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S. Alfonso Maria de Liguori
Condotta ammirabile della Divina Provv.

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CAP. IV. Morte infelice de' persecutori della chiesa.

SOMMARIO

1. Morte dell'imperatore Nerone. 2. Morte dell'imperatore Giuliano l'apostata. 3. Morte di Diocleziano imperatore, che uccise la maggior de' martiri di Gesù Cristo. 4. Morte di Massimiano Erculeo. 5. Morte dell'imperatore Massimino. 6. Morte dell'imperatore Valente Ariano. 7. Morte di Anastasio imperatore. 8. Morte di Ario eresiarca. 9. Morte di Nestorio. 10. Morte di Cerinto. 11. Morte di Montano. 12. Morte di Manete, capo de' Manichei. 13. Morte di Wicleffo, capo degli eretici moderni. 14. Morte di Giovanni Leide, uno de' capi degli Anabattisti, che morì penitente. 15. Morte di Giovanni Hus, che morì bruciato vivo. 16. Morte di Lutero. 17. Morte di Ecolampadio, compagno di Zuinglio. 18. Morte di Calvino, che morì invocando i demonj, e maledicendo i suoi studi e i suoi scritti.

 

1. A far maggiormente risplendere la verità della nostra chiesa cattolica, molto conduce il vedere le morti spaventose colle quali Iddio ha castigati i tuoi persecutori. Di Nerone, che fu il primo persecutore de' cristiani, si legge che l'infelice principe dopo tante ingiurie e crudeltà usate coi sudditi e specialmente coi fedeli (siccome si è narrato nel cap. II., n. 2), alzandosi una notte, si trovò abbandonato dalle sue guardie. Perloché egli vedendo già imminente la sua ruina, uscì di palazzo ed andò a bussar le porte di diverse case, ma niuno volle aprirgli; onde egli con quattro suoi liberti si pose a correre per ritrovar qualche rifugio. Quei liberti per salvarlo non trovarono altro rifugio che una cava di arena: dove lo chiusero. Ma fra questo tempo il senato dichiarò Galba imperatore e Nerone nemico dell'impero, condannandolo a morire strascinato e flagellato, sino a rendere lo spirito. Nerone, fatto consapevole di questo decreto, per disperazione con un pugnale si ferì mortalmente la gola. Venne allora un centurione, facendo mostra di volerlo soccorrere in quel pericolo, ma egli rispose: «È troppo tardi:» e così dicendo miseramente spirò1. Questa fu la fine di Nerone. Passiamo agli altri principi persecutori.

 

2. L'imperator Giuliano, chiamato l'apostata, imprese ad abolire la chiesa di Gesù Cristo, essendosi dichiarato suo nemico e cultore degli dei. Ma presto il misero nell'anno 363 di Gesù Cristo, dopo due anni in circa di regno, andando alla guerra coi persiani e stando nel calore della pugna, vide alcuni persiani che fuggivano, ond'egli per animare i suoi ad inseguirli gridando alzò le braccia in alto, ed allora, come narra il Fleury2


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un cavaliere persiano gli lanciò una saetta, che gli passò una costa e gli entrò sino al fegato. Egli si sforzò di cavarla fuori, in modo che si tagliò le dita: ma venendogli meno le forze, cadde sul medesimo cavallo. Onde da' suoi fu condotto in un tugurio, dove prese alcuni ristorativi e gli parve che ne restasse sollevato. Allora chiese l'armi e 'l cavallo per rientrar nella pugna; ma perdendo di poi affatto il vigore, venne a spirare nella stessa notte. Narrano Teodoreto e Sozomeno che, quando Giuliano si vide ferito, empié una mano del suo sangue e, lanciandolo in alto, disse con furia contro di Gesù Cristo: «O Galileo, hai vinto.» Il cardinal Orsi1 aggiunge che, secondo la cronaca alessandrina e secondo portasi essere stato prima rivelato a s. Basilio in una celeste visione, si vuole che quel cavaliere fosse stato il martire s. Mercurio, morto nella Cappadocia nella persecuzione di Decio.

 

3. Venne poi Diocleziano, che fu quell'imperatore il quale portò il vanto di aver dato a Dio colla sua crudeltà il maggior numero dei martiri che han consacrata la vita per la fede di Gesù Cristo. Egli, dopo di aver tenuto l'impero per 20 anni, fu contro sua voglia forzato a rinunziar l'impero da Galerio suo genero; il quale vedendolo ripugnare alla rinunzia, gli disse arditamente (avendo egli in mano il comando dell'esercito) che se non voleva farla di buona voglia, glie l'avrebbe fatta fare a forza. Onde Diocleziano rinunziò: e dopo aver rinunziato l'impero, trovandosi allora in età decrepita e disprezzato da tutti, gli venne in odio il vivere in tal modo che per la rabbia giungeva a buttarsi e rivoltarsi per terra come un serpe, ed oppresso dalla mestizia determinò di darsi la morte. Perciò, non trovando pace né di giorno né di notte, affinché presto gli arrivasse la morte, cominciò a privarsi del sonno e del cibo, e finalmente così terminò fra tante miserie l'amara sua vita.

 

4. Massimiano Erculeo, siccome gli fu compagno nell'impero e nella crudeltà contro i cristiani, così l'accompagnò nell'infelice morte ch'esso stesso si procurò. Questo uomo fu così crudele che, mentre stava a mensa, faceasi venire un'orsa, e per divertimento le dava a divorare un uomo alla sua presenza. Massimiano avea lasciato l'impero a forza e solo per non contraddire a Diocleziano; e pertanto cercava sempre di poterlo ripigliare. Egli aveva data la figlia per moglie a Costantino il grande; ma perché non potea soffrire di vederlo imperatore, propose di ucciderlo, e fidandosi della figliuola, procurò che una notte lo facesse entrare nella camera, ove Costantino dormiva, per poterlo ivi a mano salva privare di vita. Ma la figliuola, perché amava più il marito che il padre, lo fece entrare una notte in una stanza del palazzo; facendogli credere che vi giacesse Costantino, ma ivi eravi un altro uomo a dormire, che in quella notte restò ucciso. Mentre poi Massimiano uscì festoso da quella camera, credendo di aver ucciso l'imperatore, trovò nella camera seguente lo stesso Costantino, il quale, essendo consapevole che egli più d'una volta aveagli tramata la morte, oltre di quell'ultima insidia troppo temerariamente eseguita, risolutamente allora gli disse che si eleggesse la morte con cui voleva finire la vita. Massimiano si elesse di morire strangolato; e così il barbaro disgraziatamente finì la sua infame vita.

 

5. Non fu loro inferiore nella crudeltà l'imperatore Massimino, le barbarie del quale usate coi cristiani furono incredibili. Egli combattendo con Licinio perdé la battaglia e se ne fuggì a Tarso; dove vedendo inevitabile la sua morte, perché Licinio l'avea da per tutto assediato, disperato prima un giorno si riempì di cibo e di vino a modo di bestia, pensando essere quella l'ultima volta che gli toccava a mangiare ed a bere, e di poi si prese il veleno: ma perché il veleno trovò pieno lo stomaco non subito l'uccise ma lo ridusse in uno stato così infelice che sentivasi ardere le viscere con tal crucio che entrato in furia, per quattro giorni a cagion della sua smania non volle prendere più cibo; ma perché sentivasi venir meno per la fame, pigliava colle mani la terra e la inghiottiva. Vedeasi in somma sopra di lui giunta la divina vendetta, per cui cominciava sin da questa vita a provare le pene dell'inferno, mentre pel tormento e per la disperazione che pativa andava sbattendo la testa per le mura in modo che gli saltarono gli occhi dalle loro cavità. Degno castigo per aver egli cavati gli occhi a molti innocenti confessori di Cristo. Allora non però cominciò a conoscere il conto che Dio da lui cercava della guerra fatta contro la religione con tanta crudeltà. Ma frattanto seguivano le sue carni a liquefarsi pel fuoco che gli ardeva nelle viscere: per lo che gli era rimasta la sola pelle e l'ossa, sì che non si raffigurava; pareva un corpo putrefatto, come un sepolcro di un'anima ritenutavi solo per penare. Il misero or gridava sentirsi


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bruciar vivo, ora chiamava la morte che venisse presto, e fra queste orribili agitazioni esalò lo spirito (V. Eus.1. e Baron.2), secondo la minaccia di Zaccaria agli empj: «Et haec erit plaga qua percutiet Dominus omnes gentes quae pugnaverunt adversus Ierusalem: tabescet caro uniuscuiusque stantis super pedes suos, et oculi eius contabescent in foraminibus suis, et lingua eorum contabescet in ore suo. 14., 12.

 

6. Valente imperatore non fu idolatra ma eretico ed un persecutore della chiesa molto crudele. Egli fu ariano e fece giuramento di sempre perseguitare i cattolici. I poveri cattolici, non potendo più soffrire le impertinenze degli ariani, deputarono ottanta ecclesiastici a Valente, pregandolo acciocché ponesse freno alle violenze de' loro nemici. Ma l'empio principe si adirò contro gli ambasciatori e comandò al prefetto del pretorio segretamente che li facesse morire. II prefetto li fece entrare in una barca con ordine ai marinari, che quando fossero in mezzo mare mettessero fuoco alla barca, e così li facessero perire (tutto si presume ordinato dallo stesso Valente); e così fu barbaramente eseguito. Poche furono le città che non provarono la tirannia di Valente. Giunto egli ad Antiochia, molti cattolici fece tormentare e molti morire affogati nell'acqua, ed infiniti poi furono gli esiliati. Diede fuori un editto che tutti i monaci prendessero l'armi, e deputò un falso vescovo di Alessandria chiamato Lucio ad eseguire il suo ordine. Questi andò alla testa di tremila soldati ai deserti della Nitria, ed ivi di quei poveri solitarj molti ne uccise, e molti ne rilegò in un'isola paludosa di Egitto. Ma nell'anno 378 arrivò la divina vendetta contro Valente: poiché, mentre i goti venivano ad assalirlo in Costantinopoli, egli s'incontrò con un santo monaco chiamato Isacco, il quale gli disse: «Dove vai, imperatore? Tu fai la guerra a Dio; e Dio combatterà contro di te; perderai la battaglia e più non torneraiValente adirato rispose: «lo tornerò e ti farò pagar la pena della tua audacia colla morte.» E lo fece chiudere in carcere. Ma ben si avverò la profezia del romito. Valente restò vinto, si pose a fuggire, ma per la via fu ferito da una freccia che lo fece cader da cavallo; onde fu portato da' suoi in una casuccia di un villano. Ivi fu chiuso, ma poco appresso vi giunse una truppa di nemici; i quali non potendo aprir la porta di quel tugurio, senza saper chi vi fosse dentro, vi posero fuoco; e così l'infelice imperatore morì bruciato, essendo nell'anno cinquanta di sua età. V. Orsi3 e Fleury4.

 

7. Niente men persecutore dei cattolici fu Anastasio imperatore, il quale resse l'impero per 27 anni. Egli fu prima uomo privato: ma essendo stato poi sollevato all'impero, Eufemio patriarca di Costantinopoli grande zelator della fede, si oppose alla sua esaltazione, avendo molti argomenti del suo mal animo contro la fede; e pertanto non vi consentì, se non dopo che Anastasio si obbligò con giuramento a seguire il concilio di Calcedonia. Ma Anastasio niente osservò la promessa, anzi seguitò a perseguitare i cattolici peggio di prima. Ma ben anche per lui giunse la vendetta avvisata già prodigiosamente a s. Elia patriarca di Gerusalemme. Trovavasi questo santo patriarca nell'anno 518 in età di 90 anni con s. Sabba monaco in un luogo fuori di Gerusalemme. Arrivata l'ora di desinare, s. Elia non volle prender cibo, ed allora confidò a s. Sabba che in quel punto Anastasio era morto. La sua morte accadde in questo modo: in quella notte avvenne una grande tempesta d'intorno al palazzo imperiale; onde l'imperatore spaventato dagli spessi tuoni e fulmini che a furia cadevano dal cielo, ma più atterrito da' rimorsi della sua iniquità e dei maltrattamenti fatti a' cattolici, vedendosi già sopra di lui venuta la vendetta divina, andava fuggendo per la casa da un luogo in un altro: ed essendo entrato poi in uno de' suoi gabinetti, non si vedeva di più uscire; onde vi entrarono i suoi cortigiani e lo trovarono morto. Altri dicono che morì di spavento, altri che morì colpito realmente da un fulmine. In somma morì come meritava5.

 

8. Passiamo ora dai principi persecutori dei fedeli agli eresiarchi, i quali forse con maggior danno han perseguitata la chiesa. I principi la perseguitarono colla forza e colle crudeltà; gli eresiarchi l'hanno perseguitata cogl'inganni e colla falsa dottrina. Parliamo prima di Ario. Quest'empio fu Africano, ma passò poi in Alessandria, dove prima seguì il partito di Melezio, che avea suscitato un grande scisma nella chiesa. Ario lasciò poi quel partito e fu fatto sacerdote in Alessandria ed anche curato d'una parrocchia. Morto che fu Achilla patriarca di Alessandria, Ario entrò nell'ambizione di succedergli in quella sede; ma essendogli stato preferito s. Alessandro,


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egli cominciò per invidia a censurar la condotta e poi anche la dottrina di s. Alessandro, dicendo ch'esso insegnava falsamente che il Verbo era Figliuolo di Dio, eguale al Padre, che era stato generato ab aeterno e che fosse di una stessa natura e sostanza del Padre. Bestemmiava Ario e dicea che il Verbo era stato creato da Dio, come siamo creati noi, ma che poi, avendo egli fatta una vita molto santa, Iddio l'avea fatto partecipe della divina natura ed ornato anche del titolo di Verbo e di suo Figliuolo. S. Alessandro procurò più volte di ammonirlo di quei pessimi errori; ma vedendo che riuscivano inutili tutte le correzioni, convocò un sinodo, ove Ario fu da tutti condannato e scomunicato, ed indi fu costretto ad uscir da Alessandria. Ario allora si ritirò nella Palestina, dove co' suoi inganni si conciliò il favore di più vescovi di quelle parti. Ma frattanto in oriente si accese un gran fuoco per cagione di questi errori sparsi da Ario1. Perloché l'imperator Costantino, vedendo che la discordia sempre più cresceva, deliberò congregare un concilio di vescovi nella città di Nicea, ed in fatti si unirono ivi 318 vescovi, i quali condannarono l'empia dottrina di Ario, dichiarando che Gesù Cristo è vero ed eterno Figlio di Dio e consostanziale al Padre. Dopo ciò Costantino rilegò Ario che contradicea, nell'Illirico; ma ciò non ostante gli ariani fecero credere a Costantino che Ario seguiva la dottrina del concilio niceno: onde Costantino solamente l'obbligò a non appartarsi dalla fede insegnata dal concilio. Ario giurò, ma fintamente, e pertanto fu concluso di farlo ricevere nella comunione de' fedeli: ed a questo effetto un giorno, mentr'egli era condotto da' suoi ariani per esser ricevuto pubblicamente nella chiesa, giunto Ario alla piazza di Costantinopoli tutto trionfante e corteggiato da' suoi discepoli, fu colpito dalla divina vendetta; poiché sorpreso da un grande spavento, se gli sconvolsero le viscere; e costretto a sgravarsi il ventre, domandò se ivi fosse alcun luogo per tali necessità. Gliene fu additato uno dietro la stessa piazza, ove egli portatosi e nascostosi dentro, lasciò un suo domestico alla porta; indi subito che si pose a sedere crepò il misero per mezzo, come un altro Giuda, e mandò fuori insieme cogli escrementi gl'intestini, la milza ed il fegato con un grande profluvio di sangue, e dietro a quello l'anima sua maledetta. Tardando poi ad uscire, dopo molto tempo accorsero i suoi, ed aperta la porta lo trovarono morto e steso a terra in quel miserabile stato; e questa fu la fine del trionfo di Ario2.

 

9. Ad Ario seguì Nestorio, che non fu disugual persecutore della chiesa con un'altra empia dottrina. Nestorio nell'anno 427 o 428 fu fatto patriarca di Costantinopoli. Egli a principio dimostrò molto zelo contro gli eretici e specialmente contro gli ariani. Avea condotto seco un sacerdote da Antiochia nomato Anastasio, il quale un giorno avendo detto per di lui insinuazione in un sermone che la vergine Maria non potea chiamarsi madre di Dio ma solo madre di Cristo, il popolo scandalizzato di questa proposizione ricorse a Nestorio, acciocché punisse l'audacia del suo prete. Ma Nestorio nel giorno seguente fece tutto l'opposto, poiché salendo in pulpito si pose a difendere quel che avea detto Anastasio, e disse apertamente che Cristo non era Dio, e per conseguenza che Maria non era madre di Dio. Ed in un altro giorno giunse a dire dal pergamo: «Chi ardisce chiamar la Vergine madre di Dio sia scomunicato.» Egli negava l'unione ipostatica del Verbo divino colla natura umana in Gesù Cristo e diceva che il Verbo a Gesù Cristo stava unito come sta unito cogli altri santi per mezzo della grazia; benché in un modo più eccellente. Diceva poi che il Verbo abita nell'umanità di Cristo come in un tempio; e perciò concludeva che questa umanità doveva onorarsi come si onora la porpora che porta il re o sia il trono dove siede, ma sempre negava che il Figliuolo di Dio siasi fatto uomo e sia morto per la salute degli uomini. Alcuni monaci archimandriti, perché non vollero consentire al suo errore, vennero da lui fatti chiudere in carcere ed ivi legare ad un palo, dove prima loro fece lacerare le spalle e poi battere sul ventre. Finalmente dopo molti dibattimenti, nel concilio di Calcedonia di 188 vescovi, fu la dottrina di Nestorio condannata ed egli fu scomunicato e privato del patriarcato. Ed allora fu dichiarato che l'unione del Verbo coll'umanità di Cristo non era semplice unione morale, ma unione ipostatica; poiché in Gesù Cristo la sola persona del Verbo termina o sia sostiene ambe le due nature, la divina e l'umana, le quali nella stessa persona del Verbo ambedue sussistono; e perciò in Gesù Cristo non sono due persone ma una persona che insieme è vero Dio e vero uomo. In quel giorno


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che si fece la decisione, le genti stettero dalla mattina sino alla sera a notte aspettando la sentenza; e sentendo la sentenza del concilio per cui la santa Vergine fu dichiarata vera madre di Dio, non faceano altro che lodare Dio e giubilare per gaudio, ed uscendo i vescovi dalla chiesa li accompagnarono con torce accese sino alle proprie case, andando le donne innanzi con turiboli di profumi per le strade, che in quella notte erano tutte illuminate per la comune allegrezza. La fine poi di Nestorio fu che l'imperator Teodosio lo mandò rilegato in diverse parti, finché il medesimo finì miserabilmente la vita. Altri vogliono ch'egli da se stesso si fracassasse la testa per disperazione; ma altri dicono che morì di un canchero che gli rose la lingua, e quella poi gli fu mangiata dai vermi prodotti dallo stesso morbo: degna pena di quella infame lingua che avea proferite tante bestemmie contro Gesù Cristo e contro la sua divina madre1.

 

10. Aggiungiamo a questi primi due eresiarchi altri loro simili campioni d'iniquità che parimente terminarono la vita con orrenda morte. Narra s. Ireneo di Cerinto che egli si portò in Efeso per disputare con s. Giovanni o, come altri vogliono, per inquietare que' fedeli di fresco convertiti; ma ivi presto fu punito da Dio, poiché essendo il medesimo entrato nella casa de' bagni, s. Giovanni disse a' suoi compagni: Festinate, fratres, egrediamur hinc, ne cadat balneum. E cadendo allora con un terribile tremuoto la casa, sotto di quella trovossi Cerinto prima seppellito che morto2.

 

11. Montano, dopo avere per molto tempo infestata la chiesa e pervertite più persone, insieme colle sue due profetesse, si appiccò ad una trave e col laccio al collo finì miseramente la vita3.

 

12. Manete capo de' manichei anche incontrò una disgraziata morte; e l'occasione fu questa. Stava infermo a morte il figlio di Sapore re di Persia disperato da' medici. Il padre n'era inconsolabile: Manete si offerì temerariamente a guarirlo, purché si avesse fede alla falsa dottrina ch'ei predicava. Fu dato già l'infermo in mano di lui, ma avvenne che quel povero giovine se ne morì nello stesso giorno in cui egli ne prese la cura. Il re se ne adirò in modo che ordinò subito che Manete fosse fatto morire. Ma egli, essendo stato posto in carcere, uccise i custodi e fuggì in Mesopotamia; dove essendosi trattenuto per molto tempo e lusingandosi che fosse cessata l'ira del re contro di lui dopo tanto tempo, ritornò in Persia: ma Sapore sapendo la di lui venuta, di nuovo lo fece prendere e lo fece scorticare vivo con canne taglienti; ed avendone poi fatta gonfiar la pelle a modo di otre, morto che fu Manete, lo fece esporre in pubblico in pena della sua presunzione. S. Epifanio, che scrisse questo fatto cento anni dopo, attesta averne veduta la pelle gonfia che si vide appesa per lungo tempo.

 

13. Vediamo ora la fine infelice di alcuni eresiarchi più vicini a' nostri tempi. Il gonfaloniere di cotesti eroi d'inferno è stato Giovanni Wiclefo inglese, il quale essendo restato deluso per non avere avuto il vescovado di Wigorne o Winton, vacato in Inghilterra, s'imperversò in molti errori ch'egli già prima era andato spargendo; ma nell'anno 1385 essendosi egli nella festa di s. Tomaso di Cantuaria preparato a fare un sermone non in lode ma in disprezzo del santo, il Signore presto lo castigò; poiché dopo due giorni fu il misero assalito da una orrenda paralisia che lo deformò, storcendogli quella maledetta bocca colla quale avea proferite tante bestemmie, e da quel punto non poté più parlare, e così morì da disperato, come scrive il Walsingamo4.

 

14. Giovanni Leide fu uno de' capi degli eretici anabattisti, il quale dalla città di Munster discacciò il vescovo ed ivi, ingannando i suoi seguaci, si fece da essi incoronare da re, dicendo che tale era stato eletto da Dio. Egli approvava la poligamia e niente credeva al mistero dell'eucaristia. Elesse venti suoi discepoli per mandarli a predicare i suoi errori; ma questi quasi tutti furono presi poi con esso e condannati a morte. Ma Dio in lui volle far pompa della sua misericordia; poiché Giovanni Leide in morte dimostrò un vero pentimento delle sue colpe ed una pazienza ammirabile nell'acerba morte ch'ebbe a soffrire: fu tre volte da due carnefici tanagliato per due ore continue, ed egli altro allora non facea che chiamarsene degno per li suoi peccati ed implorare la divina pietà; ma i suoi seguaci vollero morire ostinati5.

 

15. Giovanni Hus fu professore nell'università di Praga per parte de' boemi: ebbe la disgrazia di leggere i libri di Wiclefo e d'imbeversi de' di lui errori, de' quali poi fece un compendio e si pose ad insegnarli. Onde fu chiamato nel concilio di Costanza a renderne conto. Egli vi


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andò con un salvocondotto dell'imperator Sigismondo. Giunto a Costanza, l'arcivescovo gli proibì di dir messa: da ciò spaventato Giovanni pensò di fuggire, ed a tale effetto si vestì da villano e si pose sovra di un carro sotto del fieno di cui stava pieno il carro; ma un uomo che stava inteso della faccenda lo scoprì e lo fece carcerare dalla corte. Fu allora portato alla carcere, dove egli presentò il salvocondotto: ma l'infelice non si era avvertito della clausola del salvocondotto, che quello non gli si accordava circa gli errori contro la fede, onde non gli giovava; e perciò fu dal concilio esortato a ritrattarsi. Ma egli rispose che ciò non potea farlo in coscienza. Perloché fu portato alla piazza, dove fu bruciato vivo. Cominciando ad ardere fu inteso dire l'ipocrita: Iesu Christe fili Dei vivi, miserere mei; parole postegli in bocca dal demonio, che anche vanta i suoi martiri1.

 

16. La morte di Lutero fu corrispondente alla sua vita intemperante e scostumata. Egli prima fu religioso professo agostiniano, ma di poi buttò il cappuccio e sposò una monaca, ch'era anche badessa; e finalmente nell'anno 1546 avendo cenato lautamente una sera secondo il suo solito, nella seconda o terza ora della notte fu assalito da mortali dolori e così morì qual visse tra banchetti ed iniquità. Il suo cadavere fu portato a Vittemberga, come sovra d'un carro di trionfo, accompagnato dalla badessa sua concubina e da tre suoi figli sacrileghi2.

 

17. Ecolampadio, che prima fu monaco dell'ordine di s. Brigida e poi fu discepolo e quasi compagno di Zuinglio, morì in età di anni 49, un mese dopo la morte di Zuinglio. Scrive il Varillas3, che più storici pubblicarono aver Ecolampadio procurato più volte di uccidersi, e che finalmente così morì avvelenato da se stesso. Aggiunge il cardinale Gotti4, che secondo altri questo misero apostata, stando vicino a morte, esclamò: «Oimè! presto sarò all'inferno

 

18. Calvino fu egli un grande amico di Lucifero e gli acquistò una gran moltitudine di anime per l'inferno. Esso morì in Ginevra nell'anno 1564 in età di 54 anni. Teodoro Beza dice che Calvino fece una morte placidissima; ma Girolamo Bolseco scrittore della vita di lui con altri presso Natale Alessandro5, ed il cardinale Gotti6, scrivono che egli morì invocando i demonj, detestando e maledicendo la sua vita e insieme i suoi studj ed i suoi scritti: Daemones invocantem, deierantem, exsecrantem, vitae suae diras imprecantem, ac suis studiis scriptisque maledicentem, denique ex suis ulceribus intolerabilem faetorem emittentem, in locum suum descendisse. E così pieno di meriti per l'inferno comparve in quel giorno dinanzi a Gesù Cristo giudice a rendergli conto di tante migliaia d'anime da lui pervertite e perdute.

 




1 Calmet. stor. dell'ant. e nuovo test. t. 2.



2 Ist. t. 2. l. 14. n. 34.

1 Istor. t. 3. l. 7. n. 42.

1 L. 9. eccl. hist. c. 10.



2 Annal. t. 3. an. 314.



3 L. 16. n. 34.



4 T. 3. l. 16.



5 Orsi t. 16. l. 63. n. 67.

1 Nat. Alex. t. 8. c. 3. a. 3. Fleury lib. 10. Orsi l. 12. n. 2.



2 Nat. Alex. t. 8. c. 3. Fleury lib. 10. n. 28. Orsi l. 12. n. 2.

1 Danes. temp. not. p. 247.



2 L. 3. c. 5.

3 S. Apollin. ap. Euseb. l. 5. c. 15.



4 Ap. Bern. t. 3. c. 9. Van- Raust hist. haer. p. 241.



5 Nat. Alex. t. 19. a. 12. n. 2. Hermant. Istor. cap. 241.

1 Varillas. ist. t. 1. l. 1. p. 48. Van-Ranst p. 279.



2 Varillas t. 2. l. 14.



3 L. 8. p. 356.



4 Vera eccl. c. 109. §. 2. n. 17.



5 T. 19. a. 13. §. 1. n. 16.



6 C. 111. a. 9.




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