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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione al popolo

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CAP. VI. Del sesto precetto.

Non fornicare.

 

 

1. Di questo peccato poco si può parlare. Dice s. Francesco di Sales, che la castità col solo nominarla si macchia. Onde ciascuno ne' suoi dubbi circa questa materia si consigli col confessore, e così si regoli. Solo avverto qui in generale, che non solo debbono confessarsi tutti gli atti consumati, ma ancora tutti i toccamenti sessuali, tutti gli sguardi impuri, tutte le parole oscene,


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e specialmente se si dicono con compiacenza, e con pericolo di scandalo di chi sente. Di più debbono confessarsi tutti i pensieri disonesti. Alcuni ignoranti credono che solamente gli atti impudici hanno da confessarsi; no, si han da spiegare al confessore tutti i mali pensieri acconsentiti. Le leggi umane proibiscono le sole opere esterne, perché gli uomini vedono solamente quel che apparisce di fuori: ma Dio che vede i cuori condanna ancora tutte le male volontà. Homo videt ea quae patent, Dominus autem intuetur cor1. E ciò va per li pensieri acconsentiti in ogni specie di peccato. In somma tutto ciò ch'è male a farsi, innanzi a Dio è peccato a desiderarlo.

 

 

2. Ho detto pensieri acconsentiti; onde bisogna saper distinguere, quando il cattivo pensiero è peccato mortale, quando è peccato veniale, e quando non è affatto peccato. Nel peccato di pensiero vi concorrono tre cose, la suggestione, la dilettazione ed il consenso. La suggestione è quel primo pensiero di far male che si affaccia alla mente. Questo non è peccato, anzi quando la volontà subito lo rigetta, si acquista merito. Scrive s. Antonino: Quoties resistis, toties coronaris. Anche i santi sono stati tormentati da questi mali pensieri. S. Benedetto per superare una volta una simile tentazione si buttò dentro le spine. S. Pietro di Alcantara si buttò dentro uno stagno gelato. Anche san Paolo scrive che stava tentato contro la castità: Datus est mihi stimulus carnis meae, angelus Satanae, qui me colaphizet2. Onde pregò più volte il Signore d'esserne liberato: Propter quod ter Dominum rogavi, ut discederet a me. Il Signore però non volle liberarnelo, ma gli disse: Ti basta la grazia mia: Et dixit mihi: Sufficit tibi gratia mea. E perché non volle liberarnelo? Acciocché il santo più meritasse col resistere alla tentazione: Nam virtus in infirmitate perficitur3. Dice s. Francesco di Sales che quando il ladro bussa da fuori, è segno che non si trova dentro; e così quando il demonio tenta è segno che l'anima sta in grazia. S. Catarina da Siena una volta per tre giorni fu molto afflitta dal demonio con tentazioni impure; dopo i tre giorni le apparve il Signore per consolarla; allora la santa gli dimandò: Ah mio Salvatore, e dove siete stato in questi tre giorni? E 'l Signore le rispose: Sono stato nel cuor tuo a darti forza per resistere alle tentazioni. Ed appresso le fe' vedere il di lei cuore più purificato.

 

 

3. Dopo la suggestione viene la dilettazione. Quando la persona non è accorta a scacciare subito la tentazione, e si mette a discorrere con quella, ecco la tentazione che subito comincia a dilettare, e così la va tirando al consenso. Finché la volontà non consente non v'è peccato mortale; ma solamente veniale; ma se l'anima allora non ricorre a Dio, e non fa forza per resistere alla dilettazione, facilmente quella si tirerà il consenso. Nisi quis repulerit delectationem, delectatio in consensum transit, et occidit animam, dice s. Anselmo4. Una donna tenuta per santa assalita da un mal pensiero con un suo servo, trascurò di subito discacciarlo; onde già mentalmente cadde in peccato. Dopo ciò commise un peccato più grave, perché si vergognò di confessarsi di quella mala compiacenza, e così morì l'infelice; ma perché era tenuta per santa, il vescovo per sua divozione la fe' seppellire nella sua cappella. Nella mattina appresso la defunta gli apparve tutta cinta di fuoco; allora gli confessò, ma senza profitto ch'ella era dannata per quel mal pensiero acconsentito.

 

 

4. Dato poi che si è il consenso l'anima già perde la grazia di Dio, e resta condannata all'inferno subito che acconsente al desiderio di commettere il peccato, o che si diletta pensando a quell'atto disonesto come se allora lo commettesse; e questa si chiama dilettazione morosa, ch'è differente dal peccato di desiderio. Cristiani miei, state attenti a discacciar subito che si affacciano questi mali pensieri, con ricorrere subito per aiuto a Gesù ed a Maria. Chi fa l'abito ad acconsentire a pensieri disonesti, si mette in gran pericolo di morire in peccato, primieramente perché questi peccati di pensiero sono più facili a commettersi; uno in un quarto d'ora può far mille mali pensieri, e ad ogni pensiero acconsentito gli tocca un inferno a parte. In punto di morte il moribondo non può commettere peccati d'opera perché allora non si può muovere, ma ben può commettere


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peccati di pensiero, e 'l demonio a questi pensieri tenta gagliardamente i poveri moribondi. S. Eleazaro, come narra il Surio, in punto di morte ebbe tante e tali tentazioni di mali pensieri, che esclamò poi: Oh quanto è grande la forza dei demoni in punto di morte! Il santo vinse i demoni, perché avea fatto l'abito a discacciare i mali pensieri: ma guai a coloro che avranno fatto l'abito ad acconsentirvi! Narra il p. Segneri che vi fu un peccatore di questi che spesso acconsentiva in vita a' mali pensieri: stando in morte si confessò con gran dolore de' suoi peccati, onde lo teneano per salvo: ma dopo la morte comparve, e disse che si era dannato: disse che la sua confessione era stata buona, e Dio l'avea già perdonato, ma che prima di morire il demonio gli pose avanti, che se fosse campato, sarebbe stata un'ingratitudine abbandonar quella donna che tanto l'amava; questa prima tentazione egli la discacciò: venne la seconda, ed allora si fermò alquanto a discorrerci, ed anche la discacciò: venne la terza, e vi acconsentì, e così disse ch'era morto in peccato, e si era dannato.

 

 

5. Fratello mio, non dire più, come dicono alcuni, che il peccato disonesto è poco peccato, e che Dio lo compatisce. Che dici? ch'è poco peccato? ma è peccato mortale, e se è peccato mortale, un peccato di questi, anche di solo pensiero, basta a mandarti all'inferno. Omnis fornicator... non habet haereditatem in regno Christi, dice s. Paolo1. È poco peccato? anche i gentili diceano, esser questo vizio il peggiore del mondo per li molti mali effetti che cagiona. Seneca2. Maximum seculi malum impudicitia. E Cicerone3: Nullam esse capitaliorem pestem, quam voluptatem corporis. E parlando de' santi, s. Isidoro scrisse che non vi è peccato peggior di questo: Quodcumque peccatum dixeris, nihil huic sceleri aequale reperies4.

 

 

6. Si narra nelle vite de' padri antichi5, che un certo romito camminando per divin favore con un angelo che lo accompagnava, incontrarono per la via un cane fracido che molto puzzava; ma l'angelo non diede alcun segno di dispiacenza di quel fetore. Incontrarono poi un giovane tutto abbigliato e fragrante di odori, e l'angelo si otturò le narici. Interrogato poi del perché dal romito, rispose, che quel giovane per lo vizio che tenea d'impudicizia mandava molto maggiore puzza che quel cane fracido. Scrive il Lirano che la disonestà orrore anche a' demoni: Est luxuria ipsis daemoniis exosa. Tanto che un certo mago che solea aver commercio col demonio, una volta avendo commesso un peccato disonesto, chiamò il nemico, e quello gli apparve da lontano e colle spalle voltate: il mago gli dimandò, che significava quella funzione; gli rispose il demonio che la di lui impudicizia gli proibiva di accostarsegli vicino: Tua libido non sinit me ad te accedere. Del resto dice san Tommaso, che il demonio di niun peccato si compiace tanto, quanto del peccato disonesto: Diabolus dicitur maxime gaudere de peccato luxuriae, quod difficile ab eo homo potest eripi6. Il demonio si compiace tanto di questo vizio, perché quelli che l'hanno difficilmente se ne possono liberare.

 

 

7. E perché? per 1., perché questo vizio accieca il peccatore e non gli fa più vedere l'offesa che fa a Dio, né lo stato miserabile di dannazione in cui vive e dorme. Dice il profeta Osea che questi tali perdono anche il desiderio di tornare a Dio. Non dabunt cogitationes suas ut revertantur ad Deum suum; (e perché?) quia spiritus fornicationum in medio eorum7. Per 2., perché questo vizio indurisce il cuore, e lo rende ostinato. Per 3., il demonio si compiace tanto di questo vizio, perché da esso ne vengono poi cento altre specie di peccati, furti, odii, omicidii, spergiurii, mormorazioni. Non dire più dunque, cristiano mio, che questo vizio è poco peccato.

 

 

8. Dici: Ma Dio lo compatisce. Dio lo compatisce! Ora sappi che niun vizio è stato da Dio tanto castigato negli uomini quanto il vizio disonesto. Leggete la scrittura e vedrete, che per questo vizio una volta il Signore mandò fuoco dal cielo, e bruciò cinque città con tutt'i suoi abitanti. Per questo vizio mandò il diluvio universale: Omnis quippe caro corruperat viam suam8. Gli uomini si erano tutti imbrattati di questo


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peccato, e Dio fece piovere per quaranta giorni e quaranta notti, e così fece morir tutti, eccettuatene otto persone che si salvarono nell'arca: Venit diluvium et tulit omnes. Abbiamo di più nella scrittura, che gli ebrei essendo entrati in Settim città de' moabiti, cominciarono a peccare colle donne del paese, e Mosè per ordine di Dio fe' uccidere a fil di spada 24. mila ebrei: Fornicatus est populus cum filiabus Moab... et occisi sunt viginti quatuor millia hominum1. Anche al presente si vede che Dio castiga questo vizio ancora in questa terra. Entrate nello spedale degl'incurabili, domandate perché sono così tormentati tanti poveri giovani (uomini e donne) con tagli di ferro, con bottoni di fuoco, perché? e vi risponderanno, che per lo peccato disonesto: Quia oblita es mei, dice Dio, et proiecisti me post corpus tuum, tu quoque porta scelus tuum, et fornicationes tuas2. Perché hai voluto scordarti di me, dice Dio, e mi hai scacciato da te per soddisfare il corpo tuo, soffri anche qui sulla terra il castigo delle tue impudicizie.

 

 

9. E ciò in quanto al castigo di questa vita; ma che ne sarà de' disonesti nell'altra? Tu dici che questo peccato Dio lo compatisce; ma s. Remigio dice che de' cristiani adulti pochi si salvano, e tutti gli altri si dannano per lo vizio disonesto: Ex adultis propter carnis vitium pauci salvantur3. E 'l p. Segneri dice che di coloro che si dannano tre parti si dannano per questo peccato.

 

 

10. Narra s. Gregorio4 che un certo nobile commise un peccato disonesto; a principio ne intese un gran rimorso di coscienza; ma invece di confessarselo subito, l'andò trascurando da giorno in giorno, sin tanto che non facendo più conto del suo peccato e della voce di Dio che l'avea chiamato a penitenza, fu colto improvvisamente dalla morte, senza dar segno alcuno di pentimento. Udite. Essendo poi stato seppellito, si vide per più giorni continui uscire una fiamma dalla sepoltura, la quale ridusse in cenere non solo la carne e le ossa di quell'infelice, ma tutto il suo sepolcro.

 

 

11. Udite un altro fatto orribile riferito dal celebre Fortunato, che fu vescovo di Tiers, nella vita di s. Marcello vescovo di Parigi. Una certa gran dama s'imbrattò con questo peccato; venne a morte e fu seppellita. Indi fu veduto un gran serpente che ogni giorno andava al sepolcro a pascersi delle carni della miseria defunta. Gli abitanti stavano sommamente spaventati da quello spettacolo, onde s. Marcello col suo baston pastorale percosse il serpente e gli comandò che più non venisse colà, e così il serpe più non comparve.

 




1 1. Reg. 16. 7.

 



2 2. Cor. 12. 7.

 



3 Ibid.

 



4 De simil. c. 40.



1 Eph. 5. 5.

 



2) Comp. ad Helviam.

 



3 L. de senect.

 



4 Tom. 1. orat. 21.

 



5 Part. 2. c. 8.

 



6 1. 2. q. 73. a. 2.

 



7 Oseae 5. 4.

 



8 Gen. 6. 12.



1 N. 25. 1. et. 9.

 



2 Ezech. 23. 35.

 



3 Apud. s. Cypr. l. 1. de Bono pudic.

 



4 Dial. l. 4. c. 32.

 






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