Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
S. Alfonso Maria de Liguori
Conforto a' novizj

IntraText CT - Lettura del testo
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Testo


- 434 -


 

Sono due grazie tra sé distinte, la grazia della vocazione e la grazia della perseveranza nella vocazione. Molti hanno ricevuta da Dio la vocazione, ma poi per loro difetto si sono renduti indegni di ottener la perseveranza: Non coronatur nisi legitime certaverit 1. Non riceverà dunque la perseveranza e la corona preparata da Dio a' perseveranti, se non chi adempie quel che dee dal suo canto per combattere e vincere i nemici: Tene quod habes, ut nemo accipiat coronam tuam 2. Giovine mio, tu che con favorspeciale sei stato chiamato dal Signore alla sua sequela, senti com'egli stesso ti esorta ed anima: Sta attento, figlio mio (ti dice), a conservarti la grazia da me ricevuta; e temi che se la perdi, altri avrà la corona a te apparecchiata.

 

Chi entra al noviziato entra al servizio del re del cielo, il quale suol provare la fedeltà di coloro ch'egli accetta per suoi colle croci e colle tentazioni, con cui permette che l'inferno li combatta. Così fu detto a Tobia: Et quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te 3. E così dice lo Spirito santo a ciascuno che lascia il mondo per darsi a Dio: Fili, accedens ad servitutem Dei...praepara animam tuam ad tentationem 4. Sicché il novizio in entrare nella casa di Dio deve apparecchiarsi, non già alle consolazioni, ma alle tentazioni ed alle battaglie che muove l'inferno a coloro che si danno tutti a Dio. E bisogna intendere che il demonio più tenta un novizio a fargli lasciare la vocazione (ch'è il maggiore suo impegno) che mille secolari, specialmente se entra in qualche comunità di religiosi operaj. Sì, perché un tal novizio, se persevera ed è fedele a Dio, gli toglierà


- 435 -


migliaia di peccatori, che per suo mezzo si salveranno. E perciò il nemico cercherà di guadagnarlo in tutti i modi, e metterà in campo tutte le astuzie per ingannarlo.

 

Le tentazioni colle quali suol tentare l'inferno per lo più i novizj ad abbandonare la loro vocazione sono le seguenti. Per prima li tenta colla tenerezza de' parenti. Per resistere a questa tentazione bisogna riflettere che Gesù Cristo ha dichiarato non esser degno di goderlo chi ama i suoi parenti più di lui: Qui amat patrem aut matrem plus quam me, non est me dignus 1. Egli medesimo si è protestato esser venuto in terra, non a metter pace, ma divisione tra' parenti: Non veni pacem mittere, sed gladium; veni enim separare hominem adversus patrem suum, et filiam adversus matrem suam 2. E perché tanta premura di separare fra loro i congiunti? Perché ben intendeva il nostro Salvatore il gran danno che i parenti tra loro si recano; e che in quanto alla salute eterna; e specialmente dove si tratta di vocazione religiosa noi non abbiamo peggiori nemici de' parenti, come Gesù medesimo, dopo le citate parole, soggiunse: Et inimici hominis domestici eius.

 

Oh quanti poveri giovani per l'affetto a' parenti han perduta prima la vocazione, e poi (come facilmente suole avvenire) anche l'anima! Di questi casi funesti ne son piene l'istorie. Voglio qui rapportarne alcuni. Narra il p. Girolamo Piatti, che un certo novizio fu visitato da un suo parente, il quale gli disse così: Sentitemi, io vi parlo perché v'amo. Pensate che non è complessione la vostra di resistere alle fatiche ed agli studj della religione: quando nel secolo potete dare maggior gusto a Dio, specialmente facendo gran parte a' poveri delle ricchezze che 'l Signore vi ha donate. Se vi ostinate ve n'avrete da pentire; e finalmente con vergogna appresso pure sarete obbligato ad uscir della religione, vedendovi posto a far il portinaio o cuciniere, giacché voi avete poco talento e poca sanità. Ond'è meglio farlo oggi, che domani. Il povero giovine così pervertito se n'uscì. Non passarono molti giorni che, datosi già subito l'infelice ad ogni sorta di vizj, venne alle mani con certi suoi rivali; in questa rissa furono feriti esso e quel suo congiunto, ed ambedue fra poco tempo se ne morirono in uno stesso giorno; e 'l misero novizio (quel ch'è peggio) se ne morì senza confessione, della quale aveva già gran bisogno.

 

Di più narra il p. Casalicchio 3 come un certo cavaliere, stando per entrare una notte in casa di una mala donna, sentì sonar la campana de' cappuccini che andavano all'officio; allora disse: Ma come voglio andar io ad offendere Dio, nello stesso tempo che questi suoi servi lo vanno a lodare? e chiamato da Dio entrò poi nella loro religione. Ma la madre tanto fece e disse, che lo fe' tornare a sua casa; dove che avvenne? fra pochi mesi egli fu ucciso da' nemici e condotto a sua madre su d'una tavola. Narra Dionisio Cartusiano 4 che due novizj della sua religione de' certosini, pervertiti da' loro padri, se ne uscirono. Usciti che furono, tra pochi giorni morirono di peste gli uni e gli altri, i padri ed i figli; e, quel ch'è


- 436 -


peggio (come accenna l'autore), di mala morte.

 

Riferisce il p. Mancinelli che un certo giovine nobile, benché fosse entrato nella religione con molta fortezza, superando le insidie della madre che fece quanto poté per distogliernelo, nulla di meno appresso tanto la madre gl'insisté e lo perseguitò, che il miserabile finalmente se n'uscì. Uscito che fu, la madre, per tenerlo allegro nel secolo, gli fe' pigliare lezione di scherma. Ora un giorno, mentre il giovine stava in quest'esercizio con un certo suo amico, colui gli ferì un occhio, e fu tanto lo spasimo, che l'infelice restò ivi subito morto, senza potersi confessare. Narra lo stesso p. Casalicchio 1 che avendo fatta la missione in una terra vicino a Cosenza, chiamata Li Caroli, seppe ivi ch'essendosi ritirato un giovine tra i cappuccini, andò prima il padre a fare fracassi nel monastero, acciocché gli tornassero il figlio, e poi vi mandò un suo fratello, il quale, armato con altri, e specialmente con un cognato del giovine, se lo prese per forza. Che avvenne? Dopo un mese se ne morì il padre miseramente in viaggio in una gran tempesta di mare. In capo a sessanta giorni se ne morì anche il cognato fuori di sua casa. Ed il misero novizio che non seppe esser fedele alla sua vocazione, fra non molto tempo divenne tutto una piaga, sì che da capo a piedi buttava marcia; e così fra spasimi se ne morì, e Dio sa con quale disposizione dell'anima.

 

Si narra di più nella vita di s. Camillo de Lellis 2 che un giovine, ritiratosi nella di lui religione in Napoli, e perseguitato dal padre, prima stette forte; ma giunto in Roma, abboccatosi di nuovo col padre, cedette alla tentazione. In licenziarsi, gli predisse il santo che avrebbe fatta mala fine, morendo per mano della giustizia: e così fu, poiché il giovine essendosi accasato, dipoi per gelosia uccise la moglie e due servi; onde preso dalla corte, ancorché il padre ci avesse spesa tutta la roba per salvargli la vita, dopo nove anni della sua uscita gli fu nel mercato di Napoli tagliata la testa. Si narra nella stessa vita 3 che un altro novizio, volendo ritornare al secolo, s. Camillo anche gli annunziò il castigo di Dio; ed in fatti, ritornato quegli in Messina, tra sei mesi morì di subito senza sagramenti.

 

Sta dunque attento, fratello mio, se il demonio per tal via cerca di farti perdere la vocazione. Quel Signore che con grazia così particolare ti ha chiamato a lasciare il secolo e a dedicarti al suo amore, vuole che non solamente lasci, ma ancora ti scordi della tua patria e de' tuoi parenti: Audi, filia, et vide, et inclina aurem tuam; et obliviscere populum tuum et domum patris tui 4. Audi et vide, ascolta dunque quel che ti dice Dio, e vedi che se lo lasci per amor dei parenti, troppa sarà la tua pena e rimorso che avrai in morte, quando ti ricorderai della casa di Dio che hai abbandonata, e ti vedrai morire in mezzo a' fratelli, a' nipoti, che ti staranno d'intorno a piangere e ad importunarti in quel tempo (in cui avrai tanto bisogno di aiuti spirituali), che lasci loro le tue robe, senza che niuno d'essi ti dica una parola di Dio; anzi che cercheranno d'ingannarti per non accrescerti il disgusto che tu avrai


- 437 -


allora di morire, lusingandoti con vane speranza, per farti morire senza apparecchiarti alla morte. Ed all'incontro, considera qual contento e pace sentirai morendo, se essendo stato fedele a Dio, avrai la sorte di finire la vita in mezzo a' tuoi religiosi fratelli che ti aiuteranno colle loro orazioni e colla speranza del paradiso, senza lusinghe, ti daranno animo a morire allegramente. Considera inoltre che se i parenti da più anni e con qualche tenerezza ti hanno amato, molto tempo prima e con assai maggior tenerezza ti ha amato Dio. Non saranno più che venti o trent'anni che i tuoi genitori ti amano, ma Dio ti ama sin dall'eternità: In caritate perpetua dilexi te. Avranno sì i parenti fatta qualche spesa, e patito qualche incomodo per te; ma Gesù Cristo per te ha speso tutto il sangue e la vita. Allorché dunque ti senti qualche tenerezza verso i tuoi parenti, e pare che la gratitudine ti stimoli a non disgustarli, pensa che più grato devi esser con Dio che più di tutti t'ha beneficato ed amato, e di' fra te stesso: Parenti, s'io vi lascio, vi lascio per Dio che più di voi merita il mio amore e che m'ha amato più di voi. E così dicendo vincerai questa terribile tentazione dei parenti, che a molti è stata di rovina in questa vita e nell'altra.

 

L'altra tentazione con cui suole il demonio assalire il novizio, è della salute corporale, dicendogli così: Non vedi che con tal sorta di vita perderai la salute, e poi non sarai buono più né per il mondo, né per Dio? Da questa tentazione deve il novizio disbrigarsi collo sperare che quel Signore il quale gli ha data la vocazione, gli darà anche la sanità per eseguirla. E s'egli poi è venuto alla casa di Dio solo per dar gusto a Dio, come si suppone, dee tra sé discorrere così: Io non ho celatocelo lo stato della mia sanità a' superiori: essi mi hanno accettato: essi ora non mi licenziano: dunque è gusto di Dio ch'io seguiti a star qui, e s'è gusto di Dio, benché ci dovessi patire e morire, che importa? Quanti anacoreti sono andati a patire nelle grotte e nei boschi! Quanti martiri sono andati a dare la vita per Gesù Cristo! Basta che sia di suo gusto ch'io perda per amor suo la sanità e la vita, io son contento; altro non desidero né posso cosa di meglio desiderare. Così dee dire il novizio fervoroso che ha vero desiderio di farsi santo; che se in tempo del noviziato alcuno non ha fervore, tenga per certo che non l'avrà più in tutto il tempo di sua vita.

 

L'altra tentazione è di non poter sopportare gl'incomodi della vita comune, i cibi scarsi e mal conditi, il letto duro, il poco sonno, il non potere uscire, il silenzio, e sovra tutto il non poter fare la propria volontà. Quando il novizio si vedrà assalito da questa tentazione dovrà dire quel che diceva s. Bernardo a se stesso: Bernarde, ad quid venisti? Dovrà pensare ch'egli non è venuto alla casa di Dio per far vita comoda, ma per farsi santo; e come avrà da farsi santo? colle comodità e colle delizie? no, ma col patire e morire a tutti gli appetiti del senso. Dicea s. Teresa: Il pensare che Dio ammetta alla sua amicizia gente comoda è sproposito. Ed in altro luogo: Anime che da vero amano Dio non possono dimandar riposi. Sicché se uno non istà risoluto a patire ed a patire ogni cosa per Dio, non si farà mai santo.


- 438 -


 

Non si farà mai santo e non avrà mai pace. E che? forse la pace dell'anima si trova in godere i beni del mondo e in contentare i sensi? forse i grandi della terra che abbondano di tali beni e contenti trovano pace? Questi sono i più infelici che si pascono di fiele e di veleno. Vanitas vanitatum et afflictio spiritus; così furono chiamati i beni terreni da Salomone che li godé in abbondanza. Il cuore dell'uomo, quando sta in mezzo a questi beni, per quanti ne ottiene, sempre ne cerca di più, e sempre resta inquieto; ma quando mette il suo piacere in Dio, in Dio trova tutta la sua pace. Contentati di Dio, dice Davide, e Dio contenterà tutte le domande del tuo cuore: Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui 1. Il p. Carlo di Lorena, fratello del duca di Lorena, entrato in religione, quando si trovava nella sua povera cella sentiva tal giubilo interno, che si metteva a danzare per allegrezza. Il b. Serafino cappuccino, diceva che non avrebbe cambiato un palmo del suo cordone con tutte le ricchezze ed onori della terra. E s. Teresa all'incontro dava a tutti animo, dicendo: Quando un'anima si risolve a patire, è finita la pena.

 

Ma qui cade a parlare d'un altro inganno con cui l'inferno tenta il novizio allorché si trova in desolazione di spirito. Non vedi (gli dice) che qui non trovi pace? hai perduta la divozione, tutto ti tedio, l'orazione, la lezione, la comunione, anche la ricreazione. Questo è segno che Dio non ti ci vuole. Oh che tentazione terribile è questa, e pericolosa per i novizj novelli e poco accorti! A vincere questa tentazione bisogna primieramente ben considerare dove consiste la vera pace di un'anima in questa terra, ch'è luogo di merito, e perciò luogo di pene. Non consiste già ella, come abbiam veduto, nel godere i beni del mondo; ma né pure consiste nel godere le delizie spirituali, perché queste non ci accrescono il merito per se stesso né ci rendono più cari a Dio. La vera pace dell'anima consiste solamente nell'uniformarsi alla divina volontà. Onde la miglior quiete che noi dobbiamo desiderare è quella che ci fa unire al volere di Dio, allorch'egli vuol tenerci in oscurità e desolazione. Oh com'è cara a Dio un'anima fedele, che senza consolazioni ora legge, si comunica e fa tutto solo per piacere a Dio! Oh che gran merito hanno le opere sante fatte senza presente mercede! scrisse il ven. p. d. Antonio Torres ad un'anima desolata: Il portar la croce con Gesù senza consolazione fa correre, anzi volare l'anima alla perfezione. Trovandosi dunque il novizio in aridità, dee dire a Dio: Signore, giacché volete tenermi così desolato e privo d'ogni sollievo, io così voglio stare, e per quanto piace a voi; non vi voglio lasciare; eccomi pronto a patire questa pena in tutta la vita ed in tutta l'eternità, se così vi piace; mi basta intendere che questo sia il vostro gusto.

 

Così dee dire il novizio che da vero vuole amare Dio; ma sappia all'incontro che non sarà così. Così vuole il demonio farlo diffidare, rappresentandogli che quella vita così desolata sempre durerà, e che un giorno lo ridurrà a disperarsi per non poterla più soffrire. Questi turbini d'orrore, in mezzo all'oscurità di spirito, fa comparire il nemico nella mente de' desolati.


- 439 -


Ma no che non sarà così: Vincenti dabo manna absconditum 1. Coloro che con pazienza avran sofferta la tempesta dell'aridità, ed avran vinte le tentazioni che in quel tempo loro avrà date l'inferno, per farli voltare indietro, il Signore ben li consolerà, con far loro provare la manna nascosta, cioè quella pace interna, che (come dice s. Paolo) supera tutti i diletti del senso: Pax Dei quae exsuperat omnem sensum 2. Il solo dire: Io ora fo la volontà di Dio, do gusto a Dio, è un contento il quale avanza tutti i contenti che può dare il mondo con tutti i suoi spassi, festini, commedie, banchetti, onori e grandezze. Eh che non può fallire la promessa da Dio fatta a chi lascia tutto per amor suo: Qui reliquerit domum vel fratres aut patrem etc., propter nomen meum, centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit 3. Sta dunque promesso a costui il cielo nell'altra vita e 'l centuplo in questa; qual'è questo centuplo? È appunto la testimonianza della buona coscienza che avanza immensamente tutte le delizie della terra.

 

Ma non abbiamo finito; resta a parlare delle tentazioni più pericolose. Quelle, di cui abbiam parlato finora, sono tentazioni carnali e mondane, le quali già si fan vedere che vengono dal demonio; onde col divino aiuto più facilmente possono conoscersi e superarsi. Le tentazioni più terribili son quelle che portano la maschera di spirito e di maggior bene, perché queste son nascoste, e perciò più facili ad ingannare.

 

La prima tentazione di simil fatta suol essere il dubbio della vocazione, che il demonio ingerisce nella mente del novizio, dicendogli: Ma chi sa se la tua è stata vera vocazione, o pure è stato tuo capriccio? E se tu non sei stato veramente chiamato da Dio, tu non avrai l'aiuto a perseverare; e forse avverrà che, dopo fatti i voti, te ne pentirai ed apostaterai; e dove nel mondo ti saresti salvato, qui ti perderai. Per ribattere questa tentazione bisogna considerare come e quando alcuno possa star sicuro della sua vocazione. La vera vocazione è quando vi concorrono tre cose. La prima, il buon fine, cioè di allontanarsi da' pericoli del mondo, di meglio assicurar la salute eterna, e di stringersi maggiormente con Dio. La seconda, che non vi sia impedimento positivo di sanità, di talento e di necessità dei genitori, circa le quali cose dee quietarsi il soggetto col rimettersi al giudizio de' superiori, dopo che avrà loro esposta la verità con chiarezza. La terza, che i superiori l'accettino. Or essendo vere queste tre cose, non dee dubitare il novizio, che la sua sia stata vera vocazione.

 

L'altra tentazione è quella che può dare il maligno ad alcun giovine il quale fuori abbia menata vita spirituale. Tu fuori (gli dirà) facevi più orazione, più mortificazioni, più silenzio, più ritiro, più limosine ecc. Ora non puoi fare tutte queste bell'opere e molto meno potrai farle appresso, quando uscirai dal noviziato, perché allora ti applicheranno i superiori agli studj, agli officj della comunità e ad altre ubbidienze distrattive. Oh che inganno è questo! Chi udienza a tal tentazione è segno che non intende quanto sia grande il merito dell'ubbidienza. Chi dona a Dio le orazioni, oltreché dicea s. Maria Maddalena


- 440 -


de' Pazzi, che tutto quel che si fa nella comunità è orazione), le limosine, i digiuni e le penitenze, gli dona parte delle sue cose, ma non tutto; per meglio dire, gli dona le sue cose, ma non se stesso; ma all'incontro chi rinunzia alla propria volontà col voto d'ubbidienza, dona a Dio tutto se stesso, sicché può dirgli: Signore, avendovi consagrata tutta la mia volontà, non ho più che darvi. La propria volontà è quella cosa di cui l'uomo ha più difficoltà a privarsi; ma quest'è il dono più caro che possiamo fare a Dio, e che Dio più domanda da noi: Praebe, fili mi, cor tuum mihi 1. Figlio, dammi il cuore, cioè la tua volontà. Perciò dice il Signore, che gradisce l'ubbidienza più che tutti gli altri sacrificj che possiamo offerirgli: Melior est obedientia quam victimae 2. Sicché colui che si dona a Dio coll'obbedienza ottiene non una, ma tutte le vittorie sovra de' sensi, degli onori, delle ricchezze, degli spassi mondani e d'ogni altra cosa: Vir obediens loquetur victorias 3.

 

Chi sta nel mondo merita bensì con digiunare, con flagellarsi, con orare ecc., ma facendo tutto di propria volontà merita molto meno del religioso, che quanto fa tutto fa per ubbidienza. Onde questi merita molto più; e merita sempre, perché tutto ciò che si fa nella comunità, tutto si fa per ubbidienza. Sicché il religioso merita non solo quando ora, quando digiuna, quando si fa la disciplina, ma anche quando studia, quando esce fuori, quando sta a mensa o sta alla ricreazione o va a riposarsi. Dicea s. Luigi Gonzaga che nella nave della religione fa viaggio ancora chi non voga. E perciò sappiamo che tante persone spirituali, che prima faceano già vita santa, han cercato di mettersi a vita d'ubbidienza, con entrare in qualche comunità religiosa: intendendo altro essere il merito dell'opere fatte di propria volontà, altro il merito di quelle che si fanno per mera ubbidienza.

 

Una simile tentazione, anzi più forte, suol dare il demonio ad alcuno, con rappresentargli il maggior bene che fuori potea fare al prossimo. Tu (gli dice) sei entrato in questa comunità, dove vi sono tanti altri che faticano ed aiutano l'anime; ma tu potevi fare maggior profitto, stando fuori ed aiutando il tuo paese ch'è bisognoso e destituto d'operaj. Chi fosse così tentato dee riflettere prima che 'l maggior bene che possiamo fare è quel bene che Dio vuole da noi. Dio non ha bisogno di alcuno; se vuole dare maggior soccorso al tuo paese, può procurarlo per mezzo di altri. Onde avendoti il Signore chiamato, fratello mio, alla sua casa, questo è il bene che vuole da te, che tu attenda ad ubbidire alle regole ed a' tuoi superiori. E se vuole l'ubbidienza che tu stii inutile in un cantone o pure impiegato a scopar la casa ed a lavare i piatti, questo è il maggior bene che puoi fare.

 

E poi, che bene può fare alcuno nel suo paese? Gesù Cristo medesimo, esortato a predicare e far bene al suo paese, rispose: Nemo propheta acceptus est in patria sua 4. In quanto alle confessioni, suol dirsi che i confessori paesani son confessori di peccati veniali; ed è la verità, perché quelli del paese ripugnano di dire le colpe gravi ad un sacerdote, il quale o è congiunto o paesano, sicché poi


- 441 -


se l'abbiano da vedere sempre innanzi agli occhi; e perciò vanno a confessarsi a' forestieri. In quanto poi alle prediche, ancora si sa che le prediche de' paesani poco profittano, sì perché paesani, sì perch'è la stessa voce. Sia il predicatore un s. Paolo e gradisca al principio quanto si voglia; dopo che si è inteso per sei mesi o al più per un anno, poco più gradisce e poco più profitta. I missionarj perciò fanno gran frutto ne' paesi dove vanno, perché son forestieri e son voci nuove. È certo che salverà più anime un sacerdote d'una comunità d'operarj, e specialmente di missionarj, in un solo mese ed in una sola missione, che se stesse dieci anni a faticare nella sua patria. Oltreché, stando ivi, aiuterà solamente l'anime del suo paese, ma applicandosi alle missioni, salverà l'anime di cento e mille paesi. Inoltre, chi sta nel secolo spesso starà incerto e confuso per non sapere se Dio vuole da lui questa o quell'altra opera; ma chi vive in religione, facendo l'ubbidienza de' superiori, sa certo che quanto fa, tutto lo vuole Dio. Onde i soli religiosi son quei felici che possono dire: Beati sumus, Israel: quia quae Deo placent manifesta sunt nobis 1.

 

Un'altra tentazione finalmente suol dare il demonio a taluno che forse si ritrova da Dio favorito con consolazioni spirituali sensibili, lagrime ed accendimenti amorosi. Non vedi (gli dice) che tu non sei chiamato alla vita attiva, ma alla contemplazione, alla solitudine ed all'unione con Dio? Bisogna dunque che tu vada ad una religione di vita contemplativa o almeno ad un romitaggio: quest'è la tua vocazione. Se mai il demonio mi tentasse così, io per me così gli risponderei: Giacché parli di vocazione, dunque io debbo seguire la vocazione mia, non già il mio genio o la tua suggestione. Avendomi Dio già prima chiamato a questa comunità d'operarj, chi mi assicura che il lasciarla è ispirazione e non tentazione?

 

E lo stesso dico a te, fratello mio. Non ha dubbio che Dio altri chiama alla vita attiva, altri alla contemplativa: ma avendoti chiamato Dio ad una comunità di operarj, devi più presto tenere che l'altra vocazione non venga da Dio, ma dall'inferno che pretende con ciò di farti perdere la tua vera vocazione. Dicea s. Filippo Neri che non si dee lasciare lo stato buono per lo migliore, senza certezza della divina volontà. Sicché per non errare dovresti esser tu più che moralmente certo, essere volere di Dio che passi ad altro stato; ma questa certezza dov'è? specialmente se 'l tuo superiore e 'l padre spirituale ti dicono ch'è tentazione? E poi devi considerare, come insegna s. Tommaso, che sebbene la vita contemplativa (parlando per se stessa) è più perfetta dell'attiva, tuttavolta la vita mista, cioè intrecciata d'orazione e d'azione, è la più perfetta, perché questa fu la vita di Gesù Cristo. E questa è ancora la vita di tutte le comunità d'operarj bene ordinate, in cui vi sono più ore di orazione ogni giorno e più ore di silenzio. Onde posson dire tali religiosi, che quando stanno fuor di casa sono operarj; ma quando stanno in casa sono romiti. E così, fratello mio, non farti ingannare con questi speciosi pretesti del nemico. Sta certo che se te n'uscirai dalla religione, te ne pentirai, com'è avvenuto a taluni: e conoscerai


- 442 -


l'errore quando non potrai più rimediarvi, perché chi si parte una volta dalla religione, difficilmente sarà più ricevuto da quella.

 




1 2. Tim. 2. 5.



2 Apoc. 3. 11.



3 Tob. 12. 13.



4 Eccl. 2. 1.



1 Matth. 10. 37.



2 Matth. 10. 34.



3 Stim. al s. Tim. Stim. 8.



4 In Scha. relig.



1 Loc. cit. Stim. 6.



2 L. 1. c. 22.



3 Lib. 3. c. 17.



4 Ps. 44. 11.



1 Psal. 36. 4.



1 Apoc. 2. 17.



2 Phil. 4. 7.



3 Matth. 19. 29.



1 Prov. 23. 26.



2 1. Reg. 15. 22.



3 Prov. 21. 28.



4 Luc. 4. 24.



1 Paruch.






Precedente - Successivo

Copertina | Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) © 1996-2006 EuloTech