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S. Alfonso Maria de Liguori
Dell'uso moderato dell'opinione probabile

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§ II.

Si risponde a due altre obiezioni fatte contro lo stesso primo principio: cioè 1º che la legge eterna, essendo vera legge, ha la proprietà essenziale di obbligare prima che dagli uomini sia conosciuta; 2º che la legge naturale si promulga all'uomo nell'infusione dell'anima, prima della cognizione attuale della legge.

 

53. Il p. Patuzzi nel § IV dell'opera suddetta Osservazioni ec., al n. IX, distingue già con S. Tomaso la promulgazione della legge eterna ex parte Dei promulgantis, active, e la promulgazione ex parte creaturæ,


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passive, dicendo con S. Tomaso che la legge eterna ex parte Dei æternam habet promulgationem, ma ex parte creaturæ non potest esse promulgatio æterna. Posta una tal distinzione dovrebbe dire il mio avversario che la legge eterna, sebbene sia vera e propria legge a rispetto di Dio active, a rispetto però della creatura passive par che non possa dirsi assolutamente vera e propria legge, secondo quel che dice lo stesso S. Tomaso in altro luogo, 1, 2, q. 71, a. 6, come abbiam rapportato di sovra, dove scrive che la regola prossima della volontà umana è la ragione umana, la legge poi eterna est quasi ratio Dei; ed in altro luogo, 1, 2, q. 91, a. 1, dice ch'è ipsa ratio gubernationis rerum in Deo. Ma diamo che assolutamente la legge eterna anche a rispetto degli uomini sia vera e propria legge; almeno non è legge che obbliga, se non dopo ch'è stata loro applicata colla promulgazione. Ma no: il p. lettore, dopo aver dedotto dall'autorità di S. Tomaso che la legge eterna è stata ab æterno vera e propria legge, ne deduce e ritorna a dire ch'ella ab æterno è stata obbligatoria, essendoché (come dice) l'obbligare è proprietà essenziale della legge; e questo è tutto il suo fondamento, che poi distende per provare che la legge eterna ab æterno ha la virtù perfetta e


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compita di obbligare gli uomini, e che intanto non gli ha obbligati ab æterno attualmente in atto secondo, ex defectu termini, cioè perché gli uomini non ancora vi erano, ma che ab æterno ella ha avuta già la forza di legarli, per quando eglino esistessero e prima che da essi la legge fosse conosciuta.

 

54. Prego il mio lettore a riflettere che quantunque sia proprietà essenziale della legge d'obbligare, bisogna nondimeno distinguere la proprietà della legge promulgata dalla proprietà della legge non promulgata. La proprietà della legge promulgata è di obbligare attualmente anche in atto secondo: ma la proprietà della legge non promulgata è di obbligare solamente in atto primo; poiché la legge non promulgata ha sì bene in sé la forza intrinseca di obbligare, ma solamente in futuro, per quanto sarà ella intimata ed applicata al suddito: finché però non è applicata colla promulgazione, ella non obbliga né ha virtù di attualmente obbligare. E perciò dice S. Tomaso, 1, 2, q. 90, a. 2: Ad hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod applicetur hominibus, qui secundum eam regulari debent. Quantunque però dica S. Tomaso in questo luogo che la legge non ha virtù di obbligare se non è promulgata, io non ripugno di dire col


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cardinal Gotti, come già ho detto, che la legge eterna, benché non promulgata, ha in sé la virtù di obbligare. Né ciò si oppone a quel che insegna S. Tomaso, perché S. Tomaso parla della virtù di obbligare attualmente anche in atto secondo, e Gotti parla della virtù di obbligare solo in atto primo: il che importa che fatta poi la promulgazione della legge, la legge attualmente già obblighi, ma non obbliga prima della promulgazione: siccome il fuoco ha in sé la virtù di bruciare, ma non brucia, se non dopo ch'è applicato alla cosa che dee bruciarsi. Vi è però differenza, dice saggiamente Giovanni Maldero dottor lovaniese, tra il fuoco e la legge: il fuoco non riceve già la virtù di bruciare dall'essere applicato, ma la legge dalla promulgazione ha la virtù di obbligare che non avea: Oportet inter hæc agnoscere istam dissimilitudinem, quod ignis ex applicatione vere non accipit vim comburendi, quam prius habebat; lex autem eo ipso quo promulgatur accipit vim obligandi, quam non habebat prius. In 1, 2 S. Thom. qu. 90, art. 4, d. 1. E dello stesso modo parla il card. Gotti della legge eterna: Ita ab æterno fuit lex in mente Dei concepta, quamvis pro æterno non promulganda nec implenda nec in actu secundo obligans... Et hoc modo, cum ab æterno non fuerit creatura, quam obligaret et cui applicaretur, ad æterno actu non obligavit: fuit tamen ab æterno lex; quia ad rationem legis satis est ut vim habeat obligandi, quamvis nondum ligat, quia nondum applicata et promulgata. Theol. tract. 5, q. 2, dub. 1, n. 13. Dice dunque Gotti che quantunque la legge eterna ab æterno è stata nella mente di Dio, nondimeno non è stata legge ab æternopromulgataobbligante in atto secondo, quamvis pro æterno non promulganda nec in actu secundo obligans. E poi soggiunge che benché abbia avuta la forza di obbligare, non ha però legato, perché non ancora applicata e promulgata: Fuit ab æterno lex, quia ad rationem legis satis est ut vim habeat obligandi, quamvis nondum ligat, quia nondum applicata et promulgata. Ed ecco il passo che il p. Patuzzi adduce per sé del cardinal Gotti; ma io credo che ognuno lo veda quanto il passo è chiaro a favor mio. Lo stesso autore poi, avendo detto che la legge eterna ab æterno ha avuta la virtù di obbligare, oppone a sé stesso il testo di S. Tomaso, il quale insegna, come abbiam veduto di sopra: Ad hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, oportet quod applicetur hominibus; e risponde, come io ho detto di sopra, che S. Tomaso parla in atto secondo, ma egli parla in atto primo, ut virtutem


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habeat obligandi in actu secundo, non vero in actu primo; così risponde al n. 24, theol. t. 2, tract. 5 de leg. qu. 2, d.1, n. 13.E così dicono tutti gli altri teologi da me addotti di sovra al § 1 dal n. 47 sino al 50, i cui detti qui tralascio di ripetere per non più tediare i leggitori.

 

55. Si lagna poi il p. lettore ch'io nell'apologia abbia voluto fargli dire una scioccheria, cioè che la legge eterna ab æterno obbligasse gli uomini attualmente, ancorché essi non ancora vi fossero. Io non dico ciò: e dico ch'egli ammette già che la legge eterna non ha ab æterno obbligati attualmente gli uomini che non vi erano; ma dico non esser vera la ragione ch'esso di ciò assegna. Egli dice che intanto la legge eterna non ha obbligati gli uomini, prima che fossero, ex defectu termini; cioè solo perché non potevano gli uomini esser legati prima che fossero. Ma non è questa di ciò la sola ragione: la legge eterna non ha obbligati gli uomini ab æterno; non solo perché gli uomini non sono stati ab æterno, ma ancora perché la legge non poteva obbligarli attualmente in atto secondo prima di esser loro applicata e promulgata. E perciò dice il cardinal Gotti (mi bisogna ripetere le sue parole): Ad hoc ut lex in actu secundo obliget, requiritur quidem indispensabiliter ut


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subditis promulgatione proponatur. Non solo dice ricercarsi l'esistenza de' sudditi, acciocché la legge obblighi; ma dice di più ricercarsi indispensabilmente per obbligarli che la legge sia loro proposta colla promulgazione: Requiritur indispensabiliter ut subditis promulgatione proponatur. E quindi poi scrive: Ab æterno fuit lex in mente Dei, quamvis pro æterno non obligans... Nec ligat, quia nondum applicata. Theol. t. 2, tract. 5 de leg. qu. 2, d. 1, n. 13. E così dicono tutti gli altri autori che abbiamo riferiti di sovra dal n. 47 sino a 50. E Gotti di ciò ne assegna la ragione, dicendo: Mensura non mensurat, nisi mensurabili applicetur. La legge per obbligarci dee essere da noi conosciuta, perché la misura, qual è appunto la legge, non può essere misura delle nostre azioni, se prima non ci è applicata colla di lei cognizione; poiché come mai uno può misurare le sue azioni con una misura che non conosce? E questo è quello stesso che scrisse S. Tomaso, dicendo: Sed ex parte creaturæ non potest esse promulgatio æterna. 1, 2, q. 90, a. 1 ad 2. Mentre nello stesso articolo dice il Santo che la legge eterna è regola per Dio regolante; ma la legge naturale poi, per ragione ch'ella si promulga col lume naturale, è regola per l'uomo regolato: Quia in quantum


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(homo) participat aliquid de regula, sic regulatur. Sicché allora l'uomo vien legato dalla legge eterna, quando egli partecipa in tal modo di questa legge che possa con quella regolarsi, cioè quando ella gli vien manifestata per mezzo del lume naturale.

 

56. Il p. lettore fa poco conto poi delle dottrine de' teologi da me addotte di sovra, con dire che i veri discepoli di S. Tomaso ivi citati non dubitano che la legge eterna sia vera e propria legge. Sì signore, concediamo che lo dicano, ma tutti poi dicono che la legge eterna non è stata legge obbligante, se non dopo ch'è stata applicata agli uomini colla promulgazione. Esso mio oppositore della prima parte di quel che dicono questi autori, da lui chiamati discepoli veri di S. Tomaso, cioè che la legge eterna è vera e propria legge, perché a lui favorisce, egli ne fa pompa e ne descrive a lungo le parole; ma della seconda parte, dove dicono che la legge eterna non è stata legge obbligante prima che gli uomini esistessero, perché non ancora è stata loro attualmente promulgata, lascia di farne menzione e passa avanti: ma questo non è modo di persuadere le menti che intendono. Si osservino tali autori addotti, e vedasi come parlano tutti uniformemente d'uno stesso linguaggio. Aggiungo solamente ad essi quel che scrive il


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p. Manstrio, il quale ottimamente spiega che ciò che si trova active nella legge eterna, si partecipa passive secondo S. Tomaso per la legge naturale: Lex naturalis quædam est participatio legis æternæ, vel quædam intimatio legis æternæ creaturæ rationali. Et sic quod in lege æterna active reperitur, passive per legem naturalem participatur. S. Thom. 1 , 2, quæst. 7, art. 6 ad 4. De leg. cap. 1, n. 25.

 

57. Il mio avversario lascia poi di parlare della legge eterna e della promulgazione eterna, e nel § V prende a parlare della legge naturale e della promulgazione abituale di essa legge; dicendo che la legge di natura si promulga abitualmente quando Dio crea l'anima e l'infonde nel corpo, poiché allora le imprime la ragione. Da ciò poi ne ricava che l'uomo resta legato dalla legge, sin da che è stato conceputo, perché sin da allora la legge gli è stata promulgata con avergliela Dio impressa nell'anima. Ciò pretende di provarlo collo stesso testo di S. Tomaso, che da me più volte è stato addotto: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso, quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. 1, 2, q. 90, a. 1 ad 1. Ecco dunque, dice il p. lettore, che quando Dio inserisce o sia imprime la legge nella mente umana, allora già si fa la promulgazione.


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58. Rispondo. Per conoscere la mente di S. Tomaso in questo passo, bisogna osservare quel che dice il santo Dottore nel corpo dell'articolo. Egli propone il quesito se la promulgazione sia di essenza della legge, e risponde che la legge (e parla d'ogni legge, umana o divina) s'impone per modo di regola e misura; onde, affinché abbia virtù di obbligare, bisogna che sia applicata all'uomo, che secondo quella dee regolarsi. E questa applicazione come si fa? Talis autem applicatio (dice) fit per hoc, quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione. Sicché il Santo mette per certo che la legge allora s'applica ed allora obbliga quando si promulga attualmente all'uomo per mezzo della di lei attual notizia o sia cognizione. Quando parla poi particolarmente della legge naturale, dice, come abbiam riferito: Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso, quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam. Il mio oppositore vuol servirsi, come vedo, della sola parola inseruit: ma dee servirsi ancora delle due parole susseguenti, naturaliter cognoscendam. Or di qual cognizione si dee intendere che parli qui S. Tomaso? Non si dee intendere già dell'abituale, ma dell'attuale; e perché? Perché allora l'uomo in fatti acquista la vera cognizione della legge, per mezzo


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della quale cognizione la legge gli vien applicata e promulgata, secondo la dottrina nel corpo dell'articolo dal Santo premessa. Altrimenti discorderebbe quel che dice nella risposta, da quel che dice nell'articolo; poiché nell'articolo parla della promulgazione attuale della legge che si fa per mezzo dell'attual cognizione della medesima, e nella risposta poi parlerebbe della promulgazione abituale che si fa per mezzo della prima impressione fatta nell'anima, ma senza attual cognizione. Onde il più che può dirsi è che la prima inserizione o sia impressione della legge che si fa nell'uomo nel di lui concepimento, è una quasi promulgazione in abito, che non è vera e propria promulgazione, ma è una capacità data a ricever la vera e compita promulgazione della legge, quando l'uomo avrà attualmente l'uso della ragione, con cui potrà conoscer la legge, secondo distintamente spiega Silvio, come qui a poco vedremo. Onde scrive il cardinal Gotti che la legge naturale è per modo di atto nell'anima, mentre coll'atto vien considerata. Ne' pazzi poi la legge è in abito e ne' fanciulli è in potenza; mentre questi non possono formare dettame de' loro obblighiintimare a sé stessi le ordinazioni divine come precetti, nel che consiste la legge: Lex naturalis est in anima per modum actus, et


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quidem dum actu consideratur... In amentibus est habitu, in pueris autem est in potentia, qui nondum possunt perfectum dictamen de agendis conficere, nec sibi divinam ordinationem ac præceptum, in quo consistit lex, intimare. De leg. qu. 2, dub. 2, n. 21. Si noti: in quo consistit lex, intimare. Consiste dunque la legge nel formarsi l'uomo il dettame di quel che ha da fare, a così intimare a sé il divino precetto.

 

59. E che S. Tomaso intenda qui certamente parlare non della sola promulgazione abituale, ma anche dell'attuale, la quale si fa per mezzo dell'attual cognizione della legge, ciò lo spiega il Santo stesso, quando dice in quell'altro luogo, q. 91 ad 2: Et utroque modo (lex) habet promulgationem ex parte Dei promulgantis... Sed ex parte creaturæ audientis et inspicientis, non potest esse promulgatio æterna. Dunque dice S. Tomaso che per la creatura non v'è promulgazione della legge eterna (e lo stesso dee dirsi della naturale) se non quando la creatura legem audit aut inspicit: poiché allora la legge compitamente si promulga, quando il legislatore parla al suddito, e il suddito ascolta ed intende la legge; altrimenti se il suddito non l'ascolta o non intende, allora non v'è promulgazione di quella, e per conseguenza la legge non lega.


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60. Inoltre l'Angelico in altro luogo, 1, 2, q. 91, a. 2, parlando del modo come la legge naturale si partecipa all'uomo, porta quel passo di Davide: Sacrificate sacrificium justitiæ. E qui scrive il Santo: Quasi quibusdam quærentibus quæ sunt justitiæ opera, subjungit: Multi dicunt: quis ostendit nobis bona? Cui quæstioni respondens dicit: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine; quasi lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et quid malum, quod pertinet ad naturalem legem, nihil aliud sit quam impressio divini luminis in nobis. Sicché il Santo, parlando dell'obbligazione che s'impone all'uomo di osservar la legge naturale, descrive l'uomo che, udendo il precetto: Sacrificate sacrificium justitiæ, dimanda: Quis ostendit nobis bona? cioè, come spiega il Santo, dimanda quali siano le opere di giustizia; e il profeta risponde: Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine. Or quale è questo lume col quale resta l'uomo legato dalla legge naturale? Ecco come poi lo spiega S. Tomaso: Quasi lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et quid malum. E questo lume di ragione nihil aliud est (come dice S. Tomaso) quam impressio divini luminis in nobis; della quale impressione o sia inserzione parlò quando disse: Quod Deus eam mentibus hominum


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inseruit naturaliter cognoscendam. Dunque secondo S. Tomaso non è già il lume abituale impresso nell'uomo dal suo concepimento, col quale si promulga la legge, ma è quel lume della ragione quo discernimus quid sit bonum et quid malum; e questo lume della legge, come dice S. Antonino, non dimostra all'uomo il bene, cioè il di lui obbligo, se non quando l'uomo giunge all'uso di ragione, col quale gli vien dinunziata la legge; ecco le parole del Santo: Nota diligenter, secundum B. Thomam, quod istud lumen legis naturalis non ostendit homini quæ sint bona, quousque perveniatur ad usum rationis. P. 1, tit. 13, cap. 12, § 3. Sicché, propriamente parlando, nell'infusione dell'anima non già s'imprime la legge, ma s'imprime il lume col quale si conosce poi la legge: Signatum est lumen quo discernimus etc.; onde quando con tal lume si conosce la legge, allora la legge si promulga. Lo stesso è poi dire con S. Tomaso che la legge si promulga quando s'inserisce nell'uomo da conoscersi col lume naturale che il dire che si promulga la legge quando è conosciuta dall'uomo per mezzo del lume naturale nella mente inserito col prender l'effetto per la causa; essendo certo, secondo tutti e secondo lo stesso S. Tomaso (come abbiam veduto di sopra), che la legge non


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ha virtù di obbligare, se non è applicata all'uomo colla di lei cognizione; poiché la legge, ch'è la regola dell'uomo, come scrive Domenico Soto, non può servirgli di regola, se non gli è manifestata colla promulgazione. De just. et jure lib. 1, quæst. 1, art. 4, et vide etiam quæst. 3, art. 2: Est enim (lex) regula et mensura nostrarum actionum; regula autem, nisi operantibus applicetur, vana est. Applicari autem nequit, nisi per ejus notitiam; nam qui regula utitur eam intueri necesse habet. Fit ergo consequens ut ante promulgationem, qua subditis (lex) innotescit, non eos obligando perstringat, sed tunc percipi quando promulgatur.

 

61. Ciò si conferma da quel che dice S. Tomaso in altro luogo, 3 part., quæst...: ove scrive che la legge naturale non è altro che un concetto o sia cognizione dimostrata per mezzo del lume naturale, colla quale vien diretto l'uomo ad operare secondo gli conviene: Lex ergo naturalis nihil aliud est quam conceptio homini naturaliter indita, qua dirigitur ad convenienter agendum in actionibus propriis. Sicché quel concetto o sia intelligenza che all'uomo è comunicata per mezzo della ragion naturale del suo obbligo per ben operare, quella è la legge naturale. Ciò lo spiegò più chiaramente Giovan Gersone, parlando della legge naturale,


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Lex ista sit quædam revelatio ac proprie dicta declaratio creaturæ rationali facta, per quam illa cognoscit quid Deus de certis rebus judicet, ad quas vel præstandas vel omittendas ipse creaturam obligare vult, ut ea digna reddatur ad vitam æternam. Indi, posta tal definizione della legge, soggiunge: Necesse est dari manifestationem ordinationis ac voluntatis Dei: nam per solam suam voluntatem nondum potest Deus absolute creaturæ imponere obligationem, sed ad hoc opus est ut ei communicet notitiam unius æque ac alterius. Ex quo liquet immediate deducibilis conclusio, creaturam rationalem non posse esse indignam amicitia Dei nec proprie peccato obnoxiam, nisi dum sciens, volens ac libere ponit actionem sibi prohibitam aut omittit rem præceptam. Vita spir. etc., lect. 2,col. 176, ed. Par. Sicché Dio stesso non può obbligare la creatura alla legge, se prima non gliela manifesta.

 

62. Ma esaminiamo questo punto precisamente secondo i termini del p. Patuzzi. Egli si fonda sul testo di S. Tomaso, il quale, 1, 2, q. 94, a. 1, propone il quesito. Utrum lex naturalis sit habitus. E risponde che no, dicendo così: Aliquid potest dici habitus dupliciter. Uno modo proprio et essentialiter; et sic lex naturalis non est habitus.


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Dictum est enim supra (qu. 90, art. 1 ad 2), quod lex naturalis est aliquid per rationem constitutum... Alio modo potest dici habitus id quod habitu tenetur, sicut dicitur fides id quod fide tenetur; et hoc modo quia præcepta legis naturalis quandoque considerantur in actu a ratione, quandoque autem sunt in ea habitualiter tantum; et secundum hunc modum potest dici quod lex naturalis sit habitus. Indi il Santo ad 3 soggiunge: Dicendum quod, eo quod habitualiter inest, quandoque aliquis uti non potest propter aliquod impedimentum: sicut homo non potest uti habitu scientiæ propter somnum; et similiter puer non potest uti habitu primorum principiorum vel etiam lege naturali, quæ et habitualiter inest, propter defectum ætatis. Ora, secondo quest'ultime parole del Santo, dice il p. lettore che l'uomo nell'infusione dell'anima e prima della cognizione della legge naturale già possiede la legge abitualmente. Ma io dimando: dunque perché l'uomo possiede l'abito della legge, cioè possiede la capacità (come abbiam veduto di sopra) a conoscer la legge, per quando avrà l'uso della ragione, perciò sarà obbligato alla legge prima di conoscerla? Ma Silvio saggiamente dice, unendosi già al sentimento di S. Tomaso, che la legge naturale è atto, non è abito; e perché è atto? appunto


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perché l'essenza della legge consiste nell'atto di enunziare all'uomo i suoi doveri col dettame della ragione: Lex naturalis est actus rationis, actuale scilicet judicium et dictamen rationis practicæ. Omnis lex habet se per modum enunciationis; enunciatio autem est quidam actus. 1, 2, qu. 94, ar. 1, concl. 2. Quindi dice in altro luogo che, affinché la legge abbia forza di obbligare, è necessario che l'uomo non solamente la conosca materialmente, ma che per mezzo di quella concepisca un dettame che gl'imponga ciò che dee fare, e gli proibisca ciò che dee fuggire: Vis obligationis non est simpliciter ex cognitione quatenus est talis aut talis..., sed ex dictamine rationis præscribentis ea quæ secundum se bona sunt et agenda, aut prohibentis ea quæ secundum se sunt mala et fugienda. Loc. cit., qu. 94, art. 1.

 

63. Ciò poi lo spiega più diffusamente il cardinal Gotti, dicendo: Ex his patet nos loqui de lege naturali ut in actu secundo denunciante, in quo essentia legis consistit, quæ habetur per modum denunciationis. Quod si sumamus legem naturalem in actu primo, sic in virtute et quodammodo habitu lex naturalis est, etiam dum quis actu principia ejus non considerat; cum semper maneat in intellectu lumen rationis, quod simul cum


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natura unicuique rationali creaturæ Deus indidit; ex quo, si usu rationis polleat, potest formare judicium et dictamen de agendis vel omittendis. Unde D. Thomas (q. 94, art. 1) ait: Hoc modo quia præcepta legis naturalis quandoque considerantur in actu a ratione, quandoque autem sunt in eo habitualiter tantum; et secundum hunc modum potest dici quod lex naturalis sit habitus. Theol., tr. 5 de leg., qu. 2, dub. 2, § 1. n. 9. Sicché il cardinal Gotti distingue la legge naturale in atto primo ed in atto secondo: e dice che la legge naturale, considerata in atto primo ed in abito, è in certo modo quel lume abituale della ragione che s'imprime in noi colla natura; col qual lume poi si forma il dettame pratico nel tempo che l'uomo giunge all'uso di ragione. Ma considerata la legge naturale in atto secondo ed obbligante, consiste essenzialmente nell'attuale dinunziazione della legge che vien fatta all'uomo per mezzo del pratico dettame. Ora dimando: ove si ritrova propriamente l'essenza della legge? nell'abito forse inserito della legge, nel tempo che l'anima è creata, o pure nell'attuale dinunziazione della legge? Qual cosa, dimando, rende la legge naturale propriamente legge perfetta ed obbligante? quel solo lume abituale inserito nella creazione, o pure l'attual dinunziazione o sia


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intimazione della legge? Dice Gotti (e lo stesso dice Silvio, come abbiam veduto prima, e lo dicono tutti, S. Tomaso, Gersone, Soto, Gonet ed altri, come vedremo appresso) che non già nell'abito, ma nell'attual dinunziazione consiste l'essenza della legge, e da questa dinunziazione si forma poi nell'uomo il dettame di ragione che l'obbliga alla legge: Patet nos loqui (ripetiamo le parole di Gotti) de lege naturali, ut in actu secundo denunciante, in quo essentia legis consistit, quæ habetur per modum denunciationis. E da questa dinunziazione, come dice lo stesso Gotti, formasi il dettame obbligante. Ma come può essere che quel pratico dettame dell'uomo sia legge per lui, giacché niuno può comandare a sé stesso? Risponde il medesimo Gotti (vedi al n. 22 del luogo citato): Dictamen illud non habet vim legis quatenus est a nobis, sed quatenus est nobis inditum ab auctore naturæ. Lo stesso più succintamente dice il p. Pietro Collet: Lex naturalis, in actu primo ac velut in genere habitus spectata, est vis a Deo menti creatæ impressa, imperative dictans, seu potius nata dictare, quid sit faciendum vel omittendum, ut consentaneum aut dissentaneum legi æternæ. Eadem vero lex, in actu secundo spectata, est actuale dictamen præcipiens quid hîc et nunc fieri debeat aut omitti.


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Comp. mor., to. 1, cap. 3, art. 1, concl. 2. Dice: potius nata dictare; perché in fatti la legge naturale non detta all'uomo ciò che dee fare quando gli è impressa in atto primo ed in abito, ma glielo detta quando in atto secondo attualmente gli è manifestata per mezzo del dettame della coscienza, ed allora l'obbliga. Lo stesso dice Giovanni Maldero dottor lovaniese e vescovo di Anversa: In habitu ergo promulgatur (lex naturalis) ab initio nativitatis, actu autem initio usus rationis, ad eum fere modum ac si quis in tenebris litteras principis aliquid jubentis accipiat, quibus tunc demum teneatur parere quando eas legere potuerit. In 1, 2 S. Thom. qu. 90, art. 4. Lo stesso scrive Lodovico Habert in più poche parole, dicendo che la legge naturale dictat et præscribit quid creatura rationalis agere aut fugere debeat. Quibus verbis duo denotantur quæ ad rationem legis pertinent, nempe promulgatio et vis obligandi: intimat enim hoc ipso quo dictat et præscribendo obligat. To. 3, de leg. c. 6, q. 4, vers. dic. 4. Si noti: intimat hoc ipso quo dictat et prœscribendo obligat. Dunque la legge naturale allora intima ed obbliga quando attualmente detta e prescrive ciò che si ha da fare.

 

64. Ma Silvio (ripiglia il p. lettore) dice che Iddio imprime la legge naturale quando


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infonde l'anima ragionevole. Sì signore, dice Silvio, che Dio quando infonde l'anima, allora segna già su di lei il lume del suo volto: e qui parla del lume abituale, come parlò anche S. Tomaso, dicendo: Puer non potest uti... lege naturali, quæ ei habitualiter inest, propter defectum ætatis. 1, 2. q. 94, a. 1 ad 3. Ma non già dice qui né Silvio né S. Tomaso che questo lume abituale basta ad obbligare l'uomo alla legge, non essendo altro questo lume abituale impresso nell'anima che nell'abilità o sia capacità ad aver cognizione della legge: ma finché non ha quest'attual cognizione, la legge non è ancor promulgata e perciò non obbliga. Quindi lo stesso Silvio in altro luogo, 1, 2, q. 90, a. 4, parlando del passo riferito più volte di S. Tomaso - Promulgatio legis naturæ est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam -, lo spiega dello stesso modo come di sopra l'abbiam noi spiegato, e dice che quantunque la legge naturale s'inserisca nell'anima quando è creata, nondimeno egli riconosce in quella prima impressione la difficoltà, come per quella la legge possa obbligare e legare senza esser conosciuta; onde soggiunge: Ideo addendum est legem naturalem quasi promulgari in habitu, eo ipso quod Deus illam mentibus hominum imprimit...


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Actualiter autem tunc unicuique promulgatur quando cognitionem a Deo accipit dictantem quid juxta rationem naturalem sit amplectendum, quid fugiendum. Silvio dunque chiama questa prima impressione della legge nell'uomo, quando è conceputo, una quasi promulgazione in abito; e chiama poi assolutamente promulgazione quella che si fa attualmente, allorché l'uomo conosce la legge con cui dee regolarsi. Sicché certamente con ciò intende Silvio di dire che quella impressione fatta nell'uomo prima ch'egli conosca attualmente la legge non è sufficiente ad obbligarlo; e perciò soggiunge: ideo addendum est etc. E poi dice che l'attual promulgazione allora si fa quando l'uomo riceve la cognizione della legge; perché questa è la promulgazione sufficiente e necessaria per cui l'uomo vien legato dalla legge colla quale dee misurarsi e legarsi. E che così l'intenda Silvio, consta da quel che dice in altro luogo, 1, 2, q. 91, a. 1 ad 2: Lex æterna fuit ab æterno lex materialiter: non fuit tamen ab æterno formaliter seu sub ratione legis actualiter obligantis; quia tunc non fuit actualis et perfecta promulgatio. Sicché dice Silvio che la legge eterna (e lo stesso corre della legge naturale, la quale è una participazione dell'eterna) non è legge che formalmente ed attualmente obbliga, se non quando


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vi è l'attuale promulgazione: la quale attual promulgazione allora si fa quando l'uomo conosce ciò che dee adempire e ciò che dee fuggire, secondo egli stesso avea scritto prima, ib. q. 90, art. 4 in fin.: Actualiter tunc unicuique (lex) promulgatur quando cognitionem a Deo accipit dictantem quid juxta rectam rationem sit amplectendum, quid fugiendum. Lo stesso scrive il dottor Maldero vescovo d'Anversa, spiegando con quella bella similitudine (già riferita di sovra) la promulgazione della legge divina che si fa all'uomo in abito in tempo di sua nascita e la promulgazione che se gli fa in tempo dell'uso di ragione: In habitu promulgatur ab initio nativitatis, actu autem initio usus rationis; ad eum fere modum ac si quis in tenebris litteras principis aliquid jubentis accipiat, quibus tunc demum teneatur parere, quando eas legere potuerit. In 1, 2, qu. 90, art. 4, dub. 2. Siccome dunque non è obbligato colui al precetto del principe prima che possa legger le lettere: così l'uomo non è tenuto alla legge divina, prima di conoscerla col lume della ragione.

 

65. E così l'intendono gli altri teologi da me addotti nel § 1. Ecco come parla Duvallio, in 1, 2, de leg. quæst. 3, art. 3: Quæres quo tempore lex naturæ unumquemque


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obligare incipiat. Resp. incipere quando promulgatur; tunc autem sufficienter promulgatur quando quisque annos discretionis incipit. Pietro de Lorca, in 1, 2, disp. 6 de leg., pag. 386, scrive: Quemadmodum promulgatio est intrinseca et essentialis humanis legibus, sic rationis judicium et cognitio intrinseca est legi naturæ. Sicché, senza il giudizio e cognizione della ragione, non v'è promulgazione della legge sufficiente ad obbligare. Il p. Lodovico Montesino, disp. 20 de leg., q. 4, n. 85, scrive ciò più distintamente: Lex naturalis promulgatur in unoquoque dum primo venit ad usum rationis; et quamvis pro tunc solum promulgatur ista lex quantum ad principia communissima juris naturæ, tamen postea paulatim per discursum promulgatur eadem lex quantum ad alia. Il p. Cuniliati, tract. 1 de mor., cap. 2, dice: Legis violatores non sunt illi quibus nondum lex innotuit. E poi soggiunge: Actualis legis naturalis promulgatio evenit quando quis a Deo cognitionem accipit dictantem quid juxta rationem naturalem sit vel fugiendum vel amplectendum. Il p. Gonet, in clyp. theol., tom. 3, disp. 1 a. 4, § 1, n. 55, dal principio insegnato da S. Tomaso, che la legge non ha forza d'obbligare se non è applicata per la promulgazione, ne ricava: Sed lex naturalis non promulgatur


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quantum ad omnia præcepta quæ sunt remotissima a primis principiis; ergo non obligat omnes quantum ad illa præcepta. E in altro luogo, diss. de op. prob., a. 6, § 1, n. 172, dice: Promulgatio legis naturalis fit per dictamen rationis intimantis homini ea quæ lege naturæ præscripta aut prohibita sunt; ergo cum deest tale dictamen, lex naturæ non obligat ad ejus observationem. Lo stesso vuol dire S. Antonino, dicendo: Nota diligenter quod istud lumen legis naturalis non ostendit homini quæ sint bona quousque perveniatur ad usum rationis. P. 1, tit. 13, cap. 12, 53. Lo stesso scrisse il p. Manstrio, dicendo: Hoc autem jus (naturæ) hominibus intimatur et obligare incipit ab eo tempore quo rationis usum accipiunt et, per talem legem sibi intimatam, inter bonum et malum discernere incipiunt; hic enim rationis usus est veluti ipsius legis naturalis notificatio et manifestatio. Et hoc intendit Paulus (Rom. 7) illis verbis: Ego autem vivebam sine lege aliquando; sed cum venisset mandatum, peccatum revixit. Theol. mor., disp. 2 de leg., quæst. 2, a. 2, n. 34.

 

66. Lo stesso scrisse non oscuramente S. Geronimo (Epist. 121, alias 151 ad Aglasiam qu. 8): Hanc legem (naturalem) nescit pueritia, ignorat infantia, et peccans


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absque mandato non tenetur lege peccati. Maledicit patri et matri, parentes verberat: et quia necdum accepit legem sapientiæ, mortum est in eo peccatum. Quum autem mandatum venerit, hoc est tempus intelligentiæ (quo Dei mandata cognoscimus) appetentis bona et vitantis mala, tunc peccatum reviviscere incipit, et homo reus est peccati. Si notino le parole: Quum autem mandatum venerit, hoc est tempus intelligentiæ; sicché allora la legge all'uomo viene, cioè gli si promulga, quando l'uomo la conosce. Lo stesso scrisse Origene sul detto testo di S. Paolo, dicendo che l'uomo a conscientia audit: Non concupisces. Lo stesso scrisse S. Basilio (Hom. in Ps. 1, n. 5): Postquam ratio nostra perfecta est (si noti) atque cumulata, tunc fit quod scriptum est: At cum venisset mandatum, peccatum revixit. Lo stesso poi scrisse il p. Bartolomeo Medina: Nisi lex sit sufficienter promulgata, non habet vim legis. Hæc conclusio patet in primis de lege naturali, quæ omnibus hominibus est sufficienter promulgata per lumen rationis naturalis. In 1, 2, s. Thom., q. 90, a. 4. Lo stesso scrisse Giovanni Maggiore: Cum primum aliquis habet rationem et est in annis discretionis, legem naturalem habet. In 3, d. 27, quæst. 2. Lo stesso scrisse Giovan Gersone: Lex vero naturalis præceptiva talem habet


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rationem, quod est signum inditum cuilibet homini non impedito in usu debito rationis, notificativum voluntantis divinæ, volentis, creaturam rationalem humanam teneri seu obligari ad aliquid agendum vel non agendum. Lib. de vit. spir., cor. 4. Lo stesso scrisse Corrado Koellin domenicano: Lex naturalis promulgatur per hoc quod ab homine est naturaliter cognoscibilis; ergo, cum venerit ad usum rationis, tenetur ad ea quæ sunt legis naturæ. 1, 2, qu. 90, ar. 4. E nella questione 94, art. 1 aggiunge: Quare sequitur quod, cum lex naturalis nihil sit nisi præceptum actu apprehensum, quod præceptum actu apprehensum sit verbum practicum. Lo stesso scrisse Giacomo Granado: Dicendum ergo est legem naturæ consistere in illo dictamine rationis... Nec deest promulgatio: eo enim ipso quod homo perveniat ad usum rationis, potens est discernere inter bonum honestum et malum. Controv. 7 de leg., tract. 2, disp. 4, num. 7. Lo stesso scrisse Biagio a Benjumea: Cum lex naturæ ab ipsa rationali natura debeat voluntati proponi, ad hoc ut habeat vim obligandi, et nonnisi ab intellectu sive rationis dictamine possit præcognizative promulgari, ipsa præcognizatio intellectus, quæ rationaliter intimat, notificat et participat obligationem naturalem faciendi sive omittendi aliquam


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actionem humanam liberam, ad hoc ut lex naturæ obliget; et tali dictamini standum. De legib., quæst. 2, art. 2, n. 220. Sicché l'uomo non può esser legato dalla legge, se non quando la conosce; come già si scorge che dicono tutti gli autori i quali di ciò parlano. Oltreché, io dico: ancorché volessimo concedere che l'uomo, dal momento ch'è creato, sia legato dalla legge naturale, quando poi egli è giunto all'uso di ragione e vede che la legge è dubbia, come può allora esser tenuto ad una legge della quale dubita s'ella mai v'è stata e se mai gli è stata promulgata? Del resto, per restringere tutto quel che si è detto su questo punto in poche parole, ecco la sostanza in breve. La legge è una regola con cui l'uomo dee regolarsi, e perciò è necessario che questa legge gli sia manifestata coll'essergli promulgata, acciocché con quella si regoli: affinché dunque resti l'uomo attualmente obbligato ad osservare la legge, bisogna che la legge attualmente gli sia manifestata. Ma già dalle dottrine di S. Tomaso e degli altri teologi da me rapportate nell'apologia chiaramente appariva da sé la risposta a questa nuova opposizione del p. Patuzzi; onde non posso non maravigliarmi com'egli nella sua risposta all'apologia abbia avuto poi lo spirito di scrivere: «Che dirà (monsignore)


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ora che, avendomi obbligato a far l'esame, oltre della dottrina di S. Tomaso, di quella ancora de' teologi da lui prodotti, ho mostrato ad evidenza che gli sono apertamente contrarj?... Ma io per me credo che vedendo ora il suo torto, rivocherà ciò che ha scritto.» Che bello spirito! e che bella franchezza!

Ma se fosse vero, replica il p. Patuzzi, che la legge dubbia non è legge che obbliga per non esser ella abbastanza promulgata, ne nascerebbono più assurdi. Vediamo quali sono questi assurdi. Ma meglio sarebbe stato chiamarli equivoci che assurdi.

 




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