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S. Alfonso Maria de Liguori
Dell'uso moderato dell'opinione probabile

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§ 1.

Si risponde a due obiezioni fatte dal p. Patuzzi contro il mentovato primo pricipio: cioè 1º che basta per la promulgazione della legge la notizia probabile della medesima; 2º che tutte le leggi mane e divine sono già promulgate, e le divine sono promulgate ab æterno colla promulgazione causale, virtuale ed eminente.

 

26. Oppone primieramente a questo principio che per la promulgazione sufficiente della legge basta la notizia probabile che già vi è per la medesima. A quest'opposizione si risponde che la parola notizia, secondo tutti i vocabolarj, è lo stesso che cognizione, che importa certezza della cosa. Ma, per farla breve, se si volesse ammettere sotto la parola notizia anche la notizia probabile, al più ciò può correre quando la notizia fosse probabile per la sola parte della legge; perché allora vi sarebbe una certa moral certezza


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per la legge: ma quando v'è l'opinione egualmente probabile per la libertà, allora da niuna delle parti può esservi probabilità alcuna o sia ragione probabile che possa tirarsi l'assenso prudente dell'uomo; attesoché da tali contrarie probabilità eguali altro non risulta che un mero dubbio se vi è o non vi è la legge.

 

27. Ecco come parla S. Tomaso: Intellectus noster respectu partium contradictionis se habet diversimode: quandoque enim non inclinatur magis ad unum quam ad aliud, vel propter defectum moventium, sicut in illis problematibus de quibus rationes non habentur, vel propter apparentem æqualitatem eorum quæ movent ad utramque partem: et ita est dubitantis dispositio, qui fluctuat inter duas partes contradictionis. De verit. q. 14, art. 1. Al quale testo corrisponde poi l'altro più breve citato dal medesimo Adelfo in altra sua opera, Instruct. de reg. prox. etc. p. 1, cap. 3, pag. 48, dello stesso S. Tomaso: Inter æqualitatem etiam rationum et argumentorum solî dubio est locus. Lo stesso dicono gli altri teologi. Il p. Collet, continuatore di Tournely, dice che quando le opinioni appariscono egualmente probabili non possiamo far altro che dubitare dell'una e dell'altra parte; siccome quando due uomini probi ci asseriscono due cose


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opposte, allora non ci resta altro che un mero dubbio della verità: Cum momenta duplicis circa eandem rem opinionis æque probabilia alicui proponuntur, necesse est eum esse in statu dubii, sicut necesse est esse in dubio cum ex duobus viris ejusdem auctoritatis alter asserit regem esse Parisiis, alter eum abesse. Tom. 3 de consc., c. 5, concl. 2, p. 207.

 

28. Il p. Gio. Lorenzo Berti dice di più che siccome la bilancia così sta in equilibrio quando non v'è imposto alcun peso come quando vi sono imposti pesi eguali, dello stesso modo, allorché vi sono due opinioni probabili, elle rendono talmente sospeso il giudizio come non vi fosse probabilità né dall'una né dall'altra parte: In æquilibrio manet lanx, sive nullum neutrî parti, sive utrîque æquale onus imponatur. Theol. tom. 2, lib. 21, cap. 14, pro. 3, p. 151. Ed in conferma di ciò cita S. Tomaso nello stesso luogo di sopra addotto. Lo stesso dicono il p. Gonet, Man. tom. 3, tract. 3, cap. 16, q. 9, il p. Vasquez, 1, 2, d. 69, c. 3, il p. La-Croix e comunemente tutti i probabilioristi. E lo stesso finalmente dice il medesimo Adelfo nell'opera mentovata di sopra con queste parole: Immota manet libra in cujus utraque lancæ æquale pondus collocatur, nec ad unam inflectitur partem nec ad


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aliam. E lo conferma nel medesimo libro ultimamente scritto, La causa del probabilismo ec., dove impugna la mia dissertazione ed in più luoghi; ivi e specialmente alla pag. 48 dice: «Essendo evidente che due opinioni contraddittorie egualmente probabili non possono se non generare il dubbio

 

29. Sicché, parlando della nostra controversia, in cui trattasi di due opinioni egualmente probabili, non vale il dire che basta la notizia probabile della legge a renderla sufficientemente promulgata: perché in tal caso non vi è notizia sufficiente a render promulgata la legge, ma solo sufficiente a render promulgato un dubbio o sia una mera esitazione se vi è o non vi è legge; giacché quando le opinioni son di egual peso, avviene (come si è detto) che niuna di esse ha più peso.

 

30. Oppone in secondo luogo al mentovato principio che sebbene la legge dee esser promulgata acciocché obblighi, e se non è promulgata, le manca un carattere proprio ed essenziale della legge, né con rigore può dirsi ancora legge (queste son sue parole); nondimeno poi soggiunge che bisogna distinguere la promulgazione della legge dalla notizia privata della legge che ne hanno i sudditi, poiché la legge quando è promulgata, senza già questa notizia acquistata dai


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sudditi, ha la forza di obbligarli. Egli dice poi che tutte le leggi, sieno umane, sieno divine, tutte sono già abbastanza promulgate. E parlando delle leggi umane in primo luogo dice che queste per obbligare basta che sieno promulgate alla comunità per mezzo de' banditori o con affiggerle ne' luoghi pubblici.

 

31. Rispondo e concedo che, affinché la legge umana abbia forza d'obbligare, basta che sia promulgata alla comunità, prima che ne pervenga la notizia al suddito; ma dee avvertirsi che ciò corre in quanto all'oggetto materiale della legge, che dalla legge è stato proibito o comandato, ma non già in quanto all'obbligo di coscienza che ha il suddito di osservare la legge. Mi spiego: se per esempio è stata promulgata una legge in cui dichiarasi nullo un contratto senza le formalità prescritte, allora il suddito, ancorché ignori la legge, è tenuto quando poi ne ha la notizia di stare al prescritto dalla legge a rispetto di quel contratto circa l'esser quello valido o nullo; poiché nel foro esterno quando è stata già promulgata la legge si presume che ognuno la sappia. Ma in quanto alla coscienza certamente non pecca chi non osserva quella legge che non gli è nota. E così s'intende il testo di S. Tomaso addotto da Adelfo: Illi coram quibus lex


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non promulgatur obligantur ad legem observandam, in quantum in eorum notitiam devenit per alios vel devenire potest, promulgatione facta. 1, 2, q. 90, a. 4 ad 2. devenire potest, s'intende in quanto poteva a' sudditi pervenir la notizia della legge e per loro positiva negligenza non è pervenuta; altrimenti, quando la loro ignoranza è incolpabile, non peccano, se trasgrediscono una legge che non ancora è lor manifesta. Così appunto spiega il testo riferito il cardinal Gaetano nel luogo citato di S. Tomaso, dicendo: In articulo quarto in responsione ad 2 nota quod ob illa verba - vel devenire potest - non intelligit de potentia logica, quia scilicet non implicat contradictionem, sed de potentia politica, idest secundum ordinem seu cursum politicum, unde devenire potest: conjungitur ly per alios, et intendit auctor quod absentes a promulgatione obligantur, vel quia per alios promulgatio ad eos devenit vel per alios devenire potuit; sed ex parte absentium consecutum est ut nescirent, vel quia noluerunt vel quia neglexerunt facere quod in eis erat ad sciendum. Alioquin absentes nescii promulgatæ legis non ligantur. Propter quod si Romæ nova lex promulgatur, et nec curia ipsa procurat ut promulgatio ad ecclesias cathedrales deveniat, nec prælati qui ibi sunt


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insinuant suis ecclesiis, accusari nec apud Deum nec apud homines ignorantiæ possunt

absentes nescii. Lo stesso scrivono il p. Collet, tom. 3 de leg., cap. 1, art. 2, e il p. Suarez, de leg., lib. 3, cap. 17, num. 3 et seq. Sicché il suddito sebbene è tenuto a stare al prescritto dalla legge dopo la di lei promulgazione, non può esser però accusato di colpa, se trasgredisce la legge nescio di quella. Non solo poi dee dirsi nescio della legge chi affatto l'ignora, ma ancora chi dubita se ella è stata fatta, o s'ella è stata promulgata, e dopo le dovute diligenze ne resta in dubbio; perché dello stesso modo dicesi ignorante della legge in quanto all'essere in coscienza obbligato a quella colui che non ha alcuna notizia della legge, che colui il quale ne ha una notizia dubbia e, dopo fatta la dovuta diligenza, anche ne resta in dubbio; essendoché la legge non obbliga, se non è applicata al suddito la notizia d'una legge certa, non già dubbiosa. E così dicono il Suarez, to. 5 in 3 p., d. 49, sect. 5, n. 4, Tapia, l. 4, q. 15, a. 2, Castropalao, to. 1, tr. 1, d. 3, punct. 7, n. 1, Aravio, 1, 2, q. 97, d. 3, sect. 3, diff. 3, Gregorio Martinez , q. 96, a. 4, dub. 5, concl. 3 e 4, Sanchez, dec. l. 1, c. 10, n. 32 et 33, Villalob. to. 1, tr. 1, diff. 24, ed i Salmaticesi, de leg., cap. 2, n. 110.


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E lo stesso in sostanza dice S. Tomaso, scrivendo: Nullus ligatur per præceptum, nisi mediante scientia illius præcepti. Ma di questo testo parleremo appresso più a lungo nel capitolo seguente.

 

32. Ciò corre per le leggi umane, le quali si promulgano o colla voce del banditore o coll'affissione della legge scritta. La legge naturale poi allora si promulga agli uomini quando essi per mezzo del lume naturale la conoscono come legge, siccome insegna l'Angelico con quelle parole: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. 1, 2, q. 90, a. 1 ad 1. Dunque allora propriamente, secondo S. Tomaso, si fa la promulgazione della legge naturale, quando l'uomo per mezzo del lume di natura acquista la cognizione della legge. Sicché la legge naturale allora solamente obbliga quando è conosciuta: perché allora si fa quella promulgazione che, secondo lo stesso S. Tomaso, è assolutamente necessaria acciocché la legge abbia virtù di obbligare.

 

33. Ma no, replica il p. Patuzzi: le leggi divine sono state già promulgate ab æterno, e sino ab æterno hanno avuta la virtù perfetta di obbligare. Ma per vedere se questa proposizione è valida o no e se è conforme alla dottrina di S. Tomaso, bisogna ch'io qui


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prima trascriva tutto quel che il mio oppositore dice su questo punto; e poi bisogna esaminarlo a lungo e confrontarlo con quel che dice S. Tomaso. Udiamo come lo prova alla pag. 22. Eccolo: «Dalle leggi umane passiamo alle leggi divine. La nozione della legge eterna di Dio, ch'è la principale e la sorgente di tutte le altre, ci viene con chiarezza proposta da S. Tomaso nella qu. 91, art. 1 della stessa parte 2, colle seguenti parole: Ratio gubernationis in Deo, sicut in principe universitatis existens, legis habet rationem. Et quia divina ratio nihil concipit ex tempore, sed habet æternum conceptum, ut dicitur Prov. 8; inde est quod hujusmodi legem oportet dicere æternam. Da quanto scrivete, monsignore, alla pag. 29, sembra che vogliate mettere in dubbio se questa legge eterna sia con rigore e proprietà vera legge e se abbia promulgazione sufficiente per costituirla tale. Ma la cosa è troppo indubitabile e chiara nella dottrina del santo Maestro, siccome altresì de' teologi. Conciossiaché avendosi S. Tomaso opposto l'argomento che, essendo la promulgazione di ragion della legge, non poté la legge eterna essere promulgata dall'eternità, in cui nessuno v'era al quale promulgar si potesse; risponde in tal foggia: Dicendum quo promulgatio fit et verbo et scripto: et utroque modo lex


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æterna habet promulgationem ex parte Dei promulgantis, quia et verbum divinum est æternum, et scriptura libri vitæ est æterna; sed ex parte creaturæ audientis et inspicientis, non potest esse promulgatio æterna. Dal che è più che evidente che riconosce la legge eterna qual vera e propria legge, cui nulla manca ab æterno per essere veramente promulgata, comunque dall'eternità non vi fossero creature che l'udissero o la conoscessero.

 

34. «Laonde que' teologi che han trattata di proposito la materia osservano questa essere la differenza tra le leggi divine ed umane, che le leggi umane, perché siano propriamente leggi, devono promulgarsi formalmente a' sudditi, cioè con qualche segno esteriore e formalità destinata a manifestare la volontà del principe: ma altrettanto non è necessario per le leggi divine, bastando per esse la promulgazione che chiamano causale, virtuale ed eminente, per cui intendono un atto a Dio intrinseco ed immanente, il quale è cagione che inserisca nel tempo la promulgazione eziandio formale. Ed in quell'atto intrinseco a Dio ed immanente insegnano che consiste la legge eterna, e non già nella promulgazione o intimazione formale che n'è l'effetto, la quale appartiene all'essenza della legge umana. E la ragione che assegnano di


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questa differenza si è, perché il decreto dell'eterno legislatore è fermo ed affatto immutabile; ed in vigore della sua efficacia porta con seco stesso ed inferisce infallibilmente nel tempo l'esterna e formale promulgazione della legge e la virtù adequata e perfetta di obbligare i sudditi; ove il decreto del legislatore umano di manifestare la sua volontà ai sudditi siccome è per sé stesso mutabile e può essere in molte guise impedito, così non ha fermezza e stabilità sufficiente per la legge, prima che abbia reso formalmente manifesto il suo volere con qualche segno esterno e sensibile che la promulghi. Comunque però sia di questa ragione addotta dai teologi, è certo, secondo S. Tomaso, che la legge eterna di Dio ha tutto ciò che richiedesi per essere propriamente legge, prima ch'egli nel tempo la facesse nota alle sue creature

 

35. «Che se, monsignore, la legge eterna di Dio con rigore e proprietà è legge ed ha tutta quella promulgazione che per esser tale richiedesi, voi ne potete quindi facilmente raccogliere che di tal ragione pur goda quella che naturale si appella. Imperocché cosa è ed in che consiste tal legge naturale secondo S. Tomaso? Egli ce ne la sua propria idea nella medesima questione 91, art. 2, ove, dopo di aver osservato che tutte


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le creature participant aliqualiter legem æternam, in quantum scilicet ex impressione ejus habent inclinationes in proprios actus et fines, venendo a parlar in particolare della creatura ragionevole, insegna che siccome questa in un modo più eccellente delle altre è soggetta alla providenza divina, così da essa con maniera speciale si partecipa ratio æterna, per quam habet naturalem inclinationem in debitum actum et finem: et talis participatio, soggiunge, legis æternæ in rationali creatura lex naturalis dicitur. Unde cum Psalmista dixisset: Sacrificate sacrificium justitiæ, quasi quibusdam quærentibus quæ sunt justitiæ opera, subjungit: Multi dicunt: Quis ostendit nobis bona? Cui quæstioni respondens dicit: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine: quasi lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et quid malum, quod pertinet ad naturalem legem, nihil aliud sit quam impressio divini luminis in nobis. Unde patet quod lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis æternæ in rationali creatura. Non è dunque la legge naturale una legge diversa dalla legge eterna, come voi, monsignore, vi date a credere, ma una partecipazione di questa divina legge. E voi potevate vie più chiaramente vederlo nella risposta del Santo al primo argomento, ove, essendosi fatta l'obiezione


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che d'uopo non v'era di legge naturale, perché al governo dell'uomo bastava la legge eterna, la scioglie con dire quod ratio illa procederet, si lex naturalis esset aliquid diversum a lege æterna: non autem est nisi quædam participatio ejus. Questa legge naturale pertanto, che non è diversa dalla legge eterna, non consiste in altro se non se nell'impressione del divin lume nelle menti create, che loro palesa quello che si deve fare o fuggire, col mezzo di certi generali dettami o giudizj assoluti e necessarj del bene e del male, come sono per cagione d'esempio: Bonum est faciendum, malum est fugiendum: Deus est colendus: parentes honorandi: quod tibi non vis fieri, alterî ne feceris etc.; dai quali se ne ricavano mille e mille conclusioni appartenenti al dritto naturale per la regola delle nostre azioni. E questa impressione fatta in noi del lume divino si chiama da S. Tomaso promulgazione della legge naturale nella q. 90, art. 4 ad 1, ove dice: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. (Ecco come il p. lettore ha inseriti qui quegli stessi testi di S. Tomaso che chiaramente favoriscono la mia sentenza. Io penso che ciò l'ha fatto ad arte, per far vedere che questi testi niente gli ostano; ma essi troppo son chiari


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per dare a terra tutto quello ch'egli mi oppone). Questa in breve è la netta, chiara e distinta dottrina del santo Dottore intorno la natura delle leggi umane e divine e la loro promulgazione: e voi, monsignore, potevate risparmiarvi la fatica di registrare quei molti testi che compariscono nel vostro libretto, i quali nulla giovano a rischiarare questo punto, e sono o inutili o fuor di proposito e malamente intesi e spiegati

 

36. Dice dunque il p. Patuzzi che così la legge eterna come la naturale (ch'è una partecipazione della medesima) son vere e proprie leggi ed hanno tutta quella promulgazione che per esser tali richiedesi; attesoché per le leggi divine, secondo parlano quei teologi che han trattata di proposito la materia, non vi bisogna la promulgazione formale, ma basta la promulgazione causale, virtuale ed eminente, la quale inferisce seco la formale ed insieme la virtù perfetta di obbligare i sudditi. Quindi ne deduce che tali leggi, essendo eterne, sino ab æterno hanno avuta la virtù perfetta di obbligare gli uomini subito che questi uomini vi sono stati al mondo, ancorché non ancora conoscessero la legge. Io all'incontro dico, e poi lo proverò colla ragione e coll'autorità comune de' teologi, che la legge eterna non è legge propria a riguardo degli uomini: la


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legge propria per essi è la legge naturale, la quale sebbene è una partecipazione della legge eterna, ella nondimeno è quella che propriamente obbliga gli uomini; poiché la legge di natura è quella che solamente viene loro promulgata ed applicata col lume della ragion naturale. Almeno dico (come parlano altri teologi) che la legge eterna non è stata legge attualmente obbligante, sino che non è stata proposta ed applicata agli uomini colla di lei cognizione. Il mio oppositore asserisce che la sua dottrina è secondo l'autorità di S. Tomaso e di quei teologi che han trattata di proposito la materia: l'asserisce, ma non lo prova. Io però dico, e lo proverò chiaramente, che l'assunto asserito dal p. Patuzzi è affatto contrario a quel che insegna S. Tomaso e tutti i teologi.

 

37. E parlando prima di S. Tomaso, dice il Santo, come già abbiam riferito di sovra, che la legge, essendo una regola ed una misura con cui dee il suddito regolarsi e misurarsi, acciocché ella possa obbligarlo, dee applicarsi al medesimo: Unde ad hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod applicetur hominibus, qui secundum eam regulari debent. 1, 2, qu. 90, a. 4. E dice che tale applicazione allora si fa quando l'uomo riceve la cognizione della legge per mezzo della


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stessa promulgazione: Talis autem applicatio fit per hoc quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione. Dunque la legge, prima che sia all'uomo applicata colla di lei notizia, non è legge che obbliga. E soggiunge nella risposta alla prima obiezione che lo stesso corre per la legge naturale, la quale anche ha bisogno di promulgazione per obbligare; ma questa promulgazione quando si fa? Ecco come risponde il santo Dottore: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. Dunque la legge naturale allora si promulga attualmente agli uomini, ed allora attualmente gli obbliga quando attualmente viene manifestata ed essi la conoscono col lume naturale.

 

38. E così appunto intende la mente del Maestro angelico il dottissimo Francesco Silvio sovra il citato articolo, dicendo: Actualiter tunc (lex) unicuique promulgatur, quando cognitionem a Deo accipit dictantem quid juxta rectam rationem sit amplectendum, quid fugiendum, in 1, 2, q. 90, q. 4, in fin. Poiché, come scrive il card. Gotti: Ad hoc ut lex in actu secundo obliget, requiritur quidem indispensabiliter ut subditis promulgatione proponatur. Theol. t. 2, tract. 5 de leg., q. 1, dub. 3, § 3, n. 31. Si noti ad hoc ut obliget. Così anche il p. Fulgenzio


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Cuniliati, il quale, dopo aver detto: Legis violatores non sunt illi quibus nondum lex innotuit, dice: Actualis legis naturalis promulgatio evenit quando quis a Deo cognitionem accipit dictantem quid juxta rationem naturalem sit vel fugiendum vel amplectendum. Tract. 1 de reg. mor., cap. 2, § 1, n. 5, et § 3, n. 1. Così anche l'intendono tanti altri teologi, de' quali appresso (dal n. 61 a 63) addurremo le autorità tutte uniformi, col p. Gonet, il quale scrive nel luogo riferito di sovra esser questa sentenza comune de' teologi. Dunque prima che la legge divina sia manifestata all'uomo per mezzo della ragion naturale, ella non obbliga; poiché la legge non può obbligare chi non ha cognizione della legge. Ha sì bene la legge divina tutta l'efficacia di farsi conoscere con chiarezza dall'uomo quando Dio vuole; ed allorché si è promulgata abbastanza, certamente obbliga, ma non quando ella resta oscura e dubbiosa. Ma come poi può dirsi ch'ella obblighi e che sia abbastanza promulgata quando fondatamente si dubita ch'ella neppure vi sia? Tutto l'equivoco del p. Patuzzi consiste nel dire che la legge obbliga, sempre che può essere che esista; ma no, perché la legge, per obbligare, bisogna non solo ch'esista, ma che ancora sia bastevolmente promulgata e sia certo ch'esista.


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39. Ma dice il p. Patuzzi: non è questa la mente di S. Tomaso; la mente di S. Tomaso si è che la legge naturale, essendo una partecipazione della legge eterna, ella sino ab æterno ha avuta tutta quella promulgazione che richiedeasi per esser legge e per obbligare gli uomini prima che la conoscessero. E qui adduce il testo di S. Tomaso: Dicendum quod promulgatio fit et verbo et scripto: et utroque modo lex æternam habet promulgationem ex parte Dei promulgantis; quia et verbum divinum est æternum, et scriptura libri vitæ est æterna. Sed ex parte creaturæ audientis et inspicientis non potest esse promulgatio æterna. 1, 2, q. 90, a. 2 ad 1. Sicché dice il mio oppositore che se la legge eterna fino ab æterno è stata promulgata, dunque sino ab æterno ha avuta la virtù di obbligare.

 

40. Ma io dimando: qual promulgazione della legge divina è quella che obbliga gli uomini? la promulgazione ex parte Dei o la promulgazione ex parte creaturæ? Il p. Patuzzi dice che obbliga quella ch'è ex parte Dei. Ma io dico esser quella ch'è ex parte creaturæ; e dico che ciò lo dichiara il medesimo S. Tomaso in altro luogo. E dove? Eccolo: il santo Dottore insegna già, 1, 2, q. 90, a. 4, che la promulgazione è di ragion di legge, e che la legge non ha virtù


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d'obbligare, se non dopo ch'ella è stata applicata agli uomini colla di lei promulgazione: Ad hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, oportet quod applicetur hominibus, qui secundum eam regulari debent. Talis autem applicatio fit per hoc quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione. Si fa poi il Santo l'obiezione (ad primum): Lex naturalis maxime habet rationem legis; sed lex naturalis non indiget promulgatione; ergo non est de ratione legis quod promulgetur. E risponde: Dicendum quod promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. Or se fosse vero, come pretende il p. lettore, che S. Tomaso col dire - Dei promulgantis - avesse inteso che bastava la promulgazione per parte di Dio ad obbligar la creatura, non avrebbe risposto all'obiezione fattasi in questo luogo, cioè che la promulgazione non sia di ragion di legge, perché la legge naturale, quantunque sia vera legge, non ha bisogno di promulgazione; non avrebbe risposto (dico) che la promulgazion della legge di natura si fa quando Iddio l'inserisce nella mente degli uomini a conoscerla col lume naturale, ma avrebbe detto, come dice il p. lettore, che la legge eterna o sia naturale è stata già ab æterno promulgata, in modo che fin ab æterno ha


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avuta la virtù perfetta di obbligare i sudditi. Ma S. Tomaso non risponde così; egli risponde e conferma che anche la legge naturale dee esser promulgata, ma questa promulgazione si fa quando la legge è conosciuta dall'uomo col lume della natura. E perciò in quell'altro luogo soggiunge: Sed ex parte creaturæ audientis aut inspicientis non potest esse promulgatio æterna. Ecco la promulgazione obbligante, la quale si fa quando la creatura vede il precetto col lume della ragione, o pure l'ascolta per mezzo della Chiesa o de' savi che glielo palesano. Ed a ciò corrisponde quel che dice S. Tomaso in altro luogo, 1, 2, qu. 71, a. 6, cioè che la regola prossima della nostra volontà è la ragione umana, essendo che la legge eterna è la regola rimota, la quale (come parla il Santo) riguarda più presto Dio che noi: Regula autem voluntatis humanæ est duplex: una propinqua et homogenea, scilicet ipsa humana ratio; alia vero est prima regula, scilicet lex æterna, quæ est quasi ratio Dei. Onde, come osservammo nel cap. II, al n. 18, la legge secondo ci vien rappresentata dalla ragione, così da noi ella dee esser osservata; poiché sotto questa sola condizione, come notò il p. Giovanni da S. Tomaso, può la legge naturale esser a noi regola e misura, e non già secondo è in sé stessa da noi non conosciuta.


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41. Sicché questa legge eterna non ha avuta la ragion compita di legge, né è stata legge obbligante, se non dopo ch'è stata applicata agli uomini colla promulgazione ex parte creaturæ audientis aut inspicientis, cioè se non dopo che la legge è stata intimata all'uomo o per udito o per intelligenza della ragion naturale, secondo S. Tomaso lo spiegò (come abbiam veduto di sopra) quando disse che la legge divina anche ha bisogno di promulgazione per esser legge obbligante, e che questa promulgazione est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. La promulgazione della legge è un'applicazione della legge; ma quest'applicazione non si fa che colla cognizione della legge che a' sudditi si promulga. È stata eterna la legge che doveasi promulgare agli uomini futuri; ma agli uomini l'obbligazione d'osservarla non è cominciata se non dopo che la legge loro attualmente è stata promulgata; poiché la promulgazione non precede, ma suppone la libertà della creatura ragionevole. La promulgazion della legge riguardo all'ubbidienza è come la rivelazione de' misteri riguardo alla fede. Siccome dunque, benché sia eterna la divina volontà di obbligarci a credere le verità della fede, non siamo però obbligati a crederle se non dopo la certa rivelazione a


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noi fatta, né perciò può dirsi eterna la rivelazione perché è eterna quella volontà divina; così, quantunque sia eterna la volontà di Dio di obbligarci a fare o evitare la tale azione, non siamo però tenuti ad ubbidire, se non dopo che ci è promulgata questa divina volontà: e per tanto non può dirsi eterna questa promulgazione, perché è eterna la volontà di Dio di obbligarci a quella cosa. Legis æternæ promulgatio, dice Silvio, fit in tempore unicuique, scilicet quando notitiam ejus accipit (homo) mediante lumine rationis naturalis aut alterius ratiocinationis aut fidei. 1, 2, q. 91, a. 1.

 

42. Ma S. Tomaso dice che la legge eterna è stata già promulgata. Ma io dimando: secondo S. Tomaso che cosa è legge eterna? Ecco come la spiega il Santo: Ipsa ratio gubernationis rerum legis habet rationem. 1, 2, q. 91, a. 1. E nella quest. 93, art. 1, soggiunge: In quolibet gubernante oportet quod præexistat ratio eorum quæ agenda sunt per eos qui gubernationi subduntur. Se dunque la legge eterna è una ragion di governo che riguarda lo stesso Dio, non può dirsi ella propria legge rispetto agli uomini; ma perché tutte le divine disposizioni sono ferme ed immutabili, perciò rispetto a Dio la legge eterna si chiama legge.

 

43. E questo è quello che chiaramente


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spiega il Maestro angelico in altro luogo, 1, 2, q. 91, a. 2, dove dice che, essendo la legge una regola e misura, d'altro modo ella si considera nel legislatore regolante e d'altro modo nel suddito regolato. Propone ivi il quesito: Utrum sit in nobis aliqua lex naturalis: e risponde: Respondeo: dicendum quod lex, cum sit regula et mensura, dupliciter potest esse in aliquo: uno modo sicut in regulante et mensurante, alio modo sicut in regulato et mensurato; quia in quantum participat aliquid de regula, sic regulatur... Et talis participatio legis æternæ in rationali creatura lex naturalis dicitur. Soggiunge poi il santo Dottore che tal participazione della legge eterna si fa quando s'imprime in noi il lume divino: Unde cum Psalmista dixisset: Sacrificate sacrificium justitiæ, quasi quibusdam quærentibus quæ sint justitiæ opera, subjungit: Multi dicunt: quis ostendit nobis bona? Cui quæstioni respondens dicit: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine; quasi lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et quid malum, quod pertinet ad naturalem legem, nihil aliud sit quam impressio divini luminis in nobis. Unde patet quod lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis æternæ in rationali creatura.


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44. Dice dunque S. Tomaso che secondo la creatura ragionevole partecipa alcuna cosa della legge eterna per mezzo della legge naturale, così si regola e si misura: In quantum participat aliquid de regula, et mensura, sic regulatur vel mensuratur. Sicché la legge naturale è quella per cui s'imprime nell'uomo il lume divino, ch'è la regola e misura con cui dee egli diriger le sue azioni. Dunque avanti che si conosca questo lume dalla mente dell'uomo per la legge naturale, in modo che con tal lume possa discernere il bene e il male e così regolar le sue operazioni, non v'è legge che l'obbliga; perché non ancora egli ha ricevuta la regola con cui regolarsi. Pertanto la legge eterna, secondo S. Tomaso, è regola per Dio regolante, ma per l'uomo regolato la sua regola è la legge naturale, cioè quel lume che per mezzo della legge naturale gli viene impresso e manifestato. Né tengo io già, come vuol far credere il p. Patuzzi, che la legge naturale sia diversa dalla legge eterna; ma dico con S. Tomaso che la legge eterna è quella che lega l'uomo solamente in quanto si fa legge naturale, cioè in quanto l'uomo ne partecipa per mezzo del lume naturale, il quale è per così dire il banditore per cui si promulga la legge; poiché in ciò appunto consiste, dice S. Tomaso, la promulgazione della


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legge di natura, nell'inserirla Iddio nelle menti umane per esser conosciuta col lume naturale: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam, cioè con inserire nelle nostre menti il lume naturale che ci a conoscere la legge.

 

45. Quindi molti teologi dicono che la legge eterna non è propriamente legge, ma ella è a simiglianza di legge; e se è legge, è per così dire una legge e regola per Dio medesimo; e se è promulgata, è una legge da Dio promulgata a sé stesso. Ecco come parla Duvallio, in 1, 2 S. Thom. de leg. q. 2, pag. 293: Postremo dubitatur an ipsa lex (æterna) semper habuerit et habeat veram et propriam rationem legis. Risponde il p. Patuzzi che sì; ma Duvallio e gli altri (come vedremo appresso) non dicono così: Respondeo: in tempore, quando productæ sunt creaturæ, habere de facto rationem legis, siquidem vere et proprie omnibus creaturis tanquam subditis est indita et imposita; si tamen ab æterno spectetur, dicendum est eam non esse vere et proprie legem, sed tantum aliquid quod se habeat instar legis (e sentiamo la ragione perché): tum quia de ratione vere legis est ut imponatur et promulgetur subditis, nulli autem fuerunt subditi ab æterno; tum quia lex


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essentialiter est regula quædam practica, hæc autem regula non potuit imponi Verbo et Spiritui Sancto, quia ipsimet sunt regula et rectitudo ipsa. Lo stesso scrive Pietro de Lorca, in 1, 2 S. Thom. disp. 5, memb. 2, dicendo che la legge eterna non è propriamente legge a rispetto delle creature: Si quomodo autem lex æterna respicit creaturas, remote respicit, quatenus a Deo moventur et gubernantur, non vero quia sit imperium in creaturas latum, aut quia proponatur ipsis ut regula qua suas actiones mensurare et componere possint. Lex æterna non est principium et ratio agendi alicui qui legi subditus sit, neque est illi regula proxima suarum actionum; sed est ratio agendi ipsî Deo et regula divinarum actionum qua mundum gubernat: si cui ergo esset lex, esset Deo. E parlando di quelle parole di S. Tomaso -et verbo et scripto - dice: Expressio illa in verbo divino æterna fuit in Deo, necessitate naturæ facta, et non relata ad aliquas creaturas, quod promulgatio legis ad subditos refertur. Lo stesso scrive Lodovico Montesino, dis. 20 de leg., q. 4, n. 83, pag. 494, dicendo che la legge eterna non è leggeregola per le creature, ma solo per Dio stesso: Resp.: hujusmodi legem æternam promulgatam esse ab æterno


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ipsimet Deo... Deus sibimet est lex et sibi est regula; et ita intelligimus Deum sibi promulgare legem etc. Lo stesso scrive Jodoco Lorichio, Thesaur. novus utr. theol., verb. Lex n. 6, parlando della legge eterna. Hac lege Deus omnia ordinat ad seipsum, et est promulgata apud ipsum ab æterno; hominibus autem promulgatur quando eis innotescit. Or come dunque si accorda quel che dicono tutti questi teologi con quel che dice il p. Patuzzi «che la legge eterna di Dio ha tutto ciò che richiedesi per essere propriamente legge, prima che egli nel tempo la facesse nota alle sue creature.» E poco appresso replica: «La legge eterna di Dio con rigore e proprietà è legge, ed ha tutta quella promulgazione che per essere tale richiedesi. E porta seco (come avea detto prima) la virtù adequata e perfetta di obbligare.» Ma ciò non trovo che lo dica altri ch'egli solo; gli altri (come abbiam veduto) dicono che la legge eterna non è propriamente legge a rispetto delle creature, se non dopo che per mezzo del lume naturale è loro proposta e manifestata.

46. Ancorché dunque si conceda che la legge eterna sia vera e propria legge, anche a riguardo dell'uomo regolato, è certo (come dicono tutti) che tal legge non ha obbligati gli uomini, se non dopo ch'ella è


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stata loro applicata colla promulgazione. Né sinora abbiam potuto trovare alcun autore il quale dica aver la legge eterna obbligati gli uomini prima d'esser loro intimata, per essere stata già ab æterno promulgata colla promulgazione causale o sia eminente, ch'è un atto intrinseco a Dio, come scrive il p. Patuzzi. Ma se la legge è una sola regola con cui il suddito dee regolarsi, come mai un atto intrinseco a Dio ma occulto a noi, qual è la promulgazione eterna, può essere a noi regola da regolar la nostra volontà è legge che ci renda astretti ad osservarla prima che noi la conosciamo? Non si nega, come dice il p. Patuzzi, che la legge divina non richiede promulgazione formale per mezzo di scrittura pubblicata o di banditore. Ma il dire che la legge eterna abbia obbligati gli uomini, prima che loro fosse applicata colla di lei cognizione, bastando quella sua promulgazione causale ed eminente, questa è una dottrina, la quale primieramente escluderebbe qualunque ignoranza invincibile, contro quel che s'è provato al cap. I. Ma inoltre quel che più importa è ch'ella è contraria a S. Tomaso, come abbiam veduto ed al sentimento comune di tutti i teologi.

 

47. Essi insegnano che la legge naturale non prima comincia ad obbligare l'uomo che dagli anni della discrezione, ne' quali


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dalla ragion naturale ella viene loro intimata. Ecco come scrive Duvallio, in 1, 2 de leg. q. 3, a. 3: Quæres quo tempore lex naturæ unumquemque obligare incipiat? Resp.: incipere quando promulgatur; tunc autem sufficienter promulgari quando quisque annos discretionis incipit. E nella pag. 296 scrive: Quæres: quomodo nobis innotescit lex illa æterna? quod idem est, ac si quæratur quomodo publicetur. Dico eam, ut est in creaturis tamquam subditis, per alias leges nobis innotescere, cum leges illæ sint illius participationes. Lo stesso scrive Pietro de Lorca cisterciese, in 1, 2 S. Thom. disp. 6 de leg. nat. p. 386: Præcepta (naturalia) non aliter lex naturæ sunt et legis vim habent quam quatenus a ratione apprehendi et judicari possunt... Naturali enim lumine intellectus lex naturæ promulgatur hominibus. Et quemadmodum promulgatio est intrinseca et essentialis humanis legibus, sic rationis judicium et cognitio intrinseca est legi naturæ. Lo stesso scrive il p. Lodovico Montesino, disp. 20 de leg. q. 4, n. 85: Lex naturalis promulgatur in unoquoque dum primo venit ad usum rationis; et quamvis pro tunc solum promulgetur ista lex quantum ad principia communissima juris naturæ, tamen postea paulatim per discursum promulgatur eadem lex quantum ad alia.


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Lo stesso scrive Francesco de Aravio, in 1, 2, q. 90, disp. 1, sect. 5, pag. 525: Cum lex æterna non obliget creaturas rationales, nisi mediante lege naturali vel positiva, divina vel humana, ad istarum promulgationem illa quoque sufficienter promulgatur. Ecco come tutti concludono che la legge eterna allora si promulga ed allora solamente obbliga quando per mezzo della legge naturale o positiva viene intimata all'uomo colla di lei notizia.

 

48. Sicché la legge che obbliga gli uomini è la legge naturale, ed in tanto gli obbliga, in quanto loro è intimata col lume della ragione. Ed all'incontro la legge eterna perciò non può dirsi che sia stata legge obbligante in atto secondo, perché non ha potuto mai obbligare le creature prima d'esser loro applicata e promulgata. Così appunto scrive il card. Gotti: Sequitur quod lex æterna ab æterno in actu secundo neminem obligaret, non ex defectu virtutis sed ex parte termini... Ita ab æterno fuit lex in mente Dei concepta, quamvis pro æterno non promulganda nec implenda nec in actu secundo obligans... Fuit tamen ab æterno; quia ad rationem legis satis est ut vim habeat obligandi, quamvis nondum ligat, quia nondum applicata, et promulgata. Theol. tr. 5, qu. 2, dub. 1, num. 13. Si notino le


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parole, quamvis nondum ligat, quia nondum applicata et promulgata. Avendo già prima scritto in altro luogo: Ad hoc ut lex in actu secundo obliget, requiritur quidem indispensabiliter ut subditis promulgatione proponatur. Ed ivi ne apporta la ragione intrinseca dicendo: Sicut mensura in actu secundo non mensurat, nisi mensurabili applicetur; ita etc. Loco cit., qu. 1, dub. 5, § 3, cap. 3, n. 31. Siccome dunque la misura non può far l'officio suo di misurare, se non quando attualmente s'applica a colui che dee misurarsi; così la legge non può obbligare, se non quando attualmente si fa nota a chi con quella dee regolarsi. Onde scrisse Giuseppe Rocafull preposito di Valenza: Quamdiu (lex æterna) non promulgetur per modum legis, semper se habet per modum propositi ferendi legem, non autem per modum legis latæ, praxis etc. Lib. 2, cap. 2.

 

49. Non dee dirsi dunque che in tanto la legge eterna non ha obbligati gli uomini, in quanto gli uomini ab æterno non vi sono stati; ma in quanto ella non ha potuto obbligare gli uomini, prima che loro fosse applicata con la promulgazione, nondum ligat, quia nondum applicata et promulgata. Così dice anche Silvio: Lex æterna fuit ab æterno lex materialiter; non fuit tamen ab æterno formaliter seu sub ratione legis actualiter


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obligantis; quia tunc non fuit actualitis et perfecta promulgatio, in 1, 2, q. 91, a. 1 ad 2. Così anche scrive il p. Gonet, in clyp. t. 3, tract. 6 de leg. d. 2, a. 2, dicendo al n. 19: Legem æternam defectu promulgationis non potuisse obligare creaturas ab æterno. Ed al n. 24: Quæres quomodo lex æterna creaturis existentibus in tempore promulgetur? Respondeo: eam creaturis intellectualibus promulgari per quandam impressionem luminis in intellectu, justa illud: Signatum est super nos etc. Ed in altro luogo, diss. theol. de opin. prob., art. 6, § 1, n. 172, scrive: Promulgatio legis naturalis fit per dictamen rationis intimantis homini ea quæ lege naturæ præscripta aut prohibita sunt: ergo, cum deest tale dictamen, lex naturæ non obligat ad ejus observationem, subindeque ignorantia juris naturalis a peccato excusat. Il p. Gio. Lorenzo Berti, Theol. l. 20, de leg. c. 3, n. 2 in fin., dice che la legge eterna non fu legge obbligante, ma apparecchiata ad obbligare nel tempo quando sarebbe stata promulgata agli uomini: Nos promulgationem nihil aliud intelligimus, nisi paratæ jam legis propositionem et publicationem; æternam legem institutam dicimus ante tempora sæcularia, promulgatam vero in temporum conditione. E perciò nello stesso luogo antecedentemente scrive


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che la legge eterna fu ab æterno solamente vim habitura in rerum creatarum conditione; ond'ella allora dovea avere la virtù perfetta d'obbligare quando sarebbe stata promulgata alle creature: promulgatam vero, non già ab æterno, ma in temporum conditione.

 

50. Così anche scrive Domenico Soto, il quale dice antecedentemente che niuna legge ha vigore d'obbligare prima della promulgazione: e dice che questa è massima la quale non ha eccezione in qualunque caso; e poi soggiunge che la legge eterna cominciò a promulgarsi per mezzo della legge naturale: Nulla lex ullum habet vigorem legis ante promulgationem; nullam exceptionem conclusio hæc permittit... Mentre (dice) che la legge, essendo regola delle nostre azioni, non può esser tale, se non ci viene applicata; e poi soggiunge: Applicari autem nequit nisi per ejus notitiam; nam qui regula utitur eam intueri necesse habet. Quindi conclude che niuna legge obbliga ante promulgationem qua subditis innotescit; e dice che la legge di natura col lume naturale si promulga. De justit. l. 1, q. 1, a. 4, q. 3, a. 2. E questa promulgazione, dice Silvio (come notammo di sovra), allora si fa quando attualmente si promulgano a ciascun uomo i precetti della legge naturale. Lo stesso scrive Onorato Tournely: Quia 


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tamen lex ante creaturarum existentiam vere obligans non fuit, cum nihil esset ad extra quod ea obligarentur, palam est rationem completam legis tunc tantum ei competere potuisse cum extiterunt creaturæ, quibus fuit lex promulgata, aut saltem quæ impressione ipsius moveri cœperunt. Prælect. theol. t. 2, c. 2, q. 2. Lo stesso scrive il suo continuatore, il p. Pietro Collet, dicendo: Quia tamen lex æterna ante creaturarum existentiam vere et stricte obligans non fuit, palam est rationem plenam et completam legis tunc tantum ei competere potuisse cum extiterunt creaturæ, quibus intimata fuit ac promulgata. T. 2 de leg. c. 2, pag. 17. Duvallio scrive: Quæres quo tempore lex naturæ unumquemque obligare incipiat. Resp. incipere quando promulgatur; tunc autem sufficienter promulgari quando quisque annos discretionis attingit. 1, 2 de leg. q. 3, art. 3. Lo stesso scrive il p. Suarez: Lex æterna præcise spectata, ut æterna est, non potest dici obligare... Ratio est, quia lex non potest acta obligare, nisi sit exterius promulgata. Item lex æterna, ut sic, non connotat effectum temporalem jam factum, quia sic repugnaret esse æternam; sed actu obligare est temporalis effectus. Unde etiam fit ut lex æterna numquam per seipsam obliget, separata ab omni alia lege, sed


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necessario debet alicui aliæ conjungi, ut actu obliget; quia non actu obligat, nisi quando actu exterius promulgatur... Atque hoc modo potest dici legem æternam numquam obligare immediate, sed mediante aliqua alia lege. De legib. l. 2, cap. 4, n. 10. Alessandro alense, 3 p., qu. 26, membr. 1, dice che la legge può dirsi a legendo ed a ligando, e che nel primo senso la divina legge è eterna, perché leggeasi nella mente divina, ma nel secondo senso non è eterna, poiché per legare ha bisogno di promulgazione. Così anche scrive Jodoco Lorichio: Hominibus autem (lex æterna) promulgatur quando eis innotescit. Thesaur., v. Lex, n. 6. Silvio: Lex æterna fuit ab æterno lex materialiter, non fuit tamen ab æterno formaliter seu sub ratione legis actualiter obligantis; quia tunc non fuit actualis et perfecta promulgatio. In 1, 2, qu. 91, art. 1 ad 2. E prima lo scrisse Gio. Gersone, come notammo di sopra: Necesse est dari manifestationem ordinationis ac voluntatis Dei: nam per solam suam ordinationem aut per solam sua voluntatem nondum potest Deus absolute creaturæ imponere obligationem, sed ad hoc opus est ut ei communicet notitiam unius æque ac alterius. Vita spir. etc., lect. 2, col. 176 ed. Par. Posto ciò, io non so come la dottrina di


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S. Tomaso e di tutti i teologi riferiti, possa mai accordarsi con quel che dice il p. Patuzzi, cioè «che la legge eterna è vera e propria legge cui nulla manca ab æterno per essere veramente promulgata, comunque dall'eternità non vi fossero creature che l'udissero e la conoscessero» e ch'ella inserisca la formale promulgazione e la virtù adequata e perfetta di obbligare i sudditi prima che loro sia applicata e promulgata.

 

51. Restringiamo il punto in breve. Non è vero dunque che la legge eterna abbia avuta ab æterno la virtù perfetta di obbligare gli uomini, dicendo ch'ella è stata vera e propria legge ed ha avuta tutta la promulgazione che per esser tale richiedeasi. Poiché primieramente, come abbiam detto di sovra, dicono più teologi che la legge eterna non è stata vera e propria legge a riguardo delle creature, ma più presto ella è stata una legge o sia regola che riguardava Dio stesso come regolante. Il che ben s'accorda con quel che dice S. Tomaso, che la ragione umana è la regola prossima della volontà umana; l'altra regola poi, ch'è la legge eterna, è una certa ragione che più s'appartiene a Dio che a noi: Regula autem voluntatis humanæ est duplex: una propinqua et homogenea, scilicet ipsa humana ratio; alia vero est prima regula, scilicet lex


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æterna, quæ est quasi ratio Dei. 1, 2, q. 71, a. 6. Ma dato che la legge eterna sia stata vera e propria legge, scrivono tutti, fondati sul principio di S. Tomaso, che niuna legge ha virtù d'obbligare, se non è applicata a' sudditi colla promulgazione (conclusione, come scrive Soto, che non ammette eccezione); fondati, dico, su questo principio, scrivono tutti che la legge eterna non è stata mai legge obbligante prima di essere stata promulgata agli uomini. La legge eterna, quantunque abbia avuta la virtù intrinseca di poter obbligare gli uomini, non ha potuto però attualmente obbligarli, se non dopo ch'ella è stata loro manifestata col lume della ragion naturale. E perciò scrisse bene Alessandro di Ales che la legge può dirsi a legendo ed a ligando; ma che in questo secondo senso la legge non è eterna, perché ha bisogno della promulgazione per obbligare. Il card. Gotti disse: ab æterno (lex æterna) fuit in mente Dei, quamvis pro æterno nondum ligat (ecco la ragione); quia nondum applicata et promulgata. Il p. Gonet: Legem æternam, defectu promulgationis, non potuisse obligare creaturas ab æterno. Il p. Suarez: Lex æterna, ut æterna est, non potest dici obligare; quia non potest actu obligare, nisi sit promulgata. Duvallio dimanda quando la legge cominci


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ad obbligare; e risponde incipere quando promulgatur. Lo stesso dicono Domenico Soto, Francesco Silvio, Lodovico Montesino, Francesco d'Aravio ed altri riferiti di sovra. Aggiungo solo quel che scrive Francesco Henno probabiliorista, theol. de leg... Egli dice in primo luogo che la legge naturale non si distingue dalla legge eterna; ma poi si fa questa opposizione: Promulgatio est de essentia legis: sed lex naturalis tantum fuit promulgata in tempore; ergo tantum cœpit esse proprie lex in tempore, et consequenter distinguitur a lege æterna. E risponde così: Fuit ab æterno lex naturæ potens obligare, licet non obligaverit, antequam promulgaretur in tempore per dictamina rationis. Et idem est de lege æterna, cum qua coincidit; unde sicut non fuit lex æterna obligans ab æterno, sed in tempore, quo sensu dici potest temporalis; ita et lex naturæ. Secondo dunque il senso comune di tutti questi teologi e degli altri riferiti di sopra, par che non possa più dubitarsi che la legge divina (sia eterna o sia naturale) non ha avuta virtù di obbligare attualmente gli uomini prima che loro fosse attualmente promulgata, e che questa promulgazione non si fa, se non quando la legge divina è applicata a ciascuno per mezzo del dettame della ragion naturale. Sicché la legge eterna non ha obbligato


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ab æterno, non solo perché mancavano le creature che dovean essere obbligate, ma perché mancava la necessaria promulgazione, senza cui la legge non ha virtù attuale di obbligare.

 

52. Oltreché, essendo la divina legge una misura delle nostre azioni, questa misura, acciocché possiamo con quella misurarci, ella dee esser certa, anzi certissima, come scrive S. Tomaso; 1, 2, q. 19, a. 4 ad 3: Mensura debet esse certissima. Ma di ciò se ne parlerà a lungo nel seguente cap. IV.. Per ora non ci partiamo dal punto proposto, che la legge dubbia non è legge che obbliga, perché non è promulgata abbastanza.

 




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