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S. Alfonso Maria de Liguori
Evidenza della Fede

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CAP. VII. Contrassegno sesto.

Costanza de' martiri.

La costanza de' martiri è un contrassegno più ammirabile di quello de' miracoli, poiché i miracoli sono opere tutte di Dio esercitate per Dio stesso nelle creature; ma la fortezza e la vittoria de' martiri è un'opra di Dio fatta per mezzo di uomini deboli, anche di tenere verginelle e di fanciulli, come di un'Agnese di 13. anni, di s. Prisca della stessa età, di s. Venanzio e s. Agapito di 15. anni l'uno, e di s. Vito e s. Celso anche fanciulli, e di tanti altri, che lacerati con unghie di ferro, arrostiti sulle graticole, tormentati con faci ardenti ne' fianchi, con elmi roventi sulle teste, e con altri simili crucj han superata tutta la crudeltà degli uomini e la rabbia de' demonj. Quindici imperatori romani si affaticarono per più anni ad estirpare dal mondo la fede di Gesù Cristo; sì che il numero de' santi martiri fu così grande, che nella persecuzione di Diocleziano (la quale fu la nona) furono in un sol mese uccisi 17. mila cristiani, e nel solo Egitto ne furon fatti morire 144. mila, ed altri 700. mila furono mandati in esilio. Basta dire che fu promulgato un editto in tutto l'imperio, per cui fu data licenza ad ognuno di togliere la vita a' cristiani in quel modo che più gli piacesse. La strage insomma in queste dieci persecuzioni fu così orrenda, che (come riferisce Genebrardo1) giunse ad undici milioni; sicché fatta la distribuzione, vengono a numerarsi da trentamila per ciascun giorno. Ma con tutto ciò il numero degli uccisi, fino a dieci mila per volta, in vece di spaventare i vivi accresceva loro il desiderio di morir per la fede. Scrisse Tiberiano governatore della Palestina a Traiano imperatore, che non si poteva dar morte a tanti cristiani, quanti eran quelli che volontariamente si offerivano a morire per Gesù Cristo. Onde Traiano si mosse a far un editto, col quale ordinò che i cristiani d'indi in poi si lasciassero in pace. Or se (diciamo) la fede di questi santi martiri, che fu la stessa quale ora è la nostra, non fosse stata la vera; e se Iddio non avesse dato a questi tanti suoi servi l'aiuto suo divino, come avrebbero potuto resistere sino a perder la vita fra tanti tormenti?

Vantansi alcuni di avere avuti anche


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nelle proprie sette i loro martiri; ma vediamo qual è stato il loro martirio. Il martirio, come insegna l'angelico1, consiste in dar la vita in testimonianza della verità o della giustizia. Martyres veros (scrisse s. Agostino) non poena facit, sed causa2. Tutti i tormenti del mondo non possono fare un martire; la sola causa di morire per la verità della fede o per la giustizia, è quella che fa i veri martiri. I maomettani vantano per martiri i loro soldati che sono morti in battaglia per usurpare i beni altrui: bell'atto di giustizia! I novatori anche vantano per martiri coloro che sono stati giustiziati colla morte come eretici; ma questa non è stata fortezza, anzi ostinazione. Oltreché costoro sono stati pochi, e per lo più gente vile ed ignorante, ingannata da' loro seduttori. All'incontro la chiesa cattolica vanta per martiri un gran numero di nobili, di consoli, di patrizj, di capitani di eserciti, di vescovi, di pontefici, di senatori, e di monarchi. In oltre la maggior parte de' nostri martiri prima di morire menavano vita santa, sì che non poteva opporsi loro da' tiranni altro delitto, che l'essere cristiani. Ma i falsi martiri degli eretici, e specialmente gli anabattisti e gli adamiti, i quali vantansi d'essere morti con maggior intrepidezza, erano pieni di vizj e di laidezze; essi ammettevano la comunicazione delle mogli, ed altre simili scelleraggini; onde la loro costanza non fu costanza, ma furore e pertinacia infusa loro dal demonio che li possedea: Diabolo possidente, non persequente, come scrisse s. Agostino degli eretici de' suoi tempi, che andavano come matti a gittarsi ne' fiumi o ne' precipizj. E perciò gli eretici pertinaci che sono morti per mano della giustizia, si son veduti morire non già con allegrezza e pace, come i nostri santi martiri, che morivano giubilando e cantando lodi a Dio, ma con rabbia e smania insoffribile: segno evidente che l'accettazione delle loro morti non veniva inspirata da Dio, ma insinuata dal demonio, che può dar bensì la temerità d'incontrare la morte, ma non può dare la virtù di soffrirla con pace. L'infelice Michele Servetto rinnovator dell'arianismo, quando in Genevra fu gittato nel fuoco, al quale era stato condannato, s'infuriò in tal modo, che muggiva come un toro stizzato, e cercò per pietà a' giudici un coltello per uccidersi da se stesso, ma non l'ottenne.

Dove mai tutte queste sette separate dalla chiesa cattolica hanno avuto un s. Lorenzo, che mentre stava bruciando sulla graticola, giubilava per la gioia interna sino ad insultare il tiranno, invitandolo a cibarsi delle sue carni già cotte? Dove un s. Vincenzo, che ne' tormenti che gli davano, parea (come scrive s. Agostino) che un Vincenzo parlasse ed un altro patisse, tanto era il gaudio con cui moriva per Gesù Cristo? Dove un s. Marco e s. Marcelliano, che avendo i piedi trafitti dai chiodi, ed essendo tentati dal tiranno a liberarsi da quel tormento, risposero: che tormento? che tormento? noi non abbiamo mai provata delizia maggiore, che in quest'ora in cui stiamo patendo per amore di Gesù Cristo; e così dicendo si posero a cantare le divine lodi, finché trapassati dalle lance finiron gloriosamente la vita. Dove un s. Processo e s. Martiniano, che mentre nell'eculeo sbranavano loro le membra co' ferri, e bruciavano loro le carni con piastre infocate, non faceano altro che benedire il Signore desiderando con ansia la morte, che già ottennero? Era in somma tanta l'allegrezza con cui morivano i martiri, che gli stessi loro nemici, e gli stessi carnefici, al vedere tanta allegrezza si convertivano alla fede; onde scrisse poi Tertulliano, che il sangue de' cristiani sparso per la fede era come una semenza feconda che moltiplicava i seguaci a Gesù Cristo: Semen est sanguis christianorum3.

A' martiri antichi ben poi han fatta gloriosa compagnia e gara in questi ultimi secoli tanti uomini e donne che han data la vita per Gesù Cristo nei


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tormenti più fieri, che potea pensare la crudeltà umana. Specialmente nel Giappone quanti cristiani nel secolo XVI. sono morti per la fede! chi bruciato a fuoco lento; a chi strappata la pelle con tanaglie; a chi tagliate le carni a pezzi a pezzi; a chi segato il collo a poco a poco da una canna per lo spazio d'una settimana fino alla morte; chi sospeso e poi calato da volta in volta in acque bollenti; chi posto ignudo nel rigore del verno alla campagna a finir la vita per lo freddo. Leggasi il p. Bartoli, che tutto narra, distinguendo i luoghi e le persone, nella sua storia del Giappone. Narra specialmente che una donna cristiana chiamata Tecla, mentre bruciava nel fuoco, teneasi in braccio una bambina di tre anni, e la confortava a morire colla speranza del paradiso. Un'altra donna, perché povera, si vendé una cintola che aveva, per comperarsi un palo, dove legata potesse morire arsa per Gesù Cristo. Un'altra scoprì a' persecutori una bambina sua figlia, acciocché quella morisse per la fede insieme con lei. Narra di più che un fanciullo di nove anni corse da se stesso per essere decollato, e da sé scoprì il collo per offerirlo al taglio. Un'altra fanciulla di otto anni, essendo cieca, si strinse colla madre per morire con lei bruciata, come infatti morì. Un altro fanciullo di tredici anni finse di averne quindici per essere annoverato nel numero de' condannati. Un altro di cinque anni svegliato mentre dormiva, acciocché venisse al supplicio, senza smarrirsi si vestì co' panni di festa, e dal carnefice stesso fu portato in braccio al luogo destinato, dove il fanciullo, offerendo il collo per essere decollato, intenerì in modo tale il manigoldo, che gli mancò l'animo di ucciderlo; e venne un altro, il quale essendo poco esperto, lo ferì due volte della scimitarra, e non l'uccise, ma col terzo colpo lo finì. Di questi fatti gli stessi eretici olandesi, nemici della nostra chiesa, ne furono testimonj. Ma no, scrive un eretico, questi nuovi martiri non furono uccisi per la fede, ma per esser ribelli e congiuranti, che tramavano di privare i sovrani de' loro regni. La stessa taccia che si oppone a' martiri del Giappone, vien data ancora dagli eretici a coloro che per la fede diedero la vita in Inghilterra a tempo della regina Lisabetta. Ma dimando: se i nostri cattolici erano ribelli e congiuranti, erano dunque congiuranti anche le povere donne, le vergini, e i fanciulli, giacché questi furono egualmente giustiziati? E se questi erano veramente ribelli, perché poi subito che rinnegavano la fede per timore dei tormenti, erano affatto liberati da ogni pena? A' nostri cattolici in Inghilterra era fatta da' ministri di Lisabetta questa promessa: Basta che voi entriate una volta ad assistere nelle nostre chiese, sarete liberati. Segno dunque evidente fu questo, che non la ribellione o congiura, ma la sola fede era causa della loro morte.




1 In psal. 78.

1 2. 2. q. 124. a. 1.



2 Epist. 167.



3 Apolog. in fin.




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