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S. Alfonso Maria de Liguori
Del gran mezzo della preghiera

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CAPO IV - IDDIO DONA A TUTTI LA GRAZIA DI PREGARE, SE VOGLIONO, BASTANDO PER PREGARE LA SOLA GRAZIA SUFFICIENTE, CH'È COMUNE A TUTTI

Posto dunque che Dio vuol salvi tutti, e che in quanto a Sé a tutti le grazie necessarie per conseguir la salute, diciamo che a tutti è data la grazia di poter attualmente pregare (senza bisogno d'altra nuova grazia), e col pregare di ottener poi tutti gli altri aiuti per osservare i precetti, e salvarsi. Ma s'avverta che dicendosi, senza bisogno d'altra nuova grazia, non s'intende che la grazia comune dia il pregare senza l'aiuto della grazia adiuvante, perché ad esercitare qualunque atto di pietà, oltre la grazia eccitante, senza dubbio richiedesi anche la grazia adiuvante, o sia cooperante; ma s'intende che la grazia comune ad ognuno il poter pregare attualmente, senza nuova grazia preveniente, che fisicamente o moralmente determini la volontà dell'Uomo a porre in atto la preghiera. Per lo che qui prima registreremo i molti ed insigni Teologi, che insegnano per certa questa sentenza, e poi la proveremo colle autorità, e colle ragioni. Così tengono1 Isambertoa, il Cardinal du-Perronb, Alfonso le Moynec, ed altri2 che appresso si riferiranno, e più a lungo e di proposito Onorato Tournelyd; tutti quest'Autori provano che ciascuno colla sola grazia ordinaria sufficiente può attualmente pregare, senza bisogno d'altro aiuto, e colla preghiera impetrare tutte le altre grazie per osservare le cose più difficili.

Così anche tiene l'Eminentissimo Cardinal de Norise, il quale prova di proposito che l'Uomo, urgendo il Precetto, colla sola grazia


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ordinaria prega se vuole senz'altro aiuto, e lo prova così: Manifestum est potentiam ad orandum debere esse proximam in Justo sive Fideli; nam si Fidelis sit in potentia remota ad simpliciter orandum (non enim hic loquor de fervida oratione) non habebit aliam potentiam proximam pro impetranda oratione, alias procederetur in infinitum3. Posto che per osservare i Precetti, e salvarsi, è necessario che preghiamo, siccome provammo al principio parlando della necessità della preghiera, saggiamente dice questo dotto Autore, che ognuno ha la potenza prossima a pregare, per indi impetrare colla Preghiera la prossima potenza a far il bene; e perciò tutti possono pregare colla sola grazia ordinaria senz'altro aiuto. Altrimenti se per avere la potenza prossima all'atto di pregare vi bisognasse altra potenza, per questa vi bisognerebbe altra grazia di potenza, e così il processo sarebbe infinito, e non sarebbe più in mano all'Uomo il cooperare alla sua salute.

Il medesimo Autore in altro luogof conferma più distintamente la suddetta dottrina, dicendo: Etiam in statu naturae lapsae datur adjutorium sine quo (ch'è la grazia sufficiente comune a tutti), secus ac Jansenius contendit; quod quidem adjutorium efficit in nobis actus debiles, nempe orationes minus fervidas pro adimplendis mandatis; in ordine ad quorum executionem, adjutorium sine quo est tantum auxilium remotum, impetratorium tamen auxilii quo, sive gratiae efficacis, qua mandata implentur4. Sicché l'Eminentissimo Noris tiene per certo esservi nel presente stato per ognuno l'aiuto sine quo, cioè la grazia ordinaria la quale senza bisogno d'altro aiuto produce l'orazione con cui s'impetra poi la grazia efficace ad osservare i precetti. E così ben da ciò s'intende l'Assioma universalmente ricevuto nelle Scuole: Facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam; cioè che all'Uomo che prega, facendo egli buon uso della grazia sufficiente, con cui può già fare le cose facili, com'è il pregare, Iddio non nega poi la grazia efficace per eseguire le cose difficili.

Così tiene anche Ludovico Tomassinog. Quest'Autore prima si meraviglia di coloro, i quali vogliono che gli aiuti sufficienti non bastino in effetto a fare qualunque opera buona, né ad evitare qualunque


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peccato: Si enim (dice) haec auxilia vere auxilia sunt, et proximam dant potestatem, qui fit ut ex innumerabili hominum, qui ita juvantur, multitudine praeceptum observat nemo? Aut quomodo vere sufficientia sunt, si praeterea gratia efficax est necessaria? Non habet potestatem sufficientem, cui deest auxilium necessarium, quod in ejus potestate non est.5 Volendo dire che la grazia sufficiente, per potersi dire in verità sufficiente, dee dare all'Uomo la potenza prossima e spedita a mettere in effetto l'atto buono; ma quando a metter l'atto vi bisogna un'altra grazia, ch'è l'efficace, se l'Uomo non ha l'efficace (almeno mediata) necessaria già alla salute, come può dirsi che la sufficiente gli dia questa potenza prossima e spedita?

Quando che, dice S. Tommaso: Deus non deficit ab agendo, quod est

necessarium ad salutemh. È vero da una parte, che Iddio non è tenuto a darci le sue grazie, perché le grazie non sono obblighi; ma dall'altra parte, supposto che ci i precetti, è obbligato a darci l'aiuto necessario per osservarli; e siccome il Signore ci obbliga ad attualmente osservare ogni precetto nel tempo che quello urge, così anche attualmente deve.

Egli somministrarci l'aiuto (almeno mediato, e rimoto) necessario per osservare il precetto, senza bisogno d'altra grazia non comune a tutti.

Quindi conclude il Tomassino, che per accordare che la grazia sufficiente basti all'Uomo per salvarsi, e che all'incontro la grazia efficace sia necessaria per osservare tutta la legge bisogna dire che la grazia sufficiente basta a pregare, ed a fare simili atti facili, e che per mezzo di questi poi si ottiene l'efficace per adempire i difficili. E ciò è senza dubbio secondo la dottrina di S. Agostino, il quale insegna6: Eo ipso quo firmissime creditur Deum impossibilia non praecipere hinc admonemur et in facilibus quid agamus, et in difficilibus quid petamusi 7. Sul quale testo il citato Cardinal de Noris, dopo averlo riferito, similmente conclude dicendo: Igitur opera facilia, seu minus perfecta facere possumus, absque eo quod majus auxilium a Deo postulemus; quod tamen in difficilioribus petendum est8. Riferisce anche il Tomassino le autorità di S. Bonaventura, di Scoto, e d'altri a questo proposito, e dice9: Omnibus ea placuere sufficientia auxilia vere sufficientia, quibus assentitur quandoque voluntas,


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quandoque non. E ciò lo dimostra in quattro parti della sua Opera, adducendo le autorità delle Scuole per lunga serie d'anni, cominciando dall'anno 1100.

Haberto Vescovo Vabrense, e Dottore della Sorbona, che fu il primo a scrivere contro Gianseniol, dice così10: Censemus primo, quod immediate cum ipso effectu consensus completi (gratia) sufficiens non habet habitudinem, nisi contingenter, vel mediate... Arbitramur proinde gratiam sufficientem esse gratiam dispositionis ad efficacem, utpote ex cujus bono usu Deus postea gratiam completi affectus effectivam creatae voluntati concedat11.

E ciò lo dice dopo aver detto precedentementem: Catholici D D. omnes, dari gratiam aliquam vere intrinsecam, quae possit consensum voluntatis ad bonum elicere, nec tamen propter liberam voluntatis resistentiam eundem aliquando eliciat, omnibus in Scholis professi sunt, et profitentur12. E cita per questa dottrina Gammacheo, Duvallio, Isamberto, Perezio, Le-Moyne, ed altri13. Indin segue a dire: Auxilia igitur gratiae sufficientis sunt dispositiva ad efficacem, et efficacia secundum quid, effectus videlicet incompleti, impetrantis primo remote, propius, ac tandem proxime, qualis est actus Fidei, Spei, Timoris, atque inter haec omnia Orationis. Unde celeberrimus Alphonsus Lemoinus gratiam illam sufficientem docuit esse gratiam petendi, seu Orationis, de qua toties B. Augustinus14. Sicché secondo Haberto in ciò differisce la grazia efficace dalla sufficiente, ch'ella va unita coll'effetto compito; ma la sufficiente ottiene il suo effetto vel contingenter, cioè perché alle volte l'ottiene alle volte no: vel mediate, cioè per mezzo della Preghiera. Di più dice che la Grazia sufficiente, secondo il buon uso che se ne fa, dispone ad ottener l'efficace: ond'egli chiama la sufficiente, efficace secundum quid, cioè secondo l'effetto incominciato, ma non compito. Per ultimo dice che la grazia sufficiente è la grazia di pregare, della quale sta a noi l'avvalercene secondo S. Agostino. Sicché l'Uomo non ha scusa, se non fa quello al cui adempimento ha già la


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grazia sufficiente, colla quale senz'altro aiuto egli o opera, o almeno ottiene l'aiuto maggiore ad operare, ed asserisce Haberto, che questa dottrina era già comune nella Sorbona.

Carlo Du-Plessis d'Argentré, Teologo ancora Sorbonicoo 15, riferisce sopra mille Teologi, i quali di proposito insegnano che colla grazia sufficiente ben si fanno l'opere facili, e che operando l'Uomo colla sufficiente, impetra poi l'aiuto più abbondante per la sua perfetta conversione. E in tal senso appunto, come già dicemmo di sovra, dice doversi intendere quel celebre Assioma, accettato dalle Scuole, che facientibus quod in se est (s'intende sempre colla grazia sufficiente), Deus non denegat gratiam, cioè la più abbondante e l'efficace.

Il dottissimo Dionisio Petaviop 16 diffusamente prova, che colla sola grazia sufficiente ben l'Uomo opera; e giunge ad asserire, che il dire il contrario monstruosum esset; e che questa dottrina non è solo de' Teologi, ma è della Chiesa Quindi dice che la grazia di osservare i Precetti siegue all'Orazione, e che questo dono dell'Orazione Dio lo nello stesso tempo che impone i Precetti: Donum istud quo Deus dat ut jussa faciamus, effectum Orationis subsequitur; et talis effectus legi comes datur17. Onde siccome a tutti viene imposta la legge, così a tutti è dato il dono dell'Orazione.

L'autore della Teologia18 ad uso del Seminario Petrocorenseq dice che colla sola grazia sufficiente: Aliquis potest bene agere, et aliquando bene agit. In modo che, aggiunge: Nihil vetat, ut ex duobus, aequali auxilio praeventis, faciliores actus (plenam conversionem praecedentes) saepissime unus faciat, alius non. E ciò dice esser secondo la dottrina di S. Agostino,


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e S. Tommaso, e de' primi suoi Discepoli, specialmente del P. Bartolomeo Medinar, il quale scrisse: Cum sola gratia sufficienti aliquando homo convertitur. Ed ho trovato che lo stesso asserì come dottrina comune de' Teologi anche il P. Ludovico Granatas, il quale disse: Duo auxiliorum genera Theologi statuunt, alterum sufficiens, alterum superabundans; et quidem priori auxilio homines aliquando convertuntur, aliquando converti renuunt19. Ed appresso soggiunge: Et quidem prius illud auxilium ad homines quam latissime patet, Theologi definiunt. Quindi il Petrocorense dice20: Sic quosdam pietatis actus, nempe humiliter Deum deprecari, cum solo auxilio sufficienti (homo) facere potest, et aliquando facit, quibus se ad ulteriores gratias praeparat. Dicendo che questo è l'ordine della Divina Provvidenza circa le grazie, ut priorum bono usui posteriores succedant. E conclude che la piena conversione, e la perseveranza finale infallibiliter (homines) promerentur Oratione, pro qua sufficiens gratia, quae nulli non praesto est, plenissime sufficit.

Lo stesso tiene il Cardinal d'Aguirt 21 seguace in tutto di S. Agostino. Il P. Antonio Boucat dell'Ordine di S. Francesco di Paolau 22 difende, che ognuno può già coll'Orazione senza nuovo aiuto ottener la grazia della conversione; ed oltre Gammacheo, Duvallio, Haberto, Le-Moyne, cita23 per questa sentenza Pietro di Tarantasia Vescovo Tullense,


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Goderto de' Fonti, Enrico da Cantavo Dottori Sorbonici, col Signor Lygnì Professore Regio, che nel suo trattato de Gratia dimostra che la grazia sufficiente non solo il pregare, come han detto il Le-Moyne e il Professore Elia24, ma anche il fare alcune opere meno difficili. Lo stesso scrisse Gaudenzio Buontempiv 25, dimostrando che colla grazia sufficiente si ottiene l'efficace per mezzo della Preghiera, la quale si a tutti che vogliono avvalersene. Il Cardinal Roberto Pulloz 26 stabilisce due grazie, una sempre vittrice, ed un'altra con cui l'Uomo alle volte opera, ed altre no: Alia (son sue parole) qua adjutus Homo utrumlibet aut gratiae cooperans agit, aut ea spreta malum agere non desistit27. Della stessa sentenza è ancora il dotto P. Fortunato da Bresciax, tenendo che tutti hanno la grazia mediata dell'Orazione per osservare i Precetti, ed ha per indubitato, lo stesso aver tenuto S. Agostino.

28 Riccardo di S. Vittorey 29 similmente insegna esservi una grazia sufficiente, alla quale talvolta l'Uomo acconsente, ed altre volte resiste. Domenico Sotoaa, dimanda, perché di due persone che Dio è prontissimo ed aspira a convertire, l'uno viene tirato dalla grazia, e l'altro


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no? E risponde: Alia ratio reddi non potest, nisi quod alter praebet consensum, et cooperatur, alter vero non cooperatur30. Mattia Felicio, che scrisse contro Calvinoab, definisce la grazia ordinaria, o sia sufficiente così: Est motio Divina, sive instinctum quo movetur Homo ad bonum, nec alicui denegatur. Homines diversimode se habent ad illud instinctum, alii namque illi acquiescunt, sicque ad gratiam habitualem de congruo disponuntur, quia facientibus quod in se est non defore Deus creditur; alii repugnant31. Andrea Vegaac dice similmente: Haec autem auxilia quae omnibus dantur, a plerisque inefficacia vocantur, quia non semper habent suum effectum, sed aliquando a peccatoribus frustrantur32. Dunque le grazie sufficienti alle volte hanno il loro effetto, ed altre no.

Il Cardinal Gotti in un luogo della sua Teologiaad par che da noi non dissenta, poiché facendosi ivi l'opposizione, come l'Uomo possa perseverare se vuole, quando non è in suo potere aver l'aiuto speciale che richiedesi a perseverare, risponde che sebbene quell'aiuto speciale non è in poter dell'Uomo, in potestate tamen Hominis (son le sue parole) dicitur esse, quod ipse per Dei gratiam potest ab Eo petere, ac obtinere; et hoc modo in Hominis potestate dici potest esse, ut habeat auxilium ad perseverandum necessarium, illud impetrando orationibus33. Onde per verificarsi che sia in potestà dell'Uomo il perseverare, siccome è necessario che possa coll'Orazione impetrar l'aiuto ad attualmente perseverare, senza bisogno d'altra grazia; così anche è necessario che colla sola grazia sufficiente a tutti comune, senza bisogno d'altra grazia speciale, egli possa attualmente pregare, e colla preghiera ottener poi la perseveranza; altrimenti non può dirsi che ciascuno abbia la grazia necessaria a perseverare, almeno remota e mediata per mezzo della Preghiera. Che se poi ciò non l'intende così l'Eminentissimo Gotti, certamente così l'intende S. Francesco di Sales, dicendo che la grazia di pregare in atto è data ad ognuno che vuol avvalersene, e da ciò deduce esser in potere di ognuno il perseverare. Chiaramente ciò dice il Santo nel suo Teotimoae ivi dopo aver dimostrato esser necessario continuamente pregare,


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per ottenere da Dio il dono della perseveranza finale, soggiunge: Or perché il dono dell' Orazione e liberamente promesso a tutti coloro che vogliono consentire alle celesti ispirazioni, per conseguenza è in nostro potere il perseverare34. E lo stesso insegna il Cardinal Bellarmino, dicendo: Auxilium sufficiens ad salutem pro loco et tempore, mediate vel immediate omnibus datur... Dicimus mediate vel immediate, quoniam iis qui usu rationis utuntur, immitti credimus a Deo sanctas inspirationes, ac per hoc immediate illos habere gratiam excitantem, cui si acquiescere velint, possint ad justificationem disponi, et ad salutem aliquando pertingereaf 35.

Ma veniamo a vedere le prove di questa sentenza. Ella si prova primieramente coll'autorità dell'Apostolo, il quale ci assicura che Dio è fedele, e non permetterà mai che siam tentati oltre le nostre forze mentr'Egli ci sempre l'aiuto (o immediato, o mediato per mezzo dell'Orazione) a resistere agl'insulti de' Nemici: Fidelis Deus, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet cum tentatione proventum, ut possitis sustinere. 1. Cor. 10. 13. Giansenio dice intendersi questo testo de' soli Predestinati, ma questo suo commento non ha alcun fondamento; poiché S. Paolo scrive a tutt'i Fedeli di Corinto, che certamente non supponea tutti predestinati. Onde giustamente S. Tommaso l'intende generalmente per tutti, e dice che Dio non sarebbe fedele se non ci concedesse (in quanto a Sé spetta) quelle grazie, per mezzo delle quali possiamo conseguir la salute: Non autem videretur esse fidelis, si nobis denegaret, in quantum in Ipso est, ea per quae pervenire ad Eum possemusag 36. In oltre si prova con tutte quelle Scritture, con cui ci esorta il Signore a convertirci, ed a ricorrere a Lui per domandargli le grazie necessarie alla salute, colla promessa di esaudirci se ricorriamo: Sapientia foris praedicat... dicens: Usque quo parvuli diligitis infantiam, et stulti ea quae sibi sunt noxia, cupient; etc. Convertimini ad correptionem meam. En proferam vobis spiritum meum; quia vocavi, et renuistis etc. Ego quoque in interitu vestro ridebo, et subsannabo vos. Prov. 1, ex. v. 20. Ella sarebbe affatto irrisoria quest'esortazione Convertimini, dice il Bellarminoah 37 se Dio non concedesse a' peccatori l'aiuto almeno mediato dell'Orazione


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per convertirsi. Oltreché nel medesimo testo riferito, già s'esprime la grazia interna, (En proferam vobis spiritum meum), colla quale Dio chiama i peccatori, e loro l'aiuto attuale a convertirsi se vogliono. Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos. Matth. 11. 28. Venite, et arguite me, dicit Dominus, si fuerint peccata vestra ut coccinum, quasi nix dealbabuntur. Isa. 1. 18. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. E lo stesso ci dice il Signore in mille altri luoghi di sovra riferiti. Or se Dio non desse ad ognuno la grazia di attualmente ricorrere a Lui, e di attualmente pregarlo, sarebbero vani tutti quest'inviti, ed esortazioni, col dire: Venite tutti, ed lo vi contenterò. Cercate, e vi sarà dato.

Si prova per secondo, e chiaramente col testo del Concilio di Trento nella Sess. 6. al c. 11. Prego il Lettore a leggere con attenzione questa pruova del Tridentino, la quale (se non m'inganno) pare evidente. Diceano i Novatori, ch'essendo stato privato l'Uomo del libero arbitrio per lo peccato di Adamo, al presente la volontà dell'Uomo negli atti buoni niente opera, ma è indotta passivamente a riceverli da Dio, senza ch'ella gli produchi; e quindi inferivano esser impossibile l'osservanza dei precetti a coloro che non sono efficacemente mossi e predeterminati dalla Grazia ad evitar il male, e ad operar il bene. Contro questo errore pronunziò il Concilio la sentenza presa da S. Agostino: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possis38.

Il Concilio dunque affin di provare contro gli Eretici, che i Divini Precetti a niuno sono impossibili, ha dichiarato che tutti gli Uomini hanno l'aiuto a far il bene, o almeno la grazia della preghiera con cui ottengono poi l'aiuto maggiore a farlo. Il che s'intende, che ognuno colla grazia comune può far le cose facili (com'è il pregare) senza bisogno d'altra grazia straordinaria, e col pregare impetrar la forza a far le cose difficili, secondo la dottrina di S. Agostinoai già riferita di sopra: Eo ipso quod firmissime creditur, Deum justum et bonum impossibilia non potuisse praecipere, hinc admonemur, et in facilibus quid agamus, et in difficilibus quid petamusal 39. Sicché secondo il Concilio i Divini Precetti a tutti son possibili almeno per mezzo della Preghiera, colla quale s'ottiene poi l'aiuto maggiore per osservarli. Se dunque Dio a tutti ha imposti


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i suoi precetti, ed a tutti ha renduta possibile la di loro osservanza almeno mediatamente per mezzo della Preghiera, necessariamente dee concludersi che tutti hanno la grazia di pregare; altrimenti a chi mancasse questa grazia, non sarebbero possibili i precetti. E siccome il Signore per mezzo della Preghiera la grazia attuale ad operare il bene e con ciò rende possibili tutt'i suoi Precetti; così anche a tutti la grazia attuale di pregare: altrimenti a chi non avesse l'attual grazia di pregare, si renderebbero impossibili i precetti, non potendo costui almeno per mezzo della Preghiera impetrar l'aiuto ad osservarli

Posto ciò, non vale il dire che quelle parole, Monet (Deus) facere quod possis, et petere quod non possis, s'intendano del solo poter pregare non già dell'attualmente pregare; perché (rispondiamo) se la grazia comune ed ordinaria non desse altro che il poter pregare, ma non l'attualmente pregare, non avrebbe detto il Concilio, Monet facere quod possis, et petere quod non possis. Ma avrebbe detto: Monet posse facere et posse petere. Oltreché se il Concilio non avesse voluto qui altro dichiarare se non che ognuno può osservare i precetti, o che può pregare per impetrar la grazia per osservarli, e non avesse inteso parlare della grazia attuale, non avrebbe detto Monet facere quod possis poiché il Monet propriamente si riferisce all'attuale operazione; ed importa non già l'istruir la mente, ma il muovere la volontà a far quel bene ch'ella attualmente può già fare. Avendo detto dunque, Monet facere quod possis, et petere quod non possis, troppo chiaramente ha espresso non solo il poter operare, e il poter pregare, ma anche l'attualmente operare, e l'attualmente pregare; mentreché se l'Uomo per operare, e pregare in atto, avesse bisogno d'altra grazia straordinaria che non ha, a che l'ammonirebbe il Signore a fare, o a chiedere quel che non può attual mente fare, né chiedere senza la grazia efficace? Saggiamente parlando su questo punto il P. Fortunato da Brescia dice così40: Se a tutti non fosse data la grazia attuale di pregare, ma per pregare vi bisognasse la grazia efficace, non comune a tutti, il pregare sarebbe impossibile a molti a cui manca questa grazia efficace; onde malamente si direbbe che Dio monet petere quod non possis, perché ammonirebbe a fare una cosa, all'adempimento della quale manca l'aiuto attuale, senza cui non può adempirsi. Sicché la Divina ammonizione ad operare, ed a pregare dee intendersi dell'operare, e del pregare in atto, senza bisogno d'altra


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grazia straordinaria. E ciò appunto volle darci ad intendere S. Agostino, dicendo: Hinc admonemur et in facilibus quid agamus, et in difficilibus quid petamus; poiché suppone che se tutti non hanno la grazia di far le cose difficili, almeno tutti hanno la grazia di pregare essendo già a tutti facile il pregare, come similmente suppone, con aver già prima detto ciò che poi ha insegnato il Tridentino: Monet Deus facere quod possis, et petere quod non possis. Restringiamo l'argomento. Dice il Concilio che Dio non impone precetti impossibili, perché o l'aiuto per osservarli, o la grazia di pregare per ottenere quest'aiuto, che pregato già dona. Or se mai fosse vero, che 'l Signore non a tutti la grazia, almeno mediata della Preghiera per osservare attualmente tutt'i suoi Precetti, sarebbe vero quel che dicea Giansenio, che per alcuni Precetti manca già la Grazia anche all'Uomo giusto per osservarli in atto.

Io non saprei come potesse intendersi e spiegarsi altrimenti il citato Testo del Tridentino, se la grazia sufficiente non desse a tutti il poter attualmente pregare, senza la grazia efficace, supposta necessaria da Contrari a porre in atto ogni opera pia. E supposta tal necessita (come questi vogliono) della nuova grazia per attualmente pregare, io non saprei intendere, come potrebbe aver luogo quell'altro documento del medesimo Concilio: Deus sua gratia semel justificatos non deserit, nisi prius ab eis deseratur. Sess. 6. cap. 11. Se anche (io dico) ad attualmente pregare non bastasse la grazia sufficiente ordinaria, ma vi bisognasse l'efficace non comune a tutti, avverrebbe che quand'il Giusto fosse tentato a commettere il primo peccato mortale, e Dio non gli desse la grazia efficace, almeno di pregare per ottenere la forza a resistere, allora non resistendo colui alla tentazione, dovrebbe più tosto dirsi che 'l Giusto da Dio è abbandonato, prima ch'egli abbandoni Dio, per mancargli la grazia efficace necessaria a resistere.

Oppongono gli Avversari un certo passo di S. Agostino, dove

par che dichiari il Santo che la grazia della Preghiera non è donata a tutti: Nonne aliquando ipsa oratio nostra sic tepida est, vel potius frigida, et pene nulla, et ita nulla ut neque hoc in nobis cum dolore advertamus, quia si hoc nolemus, jam oramusam 41. Ma saggiamente a ciò risponde il Card.


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Sfondratian dicendo: Aliud est peccatores non orare, aliud non habere qua orare possint42. Non dice S. Agostino che manchi ad alcuni la grazia di orare come si dee, dice solamente che alle volte la nostra Orazione, è talmente fredda che quasi è nulla, non già per mancanza dell'aiuto Divino a pregare meglio, ma per nostra colpa, che rende nulla la Preghiera. Dello stesso modo43 risponde Tournely parlando della prima Proposizione dannata di Giansenio, e dice: Justi non orant semper, ut oportet. Eorum culpa est, quod ita non orent, cum habeant ex gratia vires ad orandum. S. Augustinus ait quidem orationem nostram aliquando frigidam, ac paene nullam esse; at non ait deesse gratiam, per quam oratio ardentior fieri posset44. Oltreché sul detto passo di S. Agostino scrive il Cardinal de Norisao che coll'Orazione tepida almeno si ottiene l'Orazione più fervorosa, e con questa poi s'ottiene la grazia efficace ad osservare i precetti45: Colligo ipsammet tepidam Orationem fieri a nobis cum adjutorio sine quo non, ac ordinario concursu Dei, cum sint actus debiles etc. et tamen tepida Oratione impetramus spiritum ferventioris Orationis, qui nobis adjutorio quo donatur. E ciò46 lo conferma coll'autorità del medesimo S. Dottore, il quale sul Salmo 17. scrisse così: Ego libera et valida intentione preces ad Te direxi, quoniam ut hanc habere possem, exaudisti me infirmius orantem47.

osta similmente48 quel che sulle parole di S. Paolo, Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus, dice lo stesso S. Agostino, che lo Spirito Santo è quegli che interpellare nos facit, nobisque interpellandi affectumap 49. Poiché il Santo con ciò altro non vuol dire contro i Pelagiani, che niuno può pregare senza la grazia. E così lo spiega Egli medesimo commentando il Salmo 52. dove scrive: Quod dono Illius tu facis, Ille facere dicitur: quia sine Illo tu non faceres50.


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Per terzo si prova la nostra sentenza con quel che ne dicono i Ss Padri. S. Basilioaq dice: Ubi tamen quis permissus est in tentationem incidere, eventum, ut sufferre possit, et voluntatem Dei per Orationem petere51. Dice dunque il Santo, che quando Dio permette che l'Uomo sia tentato, lo fa acciocch'egli resista, domandando la Divina Volontà, cioè la grazia per conseguir la vittoria. Dunque suppone il Santo, che dove l'Uomo non ha l'aiuto bastante a vincer la tentazione, almeno ha l'aiuto attuale e comune della Preghiera, per ottenere la grazia maggiore che vi bisogna. S. Giovan Grisostomo in un luogoar dice: Legem dedit, quae vulnera patefaceret, ut Medicum optarent52. Ed in un altroas: Nec quisquam poterit excusari, qui hostem vincere noluit, dum orare cessavit53. Se taluno non avesse la grazia necessaria ad attualmente pregare, e colla Preghiera ottener l'aiuto a resistere, potrebbe scusarsi se resta vinto. Lo stesso dice S. Bernardoat: Qui sumus nos? aut quae fortitudo

nostra? hoc quaerebat Deus, ut videntes defectum nostrum, et quod non esset auxilium aliud, ad ejus Misericordiam tota humilitate curramus54. Dunque il Signore ci ha imposto una legge impossibile secondo le nostre forze, a fine che ricorrendo a Lui e pregando otteniamo la forza di osservarla; ma se a taluno fosse negata la grazia di attualmente pregare, a costui si renderebbe affatto impossibile la legge. Multi (dice lo stesso S. Bernardo) queruntur deesse sibi Gratiam, sed multo justius Gratia quereretur deesse sibi multos55. Ha molta più ragione il Signore di lagnarsi di noi, perché manchiamo alla Grazia, colla quale ci assiste, che noi di lagnarci che ci manchi la grazia.


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Ma niun Padre lo dice più chiaro di S. Agostino in moltissimi luoghi. In un luogo dice56: Magnum aliquid Pelagiani se scire putant, quando dicunt: non juberet Deus quod sciret non posse ab homine fieri. Quis hoc nesciat? Sed ideo jubet aliqua quae non possumus, ut noverimus quid ab Illo petere debeamusau 57. In un altro luogo dice: Non tibi deputatur ad culpam quod invitus ignoras, sed quod negligis quaerere quod ignoras; neque illud quod vulnerata membra non colligis, sed quod volentem sanare contemnis Ista tua propria peccata sunt: nulli enim homini ablatum est scire utiliter quaerereav 58. Sicché, dice il Santo, a niuno negarsi la grazia di pregare, e colla Preghiera ottener l'aiuto a convertirsi; altrimenti mancando questa grazia non potrebbe imputarsegli a colpa, se non si converte. In altro luogo59: Quid ergo aliud ostenditur nobis, nisi quia et petere, et quaerere, et pulsare Ille concedit, qui ut haec faciamus jubetaz?. In altro luogo: Semel accipe, et intellige: nondum traheris? Ora ut traharisax 60. In altro luogoay dice: Quod ergo ignorat (anima) quid sibi agendum sit, ex eo quod nondum accepit; sed hoc quoque accipiet, si hoc quod accipit bene usa fuerit; accepit autem, ut pie et diligenter quaerat, si volet61. Si noti, Accepit autem, ut pie et diligenter quaerat; dunque ognuno ha la grazia necessaria a pregare, della quale se ben si avvale, riceverà la grazia a fare ciò che prima non poteva immediatamente fare. In altro luogoba 62: Homo qui voluerit, et non potuerit, oret ut habeat tantam (voluntatem), quanta sufficit ad implenda mandata; sic quippe adjuvatur, ut faciat quod jubetur In altrobb 63: Praecepto admonitum est liberum arbitrium, ut quaereret Dei donum; at quidem sine suo fructu admoneretur, nisi prius acciperet aliquid dilectionis, ut addi sibi quaereret, unde quod jubebatur impleret. Si noti,


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Aliquid dilectionis: ecco la grazia sufficiente, per cui l'Uomo può poi pregando impetrare la grazia attuale di adempire il precetto, ut addi sibi quaereret, unde quod jubebatur impleret. In altro luogobc dice64: Jubet ideo, ut facere justa conati, et nostra infirmitate faticati, adjutorium Gratiae poscere noverimus65. Con ciò suppone già il Santo che noi colla grazia ordinaria non possiamo già fare le cose difficili, ma possiamo per mezzo della Preghiera ottener l'aiuto necessario a soddisfarle. E quindi siegue a dire66: Lex subintravit, ut abundaret delictum, cum homines adjutorium gratiae non implorant; cum autem vocatione Divina intelligunt cui sit ingemiscendum, et invocant Eum, fiet quod sequitur: Ubi abundavit delictum, superabundavit et gratia. Qui si vede espressa, come dice Petavio67, la mancanza della grazia abbondante, e l'assistenza all'incontro della grazia ordinaria e comune, colla quale si prega, e la quale dal Santo qui è chiamata Vocazione Divina.

In altro luogo dice: Hoc restat in ista mortali vita (cioè il libero arbitrio), non ut impleat homo justitiam, cum voluerit, sed ut se supplici pietate convertat ad Eum cujus dono eam possit implerebd 68. Dicendo dunque S. Agostino che l'Uomo è impotente ad osservar tutta la legge, e ch'altro non gli resta ad impetrar l'aiuto a soddisfarla, che il mezzo della Preghiera, suppone certamente che il Signore dona ad ognuno la grazia di attualmente pregare, senza bisogno d'altro aiuto straordinario, e non comune a tutti; altrimenti, se mancasse quest'altro aiuto speciale, nihil restaret arbitrio, per osservare attualmente tutt'i Divini precetti, almeno i più difficili. E così parlando il Santo, non può certamente intendere


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che la grazia sufficiente solamente la potenza, ma non già l'atto di pregare; perché in quanto alla potenza, è certo che per la grazia sufficiente ella si dona a qualunque opera difficile; dunque certamente intende il S. Dottore (come già insegna in altro luogo) che le cose facili come è il pregare, ben possono attualmente adempirsi da ciascuno colla grazia sufficiente, e le difficili poi coll'aiuto che s'impetra per mezzo della Preghiera.

Sovra tutto69 fanno al caso due testi di S. Agostino. Il primo è questo: Certum est nos mandata servare, si volumus; sed quia praeparatur voluntas a Domino, ab Illo petendum est, ut tantum velimus quantum sufficit, ut volendo faciamusbe 70. Dice dunque il Santo esser certo che noi osserveremo i Precetti, se vogliamo: all'incontro dice che per voler osservarli, e per osservarli in effetto, dobbiamo pregare. Dunque a tutti ci è data la grazia di pregare, e col pregare di ottenere la grazia abbondante che

Ci fa osservare i Precetti; altrimenti, se per attualmente pregare vi bisognasse la grazia efficace, non comune a tutti, coloro a' quali questa non fosse data, non potrebbero osservare, né aver la volontà di osservare i precetti.

Il secondo testo è questobf dove il Santo Dottore risponde a'

Monaci Adrometini, i quali diceano così: S'è necessaria la Grazia, e senza questa io non posso far niente, perché correggere me che non posso operare, e non ho la grazia di farlo? pregate più presto voi il Signore per me, che mi doni questa grazia, ora potius pro me. E 'l Santo risponde loro: Voi dovete esser corretti, non perché non operate non avendo la forza, ma perché non pregate per ottener questa forza71: Qui corripi non vult (son le parole del Santo), et dicit, ora potius pro me; ideo est; ut faciat etiam ipse pro se, cioè ut oret etiam ipse pro se72.

Ora se il Santo non avesse creduto che ognuno ha la grazia, colla quale prega (se vuole) senza bisogno d'altro aiuto, non avrebbe potuto dire che colui dovea esser corretto, perché non pregava, mentre questi


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avrebbe potuto replicare: ma se io non debbo esser corretto non operando, poiché non ho la grazia speciale ad operare, similmente non posso esser corretto, se non prego, quando non ho la grazia speciale di attualmente pregare. Lo stesso scrive S. Agostino in altro luogo dicendo73: Non se fallant qui dicunt, ut quid nobis praecipitur, ut declinemus a malo, et faciamus bonum, si id velle, et operari Deus operatur in nobis?74 E risponde il Santo, che gli Uomini allorché fanno il bene, debbono renderne grazia a Dio, che loro dona la forza di farlo; quando poi non lo fanno, debbono pregare, per ricevere questa forza che non hanno:

Quando autem non agunt (sono le sue parole), orent ut quod nondum habent accipiantbg. Or se questi non avessero neppure la grazia per pregare attualmente, potrebbero rispondere: Ut quid nobis praecipitur ut oremus, si orare Deus operatur in nobis? Come vogliamo pregare, se non riceviamo l'aiuto necessario per attualmente pregare?

S. Tommaso non parla espressamente della Preghiera, ma suppone per certo quel che noi asseriamo, mentre dice: Hoc ad Divinam Providentiam pertinet, ut cuilibet provideat de necessariis ad salutem, dummodo ex parte ejus non impediaturbh. Posto dunque da una parte, che Dio a tutti le grazie necessarie alla salute; e dall'altra, che per pregare è necessaria la grazia che ci somministri il potere attualmente pregare, e colla Preghiera l'ottenere poi l'aiuto maggiore ad operare quel che non possiamo fare coll'aiuto ordinario, dobbiamo necessariamente dire, che Dio dona a tutti la grazia sufficiente di attualmente pregare, se vogliamo, senza bisogno della grazia efficace. Aggiungasi

qui quel che dice il Bellarmino, rispondendo agli Eretici, i quali dalle parole del Salvatore, Nemo potest venire ad me, nisi Pater meus traxerit eum, n'inferivano non poter andare a Dio, chi da Lui non fosse propriamente tratto: Respondemus, scrive il Bellarmino, eo solum concludi non habere omnes auxilium efficax, quo re ipsa credant; non tamen concludi non habere omnes saltem auxilium quo possint credere, vel certe quo possint auxilium peterebi 75.


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Veniamo per terzo ed ultimo a veder le ragioni di questa sentenza Il dottissimo Petavio76 con Duvallio ed altri Teologi dimanda così Perché Dio c'impone cose che noi non possiamo osservare colla grazia comune ed ordinaria? Perché (risponde) vuole il Signore, che noi ricorriamo a Lui coll'Orazione, secondo parlano comunemente i santi Padri, come abbiamo veduto di sopra. Quindi deduce dover tenere noi per certo, che ognuno ha la grazia di attualmente pregare, e colla Preghiera d'impetrare l'aiuto maggiore a fare quel che non possiamo colla grazia comune; altrimenti Iddio ci avrebbe imposta una legge impossibile; la ragione è molto forte. A questa può aggiungersi quell'altra ragione; che se Dio comanda a tutti l'attuale osservanza de' Precetti, dee necessariamente supporsi, che anche doni comunemente a tutti la grazia necessaria per l'attuale osservanza di quelli, almeno mediatamente per mezzo della Preghiera. Acciocché dunque la legge sia ragionevole e sia giusto il rimprovero a chi non l'osserva, bisogna che ciascuno abbia la potenza sufficiente, almeno mediata per mezzo dell'Orazione, a sodisfare attualmente i precetti ed alle volte ori senza bisogno d'altro aiuto non comune a tutti; altrimenti mancando questa potenza mediata o sia rimota ad attualmente orare, non può dirsi che ognuno abbia da Dio la grazia sufficiente ad attualmente osservare la legge.

Il Tomassino77, e il Tournely accumulano ed assegnano molte altre ragioni per questa sentenza, ma tutte queste io le tralascio, e mi appiglio ad una ragione78, che mi sembra evidente. Questa ragione è fondata sul Precetto della Speranza, per cui siam tutti noi obbligati a sperare certamente da Dio la vita Eterna; e dico, che se noi non fossimo certi, che Dio dona a tutti la grazia di poter attualmente pregare senza bisogno d'altra grazia particolare, e non comune a tutti, niuno senza special rivelazione potrebbe sperar come si dee la salute. Mi si permetta pertanto, che prima io esponga i fondamenti di questa ragione.

La virtù della Speranza è così cara a Dio, ch'Egli s'è dichiarato che trova le sue compiacenze sovra coloro che in lui confidano: Beneplacitum est Domino... in eis, qui sperant in misericordia ejus. Ps. 146. 11. E


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promette la vittoria de' nemici, la perseveranza nella sua Grazia, e la Gloria eterna a chi spera, e perché spera: Quoniam in me speravit, liberabo eum, protegam eum... eripiam eum, et glorificabo eum. Psal. 90. 14. Salvabit eos, quia speraverunt. Psal. 36. 40. Conserva me, quoniam speravi in te. Psal. 15. 1. Nullus speravit in Domino, et confusus est. Eccl. 2. 11. E siam certi che mancheranno il Cielo e la Terra, ma le parole, e le promesse di Dio non possono mancare. Caelum et terra transibunt, verba autem mea non pertransibunt79. Matth 24. 35. Dice dunque S. Bernardo che tutto il nostro merito consiste in riponere in Dio tutta la nostra confidenza: Hoc totum hominis meritum, si totam spem suam ponat in eobl 80. La ragione è, perché quegli che spera in Dio, molto l'onora: Invoca me in die tribulationis, eruam te, et honorificabis me. Psal. 49. 15. Onora la Potenza, la Misericordia, e la Fedeltà di Dio, credendo che Dio può e vuole salvarlo, e non può mancare alle promesse di salvare chi in Esso confida.

E ci assicura il Profeta, che quanto sarà maggiore la nostra confidenza, tanto maggiormente si diffonderà sopra di noi la Divina Misericordia: Fiat Misericordia tua super nos, quemadmodum speravimus in te. Psal. 32. 22.

Or questa virtù della Speranza, perché tanto piace al Signore, Egli ha voluto imporcela con precetto grave, come dicono comunemente i Teologi, e come costa da più luoghi della Scrittura: Sperate in eum omnis congregatio populi. Psal. 61. 9. Qui timetis Dominum, sperate in Illum. Eccli. 2. 9. Spera in Deo tuo. Ose. 12. 6. Sperate in eam, quae vobis offertur gratiam 1. Petr. 1. 13. Questa speranza poi della vita eterna dev'esser in noi ferma e certa, come già la definisce S. Tommasobm: Spes est certa exspectatio Beatitudinis. E l'ha anche dichiarato espressamente il sagro Concilio di Trento, dicendo: In Dei auxilio. firmissimam spem collocare et reponere omnes debent; Deus enim nisi ipsi illius Gratiae defuerint, sicut coepit opus bonum ita perficiet, operans velle et perficere81. E prima lo dichiarò S. Paolo parlando di Se stesso:Scio cui credidi, et certus sum, quia potens est depositum meum servare. 2. Tim. 1. 12. Ed in ciò differisce la Speranza Cristiana dalla speranza mondana; la mondana per essere speranza,


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basta che sia un'aspettazione incerta, né può essere altrimenti, perché sempre può dubitarsi, se l'Uomo che ha promesso il dono, abbia al presente, o pure appresso muti, la volontà di donare. Ma la Speranza Cristiana della salute eterna, è certa dalla parte di Dio, mentr'Egli può e vuole salvarci, ed ha promessa la salute a chi osserva la sua legge; promettendo anche a tal fine le grazie necessarie, per osservar questa legge a chi gliele domanda.

È vero che la Speranza viene accompagnata ancora dal timore, come dice l'Angelicobn: ma questo timore non nasce già dalla parte di Dio, ma dalla parte nostra, perché sempre noi possiamo mancare (non corrispondendo come dobbiamo), e mettere impedimento alla Grazia colle nostre colpe. Onde con ragione il Tridentino ha condannati i Novatori, i quali perché privano affatto l'Uomo di libero arbitrio, vogliono che ogni Fedele debba avere una certezza infallibile della perseveranza, e della salute. Questo è errore condannato già dal Tridentino (Sess. 6, cap. 13. et Can. 15. et 16.)82; perché, come abbiam detto, a conseguir la salute è necessaria ancora la nostra corrispondenza, e questa nostra corrispondenza è incerta, e fallibile. Onde il Signore vuole da una parte, che sempre noi temiamo di noi stessi, acciocché non cadiamo in presunzione con fidarci delle nostre forze; ma all'incontro vuole che noi stiamo certi della sua buona Volontà, e del suo aiuto a salvarci83, sempreché glielo domandiamo, affinché abbiamo nella sua Bontà una confidenza certa. Dice S. Tommasobo che noi dobbiamo certamente aspettare da Dio la Beatitudine eterna, fidati nella sua Potenza, e Misericordia, credendo84 che Dio può, e vuole salvarci: De potentia Dei, et misericordia Ejus certus est quicunque fidem habet.

Sicché dovendo esser certa la Speranza della nostra salute85 in Dio (secondo dice S. Tommaso, Certa expectatio Beatitudinis86), per conseguenza dee esser certo il motivo di sperare; altrimenti, se non fosse certo il fondamento di questa Speranza, ma fosse dubbio, noi non potressimo sperare ed aspettare certamente da Dio la salute, ed i mezzi a quella necessari. Ma S. Paolo vuole che senza meno noi siamo stabili ed immobili nella Speranza se vogliamo salvarci: Si tamen permanetis


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in fide fundati, et stabiles et immobiles a spe Evangelii quod audistis. Coloss. 1 23. Ed in altro luogo lo conferma, dicendo che la nostra Speranza dee essere immobile come un'ancora sicura e ferma, mentr'ella è fondata sulle promesse di Dio, che non può mentire: Cupimus autem unumquemque vestrum tandem ostentare solicitudinem ad expletionem spei usque in finem... ut per duas res immobiles, quibus impossibile est mentiri Deum, fortissimum solatium habeamus, qui confugimus ad tenendam propositam spem; quam sicut anchoram habemus animae tutam ac firmam. Hebr. 6. n. 11. et 19. Quindi dice S. Bernardo che la nostra Speranza non può essere incerta, poich'ella è appoggiata sulle promesse Divine: Neque enim vana nobis haec exspectatio, aut dubia spes videtur, innixi nimirum aeternae promissionibus Veritatisbp 87. E parlando di se stesso, in tre cose (dice in altro luogo) consiste la mia Speranza, nell'amore col quale Dio ci ha adottati per figli, nella verità della sua promessa, e nella sua potenza di adempirla: Tria considero, in quibus spes mea consistit: caritatem adoptionis, veritatem promissionis, potestatem redditionisbq 88.

E perciò vuole l'Apostolo S. Giacomo, che chi desidera le Divine grazie bisogna che le dimandi a Dio, non con esitazione, ma con certa fiducia d'ottenerle:Postulet autem in fide nihil haesitans. Jac. 1. 6. Altrimenti dice che se le chiederà agitato dalla esitazione, egli niente otterrà: Qui enim haesitat, similis est fluctui maris, qui a vento movetur, et circumfertur; non ergo aestimet homo ille, quod accipiet aliquid a Domino. Ibid. 6. et 8. E S. Paolo in ciò loda Abramo perché niente dubitò della Divina promessa, sapendo che quando Dio promette, non può mancare: In repromissione etiam Dei non haesitavit diffidentia, sed confirmatus est fide, dans gloriam Deo; plenissime sciens, quia quaecumque promisit, potens est et facere. Rom. 4. 20. Perciò anche ci ammonì Gesù Cristo, che noi allora riceveremo tutte le grazie che desideriamo, quando le chiederemo con certa credenza di riceverle: Propterea dico vobis, omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis. Marc. 11. 24. In somma Dio non vuole esaudirci, se non crediamo con certezza d'essere esauditi.

Or veniamo89 al nostro punto. La nostra Speranza dunque della salute, e de' mezzi necessari per quella dee esser certa in Dio per sua


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parte. I motivi che fondano questa certezza, come abbiam veduto sono la Potenza, la Misericordia, e la Fedeltà Divina: ma tra questi motivi il più forte e più certo è la Fedeltà infallibile di Dio nella promessa, che ci ha fatta per li Meriti di Gesù Cristo, di salvarci, e di donarci le grazie necessarie a conseguir la salute, poiché quantunque crediamo che Iddio è d'infinita Potenza e Misericordia, nulladimeno (ben avverte Giovenino90) noi non potressimo sperare con certa fiducia la salute dal Signore, s'Egli non ce l'avesse certamente promessa. Ma questa promessa ella è condizionata, se noi corrispondiamo colle opere91 e se preghiamo, come costa dalle Divine Scritture: Petite et accipietis92. Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis. Dabit bona petentibus se. Oportet semper orare. Non habetis propter quod non postulatis..93 Si quis indiget sapientia, postulet a Deo94. E da altri molti simili testi, che di sovra abbiam riferiti. Che perciò dicono comunemente i santi Padri, ed i Teologi, come provammo al Capo I. della Prima Parte, che la Preghiera è mezzo necessario alla salute.

Or se noi non fossimo certi, che Dio a tutti la grazia di poter attualmente pregare, senza bisogno d'altra grazia speciale, non comune ad ognuno, noi non potressimo aver fondamento certo e stabile in Dio di certamente sperare la salute, ma solamente incerto, e condizionato. Quand'io son certo che pregando otterrò la Vita eterna, e tutte le grazie necessarie per conseguirla, e so che Dio non mi negherà (poiché a tutti la concede) la grazia di attualmente pregare, se voglio, allora io ho fondamento certo di sperare da Dio la salute, se per me non manca.

Ma quando dubito, se Dio mi darà o no la grazia particolare, che non dona a tutti, e ch'è necessaria per attualmente pregare, io allora non ho fondamento certo in Dio di sperar la salute, ma solamente dubbio ed incerto, essendomi incerto se Dio mi darà questa grazia speciale, che mi bisogna per pregare, giacché la nega a molti. E questa incertezza allora non sarebbe solo dalla parte mia, ma anche dalla parte di Dio, ed ecco allora distrutta la Speranza Cristiana, la quale secondo l'Apostolo dee essere immobile, ferma e sicura. Dico la verità, io non so come il Cristiano poss'adempire il precetto della Speranza, sperando come dee con certa fiducia da Dio la salute, e le grazie necessarie per quella, senza


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tenere per certo che Dio comunemente ad ognuno la grazia di attualmente pregare, se vuole, senza bisogno d'altro aiuto speciale.

Sicché per concludere, col nostro Sistema, o sia Sentenza (tenuta già da tanti Teologi, e dalla nostra minima Congregazione) ben si accorda da una parte la grazia intrinsecamente efficace, colla quale noi infallibilmente (benché liberamente) facciamo il bene; poiché non puo negarsi, che Iddio ben può colla sua Onnipotenza inclinare e muovere i Cuori umani a voler liberamente ciò ch'Egli vuole, secondo le Scritture: Cor Regis in manu Dei est, et quocunque voluerit, inclinabit illud.

Prov. 21. 1. Spiritum meum ponam in medio vestri, et faciam ut in praeceptis meis ambuletis. Ezech. 36. 28. Consilium meum stabit, et omnis voluntas mea fiet. Isa. 46. 10. Qui immutat cor Principum populi terrae. Job. 12. 24. Deus pacis... aptet vos in omni bono, ut faciatis ejus voluntatem; faciens in vobis quod placeat coram se per Jesum Christum. Hebr. 13. 21. E non può negarsi che S. Agostino, e S. Tommaso abbiano insegnata la sentenza dell'efficacia della Grazia da sé, e per sua natura. Ciò apparisce da molti loro testi, e specialmente da questi, che qui soggiungo. Dice S. Agostino: Qui tamen (scil. Deus) hoc non fecit, nisi per ipsorum hominum voluntates, sine dubio habens humanorum cordium inclinandorum omnipotentissimam potestatembr 95. In altro luogo: Agit onnipotens Deus in corde hominum, ut per eos agat, quod eos agere volueritbs 96. In altro:Etsi faciunt omnes bona, quae pertinent ad colendum Deum, Ipse facit, ut illi faciant quae praecipitbt 97. In altro: Certum est nos facere, cum facimus, sed Ille facit ut faciamus, praebendo vires efficacissimas voluntati, qui dixit:Faciam, ut in justificationibus meis ambuletisbu 98. In altro sul testo dell'Apostolo: Deus est enim, qui operatur in nobis velle, et perficere pro bona voluntate (Philipp. 2. 13), dice:


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Nos ergo volumus, sed Deus in nobis operatur velle et perficerebv 99. In altro: Quia praeparatur voluntas a Domino, ab Illo petendum est, ut tantum velimus; quantum sufficit, ut volendo faciamusbz 100. In altro101: Novit (Deus) in cordibus ipsis operari, non ut homines nolentes credant, quod fieri non potest, sed ut volentes ex nolentibus fiantbx 102. In altro: Operatur in cordibus hominum non solum veras revelationes, sed bonas etiam voluntatesby 103. In altro: Tantum voluntates nostrae valent, quantum Deus eas valere voluitca 104. In altro: Voluntates, quae conservant saeculi creaturam, ita esse in Dei potestate, ut eas quo voluerit, quando voluerit, faciat inclinaricb 105. S. Tommaso poi l'Angelico in un luogo dice: Deus movet immutabiliter voluntatem propter efficaciam virtutis moventis, quae deficere non potestcc 106. In altro luogo:Caritas impeccabilitatem habet ex virtute Spiritus Sancti, qui infallibiliter operatur quodcunque voluerit; unde impossibile est haec duo simul esse vera, quod Spiritus Sanctus velit aliquem movere ad actum Caritatis, et quod ipse Caritatem amittat peccandocd. In altro: Si Deus movet voluntatem ad aliquid impossibile est poni, quod voluntas ad illud non moveaturce 107.

Dall'altra parte colla nostra sentenza ben si accorda la Grazia vera sufficiente, ch è comune a tutti, ed alla quale, e colla qual grazia108, se l'Uomo corrisponde, avrà la grazia efficace; ma all'incontro, se non corrisponde, e resiste, giustamente questa grazia efficace gli sarà negata. E cosi viene tolta ogni scusa a que' peccatori, che dicono di non aver forza di superar le tentazioni; perché se essi pregassero, secondo la


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grazia ordinaria che ad ognuno è già donata, otterrebbero questa forza, e si salverebbero. Altrimenti, se non si ammette questa grazia ordinaria colla quale ognuno possa almeno pregare (senza bisogno d'altra grazia speciale non comune a tutti), e pregando ottener l'aiuto maggiore ad osservar la legge, io non so come possano intendersi tanti passi delle sagre Carte, dove si esortano l'Anime a tornare a Dio, a vincer le tentazioni, ed a corrispondere alle Divine chiamate: Praevaricatores redite ad cor Is. a6. 8. Revertimini, et vivite. Ez. 18. 32. Convertimini, et agite poenitentiam, Ez. 18. 30. Solve vincula colli tui. Is. 52. 2. Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis. Matth. 11. 28. Resistite fortes in fide. 1. Petr. 5. 9. Ambulate dum lucem habetis. Jo. 12. 35. Io non so (dico), se mai fosse vero che non fosse data a tutti la grazia di pregare, e colla preghiera ottener l'aiuto maggiore a conseguir la salute, come potrebbero intendersi le suddette Scritture e come possano i sagri Oratori esortare con tanta forza universalmente tutti a convertirsi, a resistere a' nemici, a camminare per la via delle virtù; e per conseguire tutto ciò a pregare con confidenza e perseveranza, quando la grazia di operar bene109, o almen di pregare non fosse concessa ad ognuno, ma solamente a coloro a cui vien data la grazia efficace. E non so come potrebbe essere giusto il rimprovero, che si fa anche universalmente a tutti i peccatori, che resistono alla Grazia, e disprezzano la Divina Voce: Vos semper Spiritui Sancto resistitis. Act. 8. 51. Quia vocavi, et renuistis; extendi manum meam, et non fuit qui aspiceret; despexistis omne consilium meum, et increpationes meas neglexistis. Prov. 1. 24. Quando fosse mancata loro anche la grazia rimota ma efficace della preghiera, supposta già da Contrari necessaria ad attualmente pregare, io non so (dico) come potrebbe tutto ciò rimproverarsi loro.

Termino. Taluno forse, come penso, avrebbe desiderato ch'io mi fossi più disteso a distintamente esaminare in quest'opera il gran puntocontroverso, dove consista l'efficacia della Grazia, secondo i tanti diversi Sistemi che oggidì s'insegnano da' Teologi, della Premozione fisica, della Grazia Congrua, della Grazia Concomitante, della Dilettazione vittrice relativamente per la superiorità de gradi. Ma a far ciò non bastava un libretto, ch'io deliberatamente ho cercato di farlo picciolo, acciocché più facilmente fosse letto. Per mettermi a scorrer questo mar così vasto, vi sarebbero bisognati più volumi; ma questa fatica bastantemente già è stata fatta da altri;e poi non era questo


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il mio intento. Ho voluto per altro stabilire il punto, proposto in questa seconda parte, per onore della Divina Providenza, e Bontà, affin di aiutare i peccatori, acciocché non si abbandonino alla disperazione, con credersi destituti dalla Grazia ed anche affin di toglier loro ogni scusa se dicono di non aver forza di resistere agli assalti del senso, e dell'Inferno; avendo io fatto lor vedere, che niuno di coloro che si dannano, si danna per lo peccato originale di Adamo, ma solo per colpa propria poiché Dio non nega ad alcuno la grazia della Preghiera, colla quale si ottiene da Dio l'aiuto a vincere ogni concupiscenza, ed ogni tentazione.

Del resto il mio principale intento è stato d'insinuare a tutti l'uso di questo potentissimo e necessario mezzo della Preghiera, acciocché ognuno v'attenda con maggior diligenza, e maggior animo, se desidera di salvarsi; mentre perciò tante povere Anime perdono la Divina Grazia e sieguono a viver in peccato, ed alla fine si perdono, perché non pregano e non ricorrono a Dio per aiuto. Il peggio110 si è (non posso lasciarlo di replicare) che pochi Predicatori, e pochi Confessori attendono di proposito ad insinuare a' loro Uditori, e Penitenti l'uso della Preghiera, senza cui è impossibile osservare i Divini Precetti, ed ottener la Perseveranza nella divina grazia.

Io avendo osservata l'assoluta necessità di pregare che impongono tutte le Divine Scritture, delle quali son pieni così il vecchio come il nuovo Testamento, ho procurato d'introdurre nelle Missioni della nostra Congregazione, siccome si pratica da molti anni, che si faccia sempre la Predica della Preghiera, e dico, e replico, e replicherò sempre sino che ho vita, che tutta la nostra salute sta nel pregare, e che perciò tutti gli Scrittori ne' loro libri, tutti i sagri Oratori nelle loro Prediche tutti i Confessori nell'amministrare il Sagramento della Penitenza non dovrebbero inculcare altra cosa più di questa, che di sempre pregare con sempre ammonire, esclamare, e ripetere continuamente: Pregate, pregate, e non lasciate mai di pregare; perché se pregherete, sarà certa la vostra salvezza ma se lascerete di pregare, sarà certa la vostra dannazione. Così dovrebbero far tutti i Predicatori, e Direttori, poiché secondo la sentenza di qualunque Scuola Cattolica, niuna mette in dubbio questa verità, che chi prega, ottiene le grazie e si salva; ma troppo son pochi quei che lo praticano, e per ciò tanti pochi si salvano.




1 [18-20.] N. YSAMBERT (+ 1642), Comm. in S. Th. Summam, in I-II, q. III, a. I, 410 ss. G. DU PERRON, Réplique à la réponse du Roy de la Grande Bretagne, Liv. II, Obs. III, Ch. II, 688. A. LE MOYNE, De dono orandi, c. I, § XXI, 87 ss. TOURNELY, Praelectiones...., III, q. VII, art. IV, Concl. V, 552 ss.



a Isamb. lib. 3. q. 111. disp. 4. a. 3.



b Card. du-Perr Rep. lib. 2. Obser. 3. cap. 2.



c Le Moyne Disp. de Dono or. an. 1650. contra Arnald.



2 [19-20.] ed altri.... si riferiranno BR agg.



d Tourn. Praelect. Theol. tom. 3. q. 7. a. 4. Concl. 5. pag. 533.



e Noris Opusc. Jansen. error. calumnia sublata; vide cap. I. et 2.



3 [1-5.] E. NORIS, Opera, II, Diss. V, Jansenii erroris calumnia sublata, c. III, § I, 1080.



f De Noris ibid. cap. 2. § I.



4 [16-21.] NORIS, loc. cit.



g Thomassin. in tract. Consensus Scholae de Gratia cap. 8. tract. 3.



5 [fonte:1-5.] Da TOURNELY, op. cit., III, 558.

[1-5.] Testo sunteggiato dal TOURNELY, loc. cit. = L. THOMASSIN, Dogmata theologica, III, tr. III, c. VIII, 422.



h S. Thom. I. p. q. 49. a. 2. ad 3.



6 [fonte:24-32/1-3.] TOURNELY, loc. cit., 557-559.



i S. Aug. de Natur. et Gratia cap. 69. num. 83.



7 [24-26.] S. AGOST., De nat. et gratia, c. LXIX, n. 83; PL 44, 288-289.



8 [28-30.] NORIS, loc. cit., 1080.



9 [31-32/1.] THOMMASIN, op. cit., tr. IV, 531; le autorità di S. Tommaso, S. Bonaventura e Scoto, ibid., 480-484, 506-507.



l Habert. Theol. Graec. Patr. lib. 2. cap. 15. n. 7.



10 [fonte:4-29/1-3.] Da TOURNELY, op. cit., III, 556-557.



11 [5-9.] J. HABERT, Theologia Graecorum Patrum vindicata circa universam materiam gratiae, lib. II, c. XV, 289, t. sunteggiato.



m Idem ib. cap. 6. num. 1.



12 [10-14.] ID., ibid., c. VI, § I, 194, t. sunteggiato.



13 [14-15.] F. GAMACHE (Gamachaeus), Summa theol., II, in I-II, q. III, c. V. Prop. 2, 377. A. DUVAL, Comm. in Summam S. Th., ed. cit., in I-II, q. V, art. I. YSAMBERT, Comm. in S. Th. Summ., in I-II, q. III, art. I, 410 ss. B. PEREIRA, Selectae Disp. in S. Scripturam, II, In Epist. ad Rom. 2, 4, Disp. II, n. 24, 141-142. A. LEMOYNE, De dono orandi, ed cit., c. I, § XXI, 87 ss.



n Habert. ib. cap. 15. num. 3.



14 [15-20.] J. HABERT, op. cit., lib. II, c. XV, § III, 291.



o Du-Plessis Dissert. de Multipl. gen. grat.



15 [fonte:4-11]. Ad litt. da TOURNELY, loc. cit., 558-559.

[4-11.] Martini Grandini Opera theologica, VI, (C. DUPLESSIS D' ARGENTRE') Variae disputationes theol. ad opera M. Grandini, De multiplici genere divinae gratiae...., 94- 482.



p Petav. Theol. dogm. tom. I. lib. 10. cap. 19. e 20. praesertim cap. 19.



16 [11-15.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XIX, n. I: «Sed unum habet Calviniana factio preclarum.... monstruosum illud esse distinctum a caeteris adiutorii genus, quod nunquam.... ullum in humana voluntate effectum habuit. Etenim monstrum illud esse fateor, non quale est per se, et a catholicis constituitur, sed ut ab Calvino fabricatum est».



17 [15-19.] ID., ibid., c. XX, n. IV: «Illud apparet, donum istud, quo Deus dat, ut jussa faciamus.... affectum orationis subsequi». Le parole seguenti: «et talis effectus legi comes datur», sono un riassunto libero di S. A.: PETAU, ibid., c. XIX, n. IX: «Cum huiusmodi motiones animi, et affectus nonnis Dei gratia communicentur...., necesse est individuam adiungi comitem gratiam».



18 [21-25/1-3.] (DE SERRE), Theol. specul. et dogm. ad usum semin. petrocor. ed. cit., II, lib. VI, q. III, 489, 497-498, i testi riferiti da S. A. sono riassunti. Cit. dal De Serre: I - S. AGOST., De corrept. et gratia, c. XI, n. 29 ss.; (PL 44, 933 ss.); 2. B. MEDINA, Schol. comm. in Doct. Ang. I-II, q. 109, a. 10, 1579-1580. Le parole riferite da S. A.: «Cum cola gratia ufficienti aliquando homo convertitur», sono del De Serre, loc. cit., 493.



q Petrocor. tom. 2. lib. 6. quaest. 3. pag. 489.



r S. Thom. in 1. 2. quaest. 109. art. 10. circa fin.



s P. Lud. Gran. Conc. in Fest. S. Matthaei Conc. I. num. 1.



19 [4-8.] LUDOVICO DI GRANATA, Opera, III, In festo S. Matthaei, Conc. I, n. 1, 1240.



20 [9-15.] DE SERRE, loc. cit., 494-495, testi sunteggiati.



t Card. d' Aguir. Theol. S. Ans. tom. 3. Disp. 175. 186. et 128.



21 [16.] I. SAENZ DE AGUIRRE, S. Anselmi.... theologia, III, Disp. cit. da S. A.



u Baucat. Theol. Patr. Diss. 3. Sect. 4. pag. 141. ad 146.



22 [17.] A. BOUCAT, Theol. Patrum dogm., schol. positiva, III, Diss. III, Sect. V, 143-145.



23 [20.] Equivoco di lettura, dal BOUCAT, loc. cit.: «Hanc provinciam disertissime propugnat Dominus et illustrissimus Episcopus Tullensis d' Argentré in suis ad theologiam Grandini doctissimis observationibus pag. 346, 347, eamque fuisse tam veterum, tam recentiorum sententiam demonstrat. Ex veteribus quidem Goderdus de Fontibus socius sorbonicus in quodlibeto 3, Henricus de Gandavo socius utique sorbonicus: ex recentiorbus plurimi, Gamachaeus, A. Duvallius, I. Habertus, A. Le Moyne, Dominus Deligny», quest' ultimo da un trattato ms. cit. dal Duplessis d' Argentré, De multiplici...., 345-346. Manca la cit. di Pietro di Tarantasia (Innocenzo V, + 1276) che S. A. può aver letto nel DUPLESSIS D' ARGENTRE', op. cit., 156-157.



24 [4.] «il Professore Elia», errore di lettura commesso dal BOUCAT, loc. cit., 144: «ut Elias censuit celeberrimus theologiae professor»; cfr. DUPLESSIS, loc. cit., 346: «ut alias censuit celeberrimus theologiae Professor (Alphonsus Le Moyne)....». Gli altri autori cit.: PIETRO DI TARANTASIA: Innocentii Quinti Pont. Max.... In IV Libros Sententiarum Commentarii, In 2 Dist. Q. Unica, a. 8, p. 230. ENRICO DI GAND: M. Henrici Goethals a Gandavo Doct. Solemnis Socii Sorbonici.... Aurea Quodlibeta, Comm. illustrata M. Vitalis Zuccolii Patavini, II, Quodl. VIII, q. V, f. IIV (B), De processu autem gratiae in adulto....; f. 12r, Pie tamen credendum est.... GOFFREDO DI FONTAINES: M. DE WULLF - I. HOFFMANS, Le Quodlibet V, VI, VII de Godefroid de Fontaines, III, Quodl. VII, q. X, 375-377; ID., ed. Hoffmans, Louvain 1924, vol. IV (I). Quodl. VIII, q. V, 61-63.



v Buontemp. in Palladio Theol. tract. de Gratia disp. I. q. I.



25 [5.] G. BONTEMPI, Palladium Theol., IV, Disp. I, qq, 12 e 13.



z Card. Pullus in Summa Sent. p. 6, c. 50.



26 [8.] R. PULLEYN (Pullus, + 1153), Sententiarum Libri VIII, lib. VI, c. 50; PL 186, 894.



27 [fonte:9-11.] Da THOMMASSIN, op. cit., tr. IV, 460-461; DUPLESSIS D' ARGENTRE', Diss. cit., 67-68.



x Corn. Jans. Syst. confut. Part. II. pag. 298. n. 225.



y Ricch. de S. Vict. de Erud. hom. lib. I. cap. 30. et de statu inter. hom. tract. I. cap. 13.



29 [14.] RICC. DI S. VITTORE, De eruditione hominis interioris, lib. I, c. XXX; ID., De statu int. hom. n. I, cc. XIII, XXIII; PL 196, 1281-1282; 1126, 1133.



aa Sotus de Nat. et Grat. lib. I. cap. 15.



30 [1-2.] D. SOTO, De natura et gratia, lib. I, c. XV, 36.



ab Felicius Dist. 24. cap. 29.



31 [4-7.] M. FELISIUS (Cats, + 1576), Institutionis christianae catholica et erudita elucidatio, Dist. 24, c. 20.



ac Vega lib. 13. cap. 13.



32 [8-10.] A. DE VEGA, Tridentini decreti de justificatione expositio et defensio, Lib. XIII in Caput XIV, c. XIII, 463.



ad Gotti Tom. 2. tract. 6. de Grat. quaest. I. § 3. num. 19. pag. 332.



33 [16-19.] GOTTI, op. cit., III in I-II S. Th., q. I, dub. XIII, n. XX, 107.



ae S. Franc. Sal. tom. 2. lib. 3. cap. 4.



34 [1-4.] S. FRANC. DI SALES, Opere, II, Trattato dell' amore di Dio, lib. III, c. IV, 205.



af Bellarm. t. 4. Contr. 3. de Grat. lib. 2. c. 5.



35 [4-9.] S. BELLARMINO, Opera, ed. cit., IV, De gratia et lib. arb., lib. II, c. V, 237.



ag S. Th. lect. I. in c. I. Ep. I. ad Cor.



36 [fonte:22-24.] Da TOURNELY, op. cit., III, q. VIII, art. I, Concl. III, 579.



ah Bell. de Grat. l. 2. c. 5.



37 [31.] S. BELLARMINO, loc. cit.



38 [20-22.] Conc. trid., Sess. VI, c. II; DBU, n. 804, da S. AGOST., De nat. et gratia, c. XLIII, n. 50; PL 44, 271: le parole, «et adiuvat ut possis», sono del Conc.



ai S. Aug. de Nat. et Grat. cap. 44. n. 50.



al S. Aug. de Nat. et Grat. cap. 69.



39 [29-32.] S. AGOST., op. cit., c. LXIX, n. 83; PL 44, 288-289.



40 [29.] FORT. DA BRESCIA, op. cit., n. 225, p. 297-299.



am S. Aug. lib. de Div. quaest. ad Sempl. qu. 2. n. 21.



41 [fonte:31-33.] Da TOURNELY, loc. cit., 257; SFONDRATI, op. cit., P. I, § II, 181.

[31-33.] S. AGOST., De div. quaest. ad Simpl., lib. I, q. II, n. 21; PL 40, 127.



an Card. Sfondrat. Notus Praed. P. 1. § 2. n. 31. pag. 105.



42 [1-2.] SFONDRATI, loc. cit., 181.



43 [6-11.] Dello stesso modo.... fieri posset.) BR agg.



44 [7-11.] TOURNELY, op. cit., III, q. III, I Prop. Jans., 257.



ao Card. de Noris Jans. err. cal. subl. vide c. 2. § 1. pag. 129.



45 [14-17.] NORIS, Opera, ed. cit., III, Jans. erroris calumnia sublata, c. IV, 1099 D: «Rursus colligo dolorem, quo adeo tepide orare solemus, uti et ipsammet tepidam orationem fieri nobis cum adjutorio sine quo non, ac ordinario concursu Dei, cum sint actus boni, remissi, debiles, et minus perfecti. Et tamen..», come nel t.



46 [fonte:14-20.] TOURNELY, op. cit., III, q. VII, art. V, ob. 4, 569.



47 [18-20.] S. AGOST., In Ps. 16, n. 6; PL 36, 146.



48 [fonte:21-27.] TOURNELY, Praelect. theol. ad usum sem., V (II), q. V, § VII, Concl. III, ob. 4, 483-484.



ap S. Aug. Ep. ad sist. 194. alias 105.



49 [23-24.] ID., Epist. 194, c. IV, n. 16; PL 33, 880.



50 [26-27.] ID., In Ps. 52, n. 5; PL 36, 616.



aq S. Bas. lib. Mor. summar. Sum. 62. cap. 3.



51 [fonte:2-3.] Da GRANDIN, Opera theol., II, De gratia, q. I, sect. II, I Concl., 78.

[2-3.] S. BASILIO, Moralium summae, Sum. 62, c. III, nella trad. di Janus Cornarius, Divi Basilii.... omnia, quae extant nobis, opera, Basileae 1566, p. 492; trad. diversa nella PG 31, 799.



ar S. Chrysost. in cap. 3. ad Gal. vers. 22.



52 [fonte:9-10.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XXV, n. XI.

[9-10.] S. GIOV. CRISOST., Hom. in Epist. ad Gal, 3, 22, ed. Savile, III, trad. diversa nella PG 61, 655.



as Idem Hom. de Moyse.



53 [10-11.] Ps.-S. GIOV. CRISOST., Sermo de Moyse, ed. di Basilea 1539, I, 374-375.



at S. Bern. Serm. 5 de Quadrag.



54 [14-16.] S. BERNARDO, Sermo V de Quadr., PL 183, 179.



55 [fonte:20-22.] HOUDRY (?), Bibliotheca... v. Gratia.

[20-22.] ID., De triplici custodia (17 de div.), n. 1: «Omnes nobis causamur deesse gratiam; sed justus forsitan ipsa sibi queritur gratia deesse nonnullos»; PL 183, 583.



56 [fonte:2-9.] Da TOURNELY, op. cit., III, q. VII, art. III, 553; q. VIII, art. II, 617; GOTTI, op. cit., III in I S. Th., q. II, dub. III, § II, n. XIV, 189-190; F. DA BRESCIA, op. cit. n. 224, p. 295.



au S. August....



57 [2-5.] S. AGOST., De gratia et lib. arb., c. XVI, n. 32; PL 44, 900.



av Idem lib. 3 de lib. arb. cap. 19. n. 53.



58 [5-9.] ID., De lib. arb., lib. III, c. XIX, n. 53; PL 32, 1297.



59 [fonte:12-13.] TOURNELY, ibid., q. VIII, art. I, 606; SFONDRATI, op. cit., P. I, § II, 181.

[12-13.] ID., De div. quaest. ad Simplic., q. II, n. 21; PL 40, 127.



az Idem lib. I ad Simlic. qu. 2.



ax Idem tract. 26. in Joan. num. 2.



60 [fonte:14.] TOURNELY, ibid. 582.

[14.] ID., In JO., Tr. XXVI, n. 2; PL 35, 1607.



ay Idem eod. tit. cap. 22. n. 65.



61 [fonte:15-17.] ID., ibid., art. II, 617.

[15-17.] ID., De lib. arb., lib. III, c. XXII, n. 65; PL 32, 1303.



ba S. Aug. de Grat. et lib. arb. cap. 10. n. 31. in fin.



62 [20-22.] S. AGOST., De gratia et lib. arb., C. XV, N. 31; PL 44, 900.



bb Idem de Grat. et lib. arb. cap. 18.



63 [fonte:23-25.] TOURNELY, op. cit., III, q. VII, art. IV, Concl. V, 554.

[23-25.] ID., IBID., C. XVIII, N. 37; PL 44, 904.



bc Idem in Epist. 89.



64 [fonte:3-14.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XX, n. III, IV.



65 [3-5.] S. AGOST., Epist. 158 (al. 89) ad Hil., c. II, n. 9; PL 33, 677.



66 [8-11.] ID., ibid., c. III, n. 16: «Lex ergo subintravit ut abundaret delictum: sive cum homines negligunt quod Deus jubet, sive cum de suis viribus praesumentes, adjutorium gratiae non implorant, et addunt infirmitati superbiam. Cum autem vocatione divina intelligunt cur sit ingemiscendum et invocant eum in quem recte credunt, dicentes: miserere mei....; fiet quod sequitur: Ubi abundavit delictum, superabundavit gratia (Rom. V, 21)»; PL 33, 682.



67 [11-14.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XX, n. XX: «Gratiam ergo propria quadam notione, excellenterque dictam antecedit altera, quam non gratiam, sed vocationem divinam nominat, cum sit tamen etiam ipsa sine ulla dubitatione gratia».



bd S. Aug. in Ep. 89. c. 43. et lib. de Div. Quaest. ad Simpl. q. 1. n. 14.



68 [fonte:15-17.] TOURNELY, op. cit., III, q. VII, art. IV, Concl. V., 554.

[15-17.] S. AGOST., De div. quaest. ad Simpl., q. I, n. 14; PL 40, 108.



69 [8. Sovra tutto) Soprattutto VR.



be S. Aug. de Grat. et lib. arb. cap. 16.



70 [fonte:9-11.] Da TOURNELY, loc. cit., 553; q. IX, art. I, 650; GOTTI, op. cit., III in I-II S. Th., q. I, dub. VII, § II, n. XXX, 60.

[9-11.] S. AGOST., De gratia et lib. arb., c. XVI, n. 32; PL 44, 900.



bf Idem lib. de Corrept. et Grat. cap. 5.



71 [fonte:25-27.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XX, n. IV.

[25-27.] ID., De corrept. et gratia, c. V, n. 7; PL 44, 919.



72 [27.] «cioé ut oret etiam ipse pro se» BR agg.



73 [fonte:5-6; 10-11.] Da TOURNELY, op. cit., III, q. VIII, art. II, ob. I, 619.



74 [5-6; 10-11.] S. AGOST., De corrept. et gratia, c. II, n. 4; PL 44, 918.



bg S. Aug. eod. tit. cap. 2. n. 4.



bh S. Thom. de Verit. q. 14. art. 11. ad I.



bi Bellarm. lib. 2. de Grat. cap. 8.



75 [fonte:28-31.] TOURNELY, loc. cit., 590.

[28-31.] S. BELLARMINO, Opera, ed. cit., IV, De gratia et lib. arb., lib. II, c. VIII, 243 C.



76 [2.] PETAU, op. cit., I, lib. X, c. XIX; più esplicito in Theriaca Vincentii Lenis, c. XXVIII, Opera, III, 426-427; Petau non cita Duval.



77 [22.] THOMASSIN, op. cit., III, Consensus scholae...., Tr. III, c. XIII, 428; TOURNELY, op. cit., III, q. VII, art. IV,Concl. V, 559-561.



78 [24.] ad una ragione) alla ragione ND VR.



79 [8.].... non praeteribunt.



bl S. Bern. Serm. 15. in psal. 90.



80 [fonte:10-11.] LOHNER, Bibliotheca...., v. Spes, § IX, n. 3.

[10-11.] S. BERNARDO, In Ps. Qui habitat, Sermo 15, n. 5; PL 183, 246.



bm S. Th. 2. 2. q. 18. art. 4.



81 [27-29.] DBU, n. 806.



bn S. Th. 2. 2. q. 18. a. 4.



82 [16.] DBU, n. 806; 825, 826.



83 [22.] a salvarci) a salvarsi ND VR. - glie lo domandiamo) ce lo domandiamo ND VR.



bo S. Th. 2. 2. q. 18. a. 4. ad 2.



84 [25.] credendo che Dio può, e vuole salvarci BR agg.



85 [27.] della nostra salute BR agg.



86 [28.] (secondo dice S. Tommaso, Certa expectatio beatitudinis BR agg.



bp S. Bern. Serm. 8. in Ps. 90. num. 1.



87 [10-12.] S. BERNARDO, In Ps. Qui habitat, Sermo 7, n. 1; PL 183, 200.



bq Idem Serm. 3. Dom. 6. Post. Pent. n. 6.



88 [fonte:15-16.] LOHNER, loc. cit., § IX, n. 23.

[15-16.] ID., Post. Dom. VI post Pent., Sermo 3, n. 6; PL 183, 344.



89 [32. veniamo) venghiamo VR.



90 [7.] JUENIN, Inst. theol. ad usum sem., ed. cit., II, Pars VII, diss. IV, c. II, art. II, Concl. II, ob., 217; c. IV, Concl. I, Quaeres, 221.



91 [9.] se noi corrispondiamo colle opere, e) BR agg.



92 [10.] Jo., 16, 23-24.



93 [11-12.] Matth., 7, 7; Luc., 18, 11.



94 [12-13.] Jac., 4, 2.



br S. Aug. de Corrept. et Grat. cap. 14. n. 43.



95 [fonte:18-20.] TOURNELY, op. cit., III, q. IX, art. I, Concl., Prob. II, 651.

[18-20.] S. AGOST., De corrept. et gratia, c. XIV, n. 45; PL 44, 943.



bs Idem de Grat. et lib. arb. cap. 10.



96 [fonte:20-21.] ID., I, q. XVII, art. VI, Concl. III, 471; GONET, Clypeus...., I, disp. V, art. I, § III, 265; GOTTI, op. cit., III in I S. Th., q. IV, dub. I, § III, n. XIII, 239; DE SERRE, op. cit., I, lib. III, q. III, 261.

[20-21.] ID., De gratia et lib. arb., c. XXI, n. 42; PL 44, 908.



bt Idem de Praedest. Ss. cap. 10.



97 [fonte:21-22.] GONET, ibid., art. II, § I, 267; DE SERRE, loc. cit., 253.

[21-22.] ID., De praedest. Sanct., c. X, n. 19; PL 44, 975.



bu Idem de Grat. et lib. arb. cap. 16.



98 [fonte:23-25.] TOURNELY, op. cit., III, loc. cit., 650; GONET, ibid., art. VI, § IV, 283; GOTTI, op. cit., III in I-II St. Th., q. I, dub. VII, § II, n. XXX, 60.

[23-25.] ID., De gratia et lib. arb., c. XVI, n. 32; PL 44, 900.



bv Idem de Dono Persev. cap. 13.



99 [1.] ID., De dono persev., c. XIII, n. 33: «Nos ergo volumus, sed Deus operatur in nobis et velle; nos ergo operamur, sed Deus in nobis operatur et operari pro bona voluntate»; PL 45, 1012-1013.



bz S. Aug. de Grat. et lib. arb. cap. 16.



100 [fonte:2-3.] TOURNELY, loc. cit.; GOTTI, loc. cit.

[2-3.] ID., De gratia et lib. arb., loc. cit.



101 [fonte:3-6.] da TOURNELY, loc. cit., 650, 651.



bx Idem lib. 1. ad Bonif. cap. 19. n. 38.



102 [3-5.] S. AGOST., Contra duas epist. Pel. ad Bonif., lib. 1, c. XIX, n. 37; PL 44, 568.



by Idem de Grat. Christi cap. 24. n. 25.



103 [5-6.] ID., De gratia Christi et pecc. orig., c. XXIV, n. 25; PL 373.



ca Idem de Civit. Dei cap. 9.



104 [fonte:6-7.] GOTTI, op. cit., III in I S. Th., q. IV, dub. I, § III, n. XIII, 240.

[6-7.] ID., De civ. Dei, lib. V, c. IX, n. 4; PL 41, 152.



cb Idem de Grat. et lib. arb. cap. 20.



105 [fonte:8-9.] GONET, op. cit., I, disp. V, art. VII, § II, 286.

[8-9.] ID., De gratia et lib. arb., c. XX, n. 41: «Scriptura divina.... ostendit non solum bonas hominum voluntates quas ipse facit ex malis.... verum etiam illas quae conservant....», come nel t.



cc S. Thom. de malo quaest. 6.



106 [fonte:10-11.] ID., ibid., art. I, § IV, 266.

[10-11.] S. TH., De malo, q. 6, a. un., ad 3.



cd Idem 2. 2. quaest. 24. a. 11.



ce Idem 1. 2. quaest. 10. a. 4. ad 3.



107 [fonte:15-16.] 655. ID., ibid.



108 [18.] e colla qual grazia, BR agg.



109 [17-18.] la grazia di operar bene, o almen di pregare) la grazia di pregare ND VR.



110 [15.] Il peggio) E 'l peggio VR.






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