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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione al popolo

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Introduzione pratica all'istruzione del popolo.

 

 

1. Acciocché l'uomo osservi i suoi doveri, è necessario, che prima di ogni altra cosa intenda, qual è l'ultimo suo fine, in cui può ritrovare la sua piena felicità. L'ultimo fine dell'uomo è di amare e servire Dio in questa vita, e di goderlo poi eternamente nell'altra. Sicché Iddio ci ha posti in questo mondo, non per acquistarci ricchezze, onori, e piaceri; ma per ubbidire a' suoi precetti, e così guadagnarci la beatitudine eterna del paradiso.

 

 

2. A questo fine il Signore creò già Adamo, che fu il primo uomo, e gli diede per moglie Eva, acciocché avessero propagato il genere umano. Li creò in grazia sua, e li pose nel paradiso terrestre, significando loro, che di gli avrebbe trasferiti poi in cielo a godere una felicità compita ed eterna. Frattanto in questa terra concesse loro di cibarsi di tutti i frutti di quell'ameno giardino, ma per esperimentar la loro ubbidienza proibì ad essi di mangiare il frutto d'un solo albero, che loro dimostrò. Adamo non però ed Eva, disubbedendo a Dio, vollero cibarsi del frutto vietato, e per tal peccato furono essi privati della divina grazia, e furono subito discacciati dal paradiso terrestre, e condannati come ribelli della maestà divina con tutta la loro discendenza alla morte temporale ed eterna; e così restò per essi e per tutti i loro figli chiuso il paradiso celeste.

 

 

3. Questo è il peccato originale, nel quale poi tutti nasciamo figli d'ira e nemici di Dio, come figli d'un padre ribelle. Quando un vassallo si ribella al suo principe, si rendono odiosi al principe, e restano esiliati dal regno tutti i discendenti di quel ribelle. Sicché il peccato originale per noi è una privazione della divina grazia per causa della disubbidienza di Adamo.

 

 

4. Solamente Maria ss. ebbe il privilegio, secondo la pia e comune sentenza, di esser esente dalla macchia originale. È certo, ch'ella fu immune da ogni peccato attuale: questo è sentimento della chiesa, come ha dichiarato il concilio di Trento1, ove si dice, che niun uomo


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potest in tota vita peccata omnia etiam venialia vitare, nisi ex speciali Dei privilegio, quemadmodum de beata Virgine tenet ecclesia. E questo è un grande argomento per provare, che Maria fu libera dalla colpa originale; perché se non fosse stata libera dalla colpa originale, non avrebbe potuto esser esente da ogni colpa attuale. Ma giacché la santa Vergine non contrasse mai alcuna colpa, da cui dovette esser redenta, dunque ella non fu redenta da Gesù Cristo come furono tutti gli altri figli d'Adamo? No, ben fu redenta, ma redenta in modo più nobile: gli altri uomini sono stati redenti dopo avere incorsa la colpa originale, Maria fu redenta prima d'incorrerla, con esser preservata da quella: e questo fu un privilegio singolare concesso giustamente a quella donna singolarmente benedetta, ch'era destinata ad esser madre d'un Dio.

 

 

5. Del resto tutti noi altri uomini siamo nati infetti dal peccato di Adamo, in pena del quale abbiamo la mente oscurata in conoscere le verità eterne, e la volontà inclinata al male. Ma per li meriti di Gesù Cristo col santo battesimo acquistiamo la divina grazia, e 'l rimedio di ogni nostro male: e così diventiamo figli adottivi di Dio, ed eredi del paradiso, purché sappiamo conservarci la grazia acquistata nel battesimo alla morte; altrimenti se noi la perdiamo con qualche peccato mortale, restiamo condannati all'inferno: e solamente col sagramento della penitenza possono esserci perdonati tali peccati commessi dopo il battesimo.

 

 

6. In quanto però a' peccati attuali che noi commettiamo, bisogna distinguere il peccato mortale dal veniale. E parlando prima del peccato mortale, bisogna intendere, che siccome l'anima vita al corpo, così la grazia di Dio vita all'anima: ond'è, che siccome il corpo senza l'anima resta morto, e gli tocca la sepoltura; così l'anima per il peccato resta morta alla grazia di Dio, e le tocca la sepoltura dell'inferno. Perciò dunque il peccato grave si chiama mortale, perché morte all'anima: Anima quae peccaverit, ipsa morietur1. Ho detto, le tocca la sepoltura dell'inferno. Ma che cosa è questo inferno? è un luogo, che sta sotto la terra, ove quelli che muoiono in peccato vanno a penare in eterno. Ibunt hi in supplicium aeternum2 E qual pena vi è nell'inferno? Rispondo, tutte le pene; ivi il dannato ha da stare a penare in un mar di fuoco, cruciato da tutti i tormenti, disperato, e abbandonato da tutti per l'eternità.

 

 

7. Ma come un'anima per un solo peccato mortale ha da patire in eterno? Chi parla così, è segno che non intende, che viene a dire peccato mortale. Il pecca4o mortale è una voltata di spalle che si fa a Dio; così da s. Tommaso e da s. Agostino è definito il peccato mortale: Aversio ab incommutabili bono3. Onde dice Dio al peccatore: Tu reliquisti me, dicit Dominus, retrorsum abiisti4. Il peccato mortale è un disprezzo che si fa a Dio: Filios enutrivi, et exaltavi; ipsi autem spreverunt me5. È un disonore fatto alla divina maestà: Per praevaricationem legis Deum inhonoras6. È un dire a Dio: Signore, non ti voglio servire: Confregisti iugum meum, dixisti: non serviam7. Questo viene a dire peccato mortale. Onde è poco un inferno, non bastano cento mila inferni a punire un solo peccato mortale. Se uno fa ingiuria ad un villano senza ragione, anche merita pena: maggiormente se la fa ad un cavaliere, ad un principe, ad un re. Ma che sono innanzi a Dio tutti i re della terra, ed anche tutti i santi del paradiso? Sono come un niente: Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram eo8. Or che pena merita un'ingiuria fatta a Dio? ad un Dio poi morto per nostro amore?

 

 

8. Avvertasi non però, che per lo peccato mortale vi bisognano tre cose: che vi sia la piena avvertenza, il perfetto consenso, e che la materia sia grave; mancando una cosa di queste, il peccato non è mortale, ma o non sarà peccato, o sarà solamente veniale.

 

 

9. Il peccato veniale poi non morte all'anima, ma ben le una ferita. Egli non è disgusto grave, ma è già disgusto di Dio. Non è quel gran male ch'è il peccato mortale, ma è più male di tutti i mali che possono avvenire alle creature. E maggior male una bugia, una imprecazione leggiera, che se fossero mandati all'inferno tutti gli uomini,


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tutti i santi, e tutti gli angeli. Questi peccati veniali poi alcuni sono deliberati, altri indeliberati; gl'indeliberati, cioè fatti senza piena avvertenza o senza perfetto consenso, sono meno colpevoli; ed in questi vi cadono tutti gli uomini; solamente Maria ss., come dicemmo di sovra, ebbe il privilegio d'esserne esente. Più colpevoli sono poi i veniali deliberati, fatti con piena volontà, e ad occhi aperti; e più se sono con attacco, come sono certi rancori, e certe ambizioni, o certe affezioni radicate, e cose simili. Dicea s. Basilio: Quis peccatum ullum leve audeat appellare1? Basta intendere, ch'è disgusto di Dio per doverlo fuggire più d'ogni male. S. Catarina da Genova, essendole stata data a vedere la bruttezza d'un peccato veniale, la santa si maravigliava, come in vederla non fosse morta di orrore. E sappia chi non fa conto de' peccati veniali, che se non si emenda, sta vicino a cadere in qualche peccato mortale. L'anima quanti più ne commette, tanto più resta debole, e tanto più il demonio si fa forte, e Iddio diminuisce gli aiuti suoi. Qui spernit modica, paulatim decidet2.

 

 

10. Attendiamo dunque a fuggire i peccati, che solamente possono renderci infelici in questa e nell'altra vita. E ringraziamo sempre la bontà di Dio di non averci mandati all'inferno per li peccati fatti, e da ogg'innanzi attendiamo a salvarci l'anima; ed intendiamo, che tutto è poco quel che facciamo per salvare l'anima.

 

 

11. Narra s. Agostino3, che trovandosi l'imperator Graziano nella città di Treveri, due suoi cortigiani andarono un giorno ad un convento di certi buoni religiosi, che stava fuori della città. Entrati in quella santa solitudine cominciarono a leggere la vita di s. Antonio abbate, che stava sulla tavola d'un religioso di quel convento; onde uno di essi mosso da lume divino disse all'altro: Amico, dopo tanti travagli e fatiche che noi soffriamo in questo mondo, a che possiamo arrivare? Il più che possiamo sperare stando in corte, è guadagnarci la grazia dell'imperatore. Questa è la maggior fortuna che possiamo avere. E se pure giungeremo ad ottenerla, questa fortuna quanto durerà? Ma se io voglio l'amicizia di Dio, ora posso averla. E così dicendo seguiva a leggere; finché illuminato maggiormente da Dio, che in quell'occasione gli conoscere la vanità del mondo, risolutamente disse al compagno: Or io voglio lasciar tutto, e salvarmi l'anima. Risolvo in questo punto di restare in questo monastero per pensare solo a Dio. Se voi non volete seguirmi, almeno vi prego a non opporvi alla mia risoluzione. Il compagno rispose, che anch'egli volea seguirlo, come già fecero; ed al loro esempio due donzelle, colle quali essi aveano contratti gli sponsali, intesa la loro mutazione, esse ancora lasciarono il mondo, e consagrarono a Dio la loro verginità.

 

 

12. Ma per salvarsi non basta cominciare, bisogna perseverare, e affin di perseverare bisogna che ci conserviamo umili, diffidando sempre delle nostre forze, e confidando solo in Dio, con domandargli sempre l'aiuto suo a perseverare. Povero chi confida in se stesso, o s'invanisce delle sue opere buone! Narra Palladio4, che un certo solitario, stando in un deserto, giorno e notte faceva orazione, e menava una vita asprissima, e perciò era onorato da molti. Il misero prese qualche stima di se stesso, e si tenea sicuro per le sue virtù di perseverare, e salvarsi. Ma essendogli appresso comparso il demonio in forma di donna, ed avendolo tentato a peccare, l'infelice non seppe resistere, e cadde. Subito che fu caduto, il demonio sparve prorompendo in una gran risata. Dopo ciò lasciò egli il deserto, ritornò al secolo, e si diede in preda a tutti i vizi; e così diè a vedere quanto è pericoloso il fidarsi nelle proprie forze. Più terribile fu il caso del celebre fra Giustino, il quale, dopo aver ricusati gli offici di grande onore che gli avea offerti il re di Ungheria, si fece religioso di s. Francesco, e si avanzò tanto nello spirito, che avea frequenti estasi. Un giorno, stando a mensa nel convento di Ara Coeli, fu rapito in aria, e fu veduto da tutti portarsi in alto a venerare un'immagine della b. Vergine, che stava sovra del muro. Per questo fatto Eugenio IV. mandò a chiamarselo, l'abbracciò, e facendolo sedere, tenne con lui un lungo discorso. Di un tal favore il misero s'invanì; onde s. Giovanni da Capistrano nel vederlo gli disse: Fra Giustino, andasti angelo, e sei tornato demonio. In fatti da allora in poi crescendo nei


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difetti, e nella superbia, uccise con un coltello un altro frate. Appresso se ne fuggì nel nostro regno di Napoli, ove fece molte altre scelleraggini, e morì apostata in prigione.

 

 




1 Sess. 6. can. 23.



1 Ezech. 18. 20.

 



2 Matth. 25. 46.

 



3 S. Thom. par. 1. qu. 24. a. 4.

 



4 Ier. 15. 6.

 



5 Is. 1. 2.

 



6 Rom. 2. 23.

 



7 Ier. 2. 20.

 



8 Is. 40. 17.



1 In reg. brev. inter. 4.

 



2 Eccli. 19. 1.

 



3 Confes. l. 8. c. 6.

 



4 Istor. c. 44.






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