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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione al popolo

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§ II. Dell'obbligo di assistere alla santa messa.

 

 

11. Che cosa è la messa? è il sacrificio, che si offerisce alla divina maestà del corpo e sangue di Gesù Cristo sotto le specie di pane e di vino. Per soddisfare a quest'obbligo si ricercano due cose, l'intenzione e l'attenzione. In primo luogo si ricerca l'intenzione, cioè che la persona intenda di sentir la messa. Onde non soddisfa che vi sta presente rattenuto per violenza, o vi sta per veder la chiesa, per aspettar l'amico, o per altro fine che di sentir la messa. Ma se uno ascoltasse la messa per divozione, credendo esser giorno di lavoro, e poi sapesse, che quello è giorno di festa, è tenuto a sentirne un'altra? No, perché basta aver adempita l'opera comandata, benché non siasi avvertito a voler adempire il precetto della messa.

 

 

12. In secondo luogo si ricerca l'attenzione, cioè, che la persona attenda al sagrificio che si celebra. Questa attenzione poi può esser esterna ed interna. È certo che non soddisfa all'obbligo chi sente la messa senza l'attenzione esterna, come se nel dirsi la messa egli dormisse, o stesse ubbriaco, o pure scrivesse, o confabulasse con altri, o s'impiegasse in altre operazioni esterne. Si questiona poi tra' dottori, se soddisfa chi assiste alla messa senza l'attenzione interna, viene a dire, se nel tempo della messa avverte per altro a ciò che si fa, ma poi si distrae internamente, pensando ad altro, e non a Dio. Molti dicono, che costui pecca solo venialmente, per quante volte volontariamente si distrae, ma non gravemente, e soddisfa in sostanza all'obbligo della messa, assistendo ivi colla presenza morale. Ma la sentenza più comune con s. Tommaso vuole, che costui non soddisfa. Ciò nondimeno s'intende, quando avverte già, che si distrae dalla mesa, e positivamente vuol seguire a distrarsi. Onde vi esorto, quando udite la messa, di pensare a quel sagrificio che allora si fa. Pensate alla passione di Gesù Cristo, giacché la messa è una rinnovazione del sagrificio che Gesù Cristo di sé stesso morendo in croce; o pure meditate qualche massima eterna, la morte, il giudizio, l'inferno. chi sa leggere, legga qualche libretto spirituale, o l'officio della Madonna: e chi non sa leggere, se non vuol meditare, almeno dica il rosario, o altre orazioni vocali: almeno attenda alle azioni che fa il sacerdote. Se uno si confessasse, mentre si dice la messa, soddisfa? Non signore, perché allora assisterebbe come reo, che si accusa de' suoi peccati, ma non come sacrificante; ed è certo, che chi assiste alla messa, egli sagrifica insieme col sacerdote.

 

 

13. Onde sarebbe bene adempir nella messa i fini per cui è stata istituita la messa. La messa è stata istituita 1. per onorare Dio: 2. per ringraziarlo: 3. per ottenere la soddisfazione de' peccati: 4. per impetrare le grazie che ci bisognano. Ecco dunque quel che dobbiamo fare in tempo della messa: per 1. offerire a Dio quel sagrificio del suo Figlio in onore della sua divina maestà: per 2. ringraziarlo di tutti i beneficii ricevuti: per 3. offerire quella messa in soddisfazione de' nostri peccati: per 4. domandare a Dio per li meriti di Gesù Cristo le grazie che ci son necessarie per salvarci. Specialmente poi quando si alza l'ostia, cerchiamo a Dio per amore di Gesù Cristo il perdono de' peccati. Quando si alza il calice, cerchiamogli per li meriti di quel sangue divino l'amore suo e la santa perseveranza. E quando il sacerdote si comunica, facciamo la comunione spirituale, dicendo così: Gesù mio, io vi desidero, vi abbraccio, non permettete, ch'io mai abbia a separarmi da voi.

 

 

14. In oltre bisogna notare più cose. Per 1. chi lascia qualche parte della messa, pecca mortalmente, se la materia è grave. Ma qual parte della messa sarebbe grave? altri dicono, che per evitar la colpa grave basta assistere e trovarsi all'offertorio, ch'è quella orazione che dice il sacerdote dopo l'evangelio, dicendo, che, secondo scrive s. Isidoro, la messa anticamente cominciava dall'offertorio. Nondimeno la sentenza migliore, e più comune, vuole, che sia materia grave il non assistere dal principio sino all'evangelio inclusivamente. È comune poi la sentenza, che non pecca gravemente chi lascia di assistere dal principio sino anche all'epistola, o pure a quel che si dice dopo la comunione del sacerdote. Chi poi lasciasse di assistere o alla consagrazione, o alla comunione del sacerdote, io dico


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che non soddisfa, perché tengo, che l'essenza del sacrificio consiste così nella consagrazione, come nella comunione.

 

 

15. Si nota per 2. esser proposizione dannata da Innocenzo XI. al numero 53., il dire, che soddisfa chi sente nello stesso tempo due mezze messe da due diversi sacerdoti che celebrano. Ma se uno sentisse queste due mezze messe in diverso tempo, cioè mezza da un sacerdote, e mezza da un altro? Molti dottori, ammettono che soddisferebbe, purché assista (così si dee intendere) alla consagrazione ed alla comunione che si fa dallo stesso sacerdote che celebra.

 

 

16. Si noti per 3., che ben soddisfa all'obbligo della messa chi la sentisse stando nel coro dietro l'altar maggiore, o pure dietro qualche pilastro della chiesa, ed anche fuori della chiesa, senza neppur vedere il sacerdote, purché stia unito al popolo che sta dentro la chiesa, in modo che almeno per mezzo degli altri possa avvertire a ciò che si fa nella messa.

 

 

17. Si noti per 4., che per i gentiluomini che tengono l'oratorio privato in casa, non soddisfano alla messa di precetto, se non i soli padroni che hanno ottenuto il privilegio, e quelli della loro famiglia, cioè i loro parenti consanguinei o affini sino al quarto grado; purché (notate) questi abitino nella stessa casa, e vivano a spese del privilegiato; e purché in oltre, quando si dice la messa, vi assista una delle persone, a cui sta concesso il privilegio. In quanto poi a' servi, avvertasi, che non soddisfano tutti i servi, ma solo quelli che vivono a spese del padrone: e di più (come dice l'indulto) che son necessari attualmente al servizio del padrone, nel mentre che si dice la messa, o per servire alla stessa messa, o per aiutar il padrone ad inginocchiarsi, o a sedere, o per legger la meditazione, e cose simili.

 

 

18. Si dimanda poi, quali cause scusano dall'obbligo di sentir la messa. Scusa l'impotenza reale e l'impotenza morale. L'impotenza reale è, quando uno sta infermo a letto, o sta carcerato, o è cieco, e non ha chi lo conduca alla chiesa. L'impotenza morale poi è, quando alcuno non può andare alla chiesa senza timore di grave danno o spirituale, o temporale; e perciò sono scusati i custodi delle città, o degli eserciti, o delle greggi, o delle case, o de' bambini, o degl'infermi, non avendo chi lasciare in loro vece. Così anche scusa un grave incomodo; e perciò sono scusati dalla messa gl'infermi convalescenti, che non possono andare alla chiesa senza grave pena, o timore di ricadere; così anche sono scusati i servi, che non possono lasciar la casa de' padroni senza incomodo grave de' padroni, o proprio, se per esempio temessero d'esser licenziati lasciando la casa, e difficilmente potessero poi trovare altro padrone.

 

 

19. Scusa anche la notabil lontananza dalla chiesa, come se fosse distante per tre miglia, secondo dicono i dottori; e meno, se il tempo fosse nevoso, o piovoso, o la persona fosse debole, o la strada molto disastrosa. Di più scusa la consuetudine de' paesi, di non uscir di casa per alcun tempo dopo il parto, o dopo la morte di qualche stretto parente. Ma alcuni non vanno alla chiesa, e poi vanno alla piazza in pubblico; questi non sono scusati dalla messa. Di più alcune persone possono essere scusate per non avere le vesti, o l'accompagnamento decente per comparire nella chiesa; se nondimeno vi è qualche cappella rimota, o dove si dice la messa all'alba oscura, elle son tenute di andarvi a sentir la messa.

 

 

20. Del resto, cristiani miei, procurate di non mai lasciar la messa. Oh che tesoro è la messa per ognuno che la sente con divozione! Oltre le indulgenze che vi sono (Innocenzo VI. concesse tre mila e più anni d'indulgenza in ogni messa che si ascolta) si ottengono grazie grandi, poiché si applicano, a chi ode la messa, i frutti della passione di Gesù Cristo; mentre (come dicemmo di sopra) ognuno che assiste sagrifica insieme col sacerdote, ed offerisce a Dio per sé e per gli altri la morte e tutti i meriti del Salvatore.

 

 

21. Udite quanti beni apporta la messa, spirituali e temporali, a chi la sente. Tre mercadanti un giorno volevano patirsi insieme dalla città di Gubbio; ma uno di loro volendo ascoltar la messa, gli altri due non vollero aspettare, e si partirono; ma arrivati al fiume Corfuone, ch'era molto cresciuto per la pioggia caduta nella notte, mentre stavano in mezzo al ponte, il ponte si disfece, ed essi morirono affogati. Arrivò il terzo, che si era fermato a sentir la messa, e


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trovò li due compagni morti alla riva, e riconobbe la grazia ricevuta per avere assistito alla messa.

 

 

22. In oltre udite quest'altro fatto più spaventoso. Narrasi, che nella corte di un principe vi era un paggio divoto, che non lasciava di sentir la messa ogni giorno: un altro paggio per invidia l'accusò al principe, che avesse troppa confidenza colla principessa sposa: il principe adirato di ciò, senza esaminar altro, diede ordine ad alcuni, i quali teneano allora una fornace accesa, forse per la calce, che venendo un suo paggio, subito l'avessero fatto morire, gittandolo nella fornace, e che subito poi ne lo facessero avvisato. Appresso mandò il povero paggio accusato con un certo pretesto al luogo della fornace: questi mentre andava udì sonar la messa, e si trattenne a sentirla. Il principe non ricevendo subito l'avviso che aspettava, mandò l'altro paggio falso accusatore per sapere che si era fatto; arrivato che fu il misero, essendo egli il primo che arrivasse, fu preso, e bruciato vivo. Comparve indi a poco il paggio innocente, e ripreso dal principe, perché non avesse ubbidito subito, rispose, che si era fermato a sentir la messa. Il principe allora posto in sospetto della falsità dell'accusa, ne prese migliore informazione, e scovrì l'innocenza del paggio divoto.

 

 

23. Ma diciamo qualche cosa prima di finir di parlare di questo precetto, dell'abuso che fanno i cristiani della festa. Iddio ha istituita la festa, acciocché noi l'onoriamo, e ci acquistiam meriti per lo paradiso con andare alla congregazione, o alla chiesa a sentir la predica, a dire il rosario, a visitare il ss. Sacramento, a raccomandarci a Maria vergine, a' santi avvocati; ma tanti si servono della festa per più disonorare Dio, e per farsi più meriti per l'inferno. A che si servono molti de' giorni delle feste? eccolo, o per fare contrasti e risse (quanti omicidii succedono in giorno di festa!) o per fare all'amore, non portando rispetto neppure alle chiese: o per trattenersi in mezzo ad una via a far mali pensieri, o a parlar disonesto co' mali compagni; o per passarsela dentro una taverna a giocare, a bestemmiare, e ad ubbriacarsi. Il parroco fa la predica, e quelli a posta non vogliono sentir la messa del parroco, per non sentir la predica. Luctus animae dies festivus, così diceva Geremia1, e così bisogna dire anche a' tempi nostri: Luctus animae: a che serve la festa? per seppellire l'anima più dentro l'inferno con accrescere i peccati.

 

 

24. Ho detto: alcuni non vogliono entrar nella chiesa per non sentir la predica; ma dice s. Gio. Grisostomo, che per alcuni sarebbe meglio che non ci entrassero mai nella chiesa, perché fanno più peccati con entrarvi, colle loro irriverenze, che con lasciare di venirvi. Ecco le parole del santo: Non tam crimen fuisset non venire ad templum, quam sic venire. Oh che orrore il vedere le irriverenze che a' giorni nostri si commettono nelle chiese! E poi ci lamentiamo de' castighi di Dio! Scrivono più autori, che per ciò si perdé il regno di Cipro, ed andò in mano dei turchi, per le irriverenze che si commetteano nelle chiese. E scrive Eugenio Cistenio, che fu ambasciatore di Ferdinando I. a Solimano, che al sepolcro di Maometto i turchi non parlano, non isputano, non tossono, né si voltano mai a guardare alcuna cosa per curiosità; e quando escono da quel loro tempio, per non voltare le spalle al sepolcro escono colle spalle voltate alla porta. Ed i cristiani nella chiesa che fanno? discorrono forte, girano gli occhi per tutto, si mettono a guardare chi è bella, e chi è brutta, fanno mali pensieri, hanno l'ardire di venire alla chiesa per fare l'amore, perdendo il rispetto anche a Gesù Cristo sagramentato. Ah Dio mio, come non precipitano le chiese! come Gesù Cristo non ci lascia! siccome avvenne una volta. Narra il Verme nella sua istruzione, che in una chiesa, perché ivi si commetteano irriverenze, mentre il sacerdote elevò la santa ostia, si sentì una voce orribile, che disse: Popolo, io mi parto. Immediatamente appresso si vide l'ostia alzata in aria in mezzo alla chiesa, e replicò la voce: Popolo, io mi parto. Poi non si vide più, e subito cadde la chiesa sovra tutto quel popolo infelice. Ah fratelli miei, come Dio ci può sopportare, vedendo, che alla chiesa, dove egli ci dispensa le grazie, noi vi andiamo per più offenderlo?

 

 

25. Prima di terminare questo precetto della festa, diciamo brevemente qualche cosa del digiuno che la santa


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chiesa ci comanda di osservare nelle vigilie, per onore delle festività che le sieguono e nella quaresima per apparecchiarsi alla celebrazione della santa pasqua. Nel digiuno son comandate tre cose: 1. l'astinenza da' cibi proibiti: 2. l'unica comestione, cioè di mangiare una sola volta il giorno: 3. il non desinare prima dell'ora debita. In quanto all'astinenza sono proibite le carni ed i latticini, eccettoché in quei luoghi, nei quali vi è la consuetudine di cibarsi de' latticini e dell'uova: ma ciò s'intende solo per le vigilie, perché in quanto alla quaresima è certo, che sono proibiti i latticini per la propos. 32. dannata da Alessandro VII. Dichiarò poi il papa Benedetto XIV., che se alcuno è dispensato colla licenza del medico, ed insieme del parroco, o del confessore, a poter mangiar carne nella quaresima, o nelle vigilie de' santi, nella mattina non può mangiare insieme carne e pesce; ha da lasciare il pesce, se mangia carne; ma non già se mangiasse soli latticini.

 

 

26. L'altro obbligo nel digiuno è di mangiare una volta il giorno, e solamente nella sera si permette una piccola colazione, che non dee passare otto oncie. Alcuni nella sera passano le dieci, e le quindici, e forse anche le venti. Bel digiuno! Ma, padre, mi fo restare appetito. Ma ciò non basta. Anticamente i primi cristiani mangiavano rigorosamente una volta il giorno, cioè nella sera, e fuori di quella cena non provavano minima cosa; poi col tempo la chiesa ha permessa la colazione, ma non più (come ho detto) di otto oncie, secondo oggidì al più si permette, giusta la consuetudine comunemente introdotta. E quando si passa questo peso in materia grave (che sarebbe il peso maggiore di due altre oncie) è peccato mortale. Solamente sono scusati da questo digiuno i giovani prima dell'anno 21., ed i vecchi che han passato il sessagesimo, ed han bisogno di cibarsi più volte il giorno. Sono scusati ancora quelli che fanno arti faticose, zappatori, tessitori, fabbricatori, ferrai, e simili. Sono scusate le donne gravide, o che allattano; e sono scusati ancora i poveri, che non hanno la mattina che poco cibo, il quale non può loro bastare a mantenersi.

 

 

27. Il terzo obbligo del digiuno è, che il pranzo, o sia cena, non si prenda prima del tempo di mezzo giorno, secondo il costume presente; onde l'anticiparlo per lo spazio di un'ora intera non può scusarsi da colpa grave, come rettamente dicono molti dottori (contro l'opinione d'altri) con s. Tommaso, il quale1 insegna, che rompe il digiuno chi notabilmente anticipa l'ora del desinare.

 

 

28. In oltre dee avvertirsi, che dichiarò Benedetto XIV., e più chiaramente l'ha dichiarato il regnante pontefice Clemente XIII., che ancora quelli che sono dispensati a mangiar carne o latticini nella quaresima e nelle vigilie, nondimeno sono obbligati a mangiare una volta al giorno; e nella colazione della sera non possono cibarsi d'altri cibi che di quelli di cui si cibano coloro che digiunano, e non sono dispensati; viene a dire, che nella colazione non possono prenderecarni, né latticini.

 

 




1 C. 17. v. 21.



1 In 4. dist. 15. qu. 3. a. 4. q. 1.

 






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