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S. Alfonso Maria de Liguori
Dissertazioni teologiche-morali

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§. 5. Della volontà de' dannati.

 

23. Si domanda per 1. se ogni volontà del dannato sia mala? Risponde s. Tommaso10, e dice che in quanto alla volontà naturale, perché tal volontà essi non l'hanno da se medesimi, ma da Dio, ch'è il motore della natura, potrebbe esser buona, ma pure vien corrotta dalla loro malizia. La volontà poi deliberativa, perché proviene ella da loro stessi, non può esser che mala, essendo ella tutta contraria alla volontà divina, ed ostinata nel male.


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Ma da che nasca questa ostinazione nel male, lo spiega chiaramente Silvio, dicendo che l'ostinazione de' dannati nasce dalla natura del loro stato, il quale essendo giunto al termine, e privato per sempre di ogni soccorso divino, Iddio con giusto giudizio gli abbandona nel male, ch'essi spontaneamente han voluto eleggersi, ed in quello terminar la vita: Naturale est (dice Silvio) ut quaeque res, postquam ad terminum pervenit, in eo quiescat, nisi ab alio moveatur; damnati autem decedentes cum prava voluntate sunt in termino, et Deus iusto iudicio relinquit eos in malo quod elegerunt1. Onde siccome il beato, perché sta sempre unito a Dio suo ultimo fine, non avrà mai alcuna mala volontà; così il dannato, perché immobilmente sta ostinato contra la divina volontà, non avrà mai una buona volontà; e così sarà sempre infelice.

 

24. Si dimanda per 2, se i dannati desiderano che tutti gli altri si dannino? S. Tommaso2 dice che sì, per cagione dell'odio ch'essi portano a tutti gli uomini; ma la difficoltà nasce, che accrescendosi il numero de' dannati, si accresce la pena di ciascuno di loro; onde come possono essi desiderare cosa che accresce la loro pena? Ciò però non ostante, dice s. Tommaso nel luogo citato, che è tanto l'odio e tanta l'invidia de' dannati, che si contentano di patire più presto maggiori tormenti con molti, che meno tormenti stando soli. Né loro importa che alcuno di coloro ch'essi desiderano perduti, in questa vita sia stato da essi molto amato; poiché risponde (ad 2), che l'amore il quale non è fondato sull'amore di Dio, facilmente svanisce, oltreché nell'inferno si perverte tutto l'ordine del giusto e del retto. Ma come va la premura che dimostrò il ricco dannato che i suoi fratelli non si dannassero, pregando Abramo di non mandar Lazaro ad avvertirli, che facessero penitenza de' loro peccati, come si legge in s. Luca3? Risponde s. Tommaso4, esser tanta l'invidia de' reprobi, che vorrebbero veder tutti perduti, anche i proprj parenti; ma non potendo veder tutti dannati, tirati dall'amor proprio più presto vorrebbero veder liberati dall'inferno i parenti che gli estranei, poiché sarebbero più crucciati dall'invidia, se vedessero dannati i suoi e salvati gli altri, e perciò il ricco procurava che i suoi non si dannassero. Aggiunge poi l'angelico, che quel dannato desiderava che i fratelli non si dannassero, acciocché non fosse cresciuta la sua pena colla loro dannazione, mentr'egli coi suoi mali esempj avea lasciata ad essi l'occasione di perdersi.

 

25. Si dimanda per 3., se i dannati si pentano de' loro peccati? risponde s. Tommaso5 che l'uomo in due modi può pentirsi delle sue colpe, per se e per accidente; per se, quando si pente in quanto all'odio che ha verso del peccato fatto; ed in questo modo il dannato non può pentirsi del suo peccato, perché stando egli confermato nella sua mala volontà, ama la malizia della sua colpa; ma poi per accidente ne sente pena, in quanto al castigo del quale è causa il suo peccato; sicché il dannato vuole il peccato in quanto alla sua malizia, ma ricusa la pena del peccato, la quale in esso non potrà mai cessare, finché vive il peccato.

 

26. Si dimanda per 4., se i dannati, stando all'inferno, peccano e si fanno rei di maggiori pene? S. Tommaso6 distingue e scrive, che parlandosi del tempo precedente al giudizio finale, e dopo la risurrezione, alcuni dicono che così i beati come i dannati, possono meritare e demeritare, non già in quanto al premio o alla pena essenziale, essendo essi già arrivati al termine della loro via, ma solo in quanto al premio o alla pena accidentale può crescere sino al giorno del giudizio; e ciò specialmente lo dicono a rispetto degli angeli buoni ai quali crescerà il gaudio, salvandosi i loro clienti; ed a rispetto degli angeli mali a' quali crescerà la pena, che si dannano quei che da essi sono stati istigati a peccare. Ma ciò corre per lo tempo prima di compirsi il giudizio; perché, terminato affatto il giudizio, non si più luogo né a meriti, né a premj, né a pene.

 

27. Questa opinione nel citato luogo del numero antecedente s. Tommaso la per probabile, ma trovo che in altri luoghi egli espressamente la ributta, mentre in un luogo7 dice così: Melius est ut dicatur quod nullo modo aliquis beatus mereri potest, nisi sit viator, et comprehensor ut Christus. In altro luogo8 scrive: In beatis bona non sunt meritoria, sed pertinentia ad eorum beatitudinis praemium; et similiter mala in damnatis non sunt demeritoria, sed pertinent ad damnationis poenam. E Silvio nel luogo citato dell'angelico dice che questa sentenza è la più vera.

 

28. Ma posto che i demonj (e lo stesso


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corre per li dannati) peccando nell'inferno non meritano maggior pena, dunque non peccano, perché ogni peccato merita la sua pena? Ma no, dice s. Tommaso1, così i demonj, come i dannati, continuamente peccano nell'inferno, per la volontà che tengono contraria alla divina giustizia, in quanto amano i peccati per cui son puniti, e odiano le pene che patiscono per li peccati: Retinebunt (scrive l'angelico) voluntatem aversam a Dei iustitia, in hoc quod diligunt ea, pro quibus puniuntur; et odium poenas, quae pro peccatis infliguntur. osta il dire che i dannati non demeritando col peccare, non peccano, perché il demerito nella vita presente è annesso al peccato, ma dopo la morte non si più luogo né a merito né a demerito.

 

29. Neppure osta il dire che i dannati, essendo essi necessariamente contrarj a Dio, non peccano; poiché il peccato (come dice s. Agostino) non è peccato, se non è volontario; perché si risponde, che siccome i beati, benché son necessitati ad amare Dio, pure volontariamente e liberamente l'amano col loro libero arbitrio confermato già nel bene, come dice s. Tommaso2; così all'incontro i dannati, benché necessitati al peccato, tuttavia liberamente l'eleggono, mentre non hanno libertà di lasciare la colpa: atteso che, come dice il s. dottore, siccome quei che muoiono in grazia di Dio ameranno sempre quel ch'è buono; così quei che muoiono in disgrazia di Dio, ameranno sempre il male: Qui boni in morte inveniuntur, habebunt perpetuo voluntatem firmatam in bono; qui autem mali tunc inveniuntur, erunt perpetuo obstinati in malo3. E ciò è secondo quel che sta scritto dall'ecclesiaste: Si ceciderit lignum ad austrum, aut ad aquilonem, in quocumque loco ceciderit, ibi erit4.

 

30. Si dimanda per 5. se i dannati odiano Dio? Dice s. Tommaso5, che Dio, considerato in sé, è somma bontà, onde non può mai essere ad alcuna creatura ragionevole oggetto di odio; ma diventa oggetto di odio a' dannati per due ragioni; primieramente come autore delle pene, con cui è tenuto a punirli; secondariamente come bontà infinita, perché essendo i dannati ostinati nel male, ancorché Dio non li punisse, anche l'odierebbero con tutto il loro cuore.

 

31. Si dimanda per 6. se i dannati bestemmiano Dio? Risponde s. Tommaso6, che avendo i dannati la volontà opposta a quella di Dio, odiano le pene con cui Dio li castiga: e questa detestazione della giustizia divina è una interna bestemmia colla quale essi bestemmiano Dio: Et talis detestatio divinae iustitiae (sono le parole dell'angelico) est in eis interior cordis blasphemia. E soggiunge nel medesimo luogo potersi ben credere che dopo la risurrezione, siccome i beati loderanno Dio colla voce, così anche i dannati colla voce lo bestemmieranno: Et credibile est, quod post resurrectionem erit in eis etiam blasphemia vocalis, sicut in sanctis erit vocalis laus Dei. Alcuni non però si oppongono a questa opinione, perché la bestemmia vocale sempre reca un certo maligno sfogo di rabbia al bestemmiatore, e nell'inferno non vi è sfogo per li dannati; anzi sembra che questo sfogo loro venga positivamente impedito secondo quelle parole della scrittura: Et impii in tenebris conticescent7. Scrive a questo proposito un autore, che le stesse fiamme dell'inferno affogheranno in gola a' dannati le bestemmie che vorrebbero poter proferire colla bocca. E 'l p. Calmet, comentando il suddetto testo dei Re, dice: Confusio ac desperatio illos cogent, ut silentium ac tenebras malint.

 

32. Si dimanda qui per ultimo, se i dannati, per non patire le pene che soffrono, vorrebbero essere annientati e perdere l'essere? S. Tommaso8, considerando la cosa per sé, lo nega, perché il non essere (come scrive) non è mai desiderabile, poiché il non essere porta seco la privazione d'ogni bene; ma considerando poi tale annientamento come fine della pena, secondo tal riguardo dice che il non essere riceve una ragione di bene; e così scrive intendersi il detto di Gesù Cristo in persona di Giuda: Bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille9. Lo stesso par che dica s. Giovanni, parlando de' dannati: Et desiderabunt mori, et fugiet mors ab eis10. Del resto non è certa questa volontà ne' dannati; tanto più che la loro ostinazione nel male gl'induce a voler essere, per poter sempre odiare Iddio.

 




10 Suppl. qu. 98. a. 1.

1 Loc. cit. s. Thomae.



2 Q. 98. a. 4. ad 3.



3 16. 27.



4 Quodlib. 8. a. 17.



5 Suppl. q. 98. a. 2.



6 Eadem q. 98. a. 5.



7 P. 1. q. 62. a. 9. ad 3.



8 2. 2. q. 13. a. 4. ad 2.

1 P. 1. q. 64. a. 2. ad 3.



2 3. p. q. 18. a. 4. ad 3.



3 Opusc. 2. c. 174.



4 Eccl. 11. 3.



5 Suppl. 3. p. q. 89. a. 7.



6 2. 2. q. 13. a. 4.



7 1. Reg. 2. 9.



8 Suppl. q. 89. a. 3.



9 Matth. 26. 24.



10 Apoc. 9. 6.






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