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S. Alfonso Maria de Liguori
Del sacrificio di Gesù Cristo

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PARTE V -Dal Pater noster sino alla comunione ed al ringraziamento.

Oremus: praeceptis salutaribus moniti, et divina institutione formati, audemus dicere. La Chiesa militante, vedendosi quaggiù in terra composta tutta di uomini peccatori, si riconosce


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indegna di chiamare Iddio padre, e di esporgli le sette domande che gli fa nell'orazione del Pater noster in nome de' fedeli; e perciò si protesta che in tanto l'espone, in quanto gli vien comandato da Dio medesimo. Perciò ne fa sapere che noi in tanto ci prendiamo l'ardire di fare a Dio le sette domande del Pater noster, nelle quali consiste tutta la nostra salute, in quanto egli se ne compiace e ce lo comanda. Noi siamo così inetti e corti di mente, che non sappiam neppure le grazie che dobbiamo chiedere a Dio per la nostra salute; onde Gesù Cristo, vedendo la nostra bassezza ed insufficienza, egli stesso ci ha composta la supplica, o sia memoriale delle cose che dobbiamo domandare a Dio, e ci fa dire: Pater noster, qui es in caelis. Scrive S. Giovanni l'apostolo: Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut Filii Dei nominemur et simus (I Epist. III, 1). Troppo grande certamente fu l'amore divino nel disporre che noi vermi di terra ci nominiamo e siamo figli di Dio -figli non già naturali, ma adottivi -; grazia immensa, che ci ottenne il Figlio di Dio con farsi uomo: Accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba (Pater) (Rom. VIII, 15). Quale maggior fortuna può sperare un vassallo, che l'essere adottato per figlio dal suo Re? e una creatura esser adottata per figlia dal suo Creatore? Per tanto con tale spirito di figli vuole Dio che noi gli facciamo le seguenti preghiere.

I. Sanctificetur nomen tuum. Iddio non può avere maggior santità di quella che possiede ab eterno, mentre la sua santità è infinita; onde in questa preghiera noi altro non domandiamo che Iddio faccia conoscere per tutto il suo nome, e da tutte le genti si faccia amare, dagl'infedeli che non lo conoscono, dagli eretici che mal lo conoscono, e da' peccatori che lo conoscono, ma non l'amano.

II. Adveniat regnum tuum. Due sono i regni per cui Dio regna sovra le anime nostre, il regno della grazia e 'l regno della gloria. Ambedue questi regni noi chiediamo in questa petizione, cioè che la divina grazia regni sovra di noi in questa vita e ci guidi e governi: acciocché un giorno poi siamo fatti degni della gloria, e beati possediamo Dio, e siamo felicemente posseduti da Dio.

III. Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra. Tutta la perfezione di un'anima consiste nell'adempire perfettamente la divina volontà, come già fanno i beati in cielo; e perciò Gesù


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Cristo ci fa pregare che facciamo qui in terra la volontà di Dio, come la fanno i santi in cielo.

IV. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Così abbiamo in S. Luca (XI, 3). In questa preghiera domandiamo a Dio i beni temporali che ci bisognano per sostentamento della presente vita, che tutti dobbiamo aspettarli da Dio. Dicesi panem nostrum quotidianum, per insegnarci che tali beni dobbiamo chiederli con moderazione, come li chiedea Salomone: Tribue tantum victui meo necessaria (Prov. XXX, 8). In oltre si noti che in S. Matteo in vece di panem nostrum quotidianum, si legge, panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie (Matth. VI, 11). Per questo pane sovrasostanziale s'intende- come spiega il Catechismo Romano -Gesù Cristo nel Sacramento dell'altare, cioè la santa comunione.50 E si dice da nobis hodie, perché la santa comunione dovrebbe farsi ogni giorno da ogni buon cristiano, se non realmente, almeno spiritualmente, come esorta il Concilio di Trento.51

V. Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Affinché siamo poi degni di mangiare tal pane, bisogna che siamo esenti da' peccati mortali, o almeno lavati col sangue dell'Agnello nel sacramento della penitenza. Si è detto da' peccati mortali, ma avvertasi che chi si comunicasse con attuale affetto a qualche colpa veniale, non può dirsi che si comunica senza qualche indegnità, almeno quando volesse comunicarsi spesso.

VI. Et ne nos inducas in tentationem. Come ciò s'intende? forse Iddio talvolta ci tenta al peccato e c'induce nelle tentazioni? No, scrive S. Giacomo: Deus enim intentator malorum est, ipse autem neminem tentat (Iac. I, 13). Questo testo deve intendersi come quel testo d'Isaia: Excaeca cor populi huius... ne forte videat (Is. VI, 10). Dio non mai accieca alcun peccatore,


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ma spesso in pena della loro ingratitudine sottrae ad alcuni la luce che gli avrebbe donata se essi gli fossero stati fedeli e grati; sicché l'accecare di Dio è sopprimer la luce. E così anche s'intende la preghiera, ne nos inducas in tentationem; con quella domandiamo a Dio che non permetta che ci troviamo in quelle occasioni di peccati, nelle quali offenderessimo Dio; e perciò dobbiamo sempre pregare, come ci esorta il Signore: Vigilate et orate ut non intretis in tentationem (Matth. XXVI, 41). L'entrare in tentazione è lo stesso che trovarsi nel pericolo di cadere; quindi ci bisogna spesso ripetere, et ne nos inducas in tentationem.

VII. Sed libera nos a malo. Da tre sorte di mali dobbiamo pregare il Signore che ci liberi: dai mali temporali del corpo, dai mali spirituali dell'anima, e dai mali eterni dell'altra vita. In quanto ai mali temporali di questa vita, dobbiamo star sempre apparecchiati a ricever con rassegnazione quei mali temporali che ci manda Dio per bene delle anime nostre -come sono la povertà, le infermità e le desolazioni- sicché, pregando Dio che ci liberi da' mali temporali, dobbiamo sempre pregarlo con condizione, se pur quelli non son necessari o utili alla nostra eterna salute. I veri mali poi da cui dobbiamo assolutamente pregarlo che ci liberi, sono i mali spirituali, i peccati, che sono causa de' mali eterni. Del resto persuadiamoci di quel che sta scritto: Per multas tribulationes oportet nos intrare in regnum Dei (Act. XIV, 21). Persuadiamoci, dico, che nello stato presente della natura corrotta non possiamo salvarci senza passare per molte tribulazioni della presente vita.

Termina il sacerdote l'orazione domenicale colla parola amen, che proferisce con voce bassa, perché rappresenta la persona di Gesù Cristo, ch'è il fondamento di tutte le divine promesse. La particola amen è un epilogo di tutte le petizioni fatte, delle quali il Signore si compiace, essendo ch'egli quanto più è pregato, più ci esaudisce. I grandi della terra s'infastidiscono quando vedonsi importunati colle preghiere; ma Dio quanto più da noi si vede pregato, più se ne compiace. Scrive S. Girolamo (In c. 11 Luc.): Haec importunitas apud Dominum opportuna est;52 e Cornelio a Lapide (Ibid.) dice così: Deus vult


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nos esse perseverantes in oratione usque ad importunitatem.53 Terminato il Pater noster, il sacerdote siegue a dire l'orazione: Libera nos quaesumus, Domine, etc., con cui prega per sé e per tutti il Signore, che per l'intercessione della divina Madre, degli Apostoli e di tutt'i santi, ci conceda la pace nei giorni nostri, acciocché soccorsi dalla sua divina misericordia siamo liberi e sicuri da ogni peccato e confusione.

Indi dice: Pax Domini sit semper vobiscum. Domanda il sacerdote a Dio la pace per lui e per tutti i fratelli, e fa tre segni di croce sopra del calice colla parte piccola dell'ostia, che tiene in mano, i quali tre segni significano, come dice S. Tommaso, i tre giorni che Gesù Cristo stette nel sepolcro.54 Di poi mescola il pane col vino nel calice con quelle parole: Haec commixtio et consecratio corporis et sanguinis D.N. Iesu Christi fiat accipientibus nobis in vitam aeternam. Il Bellarmino spiegando la parola consecratio, dice: Non enim petimus ut nunc fiat consecratio, sed ut consecratio antea facta sit nobis ad vitam aeternam salutaris.55 Questo mescolamento poi dinota così la prima mescolanza che si fece della divinità ed umanità nell'utero di Maria; come anche la seconda, che si fa per la comunione eucaristica di Gesù Cristo coi fedeli che si comunicano.

Agnus Dei qui tollis peccata mundi etc. Prima della comunione si prega l'Agnello di Dio Gesù Cristo, come vittima del sacrificio, e s'invoca tre volte per significar la necessità che noi abbiamo della sua grazia per esser riconciliati con Dio, e per ricever la sua pace.

Sieguono le tre orazioni precedenti alla comunione. Nella I. Domine Iesu Christe, qui dixisti Apostolis tuis, pacem relinquo vobis etc., si prega Iddio che per la fede della Chiesa si degni di conservarla in pace, e tenerla unita secondo la sua


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volontà, liberandola dalle divisioni di false credenze e da' voleri discordanti dalla volontà di Dio. E quivi pratica la Chiesa il bacio della carità tra i fedeli, per insinuare l'unione dei cuori. Il sacerdote prima di dar la pace bacia l'altare, per significare che egli non può dar la pace, se non la riceve prima da Cristo significato nell'altare.

Nella II orazione: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi etc., il sacerdote dimanda a Gesù Cristo che lo liberi per lo suo sagrosanto corpo e sangue da tutt'i mali e che lo tenga sempre a lui unito.

Nella III lo prega che quella comunione non gli sia di condanna, ma di salute all'anima e al corpo. L'Eucaristia difende lo spirito dalle tentazioni e passioni, spegne il fuoco della concupiscenza che regna nel nostro corpo, ed è un potente rimedio contro la morte dell'anima. Quindi dice: Panem caelestem accipiam, et nomen Domini invocabo; siccome per ricever giovamento dal cibo terreno dobbiamo cibarci con fame, così affinché la comunione ci apporti molto profitto dobbiam comunicarci con gran desiderio di ricever dentro di noi Gesù Cristo, e di amarlo con fervore. Scrive Giovanni Gersone che anche quando stiamo prossimi a ricever Gesù Cristo, dobbiamo di nuovo invocarlo, per impetrarne l'aiuto a riceverlo con gran frutto.56

Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam meam in vitam aeternam, amen. Con tali parole il sacerdote sorbisce il sangue. Questa preghiera ci fa intendere che il corpo e sangue di Gesù Cristo si donano a noi come un pegno o sia caparra della vita eterna, e come un viatico per giungere dall'esilio alla patria; onde in comunicarci dobbiamo trovarci disposti, come allora dovessimo lasciar la terra ed entrar nell'eternità.




50 “Panem nostrum quotidianum da nobis... Praecipue autem panis noster est ipse Christus Dominus, qui in sacramento Eucharistiae substantialiter continetur. Hoc inexplicabile pignus caritatis dedit nobis rediturus ad Patrem, de quo dixit: Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem in me manet et ego in illo. Accipite et manducate: hoc est Corpus meum.” CATECHISMUS  ex Decreto SS. Concilii Tridentini ad Parochos, pars IV, cap. 13, De quarta petitione, n. 20.



51 “Optaret quidem Sacrosancta Synodus, ut in singulis missis fideles adstantes, non solum spirituali affectu, sed sacramentali etiam Eucharistiae perceptione communicarent, quo ad eos huius sanctissimi sacrificii fructus uberior proveniret.” CONCILIUM TRIDENTINUM, Sessio XXII, c. VI, Mansi, Conciliorum Collectio, vol. 33, col. 130



52 “O vos qui recordamini Domini eiusque clementiam die ac nocte precibus fatigatis, cavete ne unquam in ore vestro sileat oratio. Ne detis silentium ei, subauditur, Domino; sed semper molesti sitis, opportune, importune, et imitemini interpellatricem duri iudicis.” S. HIERONYMUS, Comment. in Isaiam, lib. XVII, cap. 62, ML 24-607.



53 “Vult enim Deus nos in oratione esse perseverantes usque ad importunitatem eaque delectatur vultque nos magno affectu instare, pulsare, urgere, quasi cogere Deum ad dandum.” CORNELIUS A LAPIDE, Commentarium in Lucam, cap. XI, ver. 8.



54 “Repraesentatur resurrectio tertia die facta, per tres cruces quae fiunt ad illa verba Pax Domini  etc...” S. THOMAS AQUINAS, Summa Theologica, pars III, quaestio 83, art. 5 ad tertium.



55  S. Robertus BELLARMINUS, De sacramento Eucharistiae, lib. VI, cap. 27.



56 ”Ex tunc in ipsa hora susceptionis, primo debet se homo suscipiens totum recolligere, et ad gratiam eius praeparare; quia tunc caelum quodammodo aperitur, et ipse sponsus animae Christus Dominus Rex magnificus advenit, et sibi unitur, et sic ad manum sacerdotis se aptet, ac si Deus omnipotens manum porrigeret. Et cum praesentem senserit, intra cordis brachia ipsum reclinet per exclusionem omnis terreni amoris. Tunc procumbens coram tanto hospite, fiducialiter postulet ab eo, quod saltem licitum est postulare.” IOANNES GERSONIUS, Collecta super incitatione cuiuspiam ad digne suscipiendum Corpus Dominicum. Opera omnia, Antwerpiae, 1706, tomus tertius, col. 320.






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