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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Punto II. Del furto.

§. I. Dell'essenza del furto.

14. Definizione del furto.

15. Del povero in estrema o quasi estrema necessità.

16. Del riscatto de' cristiani.

17. Se il povero sia tenuto a cercare.

18. Se possa prendere la roba di gran valore.

19. Del ladro che consuma il furto in estrema necessità.

20. Se il ricco non sovvenendo sia tenuto alla restituzione.

21. Della compensazione.

14. Il furto si definisce, occulta, et iniusta rei alienae oblatio, invito rationabiliter domino. Un'occulta ed ingiusta ablazione della roba altrui, ripugnando ragionevolmente il padrone. Si dice per 1. occulta, per distinguere il furto dalla rapina, la quale si fa per violenza, ed aggiunge nuova colpa d'ingiustizia per ragione dell'ingiuria. Che se la roba è sagra, vi s'aggiunge il sacrilegio. Si dice per 2. ingiusta, perché altrimenti non è furto, né peccato, ond'è, che non pecca (per esempio) la moglie che toglie il danaro al marito, acciocché nol dilapidi con danno della famiglia; o gli toglie il vino, acciocché non s'ubbriachi5. Si dice per 3., ripugnando ragionevolmente il padrone, poiché in due casi può taluno prendere la roba altrui, anche ripugnando il padrone, cioè in necessità estrema, e quando vi entra giusta compensazione.

15. E per I. In quanto alla necessità, se alcuno prendesse l'altrui per sé, o per altri che sta in estrema necessità, per quanto è puramente necessario, non pecca; perché in tal caso i beni son comuni, secondo insegnano tutti con s. Tommaso6. E lo stesso corre per la necessità quasi estrema,


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come dicono comunemente Lugo, Lessio, Soto, Gaetano, Azorio, Silvestro, Cardenas, i Salmat., ec. Tal necessità sarebbe, quando taluno stesse in probabil pericolo della vita, come dicono Navarro, Vasq., Roncaglia, ec., o di perdere un membro principale, come Castrop., Dicast., e Tamburr., o di esser fatto schiavo, o di andare in galera, o d'incorrere un gravissimo o perpetuo morbo, o infamia, come Lugo, Roncaglia, Elbel, e Sporer da s. Tommaso. Lo stesso dice il p. Mazzotta con Suarez, ec., del pericolo di prostituir la figlia; ma quest'ultimo più probabilmente lo negano i Salmaticesi. All'incontro parmi più probabile con Lessio, Castrop., Bannez, Roncaglia, Viva, ec., che possa un nobile provvedersi della roba altrui, se stesse in estrema necessità, e talmente si vergognasse di mendicare, che più presto si contenterebbe di morire1.

16. Ma qui cadono più dubbi. Si domanda per 1. Se i ricchi sien tenuti a riscattare i cristiani da' turchi. Altri più comunemente l'affermano, come Azorio, Gaetano, Maior., e Filliuccio. Altri lo negano, come Sporer con Urtado. Ma se Sporer non dubita di concedere ad alcuno il prender l'altrui, quando si trovasse in pericolo d'esser fatto schiavo, come poi può liberare i ricchi dal contribuire almeno qualche mediocre sussidio, per redimere coloro che già son fatti schiavi? Il p. Concina scrive così, e molto probabilmente: se il ricco sa certo, che alcuno di tali schiavi sta in pericolo di perder la fede, o la vita, allora è più grave il suo obbligo. Del resto poi dice, che se il riscatto importasse gran somma, egli non ardirebbe d'imporre tal peso al ricco, perché ciò potrebbe incitare i turchi a più straziare i cristiani schiavi, ed a fare più prede: le quali cose ridonderebbero poi in danno comune de' fedeli2.

17. Si dimanda per 2. Se pecca il povero estremo, prendendo l'altrui senza prima cercarlo al padrone. Coninchio lo condanna i colpa grave; ma altri più comunemente, come Lessio, Laymann, e Concina, solo di colpa leggiera. Noi distinguiamo col dottissimo cardinal de Lugo così: se quella roba particolare non è assolutamente necessaria al povero, egli pecca gravemente prendendola senza chiederla; perché altrimenti tutti i poveri potrebbero prender l'altrui senza domandarlo. Ma se poi quella roba gli è assolutamente necessaria, affatto non pecca, come dice s. Tommaso3, perché allora esso ha ius di appropriarsela4. Si è detto povero estremo, perché nella necessità grave non è lecito a niuno il prender la roba aliena, come si ha dalla prop. 36. dannata da Innoc. XI.

18. Si dimanda per 3. Se nel detto caso che quella cosa sia al povero assolutamente necessaria a conservarsi la vita, possa egli prenderla, quando la roba fosse di gran valore. Lo negano La Croix e Concina; ma più giustamente l'affermano de Lugo, e Sporer, e lo chiama probabile Croix; perché nella necessità estrema il povero ha diritto nella roba altrui di qualunque valore ella si sia. Né osta il dire, che in questo caso il ricco non è tenuto (come per altro vuole la sentenza più comune e più probabile) a sovvenire il povero con tanto dispendio, v. gr. a dargli 3. o 4. mila ducati, come dicono Lugo, Castrop., Coninch., ec., purché il povero non fosse padre, o figlio; poiché la carità non obbliga con tanto incomodo. Mentre si risponde collo stesso card. de Lugo, che conforme nel principio del mondo, prima della divisione de' beni, ciascuno ben potea provvedersi del necessario, ma niuno all'incontro era obbligato per giustizia a provvederne il prossimo; così nel caso di estrema necessità, (nel quale i beni si fan comuni) può bensì il povero prendere i beni del ricco, ma non è tenuto il ricco per giustizia di provvederlo; sarebbe tenuto solamente per carità, ma la carità (come si è detto) non obbliga con tanto dispendio. Se


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non però in tal caso l'impedisse positivamente, egli peccherebbe contro giustizia (checché si dica Sporer); perché il povero allora, avendo diritto di potersi servire di quella roba, ha diritto ancora di non esser impedito a prenderla1.

19. Si dimanda per 4. Se il ladro sia tenuto alla restituzione del furto, dopo che venendo in estrema necessità l'ha consumato. L'affermano probabilmente, e più comunemente Lessio, Azorio, Concina, ed altri, dicendo, che la necessità sopravveniente non estingue l'obbligo della restituzione già contratto. Ma con tutto ciò la sentenza contraria di Castrop., p. Navar., Coninchio, Sporer, ec. (chiamata probabile dallo stesso Lessio) io non posso condannarla per improbabile, perché in tal caso ha il ladro lo stesso ius su quella roba che ha ogni altro povero di farla sua. Nondimeno ciò s'intende per 1. sempre che 'l povero ha bisogno di quella in particolare, come abbiam detto nel terzo quesito. S'intende per 2. se il ladro in quel tempo è povero non solo di fatti, ma anche di speranze2; poiché con tal distinzione diciamo ancora con Castrop., Lugo, Valenzia, Holzmann, La Croix, Sporer, Salmat., ed altri, che se uno è assolutamente povero anche di speranza, allora conforme il ricco è tenuto a dargli assolutamente in limosina ciò che gli bisogna, né soddisfa se glie lo ad imprestito; così il povero, se a caso poi divenisse potente a restituirlo, non è tenuto; ben sarebbe tenuto all'incontro, s'egli avesse altrove altri beni, o almeno speranza probabile di acquistarli3.

20. Si dimanda per 5. Se mancando il ricco di sovvenire il povero in estrema necessità, passata la necessità, sia tenuto alla restituzione. L'affermano Laymann, Concina, ec., dicendo, che il povero già avea diritto di prender la roba del ricco. Ma comunissimamente e rettamente lo negano Lessio, Lugo, Suarez, Vasquez, Coninchio, Sanchez, Holzmann, Salmaticesi, ec., perch'essendo tal obbligo di carità, come di sopra abbiam veduto, tolta ch'è la necessità, non istringe ad alcuna restituzione; e benché il povero avea diritto di prendere allora la roba del ricco, nulladimeno di quella non ha già acquistato il dominio4.

21. Per II. Può ancora taluno prender la roba del prossimo senza il di lui consenso, quando v'interviene giusta compensazione. Per far lecitamente la compensazione occulta, tre condizioni si richiedono: 1. che non si faccia con danno del debitore. 2. che 'l credito sia certo e liquido: 3. che non possa ottenersene altrimenti la soddisfazione: onde il creditore dee prima domandarlo per via di giudizio: benché, se ciò tralascia, non commette colpa grave, anzi neppur veniale, se la via del giudizio apportasse spese, odii, o altro danno; e perciò ordinariamente non pecca il servo compensandosi occultamente, se non gli è soddisfatto dal padrone il salario convenuto, o se iniquamente dal padrone è stato indotto a servire per un salario ingiusto; ma s'avverta, che allora non può prendersi più del prezzo infimo5. Se poi i servi possano compensarsi le fatiche straordinarie, si veda ciò che si è detto al capo VII. n. 11.

§. II. Della quantità del furto per essere materia grave.

22. Della gravità della materia a rispetto di diversi generi di persone.

23. e 24. De' furti delle vigne.

25. E delle legna.

26. De' furti minuti.

27. Furto delle reliquie sagre.

28. e 29. De' furti minuti fatti a molti, specialmente da' bottegai.

30. De' furti minuti fatti da molti nello stesso tempo.

31. Chi prende poca materia dopo il furto grave.

32. De furti de' figli.

33. Delle mogli.

34. De' servi.

22. Per giudicare quando la quantità del furto giunga o no a grave materia, dee considerarsi la quantità non solo in se stessa, ma anche a rispetto della persona, del tempo, e del luogo; per esempio il togliere un ago al sartore


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può esser materia grave, se quegli non potesse in quel luogo averne altro da procacciarsi il vivere. E così anche può esser grave (almeno contro la carità) il rubare una cosa di poco prezzo, se 'l padrone avesse a sentire una gran pena in perderla1. Ma parlando della quantità del furto in se stessa, questa diversamente si misura secondo le diverse qualità de' padroni. E perché tal misura dipende dal giudizio de' savi, perciò giustamente dicono i Salmaticesi, che in ciò le opinioni più comuni, si rendono ancora intrinsecamente le più probabili. I. A rispetto de' poveri che van mendicando, assegnano più comunemente i dd. un regale (che dagli autori si chiama anche giulio o argenteo, il quale importa in circa un carlino della nostra moneta), ed anche mezzo in qualche caso raro di gran povertà e bisogno. II. A rispetto de' poveri che faticano, due regali; benché diversamente parlano i dd. de' zappatori, che degli artigiani; onde diciamo, che per li zappatori probabilmente son materia grave due regali; ma per gli artigiani vi vogliono almeno due regali e mezzo, se tanto è già o maggiore il lor guadagno giornale. III. A rispetto de' benestanti che vivono di entrate proprie, Concina e Roncaglia assegnano tre regali; ma più comunemente altri ne assegnano quattro, ed altri sin a cinque. Nondimeno in ciò stimo doversi distinguere; poiché alcuni, benché vivano di entrate, nulladimanco vivono strettamente; e per questi saran materia grave anche tre regali; e forse anche meno, se vivono miseramente. All'incontro per una persona molto opulenta probabilmente il cardinal de Lugo richiede sei o sette regali. IV. A rispetto de' mercanti molto ricchi, molti dd. richiedono tre fiorini (il fiorino importa quattro regali). Ma questa somma parmi troppo eccedente; più volentieri mi unisco con la Croix, che per essi richiede otto regali. Per gli altri mercanti poi di mediocre fortuna ricercano i dd. quattro regali; ma io stimo, che per coloro che son di tenue patrimonio, bastino a far materia grave anche due regali e mezzo. V. A rispetto de' magnati più comunemente ricercano un aureo (cioè un ducato o sia scudo); benché altri ricercano più somma. E lo stesso dicono Sanchez e Cardenas a rispetto d'una comunità molto opulenta. VI. A rispetto finalmente de' monarchi dicono, non esser materia grave quella somma che non eccede due aurei; così Soto, Silvestro, Wigandt, Laymann, p. Navarr., Bannez, ec.2.

23. Si noti nonperò per 1., che ne' furti delle robe molto esposte, come sono i frutti nelle vie, e le legna ne' boschi, per rendere il furto grave si richiede maggior materia3.

24. Ma qui si dimanda per 1. Se sia lecito cibarsi dell'uve della vigna aliena. L'ammettono Covarruvio, Valerio, Ripa, ecc., avvalendosi del testo nel deuteronomio: Ingressus vineam proximi tui comede uvas quantum tibi placuerit; foras autem ne auferas tecum. 23. 24. E lo stesso dice l'Abulense de' pomi, e d'altri frutti. All'incontro lo negano de Lugo, ed Holzmann, dicendo, che ciò s'intendea per li soli ebrei, anzi per li soli vendemmiatori, che faticavano nella stessa vigna. Queste due asserzioni nonperò non si provano, anzi par che si provi il contrario; mentre Giuseppe ebreo, e molti altri autori appresso Calmet, sentono, che 'l testo non solo parlava per gli ebrei, ma per tutti gli altri: e che s'intenda non per li soli vendemmiatori, ma per tutti li viandanti, par che si provi dalle stesse parole citate del testo, ingressus vineam proximi tui, le quali più presto dinotano un passante, che altri il quale stia già faticando nella vigna, onde non giudico improbabile la prima sentenza. Del resto anche il cardinal de Lugo concede a ciascuno il poter prendere uno o due pomi, o pure due uve della vigna per dove passa4.

25. Si domanda per 2. Se mai sia lecito prender la legna della selva aliena.


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In ciò bisogna distinguere le selve delle comunità da quelle de' privati. Se la selva è della comunità, quantunque ben possa la comunità proibire sotto qualche pena il togliere le legna (purché vi sia altro luogo donde possansi comodamente quelle trasportare); nulladimeno dicono comunemente i dd., quando la selva è di tutta la comunità, i paesani che contro la proibizione tagliano, non peccano gravemente (anzi vogliono Soto, Sanchez, Salonio, Angles, Corduba, ec., che non pecchino neppur venialmente), né son tenuti ad alcuna restituzione, ma alla sola pena dopo la sentenza del giudice; poiché tal proibizione si reputa come legge mera penale, che non obbliga a colpa. E lo stesso dice de Lugo, Molina, Bonac., Filliuc., ec., di chi taglia le legna della selva della comunità vicina, perché allora si presume esser contenta quella comunità delle sole pene ch'esige, sempre che non dimanda la restituzione. Ciò nonperò s'intende, purché i tagliatori non facessero una grande strage d'alberi, con gran danno della comunità; onde Sanchez con Enziquez scusa chi tagliasse una sola sarcina il giorno per uso proprio, o pure due la settimana per venderle, e col ritratto alimentar la famiglia. Lo stesso tanto più corre, come dicono Soto, Mol., Sanch., Bonac., ec., quando vi sono due paesi vicini, i cui abitanti soglion vicendevolmente tagliar le legna delle loro selve. Questo val per le selve delle comunità, ma se fossero de' privati (checché si dicano altri), diciamo con Soto, Molina, Bonac., ed altri molti, che chi ne taglia le legna, è tenuto alla restituzione, perché i padroni hanno assoluto dominio su queste loro selve, sicché a lor arbitrio possono vendere le legna ad altri. E lo stesso ben dice La Croix de' privati, che dalle stesse comunità si hanno comprato o affittate tutte le legna; perché allora la comunità trasferisce loro tutto il suo diritto che ha su della selva. Quel che poi si è detto per le selve, si dice ancora per li pascoli1.

26. Si noti per 2. Che maggior materia parimente si richiede per render la colpa grave ne' furti minuti, perché sebbene è dannata la propos. 38. da Innoc. XI., la quale diceva: Non tenetur quis sub poena peccati mortalis restituere quod ablatum est per pauca furta, quantumcumque sit magna summa totalis; onde ben può dirsi la materia grave, ancorché i furti sieno stati tutti in materia parva, ed ancorché siensi fatti a diversi padroni, come direm nel numero seguente: nulladimeno vogliono comunemente i dd., che ne' furti minuti si richieda maggior materia; e maggiore se son fatti a diversi padroni, e più se in diversi tempi. Dicono Lessio, Trullench., e Villalob. indistintamente, che per li furti fatti in varie volte vi bisogna doppia materia per esser grave; per esempio se in una vi voglion quattro giuli, in più volta vi bisognano otto. Ma a me pare più equa la sentenza d'altri, che parlano con più distinzione, e dicono, che se il furto è fatto in più volte, o a diversi padroni nello stesso tempo, vi bisogna la metà di più, cioè sei giuli; se poi a diversi, ed in diversi tempi, il doppio, cioè otto. Ma ciò s'intende, purché il ladro da principio non avesse animo di prendere materia grave, perché allora corre la stessa regola che corre in altro furto fatto in una volta. All'incontro non s'intende quando tra l'uno e l'altro furto v'intervenisse un grande intervallo, poiché allora i furti minuti non si uniscono a far materia grave. Si dubita poi tra' dd., quale intervallo si stimi talmente grande, che scusi dalla restituzione sotto colpa grave. Laymann dice un anno; all'incontro Toledo, Navarr., Filliuc., Vidal., ecc., dicono un mese, ed anche quindici giorni; ma in ciò m'uniformo a Roncaglia e Viva, che ributtano quest'opinione; solamente l'ammette Viva, se la materia fosse molto tenue: e Roncaglia par che senta lo stesso, dicendo, che si richiede almeno l'intervallo di due mesi, quando la


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materia di ciascun furto si accostasse alla grave1. Sicché secondo quest'ultima opinione l'intervallo di due mesi scusa dall'obbligo grave di restituire i furti fatti con intervallo di due mesi, che non giungono a materia grave.

27. Si noti per 3., che conforme non pecca gravemente chi differisce la restituzione per breve tempo, com'insegnano comunemente Sanchez, Rebellio, Vasq., Sairo, La Croix, ec., così probabilmente anche dicono Lessio, Lugo, La Croix, e Vasq., che neppure è colpa mortale il prendere una somma grave aliena con animo di restituirla subito2. E qui si noti di passaggio, che chi ruba qualche parte anche minima di reliquia sagra nel distretto romano, incorre la scomunica imposta da Clemente VIII. All'incontro probabilmente scusano dalla colpa grave Sanchez, Castrop., La Croix, Bonac., ed altri, chi in altro luogo furasse una picciola parte di reliquia senza difformarla; purché non fosse una reliquia insigne, o rara, come della s. croce, o delle vesti di Gesù Cristo, o de' capelli di Maria Ss.3.

28. Si noti per 4., che circa i furti minuti alcuni hanno detto, come Angelo, p. Navarr. e Medina, che tali furti, quando son fatti a diversi padroni, non portano obbligo grave di restituzione. Nulladimeno quest'opinione è contro la comune, e deve affatto ributtarsi, come ben dicono Lugo, Sanch. i Salmatic., ec. Onde sempre che tali furti minuti uniti insieme giungono a materia grave (secondo si è detto nel n. 22), dee farsi la restituzione sotto colpa grave. La ragione, perché il precetto di non furare obbliga, non solo a non danneggiare il prossimo gravemente, ma anche a non arricchirsi colle robe d'altri4; bensì quando son fatti a diversi padroni, sempre vi vuole più materia, come si è detto al n. 26.. Ma si fa il dubbio in tal caso, a chi debba farsi la restituzione. Se i padroni sono incerti, non si dubita, che allora debba farsi a' poveri, o a' luoghi pii, come si dirà più a lungo nel n. 67. Se poi i padroni son certi, secondo la regola generale par che ad essi senza meno debba farsi la restituzione, benché sia picciola la porzione di ciascheduno: nonpertanto io stimo con altri dotti (da me consultati su questo punto), che non peccherebbe gravemente chi restituisse a' poveri del luogo: poiché tal ladro non ha già recato danno grave a' padroni in tal caso, ma alla repubblica, la quale, perché allora a lei spetta il ius più principale delle robe furate, perciò si presume ch'ella non sia gravemente invita, che la restituzione si faccia a' poveri, o a' luoghi pii che sono le sue parti più bisognose. Onde concludiamo, che restituendo il ladro a' poveri, o a' luoghi pii del paese, sarà scusato dal mortale; ed anche dal veniale, se vi è qualche causa, come se non potesse restituire a' padroni senza grave incomodo o pericolo d'infamia, o pure se vi fossero poveri molto bisognosi, a cui si presumesse che i padroni stessi acconsentano di far la restituzione5. E lo stesso diciamo per la restituzione che dovesse farsi da' bottegai per li furti minuti, fatti v. gr. d'olio, vino, ec., poiché in tal caso diciamo colla sentenza comunissima, che (per sé parlando) la restituzione non può farsi a' poveri, come dicono alcuni, ma dee farsi a' cittadini, i quali ordinariamente sieguono a comprare queste sorte di robe nelle stesse botteghe; ma chi restituisse a' poveri per la ragione detta di sopra sarebbe scusato dal peccato grave; ed anche dal leggiero, se non potesse farsi la restituzione a' cittadini senza pericolo d'infamia, o senza un notabile incomodo6. E così ritrovo aver anche scritto il Continuatore di Tournely, il quale, parlando appunto del bottegaio che ha defraudato il pubblico, dice: Restituat pauperibus loci, vel in alia opera eidem loco utilia insumat, si singulis restituere nequeat, etiamsi singuli defraudati agnoscantur, si tamen difficilior


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est executio, vel quia periculum est infamiae1.

29. Si noti per 5., che quantunque per l'obbligo grave nella restituzione si richieda la colpa grave teologica, come diremo al n. 39., nulladimeno ne' furti minuti, quando taluno è giunto a rubare materia grave, egli è obbligato sotto colpa grave alla restituzione, ancorché nell'ultimo furto, che ha compita la materia grave, non abbia avvertito al peccato mortale; poiché allora è tenuto, non già per l'ingiusta accezione, ma per l'ingiusta retenzione che fa della roba altrui; così comunemente Lugo, Cardenas, Viva, Tambur., La-Croix ec., contro alcuni pochi. Avvertendo nonperò, che allora per liberarsi costui dalla colpa grave, gli basterà restituire quella sola materia parva che ha compita la grave, come dicono Lessio, Sanch., Bonac., Vasqu., Rebellio, e La-Croix, contro alcuni altri2.

30. Si noti per 6., che se accadesse, che molti rubassero parva materia, purché non lo facciano di comun consiglio, niuno di essi pecca gravemente, quantunque ciascuno avvertisse il furto dell'altro, e il grave danno che ne avviene al padrone: così comunemente Habert, Lugo, Lessio, Sanch., Salmat., ec. E ciò corre ancorché rubassero nello stesso tempo, come dicono Lessio, Soto e Sanchez (contra Lugo), perché allora niuno in verità è per sé causa del danno del padrone, al quale il danno si rende grave per accidente; e lo stesso tiene Cuniliati, autor moderno domenicano. Ed ancorché l'uno si muova dal mal esempio dell'altro, è comune la sentenza di Molina, Lessio, Bonac., Sanch., Lugo, Salmat. e d'altri, che ciascuno di coloro che prendon parva materia con grave danno del padrone, pecchi già gravemente contro la carità per ragione dello scandalo che vicendevolmente si danno, ma non contro la giustizia; poiché l'esempio non è causa che positivamente influisce nel danno alieno3.

31. Si noti per 7., che se alcuno dopo compita la materia grave fa altri furti minuti, vogliono Lugo, La-Croix ec., che sempre di nuovo pecchi gravemente; ma più probabilmente dicono Lessio, Bonac., Tapia, i Salmat., che gli altri furti susseguenti non sono mortali, se non giungono a nuova materia grave4.

32. Si noti per 8., che i furti de' domestici, come de' figli, moglie, e servi, per esser gravi si richiede maggior materia; mentre i padroni a rispetto di costoro son meno inviti, o meno almeno inviti, che a rispetto degli estranei; e spesso sono inviti più in quattro al modo (di prendere di nascosto), che in quanto alla sostanza. E parlando particolarmente per 1. circa i furti de' figli, dicono Lessio, Navar. e Filliuc., che non pecca gravemente il figliuolo che ruba al padre ricco due o tre scudi; anzi dice Bannez, che da un padre molto opulento non è mortale il furto, se non giunge a cinquanta scudi; ma ciò lo ributtano giustamente de Lugo e La-Croix, se non fosse un figlio di principe. E lo stesso dice Holzmann, il quale all'incontro ammette, non esser grave il prender dieci scudi da un padre molto ricco; Sanchez l'ammette fino a cinque o sei. Se poi il padre mandasse cento scudi al figlio, che sta altrove a studiare, dicono probabilmente Soto, Navar., Laymann, ec., che 'l figlio ben può spenderne di quelli cinque in oneste ricreazioni5. Avverte nonperò Lessio, che benché il figlio peccasse gravemente rubando al padre, non è obbligato alla restituzione, quando il furto è già dissipato, e si presume, che 'l padre non voglia obbligarlo a tanto6. Se poi il figlio negoziando in casa del padre possa compensarsi il salario delle sue fatiche, si osservi ciò che si dirà al cap. X. num. 227., parlando della società.

33. Per 2. Circa i furti delle mogli anche vi vuole maggior materia. Può per altro la moglie prender quel ch'è


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necessario per le spese della famiglia, se 'l marito poco vi attende, come dicono Bannez, Trullench. e Busemb.1. In oltre, se la moglie tiene i genitori o figli d'altro matrimonio poveri, può prender da' beni comuni, ed anche del marito, per quanto bisogna a coloro per vivere secondo il loro stato, ancorché il marito ripugni, perché in ciò irragionevolmente ripugna; così Navar., Castrop., Les., Busemb. ec. Anzi Lugo, Molina, Sanch., Les. e Trullenchio ammettono ciò anche per li fratelli poveri2. In oltre la moglie ben può spendere in limosine e doni ciò che sogliono le altre sue pari, come comunemente dicono i dd. Dice Molina con alcuni altri, che può la moglie spendere in ciò la vigesima parte delle rendite annue del marito, cioè il cinque per cento; ma questa somma meritevolmente la stimano eccessiva Lugo, Sporer, La Croix, ec., almeno universalmente parlando3.

34. Per 3. Circa i furti de' servi dicono comunemente i dd., come Les., Gaetano, Navar., Sanch., Sporer, Busemb., ec., che i furti minuti che fanno i servi de' cibi che non sogliono chiudersi, questi non giungono mai a colpa grave, purché non si vendano, o non si caccino fuor di casa; e purché non si prendano in quantità straordinaria; o pure (si dee aggiugnere) se non fossero di straordinario prezzo4.




5 N. 518. et 519.



6 2. 2. q. 66. a. 7.



1 Lib. 3. n. 520.



2 Ibid. Qu. I.



3 2. 2. q. 66. a. 7.



4 Cit. n. 520. Qu. II.



1 Lib. 3. n. 320. Qu. III.



2 N. 520. Qu. IV. et V.



3 Ibid. Qu. IV.



4 Ibid. Qu. VI.



5 N. 521.



1 Lib. 3. n. 526.



2 N. 527. et 528.



3 N. 529.



4 N. 529. Qu. 2.



1 Lib. 3. n. 529. ubi haec fusius explicantur.

1 Lib. 3. n. 530.



2 N. 531.



3 N. 532. infra.



4 N. 534. Qu. I.



5 Ibid. Qu. II.



6 N. 595.



1 Tourn. tom. 1. de rest. pag. 391]



2 Lib. 3. n. 553.



3 Lib. 3. n. 537. et lib. 2. n. 45. in fin.



4 Lib. 3. n. 538.



5 N. 543.



6 N. 544.



1 Lib. 3. n. 541. v. 5.



2 N. 542.



3 N. 540.



4 N. 545.






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