece loro proporre la pace, ma vedendola disprezzata, si pose a battere una delle torri con tal violenza che già stava per cadere. Gli ebrei che vi stavano dentro, vedendo ciò, vi posero fuoco e poi da disperati si gettarono da se stessi in quelle fiamme. Ma con ciò venne ad aprirsi ai romani il secondo ricinto, nel quale subito entrò Tito con due mila uomini e di nuovo offerì agli ebrei la pace: ma quelli, invece di accettarla, vennero di nuovo ad assalire i romani, che li respinsero; e perché l'apertura fatta nel muro era troppo piccola, non poterono farsi padroni del secondo ricinto se non dopo il quarto giorno.

 

19. Tito prima di dar l'assalto al terzo muro fece metter tutto l'esercito in ordine di battaglia, acciocché a tal vista gli ebrei si rimettessero a dovere: e persistendo i medesimi con ostinazione, mandò Giuseppe a far loro sapere che sarebbe stato loro concesso il perdono, se volevano quietarsi; onde molti del popolo vennero a rendersi, ma i sediziosi impedirono agli altri l'uscita ed uccidevano tutti coloro che volevano andare ai romani, e frattanto rubavano la gente a lor piacere. I poveri, non potendo rifuggirsi tra' romani, né potendo soffrir la fame, andavano alla campagna a procurarsi qualche erba o radice per alimentarsi. Tito fece prendere una gran quantità di quei miserabili e li fece crocifiggere a vista della città per intimorire gli altri. Scrivesi che furono tanti allora i crocifissi che appena poterono aversi tanti legni che bisognarono per far tante croci, ed appena poté ritrovarsi luogo bastante per piantarle.

 

20. I romani alzaron le macchine sovra i terrapieni, ma gli ebrei vi posero fuoco e le distrussero. Allora Tito determinò di circondar la città con un muro da per tutto, acciocché nulla potesse più entrarvi e niuno più uscirne. A questo muro si affaticò tutto l'esercito con tanto calore che fra tre giorni il muro fu terminato, quantunque il suo circuito fosse stato di 4875 passi, che fanno il numero quasi di due leghe. Ed allora si verificò la predizione di Gesù Cristo: Et circumdabunt te inimici tui vallo... et coangustabunt te undique1. Allora crebbero insieme immensamente le miserie di quella città infelice: le case eran piene di cadaveri, anche i giovani più robusti andavano cadendo perla debolezza; e frattanto gli scellerati entravano nelle case, spogliavano i morti ed uccidevano i moribondi, gettando poi dalle mura i cadaveri nelle valli del recinto.

 

21. Tito n'ebbe orrore, ma gettando un sospiro si protestò con Dio di non esser egli la cagione di tanti mali. I ricchi davano tutte le loro robe per una misura di frumento. Gli uni toglievano il pane agli altri, le stesse madri strappavano il


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cibo dalle mani de' figli. Vi fu fra le altre una madre che teneva un figliuolo di latte. I faziosi le tolsero quanto avea: ella, stretta alla fine dalla fame, disperata si strappò con rabbia il bambino dalle poppe, e gli disse: Sventurato bambino! giacché ambedue dobbiamo morir di fame, perché ho io da conservarti in vita? Forse per farti preda di questi barbari? Non è meglio ch'io ti uccida per conservarmi la vita e per atterrire i posteri con quest'azione che farà orrore a tutti che l'udiranno? E ciò detto, uccide il figlio, lo cuoce, ne mangia una parte e ne serba il resto. I ladri sentendo l'odore della carne cotta, la costrinsero a palesare quel che n'era rimasto; ella lor fece vedere gli avanzi del corpo di suo figlio e disse: Questo che vedete è il mio figliuolo, da me stessa svenato per la fame; io già ne ho mangiato, potete voi ancora mangiarne se volete. Quegli inorriditi la lasciarono cogli avanzi del bambino. Di questo fatto orrendo avendone poi avuta notizia Tito, di nuovo si protestò ch'egli avea più volte offerto il perdono agli ebrei, ma che essi l'aveano disprezzato, e ch'egli medesimo avrebbe finalmente atterrata quell'infame città per nascondere al mondo un paese ove le madri uccidevano i figli per cibarsi delle loro carni.

 

22. Avendo già poi Tito chiusa la città con quel muro, per potere almeno salvare una parte di quel popolo infelice, che dentro la città vedea tutto perire, si affrettava ad impadronirsene. Molti ebrei allora fuggirono e si diedero in mano dei romani; ma uscita la voce che quelli erano pieni d'oro, avendo trangugiate le monete (come si era sparso) affinché non fossero loro tolte, i soldati in una sola notte ne uccisero duemila per ritrovar quelle monete nelle loro viscere. Tito ne ebbe orrore e lo vietò con grave pena; e frattanto la città per la fame e per gli omicidj che continuavano si riempiva di cadaveri.

 

23. Di poi i romani presero la torre Antonia, di cui Tito fece abbattere una parte per attaccare di il tempio; ed in fatti l'attaccò, e la battaglia cogli ebrei che stavano nel tempio durò otto ore. Dopo quel conflitto i romani bruciarono una loggia che chiudeva la parte esteriore del tempio, e così restaron padroni del cortile del popolo nella parte occidentale e settentrionale; onde agli ebrei non restò altro che il cortile de' sacerdoti col vestibolo e il santuario e colle loggie che 'l circondavano. Desiderava Tito di conservare il tempio intieramente; ma vedendo che ciò non poteva ottenerlo senza la morte di molti romani, fece metter fuoco alle porte, ma proibì a' suoi soldati di metter fuoco ad un edificio così magnifico. Non però nel giorno 10 di agosto, avendo gli ebrei fatta una sortita, i romani li respinsero sino al ricinto interiore del tempio; ed allora un soldato romano da sé prese un pezzo di legno ardente e lo gittò per una finestra nelle fabbriche, le quali stavano immediatamente dintorno al tempio collocate in tre ordini l'uno sovra l'altro. Il fuoco subito vi si accese. Gli ebrei accorsero per ismorzarlo; Tito ancora accorse, acciocché il fuoco non prendesse piede, ma, per quanto disse e gridò in quella confusione, nulla ottenne. Nello stesso tempo i romani trucidarono una grande quantità di ebrei, in modo che il cortile de' sacerdoti era pieno di cadaveri. Tito, vedendo che non vi era più riparo all'incendio, se n'uscì dal santuario dove era entrato. Alcuni sacerdoti si avventarono contro i romani, ma poi si ritirarono e cercarono di salvarsi sopra il muro del portico, perché il fuoco loro si avvicinava. Vi persisterono per qualche tempo, ma avvicinatosi il fuoco, due di loro si buttarono nelle fiamme, e gli altri si rendettero a Tito; il quale non volle averne compassione, dicendo che dopo la ruina del tempio era passato il tempo della misericordia, e li fece uccidere.

 

24. Seimila persone del popolo eransi ritirate sopra una loggia del tempio che era rimasta intiera, ma i soldati spinti dal furore, senza ordine di Tito, posero fuoco a quella loggia, e tutta quella gente perì. In somma allora si vide patente la vendetta di Dio sopra gli ebrei per l'eccesso commesso di aver fatto morire con tanta ingratitudine il suo divin Figliuolo. I romani, dopo aver bruciato il tempio, posero anche fuoco alle camere della tesoriera, dov'erano riposti tutti gli ori, argenti e vesti preziose del popolo, e tutto restò consumato dalle fiamme. Anche oggidì gli ebrei piangono la ruina di questo ultimo loro tempio, avvenuta nel giorno 9 o 10 del mese di agosto; ed in questo giorno osservano uno stretto digiuno senza provar cosa alcuna, e stanno coi piedi scalzi dalla sera della vigilia di quel giorno sino alla sera seguente. Tutto ciò o quasi tutto fu descritto da Giuseppe ebreo nel suo libro De bello iud. lib. 6 et lib. 20.

 

25. Bruciato che fu il tempio, i romani piantarono nello stesso tempio le loro insegne dirimpetto alla porta interiore dello stesso tempio, offerendo nel medesimo


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tempo sacrificj ai loro dei; ed allora si avverò quel che predisse il profeta Daniele: Et erit in templo abominatio desolationis. 9. 27. Nello stesso tempo allora i soldati romani acclamarono Tito per imperatore, e Tito di nuovo si protestò che in quell'assedio egli non avea fatto altro ch'eseguire la vendetta dell'onnipotente contro gli ebrei, ed abbandonò quel ch'egli tenea della città alla discrezione de' soldati; e così restò tutto consumato dalla fame, dal ferro e dal fuoco. I sediziosi, dopo aver uccisi per compimento dell'eccidio 8400 persone del popolo che nella città eransi rifuggite, si fortificarono nel palazzo reale.

 

26. I romani circondarono la città; e gli ebrei avendo difese per qualche tempo le mura rimaste, finalmente le abbandonarono: onde Tito agli 8 di settembre entrò glorioso in Gerusalemme. Tito ordinò a' soldati di non dar morte ad alcun altro ebreo; ma quelli, non ostante il comando di Tito, fecero prigioni i più giovani ed uccisero tutti gli altri, sì che in quell'ultima strage morirono undici mila persone. Nei giorni seguenti i romani si occuparono in bruciare il resto della città e nell'abbattere le mura rimaste. In questo assedio si numerarono morti un milione e 197 mila fatti prigioni. Gius. ebr.1. Ma Giusto Lipsio2, numerando i morti fatti uccidere da' governatori della Giudea, giunge a numerarne un milione e 337 mila, oltre i 40 mila morti in Iosafat, ed oltre gli ebrei venuti in Gerusalemme dalle altre parti della Giudea, che narra Giuseppe periti di fame e di miserie.

 

27. Tito finalmente fece demolire il tempio sin dalle fondamenta, secondo fu già predetto da Gesù Cristo3. E lo stesso ordinò per il rimanente della città, non riserbando altro che tre torri per dimostrare a' posteri la gran fortezza di quella piazza, che Dio voleva affatto diroccata, e tutto fece spianare, in modo che di poi appena appariva segno di città in quel luogo: ed asserisce Scaligero4 esser tradizione degli ebrei che sopra il sito del tempio fu passato solennemente l'aratro, acciocché ivi non vi fosse alzato più alcuno edificio, essendo vietato dalle leggi romane il fare alcuna fabbrica benché minima sovra i luoghi dov'era passato l'aratro.

 

28. Tito si portò poi ad Alessandria e di a Roma, ove dopo qualche giorno insieme con Vespasiano suo padre entrò in trionfo. Ed in quel giorno si videro portate le spoglie più ricche degli ebrei, insieme colla mensa d'oro e col candelliere di sette rami, col libro della legge; il quale fu conservato da' romani colle porpore che adornavano il santuario e cogli altri ornamenti del tempio, riposti nel tempio della pace fatto fabbricare da Vespasiano in Roma, dove in alcuni archi trionfali anche oggidì si vede rappresentato questo trionfo insieme col candelliere e gli altri ornamenti.

 




1 De bello iud. l. 6. c. 31.



2 Ib. l. 7. c. 12.



3 L. 5. c. 13.



4 In Io. hom. 64.



5 2. Petr. 1. 14.



6 In Io. 1. 21.



7 Serm. 68.



8 L. 2. p. 50.



9 Ist. dell'ant. e nuovo test. all'a. 65. dell'era volg.



10 L. 2. adv. Eunom.



11 In Eph.



12 L. 3. c. 1.

1 Calmet. istor. t. 2.



2 Matth. 24. 2.

1 Luc. 19. 43.

1 Bello Iud. l. 6. c. 43.



2 L. 2. de const. c. 21.



3 Matth. 24. 2.



4 Isgog. l. 3. part. 3.




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