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S. Alfonso Maria de Liguori
Dell'uso moderato dell'opinione probabile

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CAPITOLO IV - SI PROVA IL SECONDO PRINCIPIO CHE LA LEGGE INCERTA NON PUÒ INDURRE UN'OBBLIGAZIONE CERTA.

 

1. Essendo la legge una regola e misura con cui l'uomo dee regolare e misurare le sue azioni, è chiaro che questa legge dee esser certa; altrimenti come può egli regolarsi con una regola incerta? Per mezzo della legge, dice l'Apostolo, noi conosciamo il peccato, cioè il mancare alla legge: Per legem enim cognitio peccati. Rom. 3, 20. Spiega S. Tomaso: Per legem enim datur cognitio peccati; quid agendum, qui vitandum. E perciò la legge, come scrisse S. Isidoro, dee esser chiara e patente per obbligare: Erit autem lex manifesta. In can. Erit autem, dist. 4. E il Panormitano scrisse: Ubi lex est multum dubia, excusatur quis a juris ignorantia. In cap. fin. de constit. Per altro la stessa ragion naturale persuade che niuno dee stimarsi obbligato ad osservare quei precetti de' quali si dubita se vi sono o non vi sono, come si ha nell'Autentica Quibus modis nat. eff., § Natura, dove dicesi: In dubio nullus præsumitur obligatus. Lo stesso insegna l'Angelico, dicendo che la legge (e parla della legge divina ed eterna) per


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obbligare dee esser certa. Ivi il Santo si fa questa obiezione: Mensura debet esse certissima: sed lex æterna est nobis ignota; ergo non potest esse nostræ voluntatis mensura, ut ab ea bonitas voluntatis nostræ dependeat. E così risponde: Licet lex æterna sit nobis ignota secundum quod est in mente divina, innotescit tamen nobis aliqualiter per rationem naturalem, quæ ab ea derivatur ut propria ejus imago, vel per aliqualem revelationem superadditam. Non nega dunque S. Tomaso che la legge divina, come nostra misura, dee esser certa; ma solo dice non esser necessario ch'ella da noi si conosca nello stesso modo come si conosce da Dio, ma bastare che a noi sia nota per la ragion naturale o per qualche special rivelazione.

 

2. Asserisce poi il p. lettore per testimonianza di monsig. Bossuet che la dottrina de' Padri è a me contraria. Ma io leggo il p. Cristiano Lupo, non meno versato di monsig. Bossuet nella lettura de' Padri, il quale nella dissertazione del Probabile al tomo 9 delle sue opere fa vedere che i Padri affatto non sono stati contrarj alla nostra sentenza. Il p. Melchior Cano, anche ben versato nella dottrina de' Padri, parlando d'una sentenza di Scoto (come dicemmo in altro luogo) per non esser ella certa, scrisse, relect. 4


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de pœn., p. 4, q. 2, prop. 3: Quoniam ignoro unde ad hanc opinionem doctores illi venerint, libere possum, quod non satis explorare præceptum est, negare. Dunque ben può negarsi secondo Cano quod non satis explorate præceptum est. Lo stesso scrisse il card. Lambertini (dipoi Bened. XIV) nelle sue notificazioni: «Non debbono porsi legami quando non vi è una manifesta legge che gl'impongaNotifi. 13. Lo stesso scrive il p. Idelfonso domenicano: Propter dubium legis, præcepti vel voti, non debet (homo) spoliari possessione suæ libertatis. E qui soggiunge la distinzione da me addotta nel cap. III, n. 8 del dubbio che occorre di una legge certa e di una legge dubbia, e dice: Si dubium est de substantia ipsius legis, præcepti vel voti, concedimus libenter; si autem dubium supponat certam substantiam legis aut voti, nego quia tunc non spoliatur possessione suæ libertatis a dubio, sed a certa obligatione. 1, 2, d. 209, dub. 5, n. 1121. E nel n. 1132 lo spiega più diffusamente: Si dubium est de ipsa existentia legis: ut an extet talis lex; an sit publicata; an in tali lege comprehendatur iste casus; an sit lex naturalis vel positiva, divina vel humana, vel quæcunque obligatio aut promissio acceptata, votum, juramentum; facta sufficienti diligentia et durante dubio, non


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teneris te conformare tali legi vel obligationi, sed potes tuta conscientia operari oppositum; et hæc est pars tuta, quam in tali casu potes eligere, adimplendo regulam de qua disputamus. Ita communiter tradunt doctores Jo. a S. Thoma, 1, 2, qu. 18, disp. 12, art. 4. Henriquez, Salas, Suarez, Bonac., Layman, Sanchez, Filliuc. Villalob., Castrop., Sa, Ovied. etc. Nam in eo casu ex una parte est jus certum quod homo habet operandi omne quod non est illî prohibitum; unde possessio stat pro libertate. Lo stesso scrisse Marco Vidal, Arca sal. tr., de dub. etc., inq. 2, n. 2, 3 et 4, e fa la stessa distinzione del dubbio che riguarda la legge dubbia e la legge certa. Lo stesso scrisse Domenico Soto parlando del voto dubbio, de just. et. jure, lib. 7, qu, 3, art. 2: Tunc, ut ille secundum conscientiam reus voti judicetur, non sufficit quæcumque opinio tunc habuisse usum rationis quando vovit; sed requiritur rem esse adeo certam et compertam ut nulla aut tenuissima apud viros prudentes reliqua fiat dubitatio contrariæ opinionis... Melior siquidem est possidentis conditio, et hominem manere liberum etc. Ciò che dice Soto per l'obbligo del voto dubbio, corre certamente anche per la legge dubbia divina; giacché l'adempimento del voto anch'è di legge divina. Lo stesso scrive Giuseppe


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Rocafull preposito di Valenza, lib. 1 de legib. in com., cap. 4, n. 65: An quando dubium est an sit, lex vel præceptum obliget? Sit assertio: casu quo, facta diligentia, non constat an lex sit imposita vel an impositum sit præceptum, sed res dubia manet, non obligat, sive sit lex vel præceptum naturale sive divinum.

 

3. Dunque, dirà il p. lettore, l'uomo nasce libero, non già suddito e dipendente da Dio? No, rispondo, egli nasce suddito, dipendente ed obbligato ad ubbidire a tutti i precetti che Iddio gl'impone; ma acciocché tali precetti lo leghino, debbono essergli applicati colla promulgazione attuale del precetto, la quale si fa appunto quando il precetto gli è manifestato per mezzo del lume della ragione: ma sin tanto che il precetto non gli è fatto noto, l'uomo possiede la sua libertà donatagli da Dio, la quale, essendo certa, non resta legata se non da un precetto certo; ed essendo la legge una misura, con cui l'uomo dee misurare le sue azioni, fa d'uopo certamente che questa misura non sia incerta.

 

4. Se mai l'uomo nascesse obbligato alla legge eterna (come suppone il mio oppositore) prima che quella gli fosse manifestata, sicché non potesse fare altre azioni, se non quelle che dalla legge eterna gli fossero


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permesse, non sarebbe stato necessario che Iddio avesse intimati all'uomo i suoi precetti divini coll'impressione del lume naturale ed anche colla legge scritta, ma sarebbe bastato che gli avesse dichiarate solamente quelle cose che permetteagli di fare. Io non nego che ben poteva il Signore ordinare che gli uomini non potessero far altro se non quello che da lui fosse stato loro espressamente permesso. Ma non ha fatto così: Deus ab initio costituit hominem, et reliquit illum in manu consilii sui. Adjecit mandata et præcepta sua: si volueris mandata servare, conservabunt te. Eccli. 15, 14, 15 et 16. Prima dunque il Signore ha creato l'uomo libero, donandogli per suo beneplacito la libertà, giusta quel che scrisse l'Apostolo: Potestatem... habens suæ voluntatis. 1 Cor. 7, 37. E poi gli ha imposti i precetti che dee conservare.

 

5. Ma, per esser legato ciascun da tali precetti, non basta che ne abbia il dubbio; dice s. Tomaso, de verit. qu. 17, art. 3, che dee averne la scienza, cioè la cognizione certa: Nullus ligatur per præceptum aliquod, nisi mediante scientia illius præcepti. Il p. Patuzzi dice che questo testo dee intendersi diversamente da quel che io l'ho inteso; bisogna dunque che qui io distesamente lo riferisca, ed indi che esaminiamo se dee aver


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luogo la spiegazione sua o la mia. Il santo Dottore propone ivi il quesito: Utrum conscientia liget; e poi dice: Ita se habet imperium alicujus gubernantis ad ligandum in rebus voluntariis illo modo ligationis qui voluntati accidere potest, sicut se habet actio corporalis ad ligandum res corporales necessitate coactionis. Actio autem corporalis agentis numquam inducit necessitatem in rem aliam, nisi per contactum coactionis ipsius ad rem in qua agit. Unde nec ex imperio alicujus domini ligatur aliquis, nisi imperium attingat ipsum cui imperatur. Attingit autem ipsum per scientiam. Unde nullus ligatur per præceptum aliquod, nisi mediante scientia illius præcepti. Et ideo ille qui non est capax notitiæ præcepti non ligatur; nec aliquis ignorans præceptum Dei ligatur ad præceptum faciendum, nisi quatenus tenetur scire præceptum. Si autem non teneatur scire nec sciat, nullo modo ex præcepto ligatur. Sicut autem in corporalibus agens corporale non agit, nisi per contactum; ita in spiritualibus præceptum non ligat, nisi per scientiam. La similitudine di S. Tomaso non può esser più chiara e convincente a favore del nostro principio, che la legge incerta non può indurre un'obbligazione certa. Dice il Santo, metaforicamente parlando, che la scienza del precetto è come una fune che lega la volontà.


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Onde siccome per legare, per esempio, un cavallo, bisogna che attualmente gli sia applicata la fune che lo costringa a non partirsi da quel luogo, così per legare la volontà dell'uomo ad astenersi da qualche azione, è necessario che gli sia manifestata la scienza del precetto, senza la quale l'uomo ha la libertà di operare. Ma vediamo le opposizioni che fa il p. Patuzzi a questo secondo principio, e specialmente a riguardo di questo testo di S. Tomaso.

 




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