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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Punto IV. Degli obblighi de' pastori d'anime.

§. I. Degli obblighi de' parrochi.

14. I. Della residenza. Disposizione del concilio.

15. Se il parroco risiede inutilmente.

16. La buona fede non lo scusa dalla restituzione.

17. Della licenza del vescovo.

18. Dove han da risiedere il papa, i cardinali, i vescovi e i parrochi.

19. Scusano la carità, la necessità, l'ubbidienza e l'umiltà.

20. Se basti la licenza a voce, o tacita, o presunta.

21. Se v'è causa per l'assenza, ma non v'è licenza.

22. Se debbano restituirsi tutti i frutti.

23. E a chi debbano restituirsi.

24. a 27. II. Dell'amministrazione de' sagramenti.

28. Se in tempo di peste.

29. III. Della celebrazione della messa.

30. a 32. IV. Della correzione.

33. Deve impedire l'abito chiericale, e negar le fedi agl'indegni.

34. Deve inquirere ecc. specialmente le cartelle della comunione, e gl'impedimenti di matrimonio.

35. e 36. V. Della predica e dottrina.

37. a 44. Cose più importanti a predicarsi.

45. e 46. Altre obbligazioni del parroco, cioè 1. Esempio. 2. Assistenza a' moribondi. 3. Limosina. 4. Esaminar le levatrici ecc. circa il battesimo.

14. I parrochi son tenuti a molte obbligazioni; ma principalmente a cinque. I. Alla residenza. II. All'amministrazione de' sagramenti. III. Alla messa in beneficio del popolo. IV. Alla correzione


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V. Alla predica ed istruzione. Parliamo di ciascuna obbligo in particolare. E per I. in quanto alla residenza, deve in ciò prima di tutto avvertirsi quel che sta dichiarato e disposto dal tridentino1, su questo punto. Ivi I. bastantemente si dichiara (come i d. comunemente l'intendono), che così i vescovi, come tutti gli altri curati, son tenuti de iure divino a risedere nel luogo della loro cura, mentre ivi dicesi, che i pastori de iure divino sono obbligati a pascer le loro pecorelle, non solo co' sagramenti e colla parola divina, ma anche coll'esempio, il che non può da loro adempirsi senza la residenza personale. II. Si ordina a rispetto de' vescovi (lo stesso corre per li parrochi), ch'essi non si partano dalle diocesi, se non per le seguenti cause, cioè o di carità cristiana, o di necessità urgente, o di ubbidienza debita, o di utilità evidente della chiesa, o della repubblica; da approvarsi tali cause del papa, o dal metropolitano, ec. (ma da Bened. XIV. nella sua bolla, Grave, la suddetta approvazione si riserva solamente al papa): con provvedere nonperò, che la loro assenza, quanto è possibile, non sia di danno alle proprie pecorelle. Del resto, secondo dice Benedetto nella citata bolla Grave (che sta nel suo bullario tom. 1. dal n. 26.) per poter assentarsi il vescovo della sua diocesi, la causa dee esser assolutamente grave, anzi soggiunge, che di tale assenza vi sia summa necessitas. Si concedono per altro a' vescovi tre mesi, in cui possono essere assenti, ma per causa equa, e senza niun detrimento della gregge, il che si rimette alla loro coscienza. Il papa gli esorta poi a risedere nelle loro cattedrali nell'avvento, quaresima, natale, pasqua, e pentecoste. A rispetto poi de' parrochi si dice, ch'essi non posson lasciar le loro chiese per maggior tempo che di due mesi; purché non vi sia grave causa di seguire a star fuori; ma allora n'abbiano la licenza in scriptis dal vescovo. Ed anche per li due mesi non possono i parrochi lasciar le parrocchie, senza che 'l vescovo approvi così la causa, come il sostituito, che sempre dee lasciare il parroco quando parte. III. Si dichiara e stabilisce, che tutti i pastori mancando alla residenza, non solo peccano gravemente, ma secondo la rata dell'assenza non acquistano i frutti della loro cura, e son tenuti (alia etiam declaratione non secuta) a restituirli o alla fabbrica delle chiese, o a' poveri del luogo, vietandosi su ciò ogni composizione.

15. Posto ciò, diciamo per I. col p. Viva, che la stessa colpa, e restituzione che corre per li pastori assenti, corre anche per coloro che risiedono inutilmente nelle loro chiese, e ciò sì per la legge naturale, poiché i frutti si danno a' pastori per la residenza utile, non già per la sola personale; sì perché il concilio espressamente gli obbliga a tale utile residenza, dicendo, ubi iniuncto sibi officio defungi teneantur. E di più nella mentovata bolla Grave, di Benedetto XIV., dicesi, che la residenza non è vera, se non è formale, cioè quando si adempisce al proprio officio. E notano Barbosa ed i Salmaticesi con Vasquez e Garzia, con una dichiarazione della s. c., che non si reputa residente quel parroco, che per due mesi non esercita per sé gli offici più principali, come sono la predica, e l'amministrazione de' sagramenti2.

16. Diciamo per II. Che il parroco (o vescovo), mancando alla residenza, quantunque con buona fede credendo d'aver giusta causa, anch'è tenuto alla restituzione (checché si dicano Viva, e Garzia); e ciò per la stessa ragione di sopra, mentre il pastore è obbligato a risedere, non solo per la legge positiva, ma anche per la legge naturale, a cagion del contratto tra 'l pastore e la chiesa, per lo quale si danno ad esso i frutti; onde non può ritenerseli, quando non adempisce (benché senza mala fede) l'obbligo del contratto. Tanto più che Benedetto XIV. nella bolla, Ad universae, del 1746., ha dichiarato espressamente, che i vescovi, i quali sono assenti


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oltre i tre mesi dalle loro chiese senza legittima causa, ed espressa licenza del papa, incorrono tutte le pene de' trasgressori, tra le quali (come si è detto) vi è specialmente la pena, che non faciant fructus suos1.

17. Diciamo per III. Che sebbene il concilio richiede la licenza del vescovo solamente per l'assenza del parroco oltre i due mesi, nulladimeno il parroco non può lasciar la parrocchia anche per li due mesi, quantunque avesse giusta causa, senza che il vescovo approvi la causa, ed anche approvi (ciò che più importa) il sostituto che lascia2. Del resto se mai occorresse qualche necessità di partire, che non ammettesse dimora, allora ben si permette al parroco di andare, purché sia per breve tempo, e lasci un vicario idoneo; così comunemente i dd. con un decreto della s. c. Dee nonperò allora il parroco fare inteso almeno il vescovo di questa sua assenza, acciocché almeno ne ottenga la licenza per l'altro tempo che dovesse trattenersi fuori, sempreché non fosse già tra breve per ritornare. In oltre, una tale assenza bene ammette parvità di materia, come comunemente dicono Castrop., Anacl., Roncaglia, Barbosa, Holzmann, ec. Alcuni poi dicono, esser parva materia lo spazio d'una sola settimana; molti altri anche di due, come Tournely, Cabassuzio, Sanch., Regin. ec. (sempre s'intende con lasciare il sostituto). Ma nel sinodo romano sotto Benedetto XIII.3. fu proibito a' parrochi star lontani dalla loro cura oltre a due giorni senza licenza del vescovo, o del suo vicario; si avverta però, che tal sinodo obbliga solo nella provincia romana, ma non negli altri regni. La-Croix scusa dalla colpa grave il parroco che sta assente per soli due mesi senza licenza, ma con causa, e senza grave danno delle pecorelle: dicendo, che tale spazio già dal concilio non si considera per grave, e cita Navarr., Bonac., Barbosa, ed altri. Ma a quest'opinione io non so accordarmi, mentre il concilio (come si è detto) vuole, che in tale assenza il vescovo approvi non solo la causa, ma anche il sostituto, per lo pericolo che può esservi, che un mal sostituto possa fare un gran danno restando per lo spazio di due mesi4.

18. Si dimanda per 1. In qual luogo debbano risedere i pastori. Il papa, e i cardinali, in Roma. Il vescovo, come dicono Fagnano, i Salmatic., ec., dee risedere nella sua cattedrale; ma noi diciamo con Cabassuz., Bonac., ed Holzmann, che può risedere in qualunque luogo della sua diocesi; e ciò oggi non dee porsi più in dubbio, mentre Benedetto XIV. nella bolla, Ubi primum, dell'anno 1740., l'ha dichiarato così: Personalem in ecclesia vestra, vel dioecesi, servetis residentiam, confermando per altro il tridentino, dove si disse: Obligari ad personalem in sua ecclesia, vel dioecesi residentiam. Il parroco poi deve abitare nella casa della sua chiesa, se vi è: e se no, in altra casa che stia dentro i limiti della parrocchia, almeno moralmente, donde comodamente esso possa andare a servir la sua chiesa, e dove i suoi sudditi all'incontro possano facilmente a lui ricorrere per li sagramenti. Pertanto dicono Bonac. ed i Salmatic., che non si giudica risedere quel parroco, che abitasse lungi dalla parrocchia per tre miglia, ed anche per due, come ragionevolmente dice La-Croix; anzi non senza ragione aggiunge il medesimo con quattro altri autori, che non abbastanza risiede il parroco, sebbene stesse dentro i limiti della parrocchia, che abita in luogo, al quale non facilmente possono accorrere le sue pecorelle5.

19. Si dimanda per 2. Come s'intendano le quattro cause descritte di sopra dal tridentino. E I. Per carità cristiana s'intende quando bisogna al pastore andare altrove per comporre gravi inimicizie, specialmente tra potenti, o per liberare un'altra chiesa dall'eresia, o da altre enormi scelleraggini. II. Per necessità urgente s'intende, se al pastore


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sovrasta in quel luogo un particolar pericolo di morte; e specialmente a rispetto de' parrochi decretò la s. c., che per tal causa può il parroco star assente dalla sua chiesa per sei mesi, lasciandovi il vicario, e colla licenza del vescovo, la quale può prorogarsi per altro tempo; ma finito l'anno deve il medesimo indursi a rinunziar la parrocchia. Parlando poi del suddetto pericolo, non s'intende pericolo comune, come sarebbe di peste (secondo i dd. dicono comunemente, e la s. c. ancora l'ha dichiarato), d'incursione di nemici, o simili: ma s'intende pericolo particolare a riguardo d'esso parroco (o vescovo), per causa v. gr. de' suoi nemici, o dell'aria nociva alla sua infermità: purché non sia infermità perpetua, e purché non sia infermità perpetua, e l'assenza non sia per nuocere gravemente al gregge; altrimenti il pastore o dee risedere, o rinunziar la cura. Si osservi su di ciò quel che specialmente a rispetto de' vescovi sta determinato da Benedetto XIV. nella bolla, Ad universae, data nel 1746.1. III. Per ubbidienza debita s'intende quando il parroco, o vescovo, sta assente per ubbidire al papa, o al suo ordinario, per bene della chiesa, o della repubblica, o per qualunque altra causa grave, come dice Tournely, purché l'assenza sia breve, perché s'è lunga, si richiede la necessità del bene comune. E qui si avverta, che il vescovo non può tenere appresso di sé un parroco per vicario, o visitatore, ec., come la s. c. ha dichiarato, eccetto che (limitano Castrop., Barbosa, Azor., e Vasq.) se non vi fosse altri che potesse supplire: il che è caso molto raro. IV. Per utilità evidente della chiesa, o della repubblica, s'intende quando occorre star assente il pastore o per assistere a' sinodi, o per difendere sé, o i suoi, o la chiesa, appresso la corte regia in negozio grave, come dicono Soto, Bonac., Vasq., Roncaglia, e Salmat., con una decisione della rota rom. E ciò sempre s'intende con licenza, e purché non vi sia altri che possa assistervi. E Benedetto XIV. dice nella citata bolla, che trattandosi di lite della propria famiglia, non si concederà a' vescovi altra licenza che li soli mesi conciliari2.

20. Si domanda per 3. Se la licenza che deve ottenere il parroco, vaglia s'è data solamente a voce. L'affermano Lessio ed altri, mentre dicono, che la scrittura solamente si richiede in quanto al foro, ma non in quanto al valore. All'incontro lo negano Sanchez e Castrop., dicendo, che dal concilio si ricerca la licenza in scriptis pro forma, come parlano, altrimenti non ha valore. Ma perché ciò non costa, stimano Viva e La-Croix, ben esser probabile l'opinione di Lessio. Anzi Coninchio e Reginaldo ammettono anche la licenza tacita del vescovo col consenso de praesenti. Aggiunge il p. Mazzotta, che basta ancora la licenza presunta de futuro, o sia interpretativa; ma La-Croix dice, che questa da niuno si ammette, e la s. c. ha dichiarato, che la detta licenza dev'essere propriamente espressa3.

21. Si domanda per 4. Se 'l parroco (o vescovo) sia obbligato alla restituzione de' frutti stando fuori senza licenza, ma con causa certamente giusta. Dice il p. Viva4, che 'l parroco allora peccherebbe contro il ius positivo, ma non contro il naturale: dal che n'inferisce, che non sarebbe obbligato a restituire i frutti se non dopo la sentenza. Ma a quest'opinione non so accordarmi, mentre vuole il concilio a rispetto de' parrochi, che per lo tempo dell'assenza (come si è detto di sopra) non solo sia approvata la causa, ma anche il sostituto che si lascia. E già a rispetto de' vescovi ha dichiarato Benedetto XIV. (come si è detto al n. 16.), che son compresi sotto il nome di trasgressori quei che lasciano le loro diocesi praeter tres menses absque legitima causa, et expressa pontificis licentia. E si avverta, che i trasgressori, secondo il concilio, e la bolla di Benedetto, in pena, non solo son condannati alla restituzione


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de' frutti, ma anche a non acquistarli (non facere fructus suos), come ivi si dice. Onde anche per la legge positiva par che sian tenuti alla restituzione de' frutti, poiché delinquendo nel lasciar la chiesa senza licenza non acquistano i frutti1. Almeno, dico, è dubbio, se in tal caso possa il pastore far suoi detti frutti; ed in dubbio del giusto titolo, niuno può acquistare legittimamente il dominio delle cose; come si dirà al cap. X. n. 32. parlando de' contratti2. Del resto non saprei poi condannare alla restituzione quel parroco, che partisse con causa evidentemente giusta, e lasciasse il suo economo che fosse stato già approvato dal vescovo, e che stesse attualmente servendo la parrocchia.

22. Si domanda per 5. Se 'l pastore, mancando alla residenza, sia tenuto a restituire tutti i frutti corrispondenti al tempo dell'assenza. L'afferma Navarro, poiché il concilio obbliga indefinitamente alla restituzione. Nulladimeno probabilmente dicono Barbosa, Bonac. e Viva con Vasq. e colla comune, come asserisce, esser obbligato a quella sola parte che corrisponde ai pesi della residenza; mentre i frutti, non solo si danno per questi pesi, ma anche per gli altri delle ore canoniche, della messa ec. Onde non avendo il concilio espresso il contrario, si presume essersi in ciò rimesso alla ragion naturale, che detta, non doversi privare di tutta la mercede chi adempie già parte de' pesi assunti3.

23. Si domanda per 6. A chi debbano restituirsi i frutti da' pastori non residenti. Gli altri beneficiati, se omettono di recitare l'officio, possono far la restituzione de' frutti ai poveri di qualunque luogo (o pure alla fabbrica della chiesa, o della casa del beneficio); ma i pastori mancando alla residenza come ha ordinato il Tridentino4, debbono applicarli senza meno fabricae ecclesiarum, vel pauperibus loci. basta applicarli all'anime del purgatorio del paese con messe o altri suffragi, perché in verità l'anime de' defunti non posson dirsi più essere di quel paese. Dice non però il p. Viva con Lessio, che ben potrebbe il curato applicare a se stesso i suddetti frutti, se fosse veramente povero; purché non lo facesse in frode, ciò se mancasse alla residenza con quest'animo di applicare poi a sé la restituzione; fraus enim nulli patrocinari debet. In oltre, potrebbe il curato ritenere i frutti, se i poveri stessi glie li donassero; ma dopo che quelli gli avessero già ricevuti, poiché prima i poveri non posson donarli, mentr'essi non acquistano assoluto dominio di tali frutti se non dopo la tradizione loro fatta5.

24. Per II. sono obbligati i parrochi, o altri curati ad amministrare i sacramenti per se stessi. In quanto al sacramento della penitenza, è tenuto il parroco ad amministrarlo non solo in tempo del precetto, e ne' casi di grave necessità, ma quante volte (come dicono comunemente Lugo, Suar., Azor., Busemb. Salmat., Holzmann, ec., contro Silvestro ed altri pochi) i penitenti vogliono confessarsi anche per mera divozione; se non fosse (come giustamente limita Aversa) che quelli intempestivamente, o troppo frequentemente volessero essere intesi, o pure se vi fossero già altri confessori, ed esso parroco stesse legittimamente impedito6. Onde dicono La-Croix, Gobato, Concina, e i Salmat., che pecca quel parroco, che si rende tardo e difficile a sentir le confessioni, specialmente s'è chiamato dagl'infermi, ai quali ordinò s. Carlo Borromeo che i parrochi accorressero subito, ed in qualsivoglia ora. Se non però negasse il curato per una o due volte di sentire alcuno, fuori di necessità, dicono probabilmente Suar. e La-Croix con Arriaga (contro Bonac.), che non peccherebbe gravemente, purché non vi fosse qualche occasione urgente, per esempio di giubileo, o d'una festa solenne, come limita Aversa7. Se


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poi il parroco tenesse già l'economo approvato dal vescovo, non è obbligato a sentir le confessioni con tanto rigore; ma avverta, ch'egli è tenuto ad accertarsi, che l'economo sia idoneo così in quanto alla scienza, come in quanto a' costumi, altrimenti egli dovrà dar conto a Dio di tutti gli sconcerti che avverranno o per l'ignoranza o per li mali portamenti di colui. Sarà sempre espediente poi (notiamo qui di passaggio), che di quando in quando il parroco faccia venire nel paese confessori forestieri per l'anime vereconde, specialmente se ivi non suol venire il predicatore quaresimale a confessarvi.

25. In quanto alla comunione, parimente dicono comunemente i dottori, essere il parroco obbligato a somministrarla, sempre che ragionevolmente ed opportunamente n'è richiesto; mentre il pastore non solo dee provvedere, che le pecorelle adempiano i precetti, ma ancora abbiano quegli aiuti che giovano al loro profitto. Quindi si ordinò con decreto della s. c. nel 1679. approvato da Innoc. XI., che i pastori (vescovi, o parrochi) benché possano per giuste cause tassar le comunione ad alcun suddito in particolare, non possono però prescrivere i giorni della comunione per tutti in generale, ma debbono in ciò rimettersi all'arbitrio de' confessori1.

26. È obbligato ancora il parroco a far prendere la comunione di precetto a' fanciulli quando ne son capaci, cioè (ordinariamente parlando) nell'età degli anni dieci, sino alli dodici, come dicono Lugo, Castrop., Salmat., Dicastil. ec., o almeno sino alli quattordici, come dicono Suar., Laym., Wigandt, Antoine e La-Croix. Ma s. Carlo Borromeo nel nono sinodo dioces. ordinò a' suoi parrochi, che abilitassero alla comunione tutti i fanciulli giunti già al 10. anno; e certi parrochi poi fan difficoltà di dare ad essi la comunione anche nel duodecimo anno; ma perché ? per non prendersi l'incomodo d'istruirli. O quanti parrochi trascurano quest'obbligazione, la quale certamente non può dirsi leggiera!

27. Per 3. In quanto all'estrema unzione, sono i parrochi tenuti sotto colpa grave a darla a chi la domanda. Ed avvertano quel che dice il catechismo romano2: Gravissime peccant qui illud tempus aegrotos ungendi observare solent, cum iam omni salutis spe amissa, vita et sensibus carere incipiant.

28. Se poi in tempo di peste sian tenuti i parrochi a risedere, e ad amministrare i sacramenti con pericolo della vita; in quanto alla residenza, comunemente insegnano i dd. essere a quella obbligati, con s. Tommaso, il quale dice3: Ubi salus subditorum exigit pastoris praesentiam non debet pastor gregem deserere propter aliquod periculum imminens. Il s. dottore nonperò n'eccettua il caso, quando il pastore possa bastantemente provvedere per altri, ma non parla in tempo di peste. Del resto abbiamo presso Fagnano4, che Gregorio XIII., dichiarò che in tempo di peste senza meno son tenuti i parrochi alla residenza; e con altro decreto (come porta lo stesso Fagnano nel luogo citato) dichiarò, essere obbligati a risedere anche i vescovi, potendo per altro (come disse) star essi ne' luoghi più sicuri della diocesi, e di provvedere a' bisogni. In quanto poi a' sacramenti, approvando il decreto della s. c. del concilio nel 1576. dichiarò: Parochus suis parochianis peste laborantibus teneri ministrare dumtaxat sacramenta ad salutem necessaria, nempe baptismum et poenitentiam. Avendo dunque detto dumtaxat, dichiarò, essere esenti i parrochi dall'obbligo di dar la comunione e l'estrema unzione agli appestati. Anzi soggiunse, che gli stessi sacramenti del battesimo e penitenza possano i parrochi amministrarli per altri idonei, riserbandosi essi le confessioni de' sani, i quali altrimenti fuggirebbero, se li vedessero accostare agli ammorbati5. Avvertono nonperò Suarez, Holzm., Concina, Castrop., Sporer ed


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altri comunemente, che se l'appestato (s'intende stando fuori dei sensi) da lungo tempo non si fosse confessato, e probabilmente il parroco stimasse star quegli in peccato mortale, allora è obbligato anche con pericolo della vita a dargli l'estrema unzione1.

29. Per III. I parrochi o altri curati, secolari o regolari (e tanto più i vescovi), son tenuti ad orare, ed a celebrar la messa, non solo, acciocché il popolo l'ascolti, ma per applicarla a di lui beneficio in tutte le domestiche e feste, come ultimamente ha determinato Benedetto XIV. nella sua bolla, Cum semper, nel 1744., dichiarando, che ciò corre, quantunque alcun curato non avesse la congrua (licet, dice la bolla, congruis redditibus destituatur), e quantunque vi fosse in alcun luogo consuetudine immemorabile in contrario. E se la parrocchia fosse vacante, ha data la facoltà al vescovo di assegnare all'economo una congrua porzione de' frutti, affinché parimente egli possa nelle feste celebrare pel popolo. Ha concesso poi a' vescovi il poter dispensare con alcun parroco, il quale altrimenti non potesse vivere, che possa applicare le messe per coloro che dan la limosina, e le vogliono nelle feste, ma col peso di supplirle appresso ne' giorni feriali. All'incontro ha dichiarato, che sebbene alcun parroco avesse rendite pingui, non è tenuto poi a celebrare pel popolo nelle ferie. Di più nella bolla ha dichiarato, che la messa conventuale, che si canta ogni giorno dal clero nelle chiese, debbasi applicare per li benefattori in genere di ciascuna chiesa2.

30. Per IV. I parrochi (e tanto più i vescovi) sono obbligati, anche con pericolo della vita, a correggere i sudditi che stanno in peccato mortale, o in prossimo pericolo di cadervi: e non solo nella loro estrema necessità, ma anche nella grave, sempre che vi è speranza di emenda: così comunemente insegnano Suar., Bonac., Val., Coninch., Viva, i Salmaticesi, ec. con s. Tommaso3. Ed aggiungono con Gaetano, Sanch., Castrop., Diana, Roncaglia, Holzmann ed altri comunissimamente (contro alcuni pochi), essere a ciò tenuti i pastori, non solo per carità, ma anche per giustizia; poiché a tal fine ricevono dalla comunità lo stipendio, acciocch'essi procurino per quanto possono d'impedire i vizi di ciascheduna lor pecorella, e perciò mancando eglino gravemente a tal obbligo di giustizia, restano obbligati anche alla restituzione de' frutti4.

31. E quando vi è qualche scandalo di persona potente, al quale il parroco non potesse rimediare, dev'egli darne parte al vescovo, acciocché vi provveda. E se mai il vescovo fosse in ciò notabilmente trascurato, deve il parroco ricorrere alla podestà secolare, se il suddito è laico, o prendere altri mezzi che possano giovare, e non dee tralasciarli per qualunque rispetto o timore. In somma dice il vangelo, che il pastore è tenuto a dar la vita per la salute delle sue pecorelle. Quando nel paese vi fossero sconcerti notabili, a cui non si trovi rimedio, il parroco è obbligato adoperarsi, per farvi venire la missione. Quel parroco che non ama la missione, gran sospetto de' suoi portamenti; i buoni parrochi non lasciano di procurarla almeno ogni quattro o cinque anni. Quando finalmente egli non avesse più che fare per dar riparo al male, sebbene generalmente parlando non v'è obbligo preciso di far la correzione, quando non v'è speranza di profitto, nulladimeno il parroco non dee lasciare di farla, ed anche ripeterla di tempo in tempo a' peccatori ostinati: almeno in caso, che non vi sia pericolo di riceverne grave danno: servirà almeno quella correzione, affinché esso parroco non perda il concetto appresso gli altri sudditi, in vedere coloro che lo scandalo persevera, e 'l pastore dorme; in oltre servirà la correzione, acciocché gli altri non ne prendano esempio a marcire ne' peccati, senza avere chi li riprenda e rimproveri.


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32. E non solo il pastore è obbligato ad impedire i peccati e gli scandali già principiati, ma ancora quelli che possono facilmente avvenire in appresso. Tra l'altre cose specialmente deve impedire, che gli sposi entrino in casa delle spose, poiché quantunque a principio non v'entrassero con mal fine, nondimeno la sperienza fa vedere, che in tal occasione quasi tutti questi sposi poi cadono in peccato, e traggono seco ancora i padri e le madri, che loro permettono di conversar colle spose. Onde deve il parroco cercare in tutt'i modi d'impedire la ruina spirituale per ciò di due famiglie; la quale ruina durerà, finché non si faccia il matrimonio, specialmente se si son fatti già gli sponsali. E perciò dovrebbe attendere ogni parroco a non prender le parole degli sposi, se non poco tempo prima di farsi le nozze, sperimentandosi, che fatti gli sponsali, tutto quel tempo prima delle nozze è tempo di peccati.

33. In oltre deve impedire il parroco appresso il vescovo, che si dia l'abito chiericale a quei giovani o figliuoli, che ne' costumi non dan buon esempio, o almeno non dan segno d'indole ecclesiastica; poiché se egli tace, e lascia a costoro porsi la sottana, quelli poi avvezzati alla vita oziosa, e vergognandosi di spogliarsi, con tutta la mala vita, o per fas o per nefas, procureranno di ordinarsi, e riusciranno di ruina al paese: alla quale in principio avrebbe potuto il parroco rimediare, ma appresso non potrà più ripararsi. E quei chierici, che già si trovan preso l'abito, procuri almeno d'istruirli e indirizzarli per la vita divota, acciocché riescano buoni ecclesiastici. Or quale conto poi avran da rendere a Dio quei parrochi, che fan le fedi agli ordinando della frequenza de' sacramenti e de' buoni costumi, sapendo, ch'eglino né han frequentati i sacramenti, né han dato buono esempio, ma più presto scandalo? Qual miseria è il vedere chierici, che appena si saran confessati e scomunicati due o tre volte l'anno, e poi portano la fede del parroco d'aver fatta la comunione in ogni settimana, o due volte al mese? Tali parrochi che fanno queste fedi, bisogna dire che abbiano perduta la fede; poiché certamente di tutti i peccati che commetteranno codesti talmente ordinati senza vocazione, e di tutti gli altri de' quali saran causa, il parroco ne avrà da render conto a Dio: giacché i vescovi in ciò de' parrochi si fidano. Ma i vescovi più accorti non si fidano delle fedi dei parrochi in questa materia così importante, da cui dipende la salute de' popoli. Né sarà scusato il parroco avanti Dio, se fa la fede per attestazione d'altri, se non istà più che certo di ciò che attesta nella fede circa i sacramenti ed i costumi.

34. Non solamente poi son tenuti i parrochi a correggere ed impedire i peccati e gli scandali che vedono, ma ancora ad informarsi diligentemente per lo paese, se v'è alcun suddito che sta in peccato, e non adempie la sua obbligazione: poiché al parroco sta commessa la salute di ciascuna sua pecorella: così insegnano comunemente i dd., Gaetano, Laym., Soto, Salmat., ed altri con s. Tommaso1, il quale dice: Qui habet specialem curam alterius, debet eum quaerere ad hoc ut corrigat de peccato2. Specialmente deve il parroco invigilare, che i sudditi adempiscano tutti il precetto pasquale senza eccezione di persone; e perciò stia avvertito a non fidare le cartelle della comunione a qualunque chierico. Terminato poi il tempo del precetto, dev'informarsi diligentemente, se alcuno non l'ha adempito3; e dee correggerlo, e se non giova la correzione, darne subito parte al vescovo, affinché proceda alla scomunica. Ciò ben lo fanno alcuni parrochi colle persone di bassa condizione, ma con altri di riguardo ne fan di meno, e dormono. Quanti di costoro se ne trovano nelle missioni, che per molti anni avran lasciato di fare il precetto, e 'l parroco non avrà lor detta


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pure una parola d'ammonizione! Poveri parrochi! e povere pecorelle che hanno tali pastori! Di più quando si fa alcun matrimonio, è obbligato il parroco a far diligenza, per vedere se vi è qualche impedimento; e se giudicano probabilmente esservi, son tenuti a negar la loro assistenza, e vietare le nozze, finché almeno dall'ordinario non si decida ciò che si ha da fare, come dicono comunemente Sanchez, La-Croix, Ledesma, Vega ed altri con Lugo, il quale aggiugne con Coninch., che se l'ordinario sa con certezza qualche impedimento occulto, dee proibire il matrimonio, ancorché lo sappia per privata scienza, e non possa provarlo1.

35. Per V. I parrochi sono obbligati all'istruzione ed alla predica. In quanto all'istruzione debbon essi istruire le loro pecorelle a sapere e credere i misteri della fede, e le cose necessarie alla salute, come sono per 1. i quattro misteri principali, cioè che vi è un solo Dio, e che questo Dio è onnipotente, sapientissimo, creatore e signore del tutto, misericordioso, ed amabile più d'ogni bene; specialmente che sia giusto rimuneratore de' buoni e de' cattivi: di più il mistero della Ss. Trinità, e dell'incarnazione e morte di Gesù Cristo. Per 2. i sacramenti necessari, come il battesimo, eucaristia e penitenza; e gli altri almeno quando si han da prendere: e le disposizioni necessarie per ricevere questi sacramenti. Per 3. gli articoli del credo, e fra questi specialmente la verginità di Maria santissima; la sessione di Gesù alla destra del Padre, cioè ch'egli in cielo sta in gloria eguale al Padre; la risurrezione de' corpi nel giudizio finale che si farà da Gesù Cristo; l'unità della chiesa romana, in cui solamente si trova la salute; e finalmente l'eternità del paradiso e dell'inferno: le quali cose ciascun fedele per precetto grave è obbligato a sapere. Per 4. i comandamenti del decalogo e della chiesa. Per 5. il Pater noster e l'Ave Maria, e gli atti di fede, speranza, amore e contrizione! Ora conforme pecca gravemente chi trascura di saper queste cose, e di saperle non solo in quanto ai nomi, ma ancora in quanto al senso; così anche gravemente pecca il parroco, come dicono comunemente i dottori, se per sé, o per altri idonei (stando egli legittimamente impedito, come dice il concilio di Trento2), tralascia d'insegnare almeno in sostanza a' suoi sudditi, fanciulli o adulti, le cose che non sanno. Ond'è, che quando egli vede, che i padri o padroni non mandano i loro figli o garzoni alla dottrina, è obbligato a prendervi i dovuti espedienti col vescovo, il quale, come dicesi nel tridentino3, può costringere i padri anche con censure ecclesiastiche. I buoni parrochi tengono la nota dei figliuoli per sapere chi manca. Anzi dice La-Croix4, che se vi sono persone ignoranti, che non possono venire alla chiesa, per dover custodire le case o le greggie, stando questi in grave necessità spirituale, deve il parroco andar privatamente ad istruirli cum quantocumque suo incommodo, come parla il detto autore. Almeno diciamo, quando ciò dovesse riuscirgli troppo difficile per la numerosità di questi ignoranti, procuri almeno d'esaminarli ed istruirli nel tempo del precetto pasquale, o pure quando vengono a domandar le fedi per cresimarsi o accasarsi. È di bene ancora, che 'l parroco esplori i maestri e le maestre, acciocché possano ben insegnare a' figliuoli e alle figliuole la dottrina ed i mezzi per vivere nel timore di Dio.

36. In quanto poi alla predica il parroco è obbligato a predicare in tutte le domeniche, come ha ordinato il tridentino5 (del che vedasi ciò che si disse al cap. VI. n; 5. parlando del terzo precetto). Ma qui avvertasi che 'l concilio non solo ha imposto a' parrochi il pascere le loro greggie colla divina parola, ma anche il pascerle secondo la loro capacità, facendo sermoni facili, affinché intendano quel che si predica;


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poiché essendo vero che la fede, come si sparge, così si conserva per mezzo della predicazione (fides ex auditu), poco gioveranno a' popoli quelle prediche che non saranno conformi al modo con cui predicò Gesù Cristo, ed i santi apostoli i quali predicarono non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et veritatis, come dice s. Paolo. E perciò con ragione il v. p. m. Avila chiamava non ministri ma traditori di Gesù Cristo quei che predicano con vanità, per esser lodati; e 'l p. Gaspare Sanzio dice che costoro sono i maggiori persecutori della chiesa: mentre col predicare così, son cagione che si perdano molte anime, le quali colle prediche all'apostolica si salverebbero. Le parole vane, i periodi sonanti, le descrizioni inutili, dicea s. Francesco di Sales, sono la peste della predica; il cui unico intento dev'essere il muovere al bene la volontà degl'uditori, e non già il pascere inutilmente l'intelletto; come già coll'esperienza si vede, che con tal sorta di predicar fiorito l'anime non mutano vita, perché Iddio colla vanità non vi concorre. E ciò vaglia detto per tutti i predicatori che predicano con vanità, ma specialmente per li parroci, a cui il tridentino1 prescrive: Archipresbyteri quoque, plebani, et quicumque curam animarum obtinent, per se, vel alios idoneos si legitime impediti fuerint, diebus saltem dominicis et festis solemnibus plebes sibi commissas pro sua et earum capacitate pascant salutaribus verbis. Notisi quel pro earum capacitate; onde certamente contravvengono al concilio quei pastori che predicano alto, oltre la capacità del popolo che sente.

37. Qui giova ancora avvertire alcune cose più importanti, che 'l parroco predicando dee più spesso inculcare al suo popolo. E per 1. che per l'emenda non basta proporre di fuggire il peccato, ma bisogna anche fuggire l'occasione del peccato. E parlando de' sposi che praticano nelle case delle spose, dica che così eglino, come i loro genitori che ciò permettono, non potranno essere assoluti se non tolgono la suddetta occasione. Per 2. Insista cogli uomini che non vadano alle taverne, dimostrando loro i molti peccati che ivi oltre le ubbriachezze soglion commettersi di bestemmie, di risse, di scandali, oscenità, discordie colla casa, defraudamenti del vitto alla famiglia ecc. Per 3. predichi spesso e gridi contro il vizio ch'è generale (specialmente ne' villaggi) di parlar disonesto nelle campagne e nelle botteghe: tanto più se si parla innanzi a figliuoli, a zitelle e persone di diverso sesso. Per tali discorsi quanti giovani si perdono! Ed avverta in ciò i padri, i padroni ed i maestri di bottega, che stiano attenti a correggere e castigare i loro figli, o garzoni che parlano così specialmente in tempo di vendemmia. Per 4. insista a dimostrare l'enormità del sacrilegio che commettono quei che si confessano e comunicano, lasciando qualche peccato grave per vergogna. Ed affine di mettere orrore a questo gran male, procuri spesso di narrare qualche esempio terribile di coloro che han fatte confessioni sacrileghe per rossore, e poi han, fatta mala fine; e può servirsi in ciò specialmente del librettino del p. Vega, intitolato casi della confessione, ecc.

38. Per 5. insinui spesso la necessità del dolore e proposito nelle confessioni anche dei peccati veniali, esortando che niuno vada a prendersi l'assoluzione, se non ha vero pentimento almeno d'alcun peccato veniale di quelli che si confessa, o pure se non ammette la materia certa, cioè qualche peccato della vita passata, di cui n'abbia veramente il dolore necessario per la validità della confessione. E perché i rozzi poco intendono come dev'essere questo dolore, dichiari spesso che ogni penitente per confessarsi validamente, o il dolore sia di contrizione o d'attrizione, deve avere un tal dispiacere del suo peccato, che l'odii ed abborrisca sopra ogni male.

39. Per 6. esorti che negli adiramenti, in vece di bestemmiare o mandare


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imprecazioni, si avvezzino a dire: Mannaggia il peccato mio; mannaggia il demonio, o pure, Madonna aiutami, Signore dammi pazienza. Per 7. ponga orrore alle superstizioni, o sieno vane osservanze che s'adoprano dalla gente per guarire i morbi, o per conoscere i ladri ecc. Per 8. inculchi a' padri e madri che castighino i loro figli, specialmente quando son piccoli, allorché bestemmiano, o rubano, ecc. Di più che attendano a vedere ed informarsi con chi conversano, e loro proibiscano di praticare con mali compagni e con persone di diverso sesso. DI più che non tengano i figli nel loro letto, o troppo piccoli per lo timore di soffocarli, o troppo grandi (come se han già passati i sei anni) per non dar loro qualche scandalo; e tanto meno facciano dormire insieme figliuoli maschi e femmine.

40. Per 9. esorti continuamente i suoi uditori nelle tentazioni interne (specialmente d'impurità) a scacciarle con invocare i ss. nomi di Gesù e di Maria: questo è un gran rimedio contro le tentazioni. Per 10. insista continuamente ad esortare, che se alcuno cade in peccato mortale, subito faccia un atto di contrizione per ricuperare la grazia perduta, col proposito di confessarsi quanto più presto può; e tolga loro l'inganno del demonio, cioè che tanto Dio perdona un peccato, quanto due; potendo essere che 'l Signore al primo peccato gli aspetti ed al secondo gli abbandoni.

41. Per 11. insegni gli atti che ciascuno dee far la mattina in alzarsi di ringraziamento, di offerta e preghiera, con dire tre Ave a Maria ss., e con proporre d'evitare ogni peccato, e specialmente quello in cui più spesso è solito cadere, pregando la divina Madre che ne lo liberi; ed esorti tutte le madri, che ciò facciano praticare ogni mattina da' loro figli. Predichi di più, che i genitori sono obbligati a far frequentare i sacramenti da' figli, poiché non frequentandoli, facilmente cadranno in disgrazia di Dio, ed a questo danno debbono i padri provvedere. Dica ancora ch'essi peccano se senza giusta causa impediscono i matrimoni a' figli, o di farsi religiosi, o li costringono ad accasarsi contro la loro volontà; come all'incontro peccano i figli che fan matrimoni contro il giusto volere dei loro genitori. Vedi quel che si dice parlando degli sponsali.

42. Per 12. essendo vero, come di sopra s'è detto, che 'l parroco è tenuto non solo ad impedire il male, ma anche a promuovere il bene, esorti il popolo alla visita quotidiana del ss. Sacramento ed a qualche immagine di Maria santissima. Questa visita potrà farla egli in comune col suo popolo nella sera, destinando l'ora al popolo più comoda, come già si pratica in molti paesi. E dica, che quelli che non possono venire alla chiesa, se la facciano almeno dalla casa. Sopra tutto insinui la frequenza della congregazione agli uomini, e della comunione a tutti col dovuto apparecchio e ringraziamento, per mezzo degli atti di fede, e di amore, di offerta, e petizione, insegnando il modo pratico di fare questi atti.

43. Per 13. procuri spesso di affezionare la gente alla divozione di Maria ss., insinuando quanto sia grande la potenza e la misericordia di questa divina Madre in aiutare i suoi divoti. Perciò insinui a dire il rosario in comune ogni giorno colla famiglia, a fare il digiuno nel sabbato, e le novene nelle festività della Madonna, ch'egli avviserà al popolo dall'altare ogni volta che viene qualche novena. Ben sarebbe poi che nel sabbato egli facesse un sermoncino, con raccontare qualche esempio della beata Vergine, ed una volta l'anno facesse una novena solenne della Madonna col sermone, ed esposizione del Venerabile; e per ciò potrebbe avvalersi tra gli altri del libro che ho stampato col titolo, Gloria di Maria, dove troverà raccolta la materia e gli esempi. Beato quel parroco che tiene infervorate le sue pecorelle nella divozione di Maria, poiché quelle coll'aiuto di Maria viveranno bene; ed egli avrà una


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grande avvocata in punto di morte.

44. Per ultimo insinui sopra tutto l'uso della preghiera, cioè di raccomandarsi spesso a Dio con domandargli specialmente la santa perseveranza per amore di Gesù e di Maria dichiarando spesso che le divine grazie, e specialmente il dono della perseveranza, non si ottengono se non si cercano. Petite et accipietis. E pubblichi spesso quella gran promessa di Gesù Cristo, che quanto domanderemo al Padre in nome di lui tutto il Padre ci donerà: Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis1. Insinui anche molto l'uso dell'orazione mentale, e procuri di farla in chiesa col popolo ogni giorno, o almeno in tutte le feste, insegnando anche il modo di farla in casa. Ma qui mi si permetta un giusto sfogo. Gran miseria! Quanto son pochi quei parrochi e quei confessori che si prendon la cura d'insinuare a' loro penitenti quest'esercizioimportante dell'orazione mentale o sia della meditazione, senza cui è molto difficile che l'anima perseveri in grazia di Dio, ed è quasi impossibile che si ponga nella via della perfezione. Con un poco d'attenzione in ciò quante anime si vedrebbero infervorate nel divino amore! Ma chi non lo fa per non prendersi quel poco di fastidio: chi per non sentire il rimorso di consigliare agli altri quel ch'esso non pratica, insomma non si fa perché poco si ama Gesù Cristo. O se i parrochi e i confessori amassero assai Gesù Cristo, da quanti ancora lo farebbero amare e gli libererebbero dall'inferno! Bisogna dunque pregare il Signore che se vuol essere amato dalle anime, si faccia amare da' sacerdoti.

45. Oltre poi le mentovate obbligazioni che sono le principali, ne ha altre ancora il parroco, che anche sono di molta importanza. Per 1. Egli è obbligato a dar buon esempio. Il pastore dev'essere quella lucerna lucens et ardens che si dice nel vangelo, ardente di santo zelo nell'interno, e risplendente di buoni esempi nell'esterno. Altrimenti egli può predicare ed esortare quanto vuole gli altri a camminare per la via delle virtù , se esso non ne prima l'esempio, i sudditi neppure crederanno quel che dice: poiché gli uomini magis oculis, quam auribus credunt, come dice il concilio urcellense2. Per 2. Deve assistere con molta attenzione a' moribondi; e specialmente a' peccatori male abituati, i quali stanno in gran necessità d'un'assistenza più speciale. È vero che 'l parroco può commettere questa assistenza anche ad altri sacerdoti; ma non dee fidarsi in ciò d'ogni sacerdote, poiché in tale occasione di assistere a' moribondi possono succedere scandali di molto danno. Per 3. È obbligato a soccorrere i poveri colle rendite della parrocchia che gli sopravanzano; toltone per altro il sostentamento suo, ed anche de' suoi congiunti, se quelli sono veramente poveri. Si osservi quel che si dirà al capo XIII, nel punto II, parlando dei beneficiati. Per 4. È obbligato ad esaminare diligentemente le levatrici, s'elle sanno ciò che bisogna per dare il battesimo ai bambini in caso di necessità, come si ha nel rituale romano de bapt. puer., poiché tal caso spesso può loro succedere e perciò sono elle tenute sotto colpa grave a sapere amministrare il battesimo, come dicono s. Antonino, Regin., Aversa ecc.3. In oltre deve il parroco osservare circa il battesimo quel che ordina a' parrochi il rituale romano, cioè 1. che notino in libro a parte i nomi de' battezzati, e de' loro genitori, e patrini. 2. Che avvertano i patrini della cognazione contratta e della loro obbligazione. Che avvertano le madri e nutrici a non dormire co' bambini nel letto. Notano nondimeno in ciò Barbosa, Anacl., Tournely ed altri comunemente, che cesserebbe tal obbligo, se cessasse ogni pericolo, v. gr. se il letto fosse grande e 'l bambino altrimenti non potesse quietarsi per lo freddo, e la donna solesse nel sonno ben ritenere il suo sito4.


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46. In somma da' buoni parrochi dipende la bontà e la salute de' popoli. Se in un paese c'è un buon parroco, si vedrà ivi divozione, frequenza de' sagramenti, orazione mentale e buon esempio; se un mal parroco, si vedrà il paese pieno di vizi e di scandali.

§. II. Degli obblighi de' vescovi.

47. I. Dell'ordinazione.

48. a 51. Gli ordinandi debbon provarsi nello spirito.

52. E nella dottrina.

53. Del seminario a tal fine.

54. II. Dell'elezione de' parrochi.

55. Quali cose dee loro insinuare il vescovo. Si parla qui delle congregazioni delle figliuole.

56. Dell'elezione de' confessori. Qui si parla delle accademie.

57. Delle congregazioni particolari degli ecclesiastici.

58. Deve attendere alla celebrazione delle messe.

59. e 60. III. Della visita.

61. IV. Della cura per le monache.

62. V. Della residenza.

63. VI. Della correzione.

64. VII. Della limosina.

65. e 66. Della messa, dell'udienza e dell'esempio, e specialmente circa la mansuetudine, povertà, orazione, ecc.

47. Il vescovo ha molte obbligazioni di più che non ha il parroco. Sopra tutto per I. circa le ordinazioni de' chierici ha obbligo di eleggere per ministri dell'altare quei che ne son degni, e di escludere gli indegni: tremava s. Francesco di Sales pensando a quest'obbligo; e perciò il santo non ammetteva agli ordini alcuno, che non era accompagnato dalla buona vita, non avendo in ciò riguardo né a raccomandazioni, né a nobiltà, né alla dottrina del soggetto; mentre la dottrina unita colla mala vita, cagiona più danno, poich'ella allora più credito al vizio. Ond'era che pochi egli ne ordinava, siccome praticano tutti i buoni vescovi, giacché in verità pochi sono quelli che si fanno sacerdoti per vera vocazione, e per fine di dar gloria a Dio; e da ciò poi avviene, che pochi sacerdoti son quelli che riescon buoni e di profitto all'anime. Diceva lo stesso santo, che non son necessari alla chiesa i molti sacerdoti, ma i buoni sacerdoti.

48. Due cose deve esaminare il vescovo in coloro che pretendono gli ordini, lo spirito e la dottrina. Circa lo spirito e i costumi, poco va sicuro quel vescovo, che si contenta delle sole fedi fatte da' parrochi; queste per lo più da loro si fanno per rispetti umani. Né può certamente contentarsi il vescovo della sola bontà negativa dell'ordinando, come dice s. Tommaso, cioè, che non ne sappia cosa in contrario; ma bisogna, che ne sappia anche la bontà positiva, con averne notizie tali che diano bastanti indizi di aver colui vero spirito ecclesiastico. Dice s. Paolo1, esser necessario che 'l sacerdote (che sotto nome di vescovo già s'intende da' ss. padri come da s. Ambrogio, s. Grisostomo, s. Tommaso ed altri) non sia neofito, cioè, secondo spiega l'angelico, non solum aetate, sed etiam perfectione. Onde dice il tridentino2 che que' soli debbono ammettersi agli ordini sagri, quorum probata vita, senectus sit, viene a dire che abbiano il buon abito, e sian vecchi nelle virtù, giusta quel della sapienza: Aetas senectutis vita immaculata3. Sogliono pertanto i vescovi zelanti non firmare il memoriale di qualunque ordinando se prima non hanno avuti di lui gl'informi segreti di più persone fedeli che conoscono il soggetto. Si noti ciò con attenzione, perché questo è un gran mezzo, anzi necessario al vescovo per assicurare la sua coscienza nelle ordinazioni che fa. Da questi informi deve poi il vescovo accertarsi, se 'l chierico non solo non scandalo coi giuochi, colle insolenze, colle male conversazioni; ma di più se positivamente fa vita spirituale, frequentando le chiese, l'orazione, i sagramenti: se vive ritirato o almeno pratica con buoni compagni: se è applicato allo studio: se veste e parla con modestia, e cose simili. E se mai si sa qualche scandalo positivo di alcuno, allora non basta esigerne la pruova ordinaria, ma bisogna osservarne l'emenda di più anni: essendovi allora ragionevol sospetto che tutto sia finzione ciò che quegli fa per giungere agli ordini.


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49. Anticamente secondo la prima disciplina della chiesa a chi avea commesso un solo peccato mortale non più si permetteva l'ascendere agli ordini, come attestano s. Girolamo, s. Isidoro ed altri. Indi dopo alcuni secoli erano almeno esclusi per sempre quelli che fossero diffamati per qualche grave delitto. È vero che oggidì questo rigore non è da per tutto in uso: nulladimeno è certo (come abbiam veduto di sopra), che non può ammettersi alcuno che non sia provato nelle virtù, e specialmente nella continenza, che debbono osservare gli ordinati in sacris. Nullus ordinetur clericus, nisi probatus fuerit, si dice nel c. Nullus. dist. 25. E s. Gregorio scrisse: Nullus debet ad ministerium altaris accedere, nisi cuius castitas ante susceptum ministerium fuerit approbata1. E vuole il pontefice, che tale pruova si abbia di molti anni dicendo: Ne unquam ii qui ordinati sunt pereant, prius aspiciatur si vita eorum continens ab annis plurimis fuit. E questa prova anche la richiede il tridentino2, prescrivendo, che gli ordini sagri non si diano se non a coloro che sono in minoribus ordinibus probati, cioè sperimentati nella buona vita.

50. In somma non dee dubitarsi che il vescovo non può senza colpa grave ammettere agli ordini sacri un indegno, ed indegno è chiunque non ha data bastante pruova della sua bontà positiva. La ragione la s. Tommaso. Dice il santo3, che per l'ordine sagro si richiede maggior santità, che per lo stato religioso a riguardo de' sublimi uffici che l'ordinato dev'esercitare, quia per sacrum ordinem deputatur ad dignissima ministeria. E in altro luogo4 dice l'angelico: Sicut illi qui ordinem suscipiunt super plebem constituuntur gradu ordinis, ita et superiores sint merito sanctitatis. Sicché, secondo s. Tommaso, siccome i chierici coll'ordine sagro che ricevono vengon costituiti a grado superiore sopra il popolo cristiano, così debbono essi trovarsi superiori nel merito della santità. E perciò asserisce, che prima di ricever gli ordini han bisogno d'un tal grado di grazia acquistata (s'intende certamente della grazia non gratis data, ma di quella che ci fa grati a Dio, perché questa sola fa il merito della santità), la quale li renda degni di essere annoverati tra' ministri di Gesù Cristo: Et ideo praeexigitur gratia, quae sufficiat ad hoc quod digne connumerentur in plebem Christi. Quindi conclude il santo, che non basta al vescovo ordinante, per dare ad alcuno l'ordine sacro, il non sapere alcuna cosa di male, ma di più egli dev'essere certo della bontà dell'ordinando: Sed amplius exigitur (parole del santo) ut secundum mensuram ordinis iniungendi habeatur certitudo de qualitate promovendorum. E porta a tal proposito l'autorità di san Dionigi, il quale dice, che niuno dee ardire, di farsi ministro nelle cose divine (qual'è il sacerdote), se non si vede per un lungo abito fatto simile a Dio: In divino omni non est audendum ducem fieri, nisi secundum omnem habitum suum factus sit Dei formissimus, et Deo simillimus.

51. In oltre siccome peccherebbe l'ordinando se non avendo la bontà positiva cioè l'abito acquistato della buona vita, volesse prendere l'ordine sagro, almeno per lo gran pericolo a cui s'espone di non poter indi portare il peso che si assume, specialmente del celibato, senza la vocazione divina, che certamente allora non può presumere d'avere; così e tanto più peccherebbe il vescovo che l'ordinasse, senza almeno una precedente e lunga pruova della sua mutazione. Dice s. Tommaso5: Ordines sacri praeexigunt sanctitatem, unde pondus ordinum imponendum parietibus iam per sanctitatem desiccatis. Adduce il s. dottore la similitudine della fabbrica, e vuol dire, che siccome le mura frescamente fatte non possono sostenere un gran peso, così a coloro che da poco tempo han mutato vita, e non sono ancora purgati dal mal umore de' vizi, non dee darsi l'ordine sagro


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che porta seco l'obbligo della perpetua continenza, e d'una vita esemplare, qual si conviene ad un ministro dell'altare. Sicché il vescovo dando ordine sagro ad un indegno, pecca per doppio titolo: pecca perché manca al suo officio e pecca perché coopera a tutti i peccati che colui farà, e sarà causa di far fare agli altri. Questo appunto significò s. Paolo1 quando disse: Nemini cito manus imposueris, neque communicaveris peccatis alienis. Sul quale testo disse poi s. Leone: Quid est communicare peccatis alienis, nisi talem effici ordinantem, qualis ille est qui non meruit ordinari?

52. Abbiamo parlato dello spirito; parliamo ora della dottrina che si richiede in colui che pretende l'ordine sagro. L'ignoranza negli ecclesiastici, non solo fa gran danno ad essi, ma ancora agli altri; e 'l peggio si è che l'ignoranza ne' sacerdoti è un male senza rimedio, come dicea s. Francesco di Sales, perché si troveranno sempre incapaci, o almeno perché difficilmente dopo preso il sacerdozio si potranno più costringere a studiare. Deve pertanto il vescovo sommamente attendere a vedere, se chi pretende l'ordine è bene istruito, ed è ancora amante dello studio: mentre chi non ama lo studio, non sarà mai buono per la chiesa, anzi sarà necessariamente cattivo, poiché (come si dice) l'ozio è il padre de' vizi. Pertanto non dee il prelato contentarsi del semplice esame, che ordinariamente suol farsi sui requisiti degli ordini, e sopra altre cose triviali, che facilmente gli ordinandi imparano da qualche libricciuolo; ma dopo che sono ordinati, restano anche ignoranti come prima. Mons. d. Fabrizio di Capua di fel. mem., arcivescovo di Salerno, nelle sue ordinazioni, precisamente de' sacerdoti, faceva esaminare i suoi ordinandi sopra tutta la morale. So ancora, che un altro prelato (mons. Vigilante) facea esaminare anche i chierici su la morale, assegnando a ciascun ordine i trattati che dovean sapere; sicché giungendo al sacerdozio, ciascuno poi veniva ad esser bastantemente istruito a poter sentire le confessioni. E così ho praticato ancor io nella mia diocesi. Volesse Dio, che tutti i vescovi, e precisamente quei delle piccole diocesi, praticassero lo stesso, che non si sentirebbero piangere, come tanti se ne sentono, che non hanno a chi dare la confessione. Ma dirà alcuno, che il concilio di Trento non esige tanta scienza dagli ordinandi. Ma rispondo, che all'incontro non proibisce il concilio al vescovo, che l'esiga dagli ordinandi suoi, come ben lo può (secondo lo dicono i dottori), quando vede, tal essere il bisogno della sua diocesi. Ma parlando anche secondo il tridentino, il concilio2 dice, che gli ordinandi al sacerdozio ad populum docendum, ac ad ministranda sacramenta diligenti examine comprobentur. Alle quali parole Innoc. XIII. nella bolla, Apostolici ministerii, fatta per la Spagna, ed ampliata poi per tutta la chiesa da Benedetto XIII., come riferisce il cardinal Lambertini, poi Benedetto XIV.3, non poté dar più benigna interpretazione, che gli ordinandi almeno sapessero di morale.

53. A tal fine dee procurare il vescovo di tenere un seminario ben regolato, poiché da questo (imponendo, che tutti quei che vogliono prendere gli ordini vengano a star ivi almeno per tre o quattro anni) eleggerà poi i parrochi, i confessori, e gli altri sacerdoti; e così potrà vedere ben coltivata la sua diocesi. Ho detto un seminario ben regolato, altrimenti il seminario recherebbe maggior ruina alla gioventù, ed alla diocesi. I giovani ch'entrano nel seminario (per quanta diligenza s'usi) non saranno tutti angioli; molti non vi portano lo spirito, ma ve l'hanno da acquistare. Or se il seminario è mal regolato, avverrà che anche quelli che vi entrano angioli, fra poco tempo infettati dagli altri diventeranno demoni, ed essi poi infetteranno co' loro vizi i loro paesi. Onde se 'l vescovo per mancanza di rendite, o per altro difetto,


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non potesse avere al suo seminario buoni ministri, è obbligato a dismetterlo, se non vuol dar conto a Dio d'innumerabili peccati e scandali. Bisogna dunque che 'l seminario sia ben regolato, così circa lo spirito, come circa le scienze. Circa lo spirito bisogna per 1., che vi siano le regole stabilite della meditazione, della messa coll'officio della Madonna, della lezione spirituale, della visita al ss. Sagramento, degli esami, del silenzio fuori del tempo delle ricreazioni, e ciò per ogni giorno. Di più della confessione e comunione ogni settimana, o almeno due volte il mese, facendovi andare buoni e pii confessori, ed anche gli straordinari più volte l'anno. Di più del giorno di ritiro spirituale in ogni mese, con un sermone fatto da qualche padre di spirito; e degli esercizi spirituali in ogni anno. Bisognerebbe stabilire ancora, che i seminaristi in tempo delle ferie non vadano alle loro case, poiché allora (specialmente in tempo delle vendemmie) questi lasciano tutti gli esercizi spirituali, ed in quel mese o due che son fuori perdono quanto hanno fatto, e rientrano in seminario pieni di peccati. Per 2. il vescovo dee procurare un buon rettore, che abbia zelo e sperienza, e che sia sagace a sospettare d'ognuno, e d'ogni azione, e sia attento a girare per le camerate, ed a spiare i difetti con interrogarne spesso i prefetti, ed anche qualche seminarista più fedele, che terrà avvertito in ogni camerata ad avvisargli le mancanze che vede. per 3. dee procurare prefetti che sian di buoni costumi, ed attendano a non partirsi mai dalle loro camerate, e a non permettere qualunque confidenza a' seminaristi tra di loro; e sian forti nel correggere, e fedeli nel dar conto al rettore in ogni settimana de' difettosi. Per 4. conviene che il vescovo si affacci spesso nel seminario, ed una o due volte l'anno faccia lo scrutinio particolare, informandosi da ciascun seminarista, se vi è qualche sconcerto. Per 5. soprattutto il vescovo deve invigilare sopra i figliuoli che si ricevono, procurando, che non si riceva alcuno, che non ha dato buon esempio, con prenderne di ciò gl'informi segreti. Meglio è averne pochi e buoni, che molti, e tra questi gl'imperfetti, che poi guasteranno anche i buoni. Indi deve usare tutto il rigore senza remissione cogl'incorreggibili, e con taluno che avesse dato scandalo positivo, per esempio contro l'onestà, o di sollevamento, di furto, e simili. Un tal seminarista appena potrebbe soffrirsi la prima volta dopo un castigo esemplare e lungo; ma il più sicuro consiglio è di cacciarlo subito, perché una pecora infetta di questa sorta può esser la ruina di tutto il seminario. In tal punto l'usar carità, non è carità, ma tirannia ed ingiustizia; poiché il vescovo per giustizia è tenuto ad evitare il danno comune. In quanto poi alle scienze, prima di tutto è necessario, che 'l vescovo faccia ben istruire i suoi giovani nella lingua latina, altrimenti poco sapranno delle altre scienze, e poco intendendo il latino, poca voglia poi avranno di studiare. Faccia anche lor studiar la filosofia (e specialmente una buona logica), e la teologia scolastica, e dogmatica. Ma soprattutto, specialmente nelle diocesi piccole, è necessario fare studiare a' seminaristi appieno la morale, acciocché siano atti a confessare, e 'l vescovo poi se ne possa servire quando bisogna. Altrimenti usciti che saranno dal seminario, non più la studieranno, e resteranno inutili alla chiesa. È bene ancora far esercitare i seminaristi in far loro fare in ogni settimana, ora ad uno la dottrina cristiana, ad un altro un sentimento, ad un altro un colloquio, un catechismo, una predica. Così essi e gli altri si affezionano poi agli esercizi apostolici, per quando saranno usciti dal seminario; e perciò è utilissimo istruire specialmente i seminaristi sovra questi esercizi. Chi volesse vedere altre cose per lo buon regolamento d'un seminario potrebbe osservare il mio libro degli esercizi a' preti, dove in fine vi è un trattatino de' seminari.

54. Per II. È obbligato il vescovo ad


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eleggere buoni parrochi e buoni confessori. In quanto ai parrochi, già si sa che debbono preferirsi i più degni. Anche nei beneficii semplici la sentenza più probabile con s. Tommaso ed altri1 vuole che si preferiscano i più degni, perché ciò richiede l'utile comune della chiesa. Ma in quanto alle parrocchie è certo per lo concilio di Trento, che il vescovo è tenuto ad eleggere il più degno, avendo riguardo alle qualità de' soggetti che concorrono, cioè alla prudenza, all'età, a' meriti, ma principalmente alla scienza ed alla bontà della vita. Circa la scienza ben può e dee per lo più uniformarsi il vescovo al giudizio degli esaminatori, ma la sua maggior cura ha da essere in esaminare egli la probità della vita, prendendone gl'informi segretamente da diverse persone. Non dee porsi in dubbio la massima di s. Francesco di Sales, che nelle cure d'anime debbono senza meno preferirsi i sufficientemente dotti agli altri di maggior dottrina ma di meno spirito; e la s. c. parlando dell'elezione de' parrochi2 disse: Praeferendus est minus doctus (modo idoneus), quando eius mores sunt approbati, doctiori, cuius vita ignoratur. È certo che sarà più utile al popolo un parroco santo in un mese, che un altro più dotto ma meno santo in un anno.

55. È tenuto poi il vescovo ad informarsi dagli altri come attendono i parrochi a far la dottrina: come a predicare, ed a predicare secondo ordina il tridentino in modo facile. Di ciò deve il prelato ammonire spesso i suoi parrochi, che spezzino alle loro greggi il pane della divina parola: esortandoli insieme che nelle prediche procurino sempre d'insinuare cose di pratica, per esempio come si han da discacciare le tentazioni, che si ha da dire quando avvengono cose dispiacenti, o si ricevono ingiurie e simili. Di più s'informi il vescovo, come attendono i parrochi e i confessori a sentir le confessioni. In certi luoghi i curati assistono anche al coro, e che succede? Succede, che al meglio che la gente sta più unita in chiesa, quelli se ne vanno al coro, e la gente resta senza confessarsi per più mesi; in ciò è obbligato il vescovo a rimediarvi. Di più s'informi se i parrochi sono attenti a far prendere la comunione a' figliuoli capaci di 10 anni in circa, come si disse di sopra. Di più se sono attenti a prender le cartelle della comunione pasquale, per vedere se tutti han fatto il precetto: se si seguita l'orazione mentale e la visita in comune in chiesa al santissimo Sagramento, ed alla b. Vergine, come si pratica in molti paesi. Ed è bene che 'l vescovo introduca quest'orazione, e visita dove non ci è; e raccomandi l'attenzione dove già vi sta. Raccomandi ancora l'assistenza a' moribondi, e l'assistenza alle congregazioni de' secolari. In più luoghi noi colle nostre missioni abbiamo introdotte le congregazioni delle figliuole. Queste si fanno così: si uniscono in qualche chiesa a porte aperte tutte le figliuole di 15. o 16. anni a basso, in ogni domenica al giorno: ivi un sacerdote loro assegnato di nota probità farà oltre la dottrina cristiana un breve sermone alla semplice, ovvero un'istruzione sopra l'orazione mentale o sul modo di prender i sagramenti, o sopra altra virtù che compete a quell'età, ed infine assegnerà le divozioni che han da praticare in quella settimana; e ciò oltre le regole che vi saranno, e che 'l sacerdote spesso ricorderà alle medesime per ogni giorno, come del rosario, della visita del Sagramento almeno dalle loro case, dell'esame di coscienza, della frequenza de' sacramenti in ogni settimana, del vestire modesto e simili. Queste congregazioni, o sieno adunanze delle figliuole producono poi un bene immenso, perch'elleno poi se si maritano, facilmente insegneranno a' figli ciò che han praticato, e resteranno santificate le famiglie intiere.

56. In oltre somma ha da esser la cura del vescovo nel dar la facoltà di confessare. Da' confessori dipende il regolamento delle coscienze di tutti i sudditi;


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ed un mal confessore che sia ignorante, o di mali costumi può rovinare un intiero paese. Non dee dunque il vescovo approvare alcuno, se non è certo della di lui buona vita, e della dottrina, con farlo bene esaminare sulla morale. Alcuni vescovi danno la confessione senz'esame generalmente a tutti i quaresimalisti, ed a tutti coloro che l'hanno avuta in altre diocesi. Ma altri vescovi hanno scrupolo di far ciò e con molta ragione; giacché poi si vedono gli sconcerti, che provengono da tali confessori così alla cieca approvati. Se vuole il prelato aver soggetti, di cui possa avvalersi senza scrupolo per le confessioni, oltre le congregazioni de' casi che sogliono farsi in molte diocesi, procuri di stabilire in ogni paese l'accademia della morale per due o tre volte la settimana, pubblicando, ch'egli non ammetterà per confessori coloro che abbiano assistito almeno per un anno a queste conferenze: le quali sono utilissime (per non dir necessarie) a chi vuole esser versato in questa scienza mentre così meglio si discifrano i dubbi, e restano più impresse le dottrine.

57. Ottimo consiglio sarebbe ancora che 'l vescovo procurasse ne' luoghi più grandi della sua diocesi di far le congregazioni a parte de' sacerdoti e chierici più spirituali, dove si esercitassero ogni settimana in far la pratica o di confessare, o di assistere a' moribondi, o di dir la messa; ed altre volte in fare qualche sentimento, colloquio, sermone, o istruzione. Questi congregati poi avranno le loro regole particolari, v. gr. di andar sempre vestiti di lungo, di non giuocare alle carte ecc., affinché il popolo abbia di loro una special venerazione. Non importa che sieno pochi, anzi giova che non sieno molti, acciocché si mantengano più riserbati ed applicati alle opere di carità. E la cura del vescovo ha da essere di sempre animarli, ed anche beneficiarli almeno con dar loro i quaresimali a fare altre prediche, e con mandarli ancora a far qualche missioncina, o esercizi spirituali; esortandoli sempre di predicare alla semplice alla povera gente, se vogliono veder profitto dalle loro prediche.

58. Di più, come ben avverte Roncaglia con Quarti, e Pasqualigo, il vescovo è tenuto con obbligo grave ad attendere, che i suoi sacerdoti celebrino la messa colla dovuta attenzione e gravità, che richiede un tanto sagrifizio, senza strapazzo delle parole e cerimonie, come empiamente con comune scandalo de' secolari si fa da molti preti: il quale strapazzo, quando è notabile (come necessariamente avviene, quando si celebra la messa in meno di un quarto d'ora) è certamente peccato mortale, siccome si dirà parlando della eucaristia al capo XV., num. 84., dove si pondererà questo punto. Ma in quanto ai vescovi sta dichiarato dal tridentino1, esser eglino obbligati (e perché la materia è grave, certamente anch'è grave il loro obbligo) a proibire nelle loro diocesi che si celebrino le messe con tale irriverenza: Decernit s. synodus (son le parole del concilio), ut ordinarii locorum ea omnia prohibere sedulo curent, ac teneantur, quae... irreverentia (quae ab impietate vix seiuncta esse potest) induxit.

59. Per III. Somma dev'essere ancora la cura del prelato nel far la visita de' paesi, che con tanta premura ordina il tridentino a' vescovi2 dove si dice: Episcopi propriam dioecesin per seipsos, aut si legitime impediti fuerint, per suum generalem vicarium, aut visitatorem, si quotannis totam propter eius latitudinem visitare non poterunt, saltem maiorem eius partem, ita tamen ut tota biennio per se vel visitatores suos compleatur, visitare non praetermittant. E s'aggiunge: Studeant quam celerrime debita tamen, cum diligentia visitationem absolvere... Interimque caveant, ne ipsi, aut quisquam suorum procurationis causa pro visitatione, etc., nec pecuniam, nec munus quodcumque sit, etiam qualitercumque offeratur


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accipiant non obstante quacumque consuetudine etiam immemorabili; exceptis tamen victualibus, quae sibi ac suis frugaliter pro temporis tantum necessitate, et non ultra, erunt ministranda. Sit tamen in optione eorum, qui visitantur, si malint solvere quod erat ab ipsis antea solvi, certa pecunia taxata, consuetum, aut vero praedicta victualia subministrare, salvo item iure conventionum antiquarum cum monasteriis, aliisve piis locis, aut ecclesiis non parochialibus inito, quod illaesum permaneat. Quod si quisquam aliquid amplius accipere praesumserit, is praeter dupli restitutionem intra mensem faciendam, aliis etiam poenis etc. Oh a quanti disordini si rimedia dal prelato col girare, e veder le cose cogli occhi propri! È impossibile il ben governare una diocesi per mezzo d'altri che del proprio pastore. San Carlo benché fosse provveduto di tanti buoni ministri, non lasciava egli di andare in persona, e con molto incomodo a visitare anche i paesi più lontani della sua diocesi. Egli per giungere alcuna volta a qualche paese colla visita, camminò carponi dentro il fango e la neve. E leggasi nella sua vita, quanto fece, ed a quanto rimediò colle sue visite. Di s. Francesco di Sales si narra ancora, che per visitare alcuni luoghi gli bisognò camminare per vie così rotte, che poi ne portava i piedi scorticati, sino a non poter reggersi in piedi per più giorni. Altre volte gli toccò a dormire sulle foglie secche; ed a chi lo pregava a non arrischiare così la sua vita, rispondea il santo: Ch'io viva non è necessario, ma è necessario ch'io soddisfi all'officio mio.

60. In queste visite poi deve il vescovo far sentire la sua voce col predicare. Oh quanto più degli altri muove la voce del proprio pastore! San Carlo nelle visite solea predicare due e tre volte il giorno. Di più, deve esaminare i figliuoli per vedere come stanno istruiti; e così può rimediare alla negligenza de' parrochi, con riprenderli, ed anche sostituire qualche economo a far la dottrina a spese del parroco, almeno per esempio degli altri. Di più, ne' paesi faccia esaminare i sacerdoti nelle cerimonie della messa, e sospenda senza remissione chi non l'esercita come si deve. Può anche il vescovo richiamare all'esame i confessori approvati, e con giusta causa anche i parrochi; vedi al capo XVI. Soprattutto dee far lo scrutinio personale di tutti i sacerdoti e chierici del paese, interrogando ciascuno in segreto, prima de' di lui impieghi, per insinuargli ciò che bisogna, e poi de' difetti degli altri, e specialmente del parroco, e de' confessori; per esempio come attendono, con chi praticano ec. Alcuni vescovi vigilanti tengono un libretto di memoria, dove notano la qualità di bene o di male di ciascun ecclesiastico delle loro diocesi. Queste memorie possono giovare a mille cose buone; e precisamente per accertare l'elezione de' parrochi, de' confessori, e degli altri ministri. Ed in fine interroghi poi di tutti gli altri abusi, scandali, e dissensioni che vi sieno nel paese. In queste visite procuri ancora d'infervorare, e d'aiutare le congregazioni de' secolari, con assegnare loro il predicatore e confessore se non l'hanno. Ed allora può ancora piantare le congregazioni particolari e ristrette de' sacerdoti missionari notate di sopra. Bene sarebbe ancora in queste visite, che il vescovo almeno si sedesse al confessionale, senon per prender le confessioni, almeno per sentire qualche persona che volesse parlargli in segreto. In fine non lascerà in queste visite il vescovo di amministrare il sagramento della cresima. Ed è certo appresso tutti, che pecca gravemente quel vescovo, il quale per lungo tempo non amministra questo sagramento, perché priva d'un gran bene le pecorelle. Onde dicono Castropalao, Salmatic. e La-Croix non essere scusato da colpa mortale se per otto o dieci anni almeno non gira (ed a sue spese, se non fosse altra la consuetudine) per li paesi almeno principali della sua diocesi; purché non


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fosse a ciò moralmente impossibilitato1.

61. Per IV. il vescovo deve aver cura de' monasteri di monache; intorno a' quali per 1. deve attender con diligenza ad esplorare la volontà delle monacande, giacché buona parte di queste si fan religiose per vocazione de' parenti, non di Dio, e di ciò nasce poi, che vivono inquiete, ed introducono rilasciamenti nella comunità, con danno comune. Per 2. In tempo della visita, che dee farsi dal vescovo ogni anno a' monasteri di monache a sé soggetti, secondo la Clem. Attendentes, de statu mon. (circa poi la visita de' monasteri esenti in quanto alla clausura, vedi ciò che si dirà al capo XX. de' privilegi num. 80.), dev'egli fare lo scrutinio particolare, ascoltando in segreto ciascuna monaca, per vedere se nel monastero vi è qualche scandalo o sconcerto. Stia non però cautelato a non farsi vedere affezionato ad alcuna delle fazioni, che forse vi sono nel monastero. Ascolti tutte, e poi dia gli ordini opportuni. Per 3. Sia difficile a dar licenza agli estranei di parlare colle monache; pensi, che gli attacchi molte volte non si prendono a principio, ma col tempo, e col conversare; ed un solo attacco può essere di scandalo e rovina a tutto il monastero. E se il monastero stesse fuori della sua residenza, il vescovo avverta il vicario che n'avrà la cura, ad esser molto circospetto e ritenuto in dar queste licenze. Per 4. stia attento a dar più volte l'anno i confessori straordinari, almeno per rimediare alle male confessioni che alcune monache fanno cogli ordinari; e non creda, che questi casi sieno molto rari, né aspetti in ciò la richiesta delle monache, perché quelle che ne avran più bisogno, saran più ritenute a chieder lo straordinario. E mandandolo obblighi ad andarvi tutte nel confessionale, almeno a parlargli, come ha ordinato Benedetto XIV. nella sua bolla, Pastoralis curae, il quale spiegando quelle parole del Tr.2. Qui (extraordinarius confessarius) omnium confessiones audire debet, dice: Extraordinario confessario singulae se sistant, ad sacramentalem confessionem apud ipsum peragendam, sive ad salutaria monita accipienda.... ne aliae censerentur necessarias habuisse causas ob quas ad extraordinarii opem confugere coactae essent, aliae vero ab huiusmodi necessitatibus immunes iudicarentur. Conviene anche perciò, che 'l vescovo senza precisa necessità non condescenda a confermare i confessori ordinari oltre il triennio. Per ultimo procuri, che in ogni anno si diano gli esercizi spirituali nel monastero da qualche sacerdote esemplare, e pratico di comunità: dico ciò, perché altrimenti può essere più il danno che l'utile.

62. Per V. Il vescovo (come già si è detto di sopra) è obbligato alla residenza, ma egli v'è tenuto con maggior obbligazione che 'l parroco, poich'è il principal pastore di quella gregge. Al vescovo si l'anello nella sua ordinazione, acciocché in portarlo pensi che egli non è più suo, ma della chiesa sua sposa per assisterla continuamente sino che vive. Si concede bensì dal concilio al vescovo lo stare assente per tre mesi dalla diocesi per qualche causa: ma si noti, che 'l regnante papa Benedetto XIV. nella sua bolla Universae spiegando questa causa (chiamata aequa dal tridentino), dice ch'ella non deve esser futile, né per vana ricreazione: Animi levitas, oblectationum cupiditas, aliaeque futiles causae excluduntur, sono le parole del pontefice. S. Carlo quando si vedeva assente dalla sua diocesi, parea (come si dice nella sua vita) che stesse ligato da catene, per lo desiderio ch'avea di tornarvi presto. Il cardinal Bellarmino, benché astretto dal papa a stare in Roma, e fuori della sua chiesa di Capua, ma per bene della chiesa universale, non istimava star sicuro in coscienza, e perciò ne la rinunzia. Si osservi ciò che s'è detto al n. 14.

63. Per VI. Il vescovo è obbligato a far le correzioni, ed a riparare gli scandali, più che non sono obbligati i parrochi;


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sì perché egli è il primo pastore, come si è detto; sì perché egli ha più mano per poter rimediare, con ricorrere se bisogna anche al principe secolare, siccome fanno molti buoni vescovi, e ben giungono all'intento. Questo è quel gran peso, che fa tremare i vescovi santi. Monsignor Sanfelice di fel. mem. vescovo di Nardò diceva: Come posso dormir quieto, quando so, che una mia pecorella sta in disgrazia di Dio? È vero, che un tale officio è odioso, e 'l vescovo per ben esercitarlo avrà da conciliarsi contro rancori, maledicenze, ed anche pericoli; ma bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. Dicea lo stesso monsig. Sanfelice, che 'l vescovo in accettare il vescovato s'ha da preparare ad essere o processato, o avvelenato, o dannato. Per bene poi rimediare agli scandali, bisogna che 'l vescovo continuamente attenda ad informarsene, e non solo da' parrochi e da' vicari foranei, i quali molte volte tacciono per rispetti umani, o per non farsi veder trascurati, ma anche da altri sacerdoti zelanti ch'egli terrà destinati per tutti i luoghi della diocesi, ai quali raccomanderà sommamente di farlo inteso di ciò che sanno. E quando vengono questi o parrochi o vicari, procuri di dar loro grata udienza, e subito sbrigargli, acciocché sian facili a venire, e non abbiano scusa di non poter aspettare.

64. Per VII. Il vescovo è obbligato alla limosina. La chiesa non già provede il vescovo di rendite per ispenderle a suo capriccio, ma per soccorrere i poveri. Il matrimonio de' poveri è la mensa del vescovo. Dice s. Gregorio, che la limosina è la prima opera di misericordia che 'l pastore deve usare colla sua gregge. O a quanti mali può rimediare il vescovo colle limosine! Quanti sposi vivono per anni in peccato, per non aver modo di effettuare il matrimonio! Quanti figliuoli per la povertà dormono ne' letti de' padri, o insieme femmine e maschi con tanto pericolo dell'anima! Perciò i buoni vescovi procurano essi d'informarsi da' parrochi de' bisogni che vi sono, e raccomandano loro di venire ad avvisarneli sempre che occorre. So bene, che i dottori1 dicono, che può il beneficiato riserbare i frutti superanti al suo sostentamento (s'intende sempre che non vi sono poveri in grave necessità) per farne compre in beneficio della chiesa, o affin di provvedere in avvenire ad altri bisogni maggiori; ma so ancora, che i vescovi santi non lasciano danari, o fondi comprati, ma debiti. È vergogna d'un vescovo, dice s. Carlo, il far sentire, che tiene danari in cassa. E s. Tommaso di Villanova dicea, che se morendo avesse lasciato danaro, si avrebbe tenuto per dannato.

65. Lascio per ultimo di parlare degli altri obblighi che tiene il vescovo, v. gr. della messa, che anch'egli più che il parroco è tenuto di applicare nelle feste per le sue pecorelle: dell'udienza che dee dare continuamente a' sudditi ec., e specialmente a' parrochi e vicari foranei, che dee subito sentirli: e del cercar conto di tutto ciò che ha fatto il vicario capitolare, come ordina il concilio di Trento2. Ma non posso lasciare di dir qualche cosa del buon esempio ch'egli è obbligato a dare. Se 'l pastore vuole che le pecorelle ascendano al monte, bisogna ch'egli vada avanti. Il vescovo è quel lume posto da Dio sul candeliere, acciocché faccia lume a tutti quei che sono nella casa del Signore. Bisogna dunque, come dice s. Paolo a Tito, che 'l prelato in tutte le virtù che vuol vedere nella sua greggia si faccia esempio. Esempio di mansuetudine pagando coi beneficii quando può gl'ingrati, ed i nemici che lo maltrattano. Si leggano i belli esempi che di ciò ne diedero s. Carlo e s. Francesco di Sales. Esempio di povertà; è vero che il vescovo può senza ingiustizia spendere ciò che bisogna al suo decente mantenimento, ma egli dovrebbe in ogni cosa far risplendere la santa povertà: povertà in tenere una famiglia moderata, solo per quanto basta


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alla pura necessità: povertà in portar vesti moderate, e in tener mobili semplici in casa sua: non molta edificazione quel vescovo, che tiene il suo palagio ornato di quegli arredi, di cui fan pompa i secolari; s. Carlo sbandì affatto dalla casa arazzi, parati, e quadri: povertà anche nel vitto, e sappiasi che appresso la gente non v'è cosa che dia miglior concetto dello spirito di qualunque ecclesiastico, che il sapere la frugalità ch'egli usa nel vitto: Vivere enim de altari, non luxuriari, concessum est, si dice nel can. I della dist. 44. in princ. E 'l tridentino iubet, ut episcopi modesta supellectili et mensa, ac frugali victu contenti sint.1. Così anche il vescovo dee farsi esempio di orazione; il cardinal d'Arezzo scendeva a posta in chiesa a fare orazione avanti al ss. Sacramento, per dar buon esempio agli altri; di mortificazione, privandosi di certi divertimenti che non convengono ad un prelato: di ritiratezza, non accostandosi se non per necessità alle conversazioni di secolari: di modestia, in usar tutta la cautela nel trattare colle donne quando bisogna; di zelo, procurando d'inserire in qualunque discorso privato qualche sentimento di Dio, come praticava s. Carlo con qualunque personaggio con cui trattava.

66. Dissi parlando de' parrochi, che dal buon parroco dipende la salute de' sudditi. Ora dico, che dal buon vescovo dipende la salute di tutta la diocesi, perché il vescovo ordina buoni chierici, fa buoni sacerdoti, buoni confessori, buoni parrochi: gli aiuta poi colla sua attenzione e buon esempio a conservarli buoni, e così universalmente nella diocesi si vedrà regnare la pietà. E perciò in questa materia dell'obbligo de' pastori mi sono più steso a parlare che nelle altre, perché in questa trattavasi di bene o danno comune, che tutto dipende da' buoni e da' mali pastori.




1 Sess. 23. de reform. cap. 1.



2 Lib. 4. n. 127. dub. 3.



1 Lib. 4. n. 127. dub. 1.



2 Ibid. dub. 2.



3 Tit. 25. cap. 6.



4 Lib. 4. n. 123. v. Dub. 2. et v. Ceterum.



5 Lib. 4. n. 124.



1 Lib. 4. n. 125. v. Sic. Pariter



2 Lib. 4. n. 125.



3 Lib. 4. n. 123. dub. 1.



4 Opusc. 3. q. 3. art. 8. n. 7.



1 Lib. 4. n. 127.



2 Lib. 3. n. 669. et 761.



3 Lib. 4. n. 127. dub. 4.



4 Sess. 23. c. 1.



5 Lib. 4. n. 128.



6 Lib. 6. n. 58. et 623.



7 L. 6. cit. n. 623.



1 Lib. 6. n. 253. et 254.



2 Part. 2. c. 6. n. 9.



3 2. 2. q. 185. a. 5.



4 In c. Clericos de cler non resid. n. 38.



5 Lib. 6. n. 233.



1 Lib. 6. n. 729.



2 Lib. 3. n. 359. et lib. 6. n. 326. v. Deinde.



3 2. 2. q. 185. a. 5. - L. 3. n. 360. v. Parochi.



4 Lib. 3. n. 360. v. Sed dub. 1.



1 2. 2. q. 15. a. 1.



2 Lib. 3. n. 360. dub. II.



3 Barbosa de offic. paroch. c. 2. n. 7. et p. Segneri paroch. instruct. c. 23.



1 Lib. 6. n. 54.



2 Sess. 5. c. 2.



3 Sess. 24. c. 4.



4 L. 2. q. 149. e l. 3. P. 1. n. 767.



5 Sess. 5. c. 2. de ref.



1 Loc. cit.



1 Io. 16. 23.



2 Tract. 3. de offic. cler.



3 Lib. 6. n. 117. v. Quoad.



4 N. 160.



1 1. Tim. 3.



2 Sess. 23. c. 12.



3 Sap. 4. 9.



1 Lib. 1. epist. 42.



2 Sess. 23. c. 13.



3 2. 2. q. 184. a. 6.



4 Supp. q. 36. a. 1. ad 3.



5 2. 2. q. 189. a. 1.



1 1. Tim. 5. 22.



2 Sess. 23. c. 14.



3 Notif. 2. 16. e 32.



1 Lib. 4. n. 93.



2 Ap. Piasec. p. 328. n. 19.



1 Sess. 22. decr. de obs. in celeb. miss. ecc.



2 Sess. 24. c. 3. de rel.



1 Lib. 6. n. 175.



2 Sess 25. c. 10.



1 Lib. 3. n. 491. Qu. IV.



2 Sess 24. cap. 16. de ref.



1 Sess. 25. c. 1.






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