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Sant'Alfonso Maria de Liguori
Due scritti inediti sul quietismo

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Introduzione

A chi non ha familiarità con le maniere letterarie di S. Alfonso può far meraviglia questo suo accostarsi ad un autore così poco benemerito della spiritualità religiosa del seicento italiano. Lo cita con una certa frequenza nelle opere ascetiche e morali; riporta parti delle canzoncine devote (1) che il Petrucci compose in abbondanza senza vena di poesia, certo per rendere accettevoli le sue teorie nient’affatto poetiche, o anche per dire in versi il suo sentimento religioso che fu sentito e profondo, come usava del resto nel seicento da chi valeva o voleva qualcosa. Il modo non è una novità in S. Alfonso. Si sa che egli scorreva avidamente tutti i libri che gli capitavano tra le mani. "cantando ed iscegliendo", per la sua naturale e voluta tendenza a protendersi verso tutte le forme del sapere, specialmente religioso.

L’opuscolo "Modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio" è un estratto di un’opera francese condannata "Méthode pour converser avec Dieu, par l’Auteur des ‘Conseils de la sagesse’" (2), ma il condannabile e soppresso, e la parte migliore è ripresa, rifusa ed ampliata. Così in questi appunti, meno ampi e molto meno ragionati, forse perché il Santo non intese trarne materie per qualche opera da dare alle stampe.

Sulla fine del seicento e nei primi anni del settecento si parlò molto e si scrisse anche intorno al Petrucci. Oggi non se ne parla più, sebbene la sua opera cominci ad interessare la ricerca erudita per quel che essa rappresenta nella storia della spiritualità italiana. Qualche excursus molto ben informato gli dedica il gesuita Paul Dudon (3), seguito di recente dall’italiano M. Petrocchi (4), mentre F. Nicolini prepara "notizie, discussioni e documenti" sul Petrucci e sul quietismo italiano e straniero (5). E’ appena un inizio per quel che rimane da fare sul quietismo in generale e sul Petrucci, che di quel movimento è una espressione non trascurabile.

Pie Matteo Petrucci (1636-1701) fu prete dell’Oratorio di S. Filippo, Vescovo di Jesi (1678) e poi Cardinale (1681) sotto Innocenzo XI. Ricco di buone qualità – fu anche giurista, musico e poeta, quando seppe esserlo – esplicò la sua attività, appena ordinato sacerdote (1661), con un apostolato intenso; ma si dette anche allo studio della teologia e specialmente alla lettura degli autori spirituali che meglio rispondevano alle sue tendenze mistiche. Una "psicologia un po’ femminea", come la dice il Dudon, e in particolar modo l’indirizzo ascetico-mistico dell’Oratorio lo orientarono verso una forma di spiritualità che sboccò ben presto nel quietismo. La sua opera principale "Lettere e Trattati spirituali e mistici" comparve nel 1676-1678, un anno dopo la pubblicazione della "Guida" del Molinos. Ciò impedisce, come ha avvertito il Dudon, di fare del Petrucci una specie di "Timoteo" del mistico spagnolo. L’incontro, almeno letterario, fra i due esponenti del quietismo è posteriore, quando, iniziata la polemica intorno alla "Guida", il Petrucci ne prese le difese con un’opera intitolata "Della contemplazione mistica acquistata" (1681) diretta contro il P. Segneri, principale oppositore del Molinos (6). Una volta letta la "Guida" il Petrucci vi ritrovò se stesso: anch’egli, come il Molinos, dava una formulazione teologica precisa ad una prassi di vita mistica che era già diffusa senza essere ancora un corpo di dottrina organizzata teologicamente.

Sarebbe un errore fare del Petrucci un duplicato dottrinale del Molinos. Nel Petrucci è vivo il senso dell’ortodossia cattolica, attento alla lettura di un gran numero di teologi, molto più che nel Molinos, il quale non è un teologo nonostante le sue molte citazioni prese a prestito dagli autori mistici dai quali deriva le sue teorie. L’italiano si preoccupa della Tradizione e riferisce con abbondanza, sebbene anche con molto disordine e senza metodo, dalle vite dei santi che egli legge nei Bollandisti, dai Padri, dagli scrittori medievali e dagli autori mistici contemporanei più quotati, specialmente da S. Teresa e da S. Giovanni della Croce. Un elenco dei suoi autori preferiti può orientare verso lo studio delle origini della sua forma di quietismo meno rigido del quietismo del Molinos. Tra gli autori medievali egli legge di preferenza Ruysbroeck, Taulero, Enrico Susone, Landsberg (Lanspergio), Gersone, e in special modo i Vittoriani, Ugo e Riccardo. Della scuola francescana, S. Bonaventura e, cosa da notarsi, Ubertino da Casale e Jacopone da Todi. Soprattutto egli deriva a piene mani dallo pseudo Dionigi Areopagita, letto, come assicura il Petrucci, in fonte e nei suoi commentari, da S. Tommaso d’Aquino a Dionigi Cartusiano, Ruperto di Lyncoln e Ugo di S. Vittore. Da questi egli prende, senza averne una precisa coscienza storica e filosofica, elementi gnostici e neoplatonici, specialmente la teoria della contemplazione di pura fede che discende dalla concezione neoplatonica della impossibilità di una conoscenza razionale di Dio da parte degli uomini.

I mistici della scuola di S. Giovanni della Croce gli forniscono materia per la descrizione dei vari stati della vita mistica. Principali, Giuseppe di Gesù e Maria (1562-1626) con la sua "Subida del alma a Dios" (1656), Giovanni di Gesù e Maria (1564-1615) e Ioannes a S. Sampsone (Giovanni Du Moulin, 1571-1606) con i suoi "Theoremata", dove il Petrucci trova formulata la dottrina della morte mistica e dell’annullamento delle potenze.

A fianco a questi figurano molti autori spirituali di perfetta ortodossia, maestri della vita ascetica tradizionale, che il Petrucci accoglie e fa suoi. Per questo motivo e per un certo studio da rifarsi alla Tradizione, il Petrucci riesce inferiore al Molinos, sebbene lo superi per ingegno e preparazione teologica. Non ha la fermezza e la coerenza del primo, il quale, se pure mediocre e meno ferrato in teologia, ebbe la ventura, grazie ad una certa felicità di esposizione, e al suo tatto che fece di lui un dittatore di coscienze, di dare al quietismo non soltanto italiano o spagnolo o francese, ma della vita religiosa di ogni tempo, la sua forma storica definitiva, quale la riscontriamo nel ‘600, in Italia, in Spagna e nella Francia di Fénelon e di Bossuet (7).

Il Petrucci vive al di sotto di questi modelli; non ha la fermezza, quasi spregiudicata, del Molinos, né tanto meno la signorilità profonda del Fénelon, il quale, pur errando, dette alla teoria dell’amor puro una forma tentatrice, troppo alta e irreale per noi uomini, e perciò impossibile. Come scrittore quietista non è un maestro. E’ saldo nei punti centrali del quietismo, l’annichilamento e l’indiamento, e li allarga e sviluppa e arricchisce con motivi e riferimenti, molto spesso confusi, alla mistica ortodossa del medioevo e dell’antichità patristica. Una lettura continuata delle sue opere stanca, vi si sente il miscuglio e l’accostamento. Il quietismo nella sua forma rigida, quello che esclude ogni religiosità esteriore in omaggio alla visione di pura fede o contemplazione, figura a fianco delle pratiche più comuni della vita cristiana e, si direbbe, ad una prassi ascetica che non ha nulla da vedere col quietismo.

Nonostante la cura assidua di porre al sicuro da ogni attacco le punte estreme della sua dottrina, il Petrucci non poté sfuggire alla condanna che si rese inevitabile dopo che il Molinos andò a scontare nelle carceri del S. Ufficio (1685) i suoi errori, difesi anche dal Petrucci. Il 17 dicembre 1687 dovette ritrattare "privatamente", alla presenza del papa Innocenzo XI, 54 proposizioni estratte dalle sue opere (8). Come accade in simili casi, i libri del Petrucci, prima letti avidamente e seguiti con entusiasmo nelle sue massime applicazioni, furono abbandonati all’incuria e al disprezzo, come roba inutile o dannosa che non si sente volentieri tra le proprie dita.

E tuttavia c’è in essi del buono e del bello. A parte l’erudizione teologica, che è molta, c’è la tendenza, tutta petrucciana, e sia pure quietistica, verso una forma di vita mistica intensa e sentita, con lo stesso ardore con cui è sentito l’amor di Dio, desiderato e cercato con una purezza di intenti che non può essere discussa, anche se le deviazioni dottrinali e pratiche siano molte.

Si deve a questo fatto, a mio modo di intendere, se S. Alfonso, che di quietismo non ne volle sapere, nutrì delle simpatie verso questo scrittore quietista. Le pagine che abbiamo sott’occhio sono appunto una scelta, dove il Santo riporta alla sua concezione ascetica quel che di nuovo e di buono trovava nei libri del Petrucci.

(Giuseppe Cacciatore in Spicilegium Historicum 1 (1953), pp. 171-173)

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(1) Cfr. O. GREGORIO, Canzoniere alfonsiano; Angri, I933, 64 ss.

(2) Fu messa all'Indice con decreto del 5 aprile I723. L'autore è il P. Michele Boutauld SI. (I607-I688). Cfr. S. ALFONSO, Pratica di amar Gesù Cristo e Opuscoli sull'amore divino; Roma, I933, 3I2 ss. - Opere ascetiche I.

(3) P. DUDON, Le quiétiste espagnol Michel Molinos (I628-I696); Paris, I92I, I26 ss. (Chap. IX) et 209 ss. (Chap. XIII).

(4) M. PETROCCHI, Il quietismo italiano del seicento; Roma, I948, 209 ss. (Cap. III). Storia e Letteratura 20.

(5) F. NICOLINI, Su Miguel Molinos, Pier Matteo Petrucci ed altri quietisti segnatamente napoletani: Bollettino dell'Archivio storico del Banco di Napoli, I951 (Estratto).

(6) DUDON, Michel Molinos, 59-6I, I04 ss.

(7) Sul significato storico del quietismo si possono leggere osservazioni nuove ed acute in un articolo di ROMANA GUARNIERI, comparso nella Rivista di storia della Chiesa in Italia 3 (I949) 95-II9, sotto forma di recensione al volume citato del Petrocchi.

(8) DUDON, Michel Molinos, 289-306.

 

 

 




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