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S. Alfonso Maria de Liguori
Evidenza della Fede

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CAP. II. Contrassegno secondo.

La conversione del mondo.

Il secondo contrassegno della verità della nostra fede è la conversione del mondo operata per mezzo di Gesù Cristo e de' suoi apostoli. Stava il mondo, come abbiam veduto, immerso in tutti i vizj a' quali è inclinata l'umana natura corrotta dal peccato; onde per ammirare la sua prodigiosa conversione, dee considerarsi per prima la difficoltà della nuova legge che fu predicata: indi la debolezza de' predicatori, e finalmente l'opposizione de' potenti a non farla ricevere.

Per prima questa nuova legge insegnava cose difficili a credere, per esser misteri incomprensibili dalla mente umana; come sono il mistero della ss. Trinità, per cui dobbiam credere che vi sono bensì tre persone divine, ma non sono che un solo Dio, perché hanno una sola sostanza, una sola essenza ed una sola volontà: il mistero della incarnazione, per cui dobbiamo credere che il figliuolo di Dio si è fatto uomo, ed è una sola persona, la quale è vero uomo e vero Dio, ed ha sofferti patimenti e morte per salvare il genere umano. Oh quali estremi tra loro infinitamente distanti! Dio ed uomo! credere la grandezza annientata! l'altezza umiliata! Sicché dobbiamo adorare per Dio un uomo condannato e morto in croce. Cose, che a principio parvero a chi le udiva uno scandalo ed una pazzia, come scrisse l'apostolo: Praedicamus Christum crucifixum, iudaeis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam1. Il mistero del ss. sagramento dell'altare, per cui dobbiam credere, che per le parole della consecrazione la sostanza del pane e del vino si converte realmente nel corpo e sangue di Gesù Cristo. Il risorgimento de' morti, per cui dee credersi che un corpo fatto polvere dovrà nel giorno del giudizio finale risuscitare, quale fu prima in vita.

In oltre questa legge insegnava cose difficili a praticarsi. Insegnava a negare se stesso, a vincere i proprj appetiti, ad amare i nemici, a mortificare la carne, a patire con pace, ad umiliarsi con tutti, a soffrire i disprezzi, ed a riporre tutto il nostro bene nella speranza della vita futura. E ciò l'insegnava a gente cieca ed abituata nei vizj, che riponeva tutto il suo bene ne' piaceri della vita presente. Cessino pertanto Lutero e Calvino di vantarsi della moltitudine de' seguaci che ebbero nella dottrina che predicarono. Se essi avessero predicato il digiuno, la penitenza, la castità, lo spogliamento degli averi, l'annegazione dell'amor proprio; allora in verità il numero dei seguaci sarebbe stato un gran prodigio, come già è avvenuto nella nostra religione predicata ed abbracciata da tanti. Ma predicando essi la libertà dei sensi e l'abolimento di ogni mortificazione e di ogni ubbidienza alle leggi ed a' superiori, sarebbe stato prodigio, non già l'aver molti seguaci, ma l'averne pochi. Sarebbe meraviglia vedere un ruscello che sale per la montagna, ma non è meraviglia vederlo scendere alla valle.

Per secondo, bisogna considerare quali furono i predicatori che dovettero promulgare questa nuova legge di Gesù Cristo, e sbandire l'idolatria e tanti vizj dal mondo: furono pochi e rozzi pescatori, uomini senza lettere, senza nobiltà, senza ricchezze e senza protezione.

Per terzo questi poveri pescatori dovettero propagar la fede in mezzo a tanti magistrati, principi, imperatori, che si armarono contro di loro con tutte le forze, esiliando, spogliando de' beni, ed uccidendo colle morti più orribili coloro che abbracciavano una tal fede. E tali predicatori ben ebbero la consolazione di vedere tra pochi anni promulgata ed abbracciata la fede cristiana per tutto il mondo. Onde s. Paolo scrisse a' romani: Fides vestra annuntiatur in universo mundo2. Ed a' colossensi, parlando della stessa fede, scrisse: In universo mundo et fructificat, sicut in vobis3. S. Ignazio poi


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al principio del secondo secolo, e s. Ireneo sul mezzo, attestano che la religione cristiana era già divulgata per tutte le provincie abitate. Tali promulgatori dunque della nostra fede ottennero di vedere dagli stessi idolatri disprezzati e calpestati i loro dei, prima da essi adorati; di vedere abbracciati colla credenza tanti misterjdifficili a credersi; di vedere sradicati i vizj invecchiati per tanti secoli, abborriti i piaceri, abbandonate le ricchezze e gli onori mondani; ed all'incontro abbracciati i travagli, le ignominie, la povertà, le persecuzioni e le morti, e specialmente ciò avvenne in quei tempi felici della primitiva chiesa, ne' quali gli uomini pareano divenuti angeli.

Bella cosa fu allora il vedere il gran numero degli anacoreti, che lasciando le patrie e le loro case, popolarono i deserti; e de' martiri, che per non tradir la fede diedero la vita fra' tormenti più fieri che seppe inventare la crudeltà umana e la rabbia dell'inferno. Rinunziavano essi alle ricchezze e agli onori più grandi che loro offerivano gl'imperatori, e s'abbracciavano coi tormenti e colla morte. Ardeano a tal segno quei beati fedeli d'amore verso Gesù Cristo, che desideravano con maggior ansia i dispregi, le croci e la morte, che non bramano i mondani le delizie e le grandezze della terra. I presidenti delle provincie avvisavano agli imperatori, ch'essi non trovavano più né patibolicarnefici bastanti al numero de' cristiani che si offerivano a morire per la fede di Gesù Cristo. Pareva in somma che tali uomini avessero perduto l'essere umano e l'orror naturale che ognuno ha a' tormenti ed alla morte. Chi non vede che questa non poteva essere opera della natura, ma che fu tutta della grazia? E la maggior meraviglia fu, che quanto più i presidenti e gl'imperatori cercavano d'impedire la conversione de' popoli, e più perseguitavano i fedeli, tanto più si propagava la fede: quanti più cristiani martirizzavano, più questi si multiplicavano: come se le loro morti fossero semenze felici che rendessero frutto raddoppiato.

Or se tali uomini non fossero stati santi, ed invigoriti dalla forza divina, come avrebbero potuto resistere a tante persecuzioni? Ma pur è vero che tra queste persecuzioni si vide in tutte le parti del mondo abbracciata la fede, adorato Gesù Cristo, edificate tante chiese tra' giudei, tra' greci, tra' romani, tra gli sciti, tra' persiani e tra tante altre barbare nazioni fino agli ultimi confini della terra. E ciò fra quanto spazio di tempo? Abbiamo da Tertulliano, com'egli scrisse che in capo al secondo secolo non v'era luogo della terra, che non fosse abitato da cristiani. Nel quarto secolo poi, a tempo di Costantino imperatore, si vide la nostra fede propagata da per tutto. Scrisse s. Girolamo dalla Palestina, a' suoi tempi, così: «Le corone de' regi sono abbellite col segno della croce. In questo paese riceviamo ogni giorno compagnie di monaci che vengono dall'Indie, dalla Persia e dall'Etiopia. L'armeno già lasciò le sue sette. Gli unni imparano il salterio. Gli sciti ardono col calore della fede. L'esercito de' geti porta i segni della chiesaFin qui il santo dottore. Scrisse di più Palladio, che sul principio del quarto secolo nel territorio d'una sola città d'Egitto abitavano ventimila vergini religiose che facevano vita santa.

In somma la nostra santa fede è stata universalmente abbracciata dalle genti; che perciò chiamasi cattolica, cioè universale; non già perché ella sia tenuta da tutti gli uomini, ma perché è abbracciata da ogni genere di nazioni, ed è sparsa in tutte le parti del mondo; giacché anche a' tempi nostri, ne' quali vediamo la nostra religione abbandonata da' maomettani e da tante società di eretici, contuttociò appena vi è angolo della terra, ove non vi sieno veri fedeli che la professino, e chiese ove almeno in segreto non si onori Dio col santo sagrificio dell'altare, secondo quel che predisse già il profeta Malachia: Ab ortu enim solis usque ad occasum


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magnum est nomen meum in gentibus, et in omni loco sacrificatur, et offertur nomini meo oblatio munda1. Questa fu la risposta di s. Agostino a Cresconio, che gli opponea, non potersi chiamare la nostra chiesa cattolica ed universale, mentre la di lei fede non è abbracciata da tutte le genti: basta (risponde il santo) che in tutto il mondo vi sieno veri fedeli; poiché (dicea) per dirsi cattolica la chiesa non è necessario che tutti gli uomini di tutte le nazioni la credano, ma basta che in tutte le nazioni vi sieno alcuni che la tengano: Non (oportet) ut omnes credant; omnes enim gentes promissae sunt, non omnes homines omnium gentium2. Eh che la chiesa cattolica troppo visibilmente apparisce vera a tutti. Hunc ignorare nulli licet, dice lo stesso s. Agostino3. Ella solamente è invisibile a chi vuol chiudere gli occhi per non vederla, e seguire i proprj appetiti.

osta il dire che molti de' nostri cattolici menano vita indegna di cristiani. Ciò da noi non si niega; anzi aggiungiamo che i peccati di tali cattolici sono men degni di scusa; mentr'essi, benché provveduti di tanti aiuti di sagramenti, di prediche e di buoni esempj, pure vivon male, e nemici di Dio. Ma dee considerarsi che le loro colpe in vece di pregiudicare alla verità e santità della nostra fede, più presto la manifestano. È un'ingiustizia troppo grande, incolpar la fede per la mala vita de' suoi fedeli. Chi tiene la vera fede, non lascia d'esser uomo fragile ed inclinato al male, né perde l'arbitrio di abbracciare qualunque vizio che vuole. Iddio vuol esser da noi servito, ma non servito a forza, a modo di schiavi, costringendoci a voler per necessità ciò che non vogliamo. Tutti i nostri errori son proprj nostri, non della fede né della chiesa, che tal fede ci propone a credere. È chiaro dagli evangelj, che la chiesa militante contiene vergini sagge e stolte, frumento e zizania, giusti e peccatori. È certo non però, che non s'è veduto mai un cattolico passato ad abbracciare qualche setta eretica, e non divenuto più corrotto ne' vizj. All'incontro non mai s'è veduto alcun infedele o eretico, che sia passato con buon fine ad abbracciar la nostra fede, e non sia divenuto più morigerato nel vivere. È vero che nella chiesa cattolica vi sono molti cattivi, ma vi sono ancora molti buoni: vi sono tanti buoni sacerdoti, tanti religiosi, e tanti anche secolari che in mezzo al mondo fanno vita santa. Ma in tutte le sette eretiche sarebbe un prodigio il trovare alcuno che vivesse bene e lontano da' vizj.

A confronto poi della nostra chiesa cattolica, vediamo qual è stata la nascita e la propagazione che hanno avute l'altre sette. I maomettani confessano che prima della venuta di Maometto v'era già la legge cristiana, e confessano che questa legge insegnava già la vera dottrina: ma siccome alla legge di Mosè succedé quella di Cristo, così (dicono) alla legge di Cristo succedé la legge di Maometto. Ma se essi concedono che la dottrina di Cristo fu vera un tempo, debbono ancor confessare ch'è falsa quella di Maometto. Gesù Cristo disse che non può salvarsi chi non è battezzato4. Gesù anche disse che tutte le potenze dell'inferno non avrebbero mai prevaluto contro la sua chiesa5. Dunque, se non già per tanti secoli, ma per un solo momento fu vera la dottrina di Gesù Cristo; non ha potuto mai esser vera la dottrina di Maometto, o di qualunque altra società contraria a quella di Gesù Cristo. È vero che la legge di Mosè un tempo fu vera, ed a quella succedé la legge del Messia, che fu differente; ma la legge del Messia non già fu opposta a quella di Mosè, ma adempilla; mentre ne tolse le cerimonie ed i sacrificj che erano figure della legge di grazia, e sostituì a quelli i sagramenti che attualmente cagionano la grazia. Del resto i precetti spettanti alla buona vita non furono già dal nostro Salvatore alterati,


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ma perfezionati. Quindi dice s. Tommaso l'angelico1 che la legge evangelica non si chiama nuova, perché sia nuova di tempo, ma perché è nuova di perfezione.

Se parliamo poi degli ultimi eretici della chiesa pretesa riformata, la stessa novità li dichiara, non già riformatori della religione cristiana, com'essi si chiamano, ma distruttori. La loro riforma non riguardò già la riforma de' costumi, mentr'essi colle loro false dottrine apriron la via a tutti i vizj togliendo l'obbligo di ubbidire a qualunque legge umana o divina, ma riguardò i dogmi della religione, calunniando la chiesa romana, col dire ch'ella era mancata, avendo adulterati i veri dogmi di Gesù Cristo. Ma no, perché la chiesa romana (come abbiam considerato di sovra) stabilita una volta dal Redentore, non era soggetta a mancare, attesa la promessa fattale da Gesù Cristo medesimo, che l'inferno non sarebbe mai prevaluto contro di essa. Se dunque è stata vera un tempo, è necessario confessare che ella sia stata e sarà sempre vera, e che ogni religione che ad essa non si uniforma, è certamente falsa. Se dunque è vero, come non può negarsi, che tutti gli eresiarchi venuti al mondo dopo la venuta del Messia, gli Arj, i Nestorj, ed altri simili, ed ultimamente i Luteri ed i Calvini sono usciti dalla chiesa romana; bisogna confessare che questa è l'unica vera chiesa, che persevera qual fu già fondata da Gesù Cristo: Haereses omnes (dice s. Agostino) de illa exierunt, tanquam sarmenta inutilia de vita praecisa; ipsa autem manet in radice sua2. Ma questo punto si chiarirà più a lungo nel capo. IV.

Ma diranno: se la propagazione della religione cattolica prova ch'ella sia stata la vera, sarà ancor vera la setta maomettana, la scisma greca, e ben anche vere le società protestanti; giacché similmente queste tra poco tempo sono state da molti popoli abbracciate. Ma (rispondiamo) bisogna osservare che queste sette non ebbero altra origine, che dallo spirito di licenza o di superbia. La legge maomettana concede ogni licenza alla carne in questa vita, e non promette, che una licenza maggiore della stessa sorte nell'altra. La scisma poi de' greci ebbe origine dalla superbia d'un Ario, d'un Nestorio, d'un Macedonio, e d'altri simili ministri di Lucifero. Dalla superbia insieme e dalla licenza, e dall'avidità di occupare i beni della chiesa ebbero il lor principio le sette di Lutero, di Zuinglio, e di Calvino: i quali ribellandosi dalla chiesa romana, cercarono di abolire la castità, l'ubbidienza, e tutte le altre virtù cristiane, con rilasciar la briglia ad ogni scelleraggine, dicendo che i nostri peccati non poteano impedire che la divina misericordia non ci salvasse. Ecco come predicava Lutero: Quanto sceleratior es, tanto citius Deus suam gratiam infundit3. Così anche insegnava Calvino: Sublata legis mentione, et omnium operum cogitatione seposita, unam Dei misericordiam amplecti convenit4. E perciò questi empj maestri di fede ebbero il seguito di tanti miseri, che per vivere a loro capriccio, e senza freno di legge, rinunziarono alla vera fede. E se è così, come mai può giudicarsi che fosse nata da Dio la propagazione di queste sette, le quali non hanno avuta altra origine che dalla superbia, dall'impudicizia e dalla cupidigia; quandoché all'incontro Iddio non ha altro fine nelle sue opere, che di far la sua gloria, e di rimuover da noi ogni vizio ch'è opposto al suo onore ed alla nostra eterna salute?




1 1. Cor. 1. 23.



2 Rom. 1. 8.



3 Coloss. 1. 6.

1 Malach. 1. 11.



2 S. Aug. l. 3. c. 66.



3 Tract. 2. in ep. 1.



4 Io. 3. 5.



5 Matth. 16. 18.

1 1. 2. q. 107. a. 1. ad 2.



2 L. 1. de symb. c. 6.



3 Ser. de piscat. Petri.



4 L. 3. inst. c. 19. §. 2.




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