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S. Alfonso Maria de Liguori
La fedeltà de' Vassalli

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Introduzione

Composta da 40 pagine, La fedeltà dei vassalli vide la luce nel 1777.

Dodici anni prima della rivoluzione francese, Alfonso, quasi cieco, sentiva tremare i troni e gli altari, vedendo i monarchi scuotere la Chiesa e la fede e così segare il ramo su cui erano seduti: chi non temeva Dio, non temeva lo Stato.

Lanciò un grido di allarme ai principi, dando loro come esempio Costantino, san Luigi, santo Stefano, sant'Etelberto, Luigi XIV e Carlo Emanuele di Savoia nell'opera di "conversione" dello Chablais.

Nella sua finezza scelse un ventaglio ampio e nella conclusione prese le distanze dai suoi eroi, proponendo - sembra impossibile - la libertà religiosa, "delirio" in seguito condannato da Gregorio XVI (Mirari vos, 1832) e da Pio IX (Syllabus, 1864): "Non conviene, scriveva, usar la forza per indurre i sudditi ad abbracciar la vera fede; la forza era un tempo mezzo de' tiranni che costringevano gli uomini a credere quel che non doveano credere, com'erano le idolatrie. Iddio nullum ad se trahit invitum; egli vuol essere da noi adorato con un cuore libero, non forzato".

Poi non si lasciò sfuggire un'occasione tanto bella per ripetere in alto la sua antifona di missionario: "Non mancano all'incontro mezzi più adatti ed efficaci a' principi zelanti d'indurre senza forzarli, i loro sudditi a seguir la sana dottrina. Quando ogni altro mezzo mancasse, essi chiamino ne' loro Regni buoni missionarj che con sante istruzioni e prediche sgombrino gl'inganni e faccian conoscere la vera fede e la vera via di salvarsi, come han fatto i principi riferiti di sopra e tanti altri.

E' vero che il mandar le missioni è officio de' vescovi; ma la sperienza fa vedere che alle volte vale più la diligenza d'un principe santo e prudente a convertire i suoi vassalli, che non valgano mille vescovi, mille missioni e mille missionarj".

Restava da far arrivare l'opuscolo ai destinatari, che non erano lettori abituali di questo "istitutore dei poveri", per cui occorrevano due cose: tradurlo in francese, a quel tempo lingua delle corti europee, e portarlo alle teste coronate.

L'anno seguente fu tradotto e pubblicato in francese, probabilmente a spese del canonico Henri Hennequin di Liège, un ammiratore di Alfonso, incontrato forse a Roma, che si incaricò anche di inviarlo a tutte le corti di Europa; d'altra parte a Roma il cardinale Castelli lo diede a tutti gli ambasciatori e ministri delle potenze straniere per i loro signori. Non abbiamo alcuna risposta delle Loro Maestà all'autore, perché, come dice Tannoia, Alfonso aveva l'abitudine per umiltà di distruggere questo genere di corrispondenza. Se La fedeltà dei vassalli non cambiò il corso della storia, testimonia almeno lo zelo universale del vecchio vescovo, che niente poteva assopire.

Cf. Th. ReyMermet,

Il Santo del secolo dei lumi

Città Nuova 1982, pp. 781-782

 

 

 




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