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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Capo XIV - Avvertenze sui sacramenti in genere e specialmente del battesimo e della cresima

Punto I. De' sagramenti in genere.

1. Dell'attenzione ed intenzione.

2.. Quale intenzione si richiede nel ministro.

3. Dell'amministrazione sotto condizione.

4. Se dee negarsi il sagramento a' peccatori.

5. Quando la comunione.

6. Se gli sposi stanno in peccato ecc.

1. De' sagramenti in genere se n'è parlato distintamente nell'Esame degli ordinandi. Qui solamente noteremo alcune cose più particolari, che ivi stanno brevemente accennate, per quanto basta alla notizia dell'ordinando, ma in quanto al confessore ricercano maggior riflessione. Si noti per 1., che La-Croix nel ministro, oltre l'intenzione, richiede anche l'attenzione nel fare il sagramento, acciocché lo faccia validamente. Ma questa opinione è singolare, ed ha poca sussistenza, perché se fosse ciò, ne avverrebbe, che stando il ministro volontariamente distratto, benché vi fosse la sua intenzione virtuale, non sarebbe sagramento; ma è certo appresso tutti, che alla validità de' sagramenti non vi bisogna altro che la materia, la forma, e l'intenzione del ministro; e perciò insegnano Suarez, Lugo, ec. con


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lo stesso Croix, che quantunque il ministro stesso è distratto, sempre che vi è la sua intenzione, certamente si fa il sagramento1. Se poi pecchi mortalmente il ministro, che volontariamente si distrae nell'amministrare i sagramenti, è comune la sentenza, che negli altri sagramenti pecca solo venialmente, purché non vi sia pericolo d'errare; ma nella consagrazione dell'eucaristia dicono Concina e Tamburrino (contro La-Croix e Mazzotta), commetter colpa grave2.

2. Si noti per 2., esser certo circa l'intenzione del ministro, che non basta l'intenzione abituale, e tanto meno l'interpretativa, ma vi bisogna l'attuale, o almeno la virtuale. (Quale sia poi l'intenzione attuale, e quale la virtuale, o abituale, o interpretativa) vedi nell'Esame al n. 14.). Basta non pertanto l'intenzione coacta, cioè fatta per timore, perché il timore non toglie il volontario. Non osta poi l'errore del ministro circa la persona, v. gr. se pensando egli d'assolvere taluno, assolve un altro3. Queste cose son certe; quel che si dubita si è, se sia valido il sagramento, conferito colla materia e forma, ma senza l'intenzione di fare quel che fa la chiesa. Lutero diceva universalmente, che sì, ancorché l'azione si facesse per burla; ma ciò fu condannato dal trident.4. Alcuni poi, come sono Gaetano, Gioven., Contens., Serry, Milante ec., l'affermano, quando l'azione si fa seriamente. Ma la sentenza più comune e più ragionevole insegna, che vi bisogna necessariamente l'intenzione di esercitare il rito sagramentale che intende di fare la chiesa istituita da Gesù Cristo, così Bellarm., Suar., Vasq., Tournely, Petrocor., Concina, Antoine, Sal., Lugo, Bonac., ed altri innumerabili con Benedetto XIV.5. Il card. Bellarm. dice, che l'opinione contraria non differisce da quella de' novatori; il card. de Lugo similmente dice, ch'ella da tutti è ributtata, e che non molto è lontana dall'errore de' luterani: e 'l p. Vasquez la chiama già condannata. Da alcuni per prova della nostra sentenza si adduce quel luogo del tridentino6, dove dicesi, esser nulla l'assoluzione sacramentale, si sacerdoti animus serio agendi, et vere absolvendi desit. Ma ciò niente prova, perché Lutero volea, che il sacerdote non assolvesse veramente i peccati, ma solo dichiarasse, essere stati quelli assoluti da Dio, e per ciò il concilio parlò così. Meglio ella si prova dalla propos. 28. dannata da Aless. VIII., la quale diceva: Valet baptismus collatus a ministro, qui omnem ritum externum formamque baptizandi observat, intus vero in corde suo apud se resolvit: Non intendo facere, quod facit ecclesia. vale a dire, che la proposizione parlava del rito esterno giocoso, perché tale proposizione non era già quella degli eretici, ch'era già stata condannata dal tridentino, ma era degli autori cattolici, tra' quali niuno ha detto mai che basti il rito giocoso. Almeno, dice Benedetto XIV. nella sua opera de Synodo7 che l'opinione contraria colla condanna della suddetta proposizione ha ricevuta una grave ferita; onde soggiunge, che in pratica in ogni conto dee osservarsi la nostra sentenza. La ragione poi principale della nostra sentenza è quella che adduce s. Tommaso, cioè dell'azione d'ogni sagramento può riferirsi a più cose, v. gr. la lavanda nel battesimo può riferirsi a togliere o le macchie del corpo, o quelle dell'anima; e perciò vi bisogna l'intenzione del ministro, che determini il fine di quell'azione a produrre l'effetto del sagramento che amministra. Ecco le sue parole: Ea quae in sacramentis aguntur, possunt diversimode agi. Sicut ablutio aquae, quae fit in baptismo, potest ordinari et ad munditiam corporalem, et ad sanitatem corporalem, et ad ludum, et ad multa alia: et ideo oportet, quod determinetur ad unum, id est ad sacramentalem effectum, per intentionem


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abluentis1. Quindi l'angelico in altro luogo2 disse: Si minister non intendat sacramentum conferre, non perficitur sacramentum. Almeno saviamente dice Bened. XIV. nel luogo citato, che il sagramento conferito secondo l'opinione contraria sarebbe illecitamente replicarsi sotto condizione3.

3. Si noti per 3., esser ben lecito in caso di necessità amministrare i sacramenti sotto condizione; e non solo il battesimo, secondo sta espresso nel cap. 2. de baptism., ma tutti gli altri, come dicono comunemente Castropal., Suarez, Coninch., Habert., Roncaglia, Salm., ec. con Bened. XIV., contro Giovenino: e non solo in caso di necessità, ma sempre che vi è grave utilità, o altra giusta causa, come anche comunemente dicono gli autori citati, contro Antoine. All'incontro senza giusta causa, sarebbe colpa grave: benché Tournely e Salmat. non condannino di colpa grave un confessore, che assolvesse il penitente per maggior cautela sotto la condizione, se s'è disposto, ancorché disposto lo stimasse4. Non è necessario poi, che la condizione si esprima, basta che si ponga mentalmente, come comunemente vogliono Castrop., Tournely ed i Salmat.5.

4. Si noti per 4., che non può negarsi il sagramento al peccatore occulto, che pubblicamente lo cerca, come insegna s. Tommaso6, e come sta espresso nel cap. Si sacerdos, de off. iud. ord. Se n'eccettua il sagramento dell'ordine che anche per li peccati occulti può negarsi dal vescovo, come si è detto nell'Esame degli ordinandi num. 15. All'incontro dee negarsi al peccatore pubblico, ancorché pubblicamente lo cerci7. In dubbio poi del peccato e della penitenza: se il peccato è certo, e la penitenza è dubbia, anche dee negarsi; altrimenti poi, se il delitto è dubbio8. Se il peccato non è semplicemente pubblico, ma è noto alla maggior parte delle persone presenti, e solamente una o due persone probe l'ignorano, probabilmente benanche può negarsi il sagramento, come dicono La-Croix e Diana; ma più probabilmente non dee negarsi, come tengono Suarez, Bonac. Vedasi quel che si disse al capo XI. n. 11.9. Se poi il peccatore cerca il sagramento in luogo, dove il suo delitto è occulto, ancorché in altro luogo fosse pubblico, diciamo con Cabassuz., Soto, Vasq. ec. contro altri, che non può a lui negarsi, perché in tal caso ne avverrebbero gli stessi inconvenienti che succederebbero se si negasse il sagramento al peccatore, il cui delitto in niun luogo è pubblico10.

5. Si noti per 5., che, come prescrive il rituale romano11, deesi negare la comunione a' pubblici peccatori, sempre che non costa anche pubblicamente della loro penitenza, e non prima ch'essi abbiano riparato allo scandalo dato. Al che per altro dicono Possevino, Gio. Sanch., Busemb., e Croix, bastar la confessione fatta avanti più persone, in modo che tra breve ella sia per manifestarsi agli altri: purché non vi sia occasione prossima da togliersi, poiché se v'è una tale occasione, pubblicamente già nota, non dee darsi al pubblico peccatore la comunione, se non dopo rimossa l'occasione12. Se poi il sacerdote possa dar la comunione al peccatore pubblico, per timore della morte da lui minacciata, l'ammettono Bonac., Croix, ec. Ma noi con Ledesma, Concina, ed altri lo neghiamo, perché dee evitarsi più l'ingiuria del sagramento, che 'l proprio danno. Né osta il dire, che potendo già il ministro (come si è detto di sopra) dar la comunione al peccatore occulto, affin di evitare la di lui infamia, tanto più può darla per evitare la morte propria. Perché si risponde che in tanto può darsi la comunione al peccatore occulto per evitare la di lui infamia, in quanto la di lui infamia ridonderebbe in danno comune


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degli altri buoni, i quali nel vedere infamato quel peccatore pubblicamente per un peccato occulto, potrebbero facilmente atterrirsi di prender la comunione, per timore d'esser discacciati da qualche sacerdote imprudente. Ma questa ragione di evitare il pubblico danno non corre già nel caso nostro1.

6. Si noti per 6., che 'l parroco non può lecitamente assistere al matrimonio degli sposi pubblici peccatori, come rettamente dice Benedetto XIV.2 contro Laym., Lugo, Croix ec., i quali dicono, che il parroco è tenuto per suo officio di assistere, e che all'incontro la sua assistenza è pura materiale. Ma noi diciamo, che gli sposi in tale stato non hanno ius a pretendere l'assistenza del parroco, e perciò potendo egli lecitamente negare questa sua assistenza, è tenuto a negarla, per non farsi cooperatore del lor sacrilegio. E la stessa ragione corre per li testimoni; ma di più al parroco osta, ch'egli è obbligato per giustizia ad impedire i peccati delle sue pecorelle3. E qui avvertasi, che secondo il decreto di Clemente XI. confermato da Benedetto XIV. il parroco non dee procedere a far le pubblicazioni, se prima non esamina gli sposi, e non li trova bastantemente istruiti nelle cose della fede4. Se poi lecitamente possa la sposa contrar le nozze, e per conseguenza amministrare il sagramento (secondo la nostra sentenza, che gli sposi sono i ministri del matrimonio, come proveremo nel capo XVIII.) allo sposo ch'è pubblico peccatore; l'ammettono Sanch., Lugo, e Croix, dicendo, che gli sposi in ciò si hanno come privati contraendi, poiché nel matrimonio direttamente si fa il contratto, e solo indirettamente il sagramento: ma questa ragione non persuade essendo che a tal contratto vi sta annessa anche l'amministrazione del sagramento. Onde stimo solamente potersi dire, che la suddetta amministrazione, come fatta da ministri a ciò non consacrati, per essi non sia colpa grave, come probabilmente tengono Gonet., Suarez, Onorato Tour., Habert, Giov., Natale Aless., Conc., Anacl., Salm., ec., benché l'opinione opposta che sia grave di Lugo, Ponzio, Nav., Vasqu., Concin., Tournel., Croix, ec., io la giudico più probabile5, come si è detto nell'Esame degli ordinandi al cap. 1. num. 12. È noto poi, che i matrimoni cogli eretici sono dalla chiesa proibiti6. L'altre cose appartenenti a' sagramenti in genere si sono notate nel suddetto Esame al capo 1.




1 Lib. 6. n. 14., et vide etiam lib. 4. n. 177. v. 3. Ratio 2. et Croix lib. 6. n. 85.



2 Ibid. v. Utrum



3 Lib. 6. n. 19. v. Sufficit.



4 Sess. 7. can. 11.



5 De syn. l. 7. c. 4. n. 9.



6 Sess. 14. cap. 6.



7 Lib. 7. c. 4. n. 8.



1 3. p. q. 64. art. 8.



2 Opusc. 5. de eccl. sacram.



3 Lib. 6. n. ? ad 25.



4 N. 27. et 28.



5 N. 29.



6 3. p. q. 80. a 6. c. 7.



7 N. 50.



8 N. 48.



9 N. 45.



10 N. 46.



11 De sacr. euch.



12 Lib. 6. n. 47. 48.



1 Lib. 6. n. 49.



2 De syn. 1. 8. c. 14. n. 5.



3 Lib. 6. n. 54.



4 De syn. 1. 8. c. 14. n. 5.



5 Lib. 6. n. 32.



6 N. 56.






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