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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Punto III. Della religione e vizi opposti.

33. Della religione.

34. §. I. Della superstizione, e specialmente dell'astrologia, sogni, ensalmi e sorti.

35. Della verga divinatoria.

36. Della vana osservanza.

37. Della polvere simpatica.

38. §. II. Della tentazione

39. Del sacrilegio.

40. a 48. Della simonia.

49. a 55. Delle sue pene ed assoluzione.

33. La virtù della religione è la prima delle virtù morali, e si definisce: Est virtus debitum cultum Deo exhibens. Due vizi a questa virtù si oppongono, la superstizione per eccesso, l'irreligiosità per difetto. La superstizione contiene tre specie, l'idolatria, la divinazione, e la vana osservanza. L'irreligiosità poi contiene quattro specie, la tentazione di Dio, il sacrilegio, la simonia, e lo spergiuro. Tratteremo di tutto distintamente.

§. I. Della superstizione.

34. La superstizione si definisce: Est vana seu falsa religio, indebitum cultum Deo exhibens. Che perciò la superstizione


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è di due modi, cultus indebiti, et rei cultae. Cultus indebiti, è quando diamo a Dio o un culto falso, come se un laico volesse dir messa, o se si esponessero reliquie false, o si fingessero false visioni, rivelazioni o miracoli, o altri fatti per accrescere la divozione: le quali cose per sé sono peccati mortali. O quando diamo a Dio un culto superfluo, come sentendo la messa da un sacerdote di tal nome, o colla faccia rivolta ad oriente1. La superstizione poi rei cultae è quando il culto dovuto a Dio lo diamo alle creature. Quindi è proibita l'idolatria, com'è quella de' gentili, che adorano per dei gli uomini, gli animali, l'erbe, le statue ecc. La divinazione, ch'è una predizione degli eventi futuri, fatta per opera del demonio, con patto espresso o tacito. Onde è illecita 1. l'astrologia giudiziaria, la quale predice le cose future dipendenti dalla libera volontà degli uomini; a differenza della naturale, che dal moto de' pianeti congettura le pioggie, o sterilità, o dal punto della nascita predice le inclinazioni, o temperamenti della persona: questa per altro è lecita, ma per lo più è vana ed inutile2. 2. Così ancora è gravemente illecito credere con fermezza a' sogni, per regolare le proprie azioni o per indovinare gli eventi futuri; se non vi fosse una moral certezza, o una gran probabilità, che tali sogni fossero da Dio3. 3. Così anche è illecito l'ensalmo constitutivo, il qual'è un'orazione composta di certe parole determinate per ottener la sanità; e questo è peccato mortale, quando se ne crede infallibilmente l'effetto, specialmente se le parole son vane, o false, o scritte con certo modo particolare. All'incontro è lecito l'ensalmo invocativo, per cui si chiede la sanità da Dio, ma senza credere l'effetto infallibile4. 4. È illecito anche il sortilegio, o sia sorte divinatoria, cioè quando si cerca dal demonio espressamente o tacitamente la rivelazione di cose occulte o future, per mezzo di prendere a sorte qualche numero o segno. All'incontro è lecita la sorte divinatoria, che si adopera per dividere le robe, o per dirimer le liti, o per distribuire gli offici secolari, semprecché ve n'è qualche necessità. Ma non è lecito adoperarla ne' beneficii o altri offici ecclesiastici5.

35. Qui s'avverta, esser affatto illecito l'uso della verga bifolcata, chiamata verga divinatoria, colla di cui conversione alcuni trovano i tesori nascosti, metalli, vene d'acque, o termini di territorii trasferiti. Alcuni ciò l'hanno ammesso come effetto naturale; ma come mai (noi diciamo) questa verga naturalmente può muoversi secondo l'intenzione di chi la tiene, giacché se colui cerca l'acqua, la verga trovando il metallo non si muove? Oltreché s'è veduto poi, che quando alcuno ha premessa la protesta di non consentire al concorso diabolico, se mai vi era la cosa cercata, la verga non si è mossa6.

36. La vana osservanza è l'uso di qualche mezzo improporzionato per ottenere alcun effetto, come il servirsi dell'ispezione di certe figure, o cerimonie, o segni, o di certe orazioni dette in tal sito, mischiate con parole sacre, o vane, o proferite con certa fede, per acquistare qualche scienza senza studio, o per esser libero da infermità o ferite. Tutte queste son vane osservanze, che sono gravemente illecite. E di queste debbonsi interrogare specialmente i soldati, le balie, i maniscalchi, i pastori di animali, ed i rustici7.

37. S'avverta non pertanto ciocché dice s. Tommaso8, che dove non vi sono manifesti indizi della malizia di qualche effetto, in dubbio dee presumersi ch'egli provenga da cagion naturale; ond'è molto probabile, esser lecito l'uso della polvere simpatica applicata su del sangue uscito, affin d'impedire, ch'esca più sangue dalla ferita, purché s'applichi subito ed in poca e proporzionata distanza. Così anche si giudica, non esser vietato l'uso de' coralli o delle unghie di certi animali per liberarsi


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dall'affascinazione naturale di taluni, che hanno la mala qualità di nuocere col guardare. Del resto in tali sorte di rimedi che sembrano innocenti, basterà per liberarsi da ogni scrupolo il protestarsi di non consentire ad alcun'opera diabolica1.

§. II. Dell'irreligiosità.

38. L'irreligiosità tende contro la riverenza dovuta a Dio. La prima specie di questo vizio è la tentazione di Dio. Questa può esser formale ed interpretativa. Formale è quando alcuno dubita espressamente di qualche perfezione divina, e vuole sperimentarla. Questa è certo peccato mortale; e quando vi concorre il dubbio positivo, è anche eresia. L'interpretativa è, quando alcuno lascia i mezzi naturali, e vuole che Dio per miracolo lo salvi da ogni male; come per esempio se vuole, che Dio lo sani dall'infermità, senza prender medicine, o pure, che Dio lo liberi da ogni danno, gittandosi egli in qualche pericolo della vita. E questo per sé anche è mortale, se non fosse taluno scusato o da impulso divino, o dall'ignoranza, o dalla leggerezza della materia, come se l'infermità fosse leggiera, e colui senza rimedi aspettasse da Dio la sanità2.

39. La seconda specie è il sacrilegio, il quale può essere personale, locale e reale. Personale, quando si percuote un chierico o un monaco, o s'ha commercio turpe con persona ligata da voto di castità. Locale, quando si commette un atto, col quale si polluisce la chiesa, cioè se in essa effunditur semen humanum, aut sanguis in aliqua copia. Si dubita poi, se per polluirsi la chiesa basti l'effusione anche occulta. Altri lo negano, e non improbabilmente, ma altri più probabilmente l'affermano3. E lo stesso diciamo per l'uso del matrimonio; e perciò queste azioni più probabilmente tutte son sacrilegi. Si noti qui di passaggio, a niuno esser lecito di qualunque dignità (fuori de' re) farsi portare lo strato in chiesa, altrimenti subito dee cessarsi a divinis, ed i ministri della chiesa incorrono ipso facto la scomunica, e la stessa chiesa dee aversi per interdetta. Questo fu il decreto della s. c. delle cerimonie: Non licere cuicumque, etc. (personis regalibus tantum exceptis) ad ecclesias strata sibi deferri facere, secus immediate cessandum a divinis. Quod nisi servetur, rectores, ceterosque, ecclesiarum ministros ipso facto excommunicationem incurrere; eamque ecclesiam habendam esse pro interdicta. Così sta registrato nel bollario di Clemente XI. part. 3. decret. congr. car. Ed indi sta ivi notato: Et facta relatione sanctitatis sua (cioè il suddetto Clemente) decretum approbavit; nec non promulgari, atque executioni tradi, et in omnibus urbis sacrariis affigi mandavit, die 3 oct. 1701. Tutto lo riferisce il p. Ferrari4, il quale di più riferisce nello stesso luogo5, esser vietato per più decreti della s. c. de' riti dare a baciare a' laici (anche a' presidi) il vangelo dentro la messa, come anche dar loro l'uso del baldacchino, ed ammetterli ad assistere ne' presbiterii. Ritornando poi al nostro punto, diciamo, che più probabilmente sono sacrilegii i tatti, gli aspetti, e i discorsi impudici avuti nella chiesa6; si osservi ciò che si dirà di più su questo punto nel capo IX. num. 22. e 23. Il furto di cosa data in prestito alla chiesa, o riposta in essa per custodia, è certamente sacrilegio. È probabile poi, che 'l furto d'altra cosa profana non sia sacrilegio; ma a noi pare più probabile che lo sia.7 Per luogo sacro s'intende ogni luogo, ch'è deputato dal vescovo a' divini offici, o a seppellire i morti, dal tetto sino al pavimento8. Il sacrilegio reale poi è l'illecita amministrazione o recezione de' sacramenti, o pure la profanazione delle reliquie, o immagini, o vasi, o vesti sacre, o d'altra cosa che si consacra o benedice, come camici, pianete, ec. Anch'è sacrilegio l'abusarsi


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delle parole della sacra scrittura, applicandole a cose turpi, o a mormorazioni. È anche sacrilegio il furto delle reliquie de' santi, quando il padrone n'è gravemente invito1.

40. La terza specie è la simonia, la quale si definisce: Studiosa voluntas emendi pretio temporali aliquid spirituale, vel spirituali annexum. Cioè una volontà maliziosa, intesa a voler comprare con prezzo qualche cosa spirituale, o annessa allo spirituale, come sono le rendite de' beneficii, le vesti consacrate, ed anche la fatica intrinseca nell'amministrazione de' sacramenti2. La simonia poi è di quattro sorte. Mentale, convenzionale, reale e confidenziale. La mentale è quando alcuno il temporale con intenzione di obbligare a render lo spirituale (oppure e converso), ma senza patto alcuno. La convenzionale è, quando vi sta il patto, ma da niuna delle parti è stato eseguito. La reale poi è, quando il patto si è eseguito3. La confidenziale finalmente può essere in tre modi, per accessum, per regressum, e per ingressum. Per accessum si dice, quando tu rinunzi il beneficio ad altra persona, col patto che quella poi lo rinunzi, e il beneficio si conferisca ad altri. Per regressum, quando ti riserbi il ius di ripigliarlo in qualche caso. Per ingressum, se rinunzi il beneficio a te conferito, ma non anche posseduto, con patto anche di prenderne il possesso in qualche caso, o tempo4.

41. I doni che han ragion di prezzo in comperare lo spirituale, si nominano munus a manu, munus ab obsequio, et munus a lingua. Per munus a manu, s'intende ogni cosa temporale degna di prezzo, come il patto di vendere, di mutare, ec., la remissione del debito, ed anche il di lui pagamento5. Per munus ab obsequio, s'intende ogni cosa che importa servitù E per munus a lingua, s'intende ogni intercessione, ancorché sia mediata, la quale meriti prezzo. Il dare nondimeno qualche cosa all'intercessore per ragion di sua fatica, e del danno che patisce, non è illecito per sé, ma è pericoloso6.

42. Altra è la simonia di ius divino, altra di ius umano. Di ius divino è la vendita de' sacramenti, e di tutte le cose sacre. Di ius umano è la vendita degli offici instituiti per le cose sacre, come di sacristano, economo, tesoriere, maggiordomo, vicedomino, e d'avvocato della chiesa. E notisi qui, esser comune la sentenza, che possa darsi la simonia di ius umano, senza che sia di ius divino7.

43. È simonia ancora di ius divino l'ammettere in religione alcuno per beni temporali: se non si dessero solamente a conciliare la benevolenza, o pure perché il monastero fosse povero, o se 'l postulante fosse vecchio, o infermo, sicché il monastero avesse a patirne peso. E con ciò diciamo, che se il monastero fosse opulento, non è lecito senza i suddetti riguardi ricever cosa alcuna da chi vuol entrare, per ragion della sua sustentazione; eccettuandone solamente i monasteri di monache che posson sempre ricever le doti, come ha dichiarato Clemente VIII.8.

44. Si dubita per 1. Se sempre sia simonia dare il temporale per lo spirituale. Secondo la sentenza più comune, e più vera, si nega, quando si il temporale, non già ad obbligare, ma a conciliare la benevolenza. Nulladimeno deve avvertirsi, come si ha dalla proposizione 46. dannata da Innocenzo XI, che certamente è simonia il dare il temporale (specialmente quando si in qualche notabile quantità) per fine principale d'ottenere lo spirituale9.

45. Si dubita per 2. Se sia lecito ricevere qualche cosa per l'amministrazione de' sacramenti. Non è certamente lecito riceverla come prezzo della cosa sacra, o della fatica intrinseca della stessa amministrazione; ma è lecito per la fatica estrinseca, v. gr. in dover celebrare in luogo lontano, in tempo, o in ora incomoda. Ed ancorché non vi sia


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fatica estrinseca, è lecito ricever il temporale non come prezzo, ma come stipendio della sustentazione del ministro, che si occupa in beneficio altrui, quantunque il ministro non fosse povero: ciò è comune con s. Tommaso1. Se poi sia peccato mortale l'amministrare i sacramenti, o il predicare principalmente per lucrare lo stipendio, altri dicon di sì, ma altri come Soto, Suar., Silvest., Sanch., i Salmat. ec., più comunemente e più probabilmente lo negano, per la stessa ragione di sopra assegnata; perché lo stipendio non si riceve come prezzo della cosa sacra, ma come stipendio della persona che s'impiega in grazia del prossimo. Del resto par che non possa scusarsi almeno da peccato veniale chi ordina gli esercizi spirituali all'acquisto dei beni temporali2.

46. Si dubita per 3. Se la vendita de' beneficii sia proibita anche de iure divino. Più probabilmente s. Tommaso ed altri dicon di sì; nulladimeno il papa ben può separare dallo spirituale del beneficio il temporale, che sono i frutti, e così far lecito col suo permesso che alcuno possa ottenere il beneficio per qualche prezzo temporale3.

47. Si dubita per 4. Se sia lecito permutare le cose sacre. Se sono ambedue pure spirituali, ben è lecito permutarle, come la messa col rosario e simili. Nelle cose poi miste, bisogna distinguere con s. Tommaso e colla comune: se il temporale è susseguente allo spirituale, come i frutti al beneficio, allora è lecita la permutazione senza la licenza del papa; ma non del vescovo, come dicono alcuni. Altrimenti poi se il temporale è antecedente allo spirituale, come sono calici, vesti sacre, e simili cose: queste ben possono vendersi e permutarsi, purché s'abbia ragione del solo prezzo intrinseco della roba4.

48. Si dubita per 5. Se sia lecito dare qualche prezzo, per redimersi dalla vessazione, affin di avere qualche beneficio, o altra cosa spirituale. Due regole assegna in ciò l'angelico. La prima, se già s'è acquistato il ius in re, e 'l ius è certo, ben può redimersi la vessazione con dare qualche cosa temporale, ma non già spirituale5. E ciò s'intende anche per la vessazione circa il possesso del beneficio, per chi già vi avesse acquistato il diritto; poiché il fatto del possesso è cosa mera temporale6. La seconda regola è, se il ius non è ancora acquistato in re, ma solo ad rem, non si può redimer la vessazione con alcun prezzo, ancorché ingiustamente l'elettore negasse il suo voto, come dicono comunemente i dd., e si ha dal cap. Matthaeus, de simon. Se n'eccettua non però con Suar., Castrop., Anacl. ed Elbel, se tu dessi danaro ad alcuno, ce solamente potesse farti danno e non giovarti, acciocché si astenga di nuocerti; e ciò ancorché non usasse male arti, ma con preci, o doni, per odio verso di te volesse impedire gli elettori dal conferirti il beneficio, come rettamente dicono Suar., Laym., Sanch., Bonac., Valenz., Croix e i Salmatic., perch'essendo temporale tal iniqua vessazione, ben puoi redimerla con prezzo temporale. Ma altrimenti poi dee dirsi con Suar., Anacl., Salmat. ec., se colui fosse elettore, sicché non solo potesse nuocerti, ma anche giovarti (checché si dica Castrop., il quale tiene potersi dare il danaro solamente a rimuovere il pravo affetto di colui): perché praticamente quel danaro sempre verrebbe ad inclinare l'animo, ed a farti ottenere il favor di colui per lo conseguimento del beneficio. Ma in caso però che l'elettore cercasse con frodi e violenza di subornare gli altri elettori a negarti il loro voto, allora dicono comunemente Less., Soto, Suar., Filliuc., Sanch., Salmat., Croix, Bussem. ec., che puoi con danaro redimere tal ingiusta vessazione. E ciò parmi abbastanza probabile, quando (come dice il p. Mazzotta) gli dessi il danaro coll'espressa protesta di non voler altro, che lasci di vessarti ingiustamente7. È illecito poi il dar danaro al competitore, acciocché non concorra,


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se quegli giustamente può concorrere1. All'incontro è lecito il dar danari, acciocché non si elegga un indegno o meno degno2. E così parimente è lecito pagare chi ingiustamente nega d'amministrare i sacramenti, purché vi sia grave causa di riceverli, perché ciò anch'è un redimersi dalla vessazione3.

49. Le pene poi stabilite da' canoni contro de' simoniaci sono le seguenti: I. Per la simonia nell'ingresso alla religione, dalla comunità s'incorre la sospensione, e da' particolari (id praesumentibus), come si dice nel testo4, la scomunica papale. Ma questa probabilmente s'incorre solo nella professione; anzi molti dd. dicono, ch'ella sia andata in desuetudine5. E qui s'avverta, che tutte le elezioni simoniache di generalato, rettorato, e d'ogni altro officio spirituale nella religione, tutte son nulle, come si ha dal testo6.

50. II. Per la simonia nella collazione degli ordini (ma non della prima tonsura) il vescovo ordinante ed i mediatori incorrono la scomunica e la sospensione papale, e l'interdetto della chiesa. Gli ordinati poi oltre la scomunica, e sospensione degli ordini (ma probabilmente di quei soli che si sono ricevuti simoniacamente), son proibiti di ascendere agli ordini superiori. Ciò nonperò non corre quando la simonia fosse commessa da altri, senza esserne consapevole l'ordinato7.

51. III. Per la simonia reale ne' beneficii son nulle tutte le presentazioni, elezioni, ecc. Onde il simoniaco non può ritenere né il beneficio, né i frutti esatti dal medesimo8. E ciò ancorché il beneficiario invincibilmente ignori la suddetta pena, ed ancorché ignori la simonia commessa, se v. gr. ella è stata fatta da un terzo, come si ha nel testo cap. Nobis, de simon. Si eccettua per 1. Se 'l beneficiario abbia contraddetto, ed indi ignorando la simonia abbia accettato il beneficio. Per 2. Se quel terzo ha commessa la simonia con dolo, affin di renderlo inabile al beneficio. Per 3. Se avesse posseduto pacificamente il beneficio per tre anni in buona fede, come comunemente dicono i dd.: fuori nonperò di detti casi, chi riceve il beneficio con simonia, oltre la scomunica papale e la privazione ipso iure del beneficio simoniacamente acquistato, incorre l'inabilità a ricevere altri beneficii in futuro. Bench'è molto probabile, che per incorrere tal pena vi bisogna la sentenza condannatoria9.

52. IV. Per la simonia confidenziale, oltre le pene imposte per la reale, s'incorre la privazione degli altri beneficii anche prima ottenuti, ma probabilmente neppure prima della sentenza declaratoria del delitto. Si avverta nondimeno, che il Tridentino10 ordina, che gli esaminatori che ricevono qualche dono da' concorrenti alle parrocchie, non possano essere assoluti dal confessore, nisi dimissis beneficiis11.

53. Finalmente si noti qui per 1., che le suddette pene s'incorrono solamente per la simonia nelle materie di sopra descritte, cioè di religione, ordini, e beneficii; ma non già nella vendita delle cose sacre, o della giurisdizione ecclesiastica, o delle cappellanie non collative12. Si noti per 2., che giusta la sentenza più comune, e più probabile, per incorrersi le pene, bisogna che la simonia sia stata compiuta esternamente dall'una e dall'altra parte, eccettuatane la simonia confidenziale, in cui basta, che il solo temporale sia stato dato, secondo la bolla di s. Pio V.13. Si noti per 3., che il prezzo ricevuto per la collazione simoniaca del beneficio, o dell'ordine, o de' sacramenti, se eccede quel che poteva esigere il ministro (parlando de' sacramenti, come si è detto al num. 45.) per la sua sostentazione, si dee restituire a chi l'ha dato prima della tradizione della cosa spirituale; ma se l'avesse dato dopo la tradizione, allora, sebbene è probabile, che possa restituirsi


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al medesimo, nondimeno è più probabile con s. Tommaso, che debba darsi alla chiesa, o a' poveri. In quanto poi a' frutti del beneficio simoniacamente acquistato, questi debbon darsi alla chiesa; e probabilmente posson darsi anche a' poveri, o al successore nel beneficio; e può anche ottenersi la composizione col papa. Il prezzo poi ricevuto per l'ammissione alla religione, non v'è obbligo di restituirlo se non dopo la sentenza; e frattanto può ritenersi per gli alimenti della comunità1. Si noti per 4., che dalla scomunica e sospensione per la simonia commessa così nell'ammissione alla religione, come nell'ordine, o nel beneficio, se ella è stata pubblica, solo il papa può assolverla, ma se occulta, possono assolverla anche i vescovi; secondo la sentenza comune per lo cap. Liceat 6. sess. 24., ed ancora i mendicanti, come dicono i Salmaticesi con Lessio ed altri. Si avverta non però, che per la bolla 94. di Sisto V. (che non è stata rivocata intorno le pene contro i simoniaci da Clemente VIII. nella sua const. Romanum pontificem) l'ordinato simoniacamente incorre la sospensione di tutti gli ordini, e l'inabilità per gli altri da riceversi, e per gli officii e beneficii, se è secolare; e se è regolare, incorre la privazione di voce attiva e passiva, e l'inabilità per quella: riservate al papa tutte le suddette pene, anche se il delitto fosse occulto; e levatasi la facoltà a' vescovi, ed a qualunque persona privilegiata di assolverle; che che si dicano i Salmat. circa l'accettazione di questa bolla che malamente chiamano col nome di Pio V. Ma checché sia di ciò, è certo che da Clemente VIII. sta tolta la facoltà a' regolari, che stanno fuori di Roma, e dentro Italia, di assolvere i secolari dalla simonia reale e confidenziale, vedi al capo XX. de' privilegi al n. 101. In quanto poi all'inabilità ad altri beneficii, il vescovo può dispensare; purché la simonia non sia stata dedotta in giudizio, e purché non sia stata confidenziale2. Se poi possa il vescovo dispensare col simoniaco ad ottenere lo stesso beneficio simoniacamente acquistato; si risponde, che se il beneficio (o curato, o semplice) scientemente è stato ricevuto con simonia, il vescovo non può dispensare: ma se la simonia fosse stata commessa da un terzo, e 'l beneficiato abbia ricevuto il beneficio, ignorante della simonia, allora può dispensare il vescovo, ma non prima della rinunzia del beneficio. Nav., Sanch., Salm., ecc. Se poi il beneficio è curato, il vescovo non può dispensare in quella vacanza, ma può in un'altra. Panorm., Pal., Salm., ec.3.

54. Dello spergiuro poi, ch'è la quarta specie dell'irreligiosità, se ne parlerà al punto II. del capo seguente.




1 Lib. 3. n. 1. ad 4.



2 N. 10. v. Quaer.



3 N. 9.



4 N. 21.



5 N. 11.



6 Cont. Tour. t. 2. p. 268. cum Lebrun etc.



7 Lib. 3. ex n. 14.



8 2. 2. q. 66. a 4.



1 Lib. 3. n. 20. et 22.



2 Lib. 3. n. 30.



3 N. 36. et 458.



4 Ferrar. bibl. tom. 3. v. Eccl. n. 28. et 29.



5 N. 29.



6 Lib. 3. n. 458. et 461.



7 N. 39.



8 N. 460.



1 Lib. 3. n. 40.



2 N. 49.



3 N. 69. al 67.



4 Lib. 3. n. 90. alias 85.



5 N. 36. et 37.



6 N. 64. et 65.



7 N. 68. et 69.



8 Lib. 3. n. 91. et 92.



9 N. 54.



1 Lib. 3. n. 50. et 51.



2 N. 55.



3 N. 70.



4 Lib. 3. n. 72.



5 N. 98.



6 N. 9.



7 Lib. 5. n. 100. et 101.



1 N. 103. Quaest. 1.



2 N. 103.



3 L. 3. n. 103. Qu. 5.



4 C. 1. Extr. de sim.



5 L. 3. n. 108.



6 Extrav. 2. de sim.



7 L. 3. n. 109. et 110.



8 Extrav. 2. de sim.



9 Lib. 3. n. 111. et 112.



10 Sess. 24. cap. 18. de reform.



11 Cit. n. 112. Quaest. III.



12 Lib. 3. n. 107.



13 N. 116.



1 Lib. 3. n. 114. ad 116.



2 N. 117.



3 N. 118.






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