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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Confessore diretto…campagna

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PUNTO II. Della carità verso il prossimo.

 

7. L'ordine della carità importa, che dobbiamo amare Dio sovra ogni cosa e 'l prossimo come noi stessi. Si dice come noi stessi, onde non siam tenuti a preferire il bene del prossimo al bene nostro, se non quando quello del prossimo è di ordine maggiore, siccome la vita spirituale è d'ordine maggiore della temporale, la vita della fama, e la fama delle robe; onde dobbiamo preferire la salute spirituale altrui alla nostra vita temporale, la vita temporale del prossimo alla nostra fama, e la fama, ossia onore del prossimo, alle nostre robe. Ma ciò si dee intendere quando il prossimo sta in estrema necessità, perché allora solamente siam tenuti noi di cedere a' nostri beni di ordine minore. Solamente i vescovi e parrochi son tenuti ad esporre la vita per li sudditi che stanno in grave necessità spirituale. Ma in tempo di peste ogni sacerdote, mancando gli altri, dicono i dd. ch'è tenuto di assistere agl'infermi. Ciò in quanto all'ordine de' beni; ma parlando dell'ordine delle persone, nella necessità estrema della vita i genitori debbon preferirsi a tutti; ma nella necessità grave de' beni dee preferirsi


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prima il coniuge, poi i figli, poi i genitori (e 'l padre alla madre), e poi i fratelli, e sorelle, poi gli altri congiunti, e per ultimo i domestici1.

 

§. I. Dell'amore a' nemici.

 

8. Dobbiamo amare i nemici internamente ed esternamente, con dimostrar loro i segni almeno comuni d'amicizia, soliti fra gli amici o parenti: come rispondere alle loro lettere: non fuggire la loro conversazione quando stanno in compagnia d'altri: non escluderli dalle comuni limosine, e cose simili. Siamo ancora obbligati a salutare i nemici, o almeno a risalutarli; ma se sono superiori, dobbiamo prevenirli col saluto; anzi, se senza grave incomodo con salutare il nemico potessimo liberarlo dall'odio grave che ci porta, siamo ancora tenuti a prevenirlo, perché la carità ci obbliga anche con qualche incomodo a liberare il prossimo dal peccato mortale. All'incontro più autori, come Roncaglia, il p. Mazzotta ecc., scusano da peccato grave l'offeso, che non rendesse il saluto al nemico, quando da poco tempo avesse ricevuta da lui una grande offesa2.

 

9. Quei che hanno ricevuta qualche offesa, e non vogliono far la remissione, avverta il confessore a non assolverli, ancorché asseriscano di aver perdonato al nemico, ma volere che abbia luogo la giustizia; perché se non adducono altra giusta causa, tal volontà che si faccia la giustizia facilmente va unita col desiderio della propria vendetta3.

 

10. Chi manda imprecazioni, ma senza desiderio di vedere il male che impreca, pecca solo venialmente, come insegna s. Tommaso4. Se n'eccettua però se manda tali imprecazioni a' genitori, a' superiori, o persone di miglior condizione di lui da faccia a faccia; perché allora peccherebbe mortalmente per ragione della grave ingiuria che loro fa.

 

§. II. Della limosina.

 

11. Qui bisogna distinguere per 1. tre sorte di necessità: estrema, cioè quando il prossimo va in pericolo della vita: grave, cioè quando al prossimo sovrasta il pericolo di cadere dal suo stato giustamente acquistato, o d'altro grave male: comune, cioè quella che patiscono i mendicanti. Bisogna distinguere per 2. i beni superflui alla vita, ed i beni superflui allo stato. Ciò posto si avverta, che nella necessità grave del prossimo dobbiamo soccorrerlo de' beni superflui allo stato; ma nell'estrema, anche de' superflui alla vita. Nella necessità comune poi quei che hanno beni superflui allo stato son tenuti anche con obbligo grave di soccorrere in qualche modo i mendicanti, giusta la vera sentenza, e giusta il precetto del vangelo: Quod superest date in eleemosynam5. Si è detto in qualche modo, poiché (come dicono molti dd.) basta lor dare il due per cento; e meno se le rendite sono molte6.

 

§ III. Della correzione fraterna.

 

12. Ogni peccato mortale, in cui il prossimo sta per cadere, o già è caduto, e non ancora n'è risorto, è materia della correzione. E ciò corre, ancorché il prossimo per ignoranza invincibile stesse per trasgredire la legge, o che sia legge naturale, o positiva. Per più motivi poi taluno può essere scusato dal fare la correzione: per 1., se non è certo il peccato del prossimo, eccettoché in caso di danno comune, o gravissimo, v. g., di omicidio, o simile, perché allora dee farsi la correzione anche in dubbio. Per 2., se dalla correzione non si sperasse frutto; purché il delinquente non fosse in pericolo di morte, oppure se l'omettere la correzione fosse di pericolo agli altri di pervertirsi. Per 3., se non mancano altri idonei, che facciano la correzione. Per 4., se prudentemente si giudica, che 'l reo si ravvederà da se stesso. Per 5., se la correzione non potesse farsi senza grave incomodo. Per 6., se il tempo non fosse opportuno7. Dice poi s. Tommaso, che peccherebbe solo venialmente chi lasciasse di correggere per qualche timore o cupidità; purché non credesse certa l'emenda con far la correzione, perché allora non sarebbe scusato dal mortale. Huiusmodi omissio est peccatum veniale, quando timor, vel cupiditas tardiorem facit hominem ad corrigendum. Non tamen ita, si ei constaret quod fratrem posset a peccato retrahere8.

 

13. Tutti son tenuti a correggere il prossimo, ancorché fossero sudditi; ma più strettamente son tenuti i superiori, come i confessori, genitori, mariti, curatori,


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padroni, e maestri; e più strettamente i vescovi, e parrochi, che son tenuti alla correzione, non solo per carità, ma anche per giustizia, ed anche con pericolo della vita, sempreché dalla correzione può sperarsi frutto. Questi son tenuti ancora ad inquirere i peccati de' sudditi, quando ne hanno bastanti indizi1.

 

§. IV. Dello scandalo.

 

14. Lo scandalo si distingue in attivo, e passivo. L'attivo, che propriamente è lo scandalo, si definisce: Dictum vel factum minus rectum praebens alteri occasionem ruinae. Questo scandalo attivo può essere diretto ed indiretto: diretto, quando direttamente s'induce il prossimo a peccare: indiretto, quando col parlare, o coll'operare si ad altri occasione di peccare. Vi è anche lo scandalo attivo demoniaco, ch'è quando s'induce il prossimo a peccare, col fine principale di fargli perdere l'anima. Lo scandalo passivo poi è lo stesso peccato, nel quale cade il prossimo scandalizzato. E questo si divide in iscandalo dato, chiamato ancora de' pusilli, i quali cadono per debolezza; ed in accetto, chiamato ancor farisaico, cioè di coloro che cadono per malizia. Si noti qui, che per evitare lo scandalo de' pusilli noi siam tenuti alle volte a lasciare, ma senza grave incomodo i nostri beni temporali, ed anche spirituali. Avverte però s. Tommaso2, che dopo fatta l'ammonizione a' pusilli, lo scandalo si rende farisaico, ed allora non siamo più tenuti ad evitarlo. Per impedire ancora lo scandalo de' pusilli, siam tenuti alle volte di tralasciare le divozioni arbitrarie ed anche di precetto, come della messa, digiuno, e simili; ma ciò solo per una o due volte (e ciò s'intende anche delle azioni indifferenti, come di gire a qualche luogo, o di affacciarsi alla finestra); altrimenti sarebbe grave l'incomodo, al quale non obbliga la carità3.

 

15. Peccano poi gravemente di scandalo le donne, che portano il petto immodestamente scoperto; ed anche quelle, che introducono un tal uso, benché lo scoprimento non fosse immoderato. Così anche commettono peccato grave di scandalo quei che compongono, o rappresentano commedie notabilmente oscene; e quelli che dipingono, o espongono in pubblico immagini positivamente turpi4.

 

16. Si dimanda per 1., se lo scandalo sia peccato così contra la carità, come contra la virtù, cui s'induce il prossimo ad offendere. E si risponde che sì5. Si dimanda per 2., se pecca di scandalo chi cerca dal prossimo un'azione mala, alla quale colui già stava apparecchiato. E si risponde ancora che sì6. Quando però si cerca una cosa indifferente, e quegli non vuol darla senza peccato, come l'usuraio che non vuol dare il mutuo richiesto senza l'usura, o il sacerdote che non vuol dare il sagramento senza la simonia, allora per cercarla lecitamente vi bisogna la causa o di necessità, o di notabile utilità7. Si dimanda per 3., se sia lecito il consigliare un male minore, per evitare il maggiore, che 'l prossimo sta risoluto di fare. E si risponde che sì, ancorché quel male minore fosse d'altra specie, come probabilmente dicono Soto, Gaetano, Silvestro, Navarro, Molina, ed altri coll'autorità di s. Agostino8. Similmente permettono molti dd. il dare occasione ad alcuno, v. g., di rubare, con permettere che faccia quel furto, acciocché si emendi per l'avvenire. A ciò fa quel che dice s. Tommaso, parlando del chiedere il mutuo all'usuraio: Inducere ad peccandum nullo modo licet, uti tamen peccato alterius ad bonum licitum est9.

 

17. Si dimanda per 4., se sia lecito mai cooperare al peccato del prossimo, come sarebbe dare il vino a chi vuol ubbriacarsi, dar la chiave a chi vuol rubare. E si risponde che sì, quando la cooperazione è materiale, cioè quando si coopera ad un'azione, di cui il prossimo potrebbe servirsi senza peccato, ma quegli per sua malizia se ne abusa a peccare. Acciocché nondimeno la cooperazione materiale sia lecita, vi bisognano tre condizioni: 1., che l'atto della cooperazione sia per sé indifferente: 2., che quegli che coopera non sia tenuto per officio ad impedire il peccato del prossimo: 3., che abbia giusta causa di poter così cooperare, e la causa sia proporzionata alla cooperazione; poiché quanto più la cooperazione è prossima al peccato altrui, tanto più


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grave dee esser la causa. Ed in ciò bisogna regolarsi secondo il giudizio de' dd., i quali dicono per esempio, che per evitare un danno grave è lecito dare il vino a chi vuol ubbriacarsi, o dare il cibo a chi vuol rompere il digiuno, e cose simili; e perciò quando occorrono tali casi, si osservino i libri, e specialmente l'Istruzione1, e l'opera grande2.

 




1 Istr. c. 4. n. 14. 15.

 



2 N. 16.

 



3 N. 17.

 



4 2. 2. q. 76. a. 3.

 



5 Luc. 12.

 



6 Istruz. c. 4. n. 18. 19.

 



7 N. 20. 21.

 



8 2. 2. q. 33. a. 2. ad 3.



1 Istr. c. 4. n. 22.

 



2 2. 2. q. 43. a. 7. ad 8.

 



3 Istr. c. 4. n. 28.

 



4 N. 29.

 



5 N. 25.

 



6 N. 26.

 



7 N. 27.

 



8 N. 30.

 



9 2. 2. q. 78. a. 4. - Istr. c. 4. n. 30.



1 Cap. 4. n. 31. 32.

 



2 Lib. 2. n. 59.

 






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