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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Confessore diretto…campagna

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CAPO XII De' precetti della chiesa.

 

PUNTO I. Del digiuno.

 

§. I. Dell'obbligo del digiuno.

 

1. Tre sono gli obblighi del digiuno: astenersi dalla carne, mangiare una volta il giorno, e osservare l'ora della refezione. Il primo obbligo dunque è l'astinenza dalla carne, alla quale in giorno di digiuno sono obbligati tutti i fedeli, ed anche i fanciulli, giunti che sono all'uso di ragione; ma non i pazzi, e probabilmente neppure i fanciulli prima dell'età di sette anni. È proibito per tanto ne' giorni di digiuno, e ne' venerdì e sabati, il cibarsi di quegli animali, che comunemente sono riputati carne, come i mallardi, follache, anatre, e simili; all'incontro le rane, lumache, testuggini, e conchiglie sono stimati pesci4.

 

2. Qui si dimanda per 1., se ne' giorni di digiuno sian proibiti i latticini e l'ova. Nella quaresima è certo che sì, per la prop. 32. dannata da Alessandro VII. Negli altri giorni poi di digiuno fuori di quaresima, altri dicono esser leciti i latticini solamente in quei luoghi dove vi è l'uso di cibarsene; altri però più comunemente, come s. Antonino, Navar., Laym., Sanch., Concina, Salmat. ecc. dicono, che possono mangiarsi in tutti quei luoghi, dove non sono affatto proibiti dalla consuetudine5. Si dimanda per 2., se dove l'astinenza de' latticini sta in uso, ella debba osservarsi sotto colpa grave. Alcuni lo negano, ma noi l'affermiamo colla più comune, e con s. Tommaso6, vedine la ragione Istr.7. Si dimanda per 3., se a chi son permessi i latticini, sia permesso ancora il lardo, o il grasso liquefatto. E diciamo che no, colla comune contra Silvestro ed altri pochi; perché il grasso è vera carne8. Si dimanda per 4., se i dispensati alla carne possano cibarsi di qualche pesce nella mensa privata. E rispondiamo similmente, che no; perché Benedetto XIV. nella sua bolla Libentissime ordina a' medici di non dar la licenza delle carni ad alcuno, se non con due condizioni, la prima dell'unica comestione, la seconda di non mischiare carne e pesce, permettendo solamente il pesce a' dispensati a' soli latticini; e dichiarò che ciò si osservi così nella quaresima, come negli altri giorni di digiuno. Si dimanda per 5., se a' dispensati alle carni sia proibita la carne porcina, come nociva. Il p. Concina l'afferma per un decreto di Clemente XI. Ma comunemente gli altri lo negano, come Lugo, Sanch., La-Croix, Salmant., Trullench., Villalob. ecc., perché un tal decreto non fu che un semplice editto per lo solo stato romano, in cui si proibivano le carni nocive in generale; tanto più che la carne porcina non può dirsi per sé nociva; e s'ella fu vietata agli ebrei, fu vietata per legge cerimoniale (che ora non obbliga) come carne immonda9. Ed anche perché la carne porcina era assolutamente nociva in quelle parti della Palestina10.

 

3. Il secondo obbligo del digiuno è osservare l'unica comestione. Diceano prima alcuni, che i dispensati alla carne non eran tenuti all'unica comestione, perché mancando l'astinenza della carne, mancava l'essenza del digiuno. Ma Bened. XIV. nella stessa mentovata bolla dichiarò il contrario, dicendo che così l'astinenza della carne, come l'unica comestione son due precetti principali, e perciò disse conseguentemente,


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che nella refezione della sera i dispensati debbon servirsi di quel cibo e di quella porzione che usano i digiunanti di timorata coscienza. Nondimeno dallo stesso pontefice si permettono le più comestioni agl'infermi o deboli di forze. In oltre si permette di dividere il pranzo per qualche giusta causa; ma non già senza causa, e per lungo tempo, v. g., per un'ora; del resto quando la persona non ha preso il cibo sufficiente, sicché non possa soffrire il digiuno senza grande incomodo, allora ben può tornare a cibarsi; perché la chiesa non intende obbligare a passar la giornata senza la bastante refezione, come dicono giustamente Lessio, Filliuc., i Salm. ecc. Il pranzo poi può prolungarsi sino a due ore. In oltre prender qualche cosa per modo di medicina, come sono gli elettuari composti di zucchero e ginepro, o cedro, siccome dice s. Tommaso: Electuaria assumuntur ad digestionem, unde non solvunt ieiunium, nisi quis in fraudem in magna quantitate assumat1.

 

4. In oltre si permettono tutte le pozioni che si prendono, non già per nutrimento, come sono quelle di latte, brodo, o sugo di frutta: ma per modo di bevanda, come di caffè, di erbe, di vino o birra. E lo stesso dicesi della limonata, o sia sorbetto, benché gelato, come comunemente ammettono Bannez, Wigandt, Conc., Ronc., La-Croix, Salm., ecc., purché la quantità del zucchero, e d'altra materia, sia piccola, e si mecoli con molta quantità d'acqua. Se poi la cioccolata rompa il digiuno, molti autori dicono che no, dicendo ch'ella ha ragione di bevanda. Noi neghiamo ch'ella sia bevanda, ma diciamo che oggidì tal pozione è permessa per comune consuetudine, come attestano Holzm., Roncaglia, i Salmat., il p. Viva, mons. Milante, ec. Ma avvertiamo, che secondo l'uso comune non se ne possa prendere che una sola tazza il giorno, e non maggior quantità che d'un'oncia e mezza, con quella quantità d'acqua che capisce ne' vasi usuali2.

 

5. Per 5., si permette nella sera la piccola refezione, secondo la consuetudine comunemente oggidì abbracciata e tollerata, e può dirsi anche approvata da' prelati (dicendo s. Tommaso a proposito appunto del digiuno: Ex hoc ipso, quod praelati dissimulant, videntur annuere3) la quale permette (anche a coloro che abbisognano di poco cibo) la quantità di otto oncie; così Castrop., Bonac., Roncaglia, mons. Milante, Salmat., Holzm. La-Croix, Viva ed altri. Nella vigilia poi di Natale comunemente anche si ammette la colazione doppia. Circa poi la qualità de' cibi, in tale refezione son permessi i frutti, l'erbe, il pane, e i dolci, e secondo la presente consuetudine anche i pesci salati, ed i pesciolini freschi, ed ancora qualche piccola parte (cioè due o tre oncie) di pesce grande, come attestano mons. Milante, ed altri di sovra citati4. Non è lecito però prender otto oncie di pane cotto con acqua; appena dice Roncaglia potersi permettere quattro oncie di pane cotto. Si permette ancora il cibarsi d'una minestra cotta con olio, o aceto; ma l'olio, e l'aceto entra nel peso delle otto oncie5. Prima alcuni autori permettevano a' dispensati nella refezione un poco di cacio, ma ciò è stato riprovato poi da Bened. XIV. con una dichiarazione particolare, ed ultimamente è stato confermato dal presente pontefice Clemente XIII., in una sua lettera enciclica nel 1759., dove sono state dichiarate due cose, cioè 1. Non licere per diem potiones lacte permixtas sumere. 2.Tantummodo ad unicam comestionem posse carnem adhibere, vel ea quae ex carne trahunt originem, come sono l'ova e 'l cacio; indi soggiungesi, nella colazione i dispensati aequiparandos esse iis, quibuscum nulla est dispensatio6.

 

6. Se poi taluno guasta il digiuno, bisogna che spieghi nella confessione, in che modo l'ha guastato, perché quante volte ha mangiato carne o latticini, tante volte ha peccato; ma se avesse mangiati cibi permessi più d'una volta in quantità notabile, solamente nella prima volta ha peccato (s'intende gravemente); poiché dopo esser distrutta l'essenza del digiuno colla seconda comestione colpevole, il digiuno è già sciolto, né più può osservarsi. Altrimenti dee dirsi poi con Azor., Navar., ec., se l'avesse rotto inavvertentemente, perché allora non essendo formale la frazione del digiuno, quello


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non resta sciolto1. Quale poi sia la quantità notabile che rompe il digiuno, i dd. più comunemente assegnano la materia che supera le due oncie2.

 

§. II. Delle cause che scusano dal digiuno.

 

6. Quattro sono le cause che scusano dal digiuno, la dispensa l'impotenza, la fatica, e la pietà. 1. Scusa la dispensa. Il papa può dispensare universalmente con tutti; il vescovo solamente con taluno de' suoi sudditi in particolare, perché in quanto ad un intiero popolo vi bisogna la dispensa pontificia, come ha dichiarato Benedetto XIV. nella sua bolla Ambigimus. Il parroco anche può dispensare dal digiuno con alcuno de' suoi parrocchiani. E lo stesso può ogni superiore regolare, anche locale, co' suoi religiosi3.

 

7. II. Scusa l'impotenza fisica e morale. Per ragion d'impotenza fisica sono scusati dal digiuno gl'infermi e convalescenti: le donne gravide o che allattano: i poveri che non hanno il cibo sufficiente per una sola refezione, come dice s. Tommaso: Qui non possunt simul habere, quod eis ad victum sufficiat4. Onde dicono Sanchez, Roncaglia, i Salmat., ecc., che chi nel pranzo non ha altro che pane ed erbe o legumi, non è tenuto all'unica comestione5. Per ragion poi dell'impotenza morale è scusato ognuno, che non può digiunare senza un grande incomodo, come se non potesse dormir la notte, o per altra cosa simile. Perciò comunemente sono scusati dal digiuno i soldati, o che si trovino nel campo o negli ospizi6. Così anche sono scusati i giovani, finché non han compiti gli anni ventuno, ed anche i vecchi sessagenari, come dicono Azor., Sanchez, Castrop., Roncag., Holzm., i Salmat. ecc., perché i vecchi, benché sembrino validi, la loro validità non è ferma; poiché se cadono in qualche morbo grave, difficilmente ricuperano più la prima sanità, mentre in tale età la loro sanità sta in decadenza. Lo stesso corre per alcun sessagenario, che avesse fatto voto di digiunare in qualche giorno della settimana, per sempre, purché non avesse avuto espresso animo di digiunare sino alla morte. Altri poi scusano dal digiuno anche le donne quinquagenarie, ma questa opinione giustamente dagli altri è riprovata7.

 

8. III. Scusa la fatica, quando ella è incompatibile col digiuno, com'è la fatica degli agricoltori, scarpellini, segatori, vasai, marinari che remano, fornari, scarpari, panattieri, e simili: come anche de' cuochi che apparecchiano molte vivande a molte persone: servi che fanno gran fatiche: venditori che per la maggior parte del giorno girano per la città: così anche calessieri, vetturali, mulattieri. E così ancora sono scusati que' che viaggiano a piede, sino a quindici miglia, come dicono Castr., Trullench., Bonac., Filliuc., i Salmat., La-Croix, ecc. Ma non è scusato chi viaggia a cavallo per un giorno, come dicea la prop. 31. dannata da Aless. VII. Altrimenti poi (come dicono i dd.), se 'l viaggio a cavallo o in calesse durasse per molti giorni, e la persona non potesse fare il digiuno senza grave incomodo. All'incontro ogni artefice o faticatore che può fare il digiuno senza grave incomodo, è tenuto ad osservarlo. Si avverta non però che l'artefice può essere scusato dal digiuno, anche nel giorno in cui non fatica, quando non potesse faticare nel giorno susseguente, come dicono i dd. comunemente. Non sono poi scusati dal digiuno i barbieri, i sartori, i pittori e scrittori8. Si domanda, se tal uno che non è artefice per suo mestiere, pecchi facendo qualche fatica, affinché quella poi lo scusi dal digiuno. Checché dicansi altri, diciamo che sì, con Laymann, Sanch., Croix, e s. Tommaso9, perché ogni precetto richiede che senza giusta causa non si apponga impedimento alla sua osservanza. Si è detto, taluno non artefice, perché all'incontro gli artefici per lor mestiere, benché opulenti, non peccano, e sono scusati dal digiuno. Di più si avverta che se taluno fa qualche fatica in frode del digiuno, quantunque non è scusato dal peccato, nondimeno dopo la fatica fatta non è tenuto al digiuno, essendosi renduto già impotente a digiunare10.

 

9. IV. Scusa per ultimo la pietà, quando per esempio dovesse alcuno esercitarsi in qualche opera di pietà migliore del digiuno, e non potesse differirla, come sarebbe, se dovesse assistere con gran fatica a molti infermi, o


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pure far qualche pellegrinaggio di grande edificazione, che non potesse differirlo, né farlo col digiunare, come dice san Tommaso1. Altri scusano i predicatori giornali di quaresima; ma ciò appena può ammettersi per coloro che predicano con grande agitazione di corpo, come sono i predicatori di missione. Altri scusano poi anche i lettori, cantori, avvocati, giudici, e confessori che per lungo tempo prendon le confessioni; ma tutti costoro diciamo non essere scusati, se non nel solo caso, quando col digiuno certamente non potessero far il loro officio: dico certamente, perché in dubbio son tenuti a digiunare; poiché in dubbio possiede l'obbligo del digiuno2.

 




4 C. 12. n. 1.

 



5 N. 1-3.

 



6 2. 2. q. 157. a. 8. ad 3.

 



7 C. 1. n. 2. 4.

 



8 N. 5.

 



9 Levit. 11. 8.

 



10 Istr. c. 12. n. 6-8.



1 Istr. c. 12. n. 9-11.

 



2 N. 12-15.

 



3 2. 2. q. 147. a. 4. ad 3.

 



4 Istr. c. 12. n. 16. 17.

 



5 N. 18.

 



6 N. 19.



1 Istr. c. 12. n. 20.

 



2 N. 21.

 



3 N. 22.

 



4 2. 2. q. 147. a. 4. ad 4.

 



5 Istr. c. 12. n. 23.

 



6 N. 24.

 



7 N. 25.

 



8 N. 26-30.

 



9 2. 2. q. 71. a. 5.

 



10 Istr. c. 12. n. 31-33.



1 2. 2. q. 147. a. 4. ad 3.

 



2 Istr. c. 12. n. 34.

 






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