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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Punto III. Del duello e della guerra.

25. §. I. del duello. Proposizioni dannate da Benedetto XIV. sul duello.

26. Quando il duello sia lecito.

27. §. II. Della guerra. Se sia lecito muover la guerra coll'opinione probabile.

28. Se chiamare in aiuto i nemici della fede.

29. Se il soldato possa militare in dubbio della giustizia.

30. Quali azioni nella guerra siano lecite.

§. I. Del duello.

25. Il duello è una pugna di due o più persone colla convenzione precedente del luogo, del giorno e dell'armi. Non è lecito già il duello né ad indagar la verità, né a terminar le liti, né a purgare il delitto apposto, e tanto meno ad evitar la nota di timidità (come il permetteva la propos. 2. dannata da Alessandro VII), o d'ignominia, benché si facesse per sola apparenza; così dee tenersi colla sentenza comune, contro d'alcuni4. E s'avvertano qui le cinque proposizioni ultimamente dannate nel 1752. da Benedetto XIV. nella sua bolla Detestabilem, e sono le seguenti: I. Vir militaris, qui nisi offerat et acceptet


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duellum tamquam formidolosus, timidus, abiectus, et ad officia militaria ineptus haberetur, indeque officio, quo se suosque sustentat, privaretur, vel promotionis alias sibi debitae ac promeritae spe perpetuo carere deberet, culpa et poena vacaret, sive offerat, sive acceptet duellum. II. Excusari possunt etiam honoris tuendi, vel humanae vilipensionis vitandae gratia, duellum acceptantes, vel ad illud provocantes, quando certo sciunt, pugnam non esse sequuturam, utpote ab aliis impediendam. III. Non incurrit ecclesiasticas poenas contra duellantes latas dux vel officialis militiae acceptans duellum ex gravi metu amissionis famae vel officii. IV. Licitum est in statu hominis naturali acceptare et offerre duellum ad servandas cum honore fortunas, quando alio remedio eorum iactura propulsari nequit. V. Asserta licentia pro statu naturali applicari etiam potest statui civitatis male ordinatae, in qua nimirum, vel negligentia, vel malitia magistratus, iustitia aperte denegatur.

26. In due soli casi è lecito il duello. I. A terminar la guerra comune e giusta con minor danno; o pure (come dicono alcuni) a conservar la stima dell'esercito appresso i nemici. II. Ben ti è lecito accettare il duello, se il nemico è determinato ad ucciderti, ed egli per sua millanteria ti concede l'armi a difenderti; poiché allora il tuo combattere è vera difesa, posto che tu non possa sfuggire la pugna1. Di più probabilmente dice Cuniliati2, che se un nobile è provocato al duello, può legittimamente rispondere: Se utpote christianum non acceptare duellum, nihilominus se paratum esse ad defensionem contra iniustos aggressores. Tre poi sono le pene imposte dal tridentino al duello3. 1. L'infamia colla proscrizione de' beni. 2. La privazione della sepoltura ecclesiastica per coloro che muoiono nel conflitto, ancorché morissero dopo aver presi i sacramenti, come si dice nella citata bolla Detestabilem. 3. La scomunica papale, che s'incorre ipso facto così da' duellanti, come da' padrini, dai consultori (purché il consiglio abbia avuto l'effetto di persuadere, come nota Elbel), ed in oltre da coloro che danno il luogo o favore; ed anche dagli spettatori: s'intendono non già quei che a caso trovansi ivi di passaggio, ma quei che data opera assistono; come spiegò Gregorio XIII. nella sua bolla, Ad tollendum, dicendo ivi, ex composito spectantes; anzi aggiungono comunemente Tournely, i Salmat, Elbel ed altri, che s'intendono propriamente i soli soci de' duellanti, o pure quelli che colla loro presenza gl'incitano alla pugna4. In ciò s'avverta per 1., che le suddette pene e scomunica non s'incorrono se non nel duello strettamente preso, cioè premeditato (come si è detto) colla designazione del tempo, del luogo e dell'armi (benché per altro si facesse senza padrini, come ha dichiarato Gregorio XIII. nella bolla citata); ma non già se la pugna avvenisse all'improvviso, ancorché i combattenti nell'impeto della rissa andassero ad alcun luogo più idoneo, come dicono comunemente i dd.5. S'avverta per 2., che quantunque secondo il concilio par che richiedasi che 'l duello sia seguito, nulladimeno per l'altra bolla di Clemente VIII. Illius vices, ancorché il duello non succeda, pure s'incorre la scomunica, così da' principali, come da tutti gli altri cooperanti6. S'avverta per 3., che se 'l duello non è notorio, né dedotto al foro, ben possono i vescovi assolvere dalla detta scomunica per lo cap. Liceat del trid. sess. 24.. Ma non già i regolari, se non in Roma, o fuor d'Italia7.

§. II. Della guerra.

27. Tre condizioni si richiedono affinché la guerra sia giusta, l'autorità del principe supremo, l'intenzione retta del ben comune, e la causa giusta e grave.


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Si domanda per 1. Se sia lecito muover la guerra ad altro principe, che possiede il regno in buona fede, colla sola opinione probabile. Vi sono tre sentenze. La prima l'afferma con Azorio, Sanchez, Filliuc., ec., dicendo, che siccome si concede a' privati intentar la lite colla sola opinione probabile, così dee concedersi al principe, muover la guerra, almeno ad ottenere parte del regno preteso, non essendovi giudice supremo che possa decider la lite. La seconda con Bannez, Prado, e Ledesma, richiede almeno l'opinione più probabile, poiché (come dicono) siccome in tal caso il giudice deve giudicare a beneficio del privato, ancorché non possieda, così il principe, non essendovi giudice competente, può colla guerra impadronirsi di ciò che pretende. La terza sentenza insegna, che non può muoversi la guerra senza certa ragione, mentre è regola generale (come diremo al cap. I. n. 35. et 36.)., che il possesso di buona fede non può essere spogliato della roba, se non costa che ingiustamente la ritiene; così parlando della guerra dicono Castrop., Laymann, Holzmann, Vasquez, Salas, Montesin., Villalob., i Salmat., Elbel (che tiene per certa questa sentenza), e Tamburino, che ha la contraria per improbabile. Questa terza sentenza secondo la ragione intrinseca a me sembra assai più probabile. Del resto dicono Roncaglia ed i Salmaticesi, ch'essendo la guerra ordinariamente causa di tanti danni della religione, e di tante scelleraggini, almeno praticamente con molta difficoltà potrà apparir cosa giusta il muover la guerra senza un certo ius sul regno dall'altro principe posseduto1.

28. Si domanda per 2. Se sia lecito a' principi cattolici nella guerra giusta chiamare in aiuto gl'infedeli o gli eretici. Altri lo negano assolutamente; altri assolutamente l'affermano; altri finalmente colla più comune, come s. Anton., Suar., Silves., Bonac., Castr., Coninc., Busemb. ec., dicono, esser probabile questa seconda sentenza, semprecché non vi abbiano a succedere danni alla religione; ma perché questi danni praticamente sono inevitabili, perciò diciamo con Molina, Sporer, Salmat., Diana, ec., che in pratica dee seguirsi onninamente la prima sentenza2.

29. Si domanda per 3. Se possa il soldato militare col dubbio della giustizia della guerra. Si distingue: se egli è suddito, ben può, anzi è tenuto a militare, come dicono comunemente i dd. col celebre testo di s. Agostino nel cap. Quid culpatur, dist. 23. q. 1., dove dicesi, che il soldato può giustamente militare, sempreché non è certo esser la guerra ingiusta: Si utrum sit (contra praeceptum Dei) certum non est, son le parole del s. dottore. La ragione è perché il suddito è obbligato ad ubbidire, dove non vede certo peccato, come si disse al cap. I. n. 31. Chi poi non è suddito, non può militare se non sa certo che la guerra è giusta, perché niuno può cooperare a spogliare il prossimo della roba che possiede, se non sa certo che la possiede ingiustamente. E lo stesso dee dirsi de' soldati forestieri condotti con istipendio, purché non si trovassero condotti prima di muoversi la guerra3. Si noti qui, che peccano i soldati che fuggono dall'esercito, non essendo ancora disperata la vittoria, o dal campo senza giusta causa4.

30. Si domanda per 4. Quali azioni sieno lecite nella guerra giusta. È lecito per 1. l'uccidere, e 'l prender le robe de' nemici. Gl'innocenti non però non è lecito direttamente ucciderli, ma sì bene lo spogliarli delle robe, se essi son parte della repubblica nemica, ed altrimenti non possa ottenersi la vittoria, come dicono Molina, Bellarm., Laymann., ec. Ma i beni ecclesiastici dice Sporer doversi restituire, se ancora sono in essere5. Per 2. è lecito diroccare le chiese, se i nemici se ne servono per loro difesa. Per 3. servirsi de' stratagemmi, ma non già l'infettare i pozzi co' veleni, o far altro che la prudenza non può prevedere. Per 4. in qualche caso, ma raro, per urgentissima causa


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può ordinarsi anche il sacco alla città dal comandante, come dicono Laymann, Filliuc, Sa, ec. Per 5. è lecito ai presi in guerra il fuggire, sempreché possono. Per 6. sono lecite le dannificazioni a' nemici, chiamate repressaglia, purché vi sia l'ordine del principe, e costi dell'ingiuria fatta da' cittadini della repubblica nemica, e non si ecceda la giusta compensazione1. De' beni poi presi in guerra gl'immobili spettano al principe, i mobili a chi li prende, se altra non è la consuetudine2.




4 Lib. 3. n. 399. et n. 406.



1 Lib. 3. n. 400.



2 Tr. 4. c. 9. §. 5. n. 3. et confirmat tr. 8. c. 2. §. 1. n. 3. in fin.



3 Sess. 25. cap. 19.



4 L. 3. n. 401. qu., l. 7. n. 220. inf. Not.



5 L. 3. n. 401. in fin.



6 L. 7. n. 220. Not. 4.



7 Ibid. Not. 5.



1 Lib. 3. n. 404.



2 N. 406. v. Quaer.



3 N. 408.



4 N. 410. ad 6.



5 N. 409.



1 Lib. 3. n. 410.



2 N. 411.






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