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S. Alfonso Maria de Liguori Istruzione e pratica pei confessori IntraText CT - Lettura del testo |
Punto VIII. Del sigillo della confessione.
148. Delle persone che sono tenute al sigillo.
149. S'è tenuto chi è richiesto del consiglio dal confessore con licenza del penitente.
150. Se chi è richiesto dallo stesso penitente.
151. Se chi legge la carta della confessione.
152. Cadono sotto il sigillo. I. Le colpe anche minime. II. I peccati del complice; ma con licenza del penitente può ammonirsi il complice.
153. III. L'oggetto del peccato. IV. La penitenza. V. Le circostanze, ma non le impertinenti. VI. Le rivelazioni e virtù quando ecc. VII. Gli scrupoli.
154. VIII. I difetti naturali.
155. Caso del penitente sordo.
156. Casi, ne' quali non v'è obbligo di sigillo. Della licenza del penitente: e se è lecito dentro la confessione ammonirlo senza licenza.
157. Casi, ne' quali si offende il sigillo. I. Chi dicesse che in monastero ecc.
158. Chi dicesse che in un paese ecc.
159. II. Chi si serve della notizia per lo governo in gravame ecc.
160. Se ritorna un penitente di mala coscienza ecc.
161. Se il confessore possa guardarsi da' danni ecc.
162. Se possa darsi la cartella della confessione ecc.
163. Se il penitente minaccia la morte ecc.
164. Se sia lecito servirsi delle opinioni probabili, ecc.
147. Il sigillo sagramentale induce l'obbligo di tacere i peccati, e tutte le altre cose dette in confessione in ordine a ricevere l'assoluzione, anche parlando collo stesso penitente; e questo è un obbligo così stretto, che il confessore in niun caso e tempo mai può rivelarle, ancorché dovesse patirne la morte. Per procedere con distinzione su questa materia così intricata, noteremo qui in primo luogo le persone che sono tenute al sigillo; in secondo le cose che cadono sotto il sigillo; in terzo i casi nei quali si offende il sigillo; in quarto i casi ne' quali non si offende.
148. Ed in primo luogo notiamo le persone che son tenute al sigillo. Generalmente parlando, son tenuti al sigillo tutti coloro, a' quali perviene in qualunque modo la notizia della confessione. Ma parlando in particolare, son tenuti 1. Il confessore, il quale violando il sigillo commetterebbe tre peccati, di sacrilegio per l'ingiuria che fa al sagramento, d'ingiustizia che fa al penitente, ed anche di detrazione se 'l peccato non fosse pubblico. Il confessore, se mai venisse interrogato de' peccati intesi, può ben asserire anche con giuramento di non avere inteso niente; poiché di tutto ha inteso egli in confessione, non ne ha scienza comunicabile; così comunemente s. Antonino, Suarez, Laym., Wigandt, Antoine, ed altri con s. Tommaso1, il quale dice: Potest iurare se nescire, quod scit tantum ut Deus. E ciò ancorché, come dicono Lugo, Vasq., Suar., Laym., Croix ec. (contro Concina), il confessore fosse richiesto a rispondere, non come uomo, ma come ministro di Dio; o pure se fosse richiesto a rispondere senza equivoco, come dicono Lugo, Holzm., Croix ec., poiché allora egli già risponde senza equivoco, cioè (s'intende) senza quell'equivoco che può lecitamente omettersi, mentre all'incontro l'interrogante non ha ius che se gli risponda senza quell'equivoco che non può lasciarsi senza peccato. Se poi il confessore è dimandato, se ha data o no l'assoluzione al penitente, a cui forse egli l'ha negata, dee rispondere: Ho fatto l'officio mio. Ma il dir così anche qualche volta può dar sospetto dell'assoluzione negata; onde a tutte queste temerarie interrogazioni sempre sarà meglio rispondere rimproverando: Son dimande queste da farsi? Se poi avvenisse il caso, che il confessore non assolvesse taluno, e 'l chierico interrogasse, se il penitente si ha da fare la comunione? il confessore dee rispondere: Dimandatelo a lui, se vuol comunicarsi2. II. È tenuto anche al sigillo il prelato, ch'è stato richiesto della licenza per li casi riservati, come rettamente dicono Suarez, Lugo, Concina, e Salmatic.
(contro Castropal. e Vasquez), perché altrimenti si renderebbe odiosa la confessione. III. L'interprete. IV. Chi ascoltasse qualche cosa (anche a caso senza sua colpa) detta dal penitente in ordine alla confessione, come dicono comunemente Bonac., Laym., Suarez, Castrop., Salmat. ec. contro Soto. Così parimente chi sentisse il peccato confessato ad alta voce in qualche necessità di naufragio, battaglia ecc. Altrimenti poi, se 'l penitente avesse voluto per sua confusione confessarsi in pubblico: Castrop., Coninch., Salmat. ecc. V. Tutti coloro a' quali sacrilegamente è pervenuta la rivelazione fatta del sigillo, comunemente Laym., Holzmann, Salmat., Conc., Sporer ec. VI. Il laico che per inganno si fosse finto confessore; Suarez, Lugo, Roncaglia, ed altri comunemente contro Soto e Vasquez. VII. Chi ha scritta la confessione del rozzo. Alcuni aggiungono che ancora il penitente è tenuto sotto lo stesso sigillo sacramentale a tacere le cose dettegli dal confessore; ma ciò lo nega la comune e vera sentenza con Laym., Wigandt, Suarez, Castropal., Bonac., Salmat., Holzm., Busemb. ecc. perché in verità il diritto del sigillo è stato istituito in beneficio de' soli penitenti, e perciò solamente ad essi s'appartiene. Tutti nonperò dicono con Holzm., che 'l penitente è tenuto col vincolo del segreto naturale a non manifestare le cose dettegli dal confessore, se la manifestazione può recare a lui danno; ed io aggiungo, che un tal vincolo è più stretto che il semplice naturale, mentre i consigli dati dagli altri sono spontanei, ma quelli del confessore sono dati per obbligo e per officio; onde ne deduco, che rarissimo sarebbe il caso, in cui potrebbe il penitente rivelare un tale segreto con danno grave del confessore1.
149. Si dimanda per 1. Se il dottore, al quale il confessore cerca consiglio con licenza del penitente, sia tenuto al sigillo sagramentale. Lo negano Castr., Vasquez, Tambur., Diana ecc. dicendo che allora la notizia del peccato non si ha dalla confessione, ma dalla manifestazione fatta per licenza, e conseguentemente in nome del penitente; onde siccome non sarebbe tenuto al sigillo sagramentale, chi fosse richiesto del consiglio dallo stesso penitente, così neppure chi è richiesto in nome del penitente. Ma più comunemente e più probabilmente l'affermano Silvio, Navarr., Suarez, Lugo, Laym., Bonac., Sporer, Croix, Petrocor., Ronc., Mazzotta e Viva, ed espressamente l'insegna anche s. Tommaso2. La ragione è, perché la stessa istituzione di questo sagramento esige, che resti obbligato al sigillo ognuno a cui perviene la notizia del peccato per ragion della confessione, altrimenti la confessione sempre resterebbe odiosa. Oppone Tamb., che 'l penitente in dar la licenza presumesi ch'egli stesso voglia estrarre quella notizia dall'obbligo del sigillo; ma noi rispondiamo con Lugo e Sporer, che anzi si presume il contrario, cioè che ogni penitente, dando la licenza, la dia colla maggior restrizione che può imporvi, trattandosi di una cosa tanto odiosa, quanto è il farsi noti i suoi peccati3. Si avverta qui non però che, non ostante il sigillo, il dottore che ha dato il consiglio, sin tanto che non è compito il giudizio coll'assoluzione, può liberamente parlare del caso col confessore, e cogli altri convocati al consiglio, perché moralmente così s'intende data la licenza. Si avverta di più, che se mai avvenisse, che due confessori cercassero separatamente il consiglio dello stesso caso al medesimo dottore colla licenza del penitente, dice il cardinal de Lugo, che allora non può parlare il dottore col secondo confessore delle circostanze intese dal primo, ed ignote al secondo; ma con pace di un tanto autore, io per me sento il contrario, perché dando il penitente licenza al secondo confessore di parlare del caso collo stesso consigliere, siccome certamente dee credersi che 'l penitente non voglia
altro consiglio che 'l retto, così anche dee certamente presumersi, ch'egli consenta, che 'l consigliere dica tutto ciò che sa, e che bisogna dire per dare il buon consiglio1.
150. Si dimanda per 2. Se sia tenuto al sigillo colui, dal quale lo stesso penitente cerca consiglio per la confessione che vuol farsi con altri. L'affermano Tambur., Conc., Sporer, Antoine, Croix, Diana ecc., mentre dicono, che bisognando spesso a' penitenti di prender consiglio per ben confessarsi, se il consigliere non fosse tenuto al sigillo, si renderebbe odiosa la confessione. Ma più probabilmente lo negano Suarez, Castrop., Aversa, Enriq. ecc. La ragione si è, perché l'obbligo del sigillo sacramentale non nasce che dalla sola sagramental confessione, fatta affine di ricever l'assoluzione come insegnano tutti con Vasquez, Suarez, Gabr., Concina, Castr., collo stesso p. Concina, e con s. Tommaso2, il quale dice: Sigillum confessionis non se extendit, nisi ad ea de quibus est sacramentalis confessio. Ond'è che il consigliere in quanto alla notizia del peccato datagli per ricever da lui il consiglio (ma non l'assoluzione) sarà ben egli tenuto al sigillo naturale, ma non già al sagramentale. Alla ragione poi opposta si risponde, che il timore della rivelazione renderebbe già odiosa la consultazione, ma non la confessione. Se mai la consultazione in qualche caso fosse necessaria per la confessione, non neghiamo, che allora la rivelazione renderebbe odiosa anche la confessione; ma non sappiamo ritrovar questo caso, che taluno per confessarsi sia assolutamente obbligato a consigliarsi con altri fuori del confessore. Altrimenti poi sarebbe, com'io la sento, contro Erriquez, se 'l penitente si consigliasse col confessore, per confessarsi appresso con lui medesimo di quelle stesse cose che allora manifesta; perché allora quella consultazione si stima una confessione prossimamente incominciata, mentr'è fatta a ricevere da lui stesso l'assoluzione3.
151. Si dimanda per 3. Se sia tenuto al sigillo chi legge la carta, dove il penitente ha scritta la sua confessione. L'affermano Antoine, Sporer, Ronc., ed altri pochi, sì perché (come dicono) quella scrittura è prossimamente ordinata alla confessione futura, o pure sta in vece della confessione già fatta; sì perché la manifestazione di tale scrittura renderebbe odiosa la confessione. Ma lo negano comunissimamente e più probabilmente Soto, Navarr., Suarez, Bonac., Wigandt, Sairo, Laym., Conc., Castr., Lugo, Holzmann, Viva, Elbel, Salmatic. ecc., perché il sigillo non si contrae nella preparazione alla confessione, ma solo nella confessione attuale, o già prossimamente incominciata, come abbiamo detto di sopra. E non essendo la scrittura ordinariamente necessaria per confessarsi, si risponde alla seconda ragione opposta (parimente come si è risposto nella questione antecedente), che 'l timore della rivelazione della scrittura renderebbe odiosa già la scrizione, ma non la confessione. Rettamente non però n'eccettuano per 1. Lugo, Sporer, Holzm. ec., se quella scrittura fosse fatta dal muto, che non potesse altrimenti confessarsi. Per 2., se fosse l'epistola fatta al superiore per ottener la licenza de' riservati. Per 3., come ben dicono anche Viva, Wigandt, collo stesso Lugo, se quella carta fosse consegnata al sacerdote per la confessione da farsi, perché allora che si ha come una confessione principiata, o pure (aggiungono) se quella carta fosse stata lasciata a caso nel confessionale dopo fatta la confessione. Del resto fuori di questi casi, come dicono Laym., Castr., e Sporer, chi leggesse simili scritture (e tanto più chi le manifestasse) non può essere scusato da peccato grave, se non sapesse per certo che ivi si contengono minime colpe. Di più aggiungono Laymann e Sporer, che i peccati ivi contenuti non possono rivelarsi, se non in caso d'una somma
necessità, come sarebbe per salvare la repubblica o la vita d'un innocente1.
152. In secondo luogo si notano le cose che cadono sotto il sigillo, e sono: I. Tutte le colpe del penitente da lui dette con animo di accusarsi (ma non già se fossero narrate per semplice racconto), anche le veniali più minime; poiché in materia di questo sigillo e certo appresso tutti, che non si dà parvità di materia. E ciò quantunque il penitente fosse partito indisposto senza assoluzione2. II. I peccati del complice manifestati dal penitente anche senza necessità3. Già si è detto poi al num. 42., non esser mai lecito al confessore interrogare il penitente del nome del complice. Se poi colla di lui licenza possa ammonire il complice; lo nega Tambur. con Vasq., dicendo, che i peccati del complice anche cadono sotto il sigillo sagramentale, sicché il confessore non può parlarne senza licenza così del penitente, come dello stesso complice. Ma l'afferma la vera sentenza con s. Anton., Gersone, Adriano, Nav., Suarez, Lugo, Roncaglia, Croix, ec., poiché il sigillo sagramentale non è stato istituito per altro fine, se non acciocché i penitenti liberamente si confessino senza timore, che abbiano a sapersi i loro peccati. Né vale a dire, che altrimenti la confessione si renderebbe odiosa agli altri; perché si risponde, che quel solo odio della confessione dev'evitarsi, che ritrae i penitenti dal confessarsi, ma non già quello che muove gli empi a desiderare, che i loro complici non si confessino. Del resto il confessore non deve essere importuno co' penitenti in chieder da loro queste licenze con replicate dimande, poiché di quelle licenze, che non sono tutte spontanee e pienamente libere, anche ottenute, egli neppure potrà avvalersene. Onde procuri d'esser ritenuto quanto può in cercare queste licenze, senza precisa necessità. E quando vi fosse la necessità, meglio è farsene parlare dal penitente fuori di confessione4.
153. III. Cade ancora sotto il sigillo ciò ch'è oggetto del peccato confessato, v. gr. se 'l figlio si accusa di aver ingiuriato il padre, perché quegli ha fatta qualche rissa, la rissa del padre sarebbe l'oggetto del peccato, che non può manifestarsi dal confessore, come dicono comunemente Filliuc., Viva, Renzi, Sporer, e Tamburino. Probabilmente nonperò dicono questi due ultimi autori, che se alcuno si confessasse per esempio d'essersi compiaciuto d'un omicidio avvenuto nella piazza, l'omicidio non cadrebbe sotto il sigillo, perché allora non si giudica, che 'l penitente abbia voluto includere nel segreto quel delitto, che pubblicamente è noto. Del resto è regolarmente accettata da tutti la regola, che non cadono sotto il sigillo tutte quelle cose la di cui manifestazione non induce né pericolo di rivelazione diretta o indiretta, né gravame del penitente5. IV. La penitenza imposta, s'ella è grave, anzi meglio dee dirsi, s'ella non è delle minime, che sogliono imporsi ordinariamente per le colpe veniali le più leggiere. V. Tutte le circostanze de' peccati anche spiegate dopo 'l assoluzione, sempre ch'elle sian dette in ordine alla confessione, v. gr. se taluno si confessasse di avere presi gli ordini con esser egli spurio, o d'essersi vantato per dotto con essere ignorante, l'ignoranza allora e l'illegittimità cadono sotto il sigillo. E ciò corre anche nel dubbio, se le circostanze sian dette, o non in ordine alla confessione, come dicono comunemente Suar., Bonac., Salm., Tambur., Croix, e Mazzotta6. Del resto ben notano Coninch., Tannero, e Diana, che non v'è obbligo di sigillo per quelle cose che dal penitente si dicono solo per accidente, e niente s'appartengono alla confessione, o alla spiegazione de' peccati7. VI. Cadono ancora sotto il sigillo le rivelazioni e le virtù quando si fan note al confessore per dichiarare qualche difetto commesso, o pure la propria ingratitudine verso Dio;
altrimenti pi, se si manifestano solo per far inteso il confessore dello stato dell'anima: così distinguono saviamente Lugo, Roncaglia, Croix, Mazzotta, e Viva. VII. Cadono ancora gli scrupoli, o la scrupolosità, di cui si confessa il penitente in dichiarare i suoi peccati, o in esporre la sua coscienza, come rettamente dicono Coninchio, Lugo, e Granado, contro Marcanzio, perché ciò almeno in obliquo è materia della confessione. Altrimenti poi sarebbe, dice Lugo, se la scrupolosità non si conoscesse per la relazione del penitente, ma apparisse dal modo stesso di confessarsi; ma a ciò neppure io so accordarmi, mentre con ragione dicono Castrop., Hurtado, Con., Sporer, Tamb., ec., che molti mal sopportano d'esser tenuti e chiamati scrupolosi, specialmente se sono prelati, confessori, o giudici ec., perché l'essere scrupoloso è difetto almeno naturale, essendo segno di mente perplessa e confusa, e tali difetti naturali conosciuti per la confessione neppure è lecito manifestarli, come diremo qui appresso? Perloché in ciò non l'ammetterei, se non parlando de' secolari, i quali col dire, che sono scrupolosi, più presto si lodano, mentre con ciò vuol dirsi, che sono di timorata coscienza1.
154. VIII. Cadono ancora sotto il sigillo (come già si è accennato) i difetti naturali del penitente, come 'l esser sordo, balbuziente, povero, ignobile, ignorante, ec., sempre che si ha la notizia di quelli della confessione, come dicono comunemente Suar., Lugo, Busemb., Conc., Roncaglia, Mazzot., ec. E ciò ancorché il penitente esponesse tali suoi difetti senza necessità, ma solo per migliore spiegazione delle sue colpe, come ben notano Lugo, Salmaticesi, Croix, ec. Altrimenti poi, come soggiungono comunemente gli stessi aa. citati, se la manifestazione di quelli niente s'appartenesse alla confessione; poiché allora non si giudica, che 'l penitente voglia sottoporli al sigillo; anzi ancorché volesse sottoporli , dico, che neppur lo potrebbe, mentr'egli impertinentemente vuol manifestarli2. Quel che dicono poi Lugo, Nav., Roncaglia, Mazzot., ed altri con Diana (il quale la chiama opinione comune, ma non v'è vero, come vedremo), che neppure cadono sotto il sigillo i difetti che si conoscono dalle stesse azioni del penitente, o dal modo di confessarsi, verbi grazia, che sia rozzo, balbuziente, o di natura impaziente, irrisoluta ec., perché allora (come parlano) non è che quelli si dicano, ma si commettono nella confessione; ciò con ragione non l'ammettono Castr., Con., Hurt., Spor., Tambur., Conc., Ant., Renzi, ec., mentre, sempre ch'essi si conoscono per cagione della spiegazione de' peccati, il manifestarli renderebbe odiosa la confessione. Neppure so accordarmi a quel che dicono gli stessi suddetti aa., Sporer, Tambur., e Concina con Wigandt, e Viva, che non v'è sigillo per tali difetti, se dal penitente si riferiscono in modo, che secondo le circostanze appariscano comunemente noti, perché allora (come dicono) si presume, che 'l penitente non li narri se non come noti; mentre giustamente dice Holzmann, che la loro manifestazione può ritardare in qualche modo i penitenti dalla confessione. Ciò nondimeno s'intende solo per quei difetti, la manifestazione de' quali può da sé recare qualche dispiacenza al penitente, come sarebbe il dire, che sia sciocco, di natura impaziente, di tratto rozzo, incapace, povero (se quegli è nato civile); ma non già quando son difetti, che non apportano rossore, o rimproveramente, com'è l'esser cieco, sordo, mendicante, e simili, e che all'incontro sono già comunemente noti. Neppure poi all'incontro stimo esser lecito, ordinariamente parlando (contro quel che dice Lugo) manifestare i peccati commessi dal penitente, nel mentre che si confessa, v. g. l'ingiurie da lui dette al confessore e simili; perché con ciò si manifesterebbe indirettamente, o l'assoluzione negata, o qualche forte riprensione fatta. Quel che dice poi Roncaglia, che se alcun
penitente fosse comunemente noto per molto prolisso e modesto nel confessarsi, il confessore non frangerebbe il sigillo, se lo sfuggisse per liberarsi da quel tedio, ciò può ammettersi, ma solamente quando comunemente insieme quel penitente fosse stimato di buona coscienza; altrimenti poi direi, se vi fosse sospetto, che la di lui coscienza sia aggravata anche di cose gravi.
155. Parliamo qui d'un altro caso facile ad accadere, ma che non si trova considerato appresso gli autori. Si dimanda, che dovrebbe fare il confessore, se taluno confessandosi confusamente di materie gravi, ed interrogandolo il confessore delle circostanze, o dell'abito, conoscesse che quegli è sordo, mentre o non risponde, o non risponde a proposito; ed all'incontro non potesse il confessore alzar la voce per li circostanti che vi sono. Io dico così: Se al principio della confessione avverte, che 'l penitente è sordo, allora deve imporgli, che ritorni in tempo e luogo opportuno, dove non vi sieno altri che sentano; e tra tanto può manifestare a' circostanti la sordità del penitente, quando ella è comunemente nota. Ma se l'avvertisse in progresso della confessione, allora non può il confessore imporgli a voce alta che ritorni, perché darebbe sospetto agli altri, che colui si sia confessato già di materia grave; e perciò in tal caso io direi, che 'l confessore cercando d'intendere i peccati nel miglior modo che può dia l'assoluzione al penitente; assoluta, se probabilmente lo stima disposto; condizionata, se dubita della disposizione; e la penitenza in questo caso dee darla leggiera, giacché gli altri l'hanno da ascoltare1.
156. In terzo luogo notiamo i casi ne' quali non v'è obbligo di sigillo. I. Quando la confessione è stata fine, o pure è stata fatta a mal fine di turbare o di pervertire, o d'illudere il confessore. II. Se taluno dicesse qualche cosa, e si protestasse di dirla sotto sigillo di confessione, in ciò non v'è mai sigillo sagramentale, perché un tal sigillo non può indursi, che dal solo sagramento2. III. Se 'l confessore dice in generale, che la confessione è stata di materia veniale. Dico di materia veniale, perché sarebbe frazione di sigillo il dire, che sia stata di più peccati veniali, o il nominare qualche colpa in particolare, benché minima, giacché in questo sigillo non si dà parvità di materia; così comunemente Laymann, Suarez, Lugo, Salmat.3. IV. Se loda la coscienza del penitente; ma in ciò deve avvertire a non dar sospetto della mala coscienza degli alti, i quali nello stesso tempo forse si fossero da lui confessati. V. Se dice, che taluno si ha fatta con esso la confessione; purché il penitente non gli proibisca di manifestarlo; o purché quegli non fosse venuto nascostamente a confessarsi, come avvertono Navar., Busembao, Sporer, Holzmann, ec. VI. Se parla generalmente di aver intero un qualche peccato in confessione; in modo che moralmente non possa venirsi in cognizione del penitente. Ma in ciò per altro debbono star molto cautelati i confessori, specialmente parlando ne' luoghi piccioli; perché spesso per le circostanze delle persone o del paese, possono gli uditori venire in cognizione, o almeno in sospetto de' penitenti. VII. Se s'avvale della notizia avuta fuor di confessione, purché non manifesti alcuna circostanza conosciuta per la sola confessione. Ed in ciò anche vi vuol cautela, perché alcuna volta, se non v'è rivelazione, almeno può esservi pericolo di scandalo negli uditori, con apprendere, che si rivelino le confessioni4. VIII. Se palesa qualche cosa con licenza del penitente, il che certamente è lecito, come insegnano Navar., Laymann, Lugo, Concina, Wigandt, Roncaglia, ed altri comunemente con s. Tommaso5, contro Scoto, Durando, ed altri pochi, i quali dicono, non esser permesso al penitente dar questa licenza; ma noi diciamo colla comune,
che un tal sigillo, siccome solamente a beneficio de' penitenti è stato posto, così ben essi possono rimuoverlo. Avvertasi non però, che acciocché il confessore possa avvalersi di tal licenza dev'esser ella per 1. espressa per 2. affatto spontanea; onde non può servirsene chi mai l'avesse ottenuta per minacce, o per meto riverenziale, come sarebbe se l'ottenesse con più replicate domande, dopo che il penitente avesse da principio ripugnato di farla; perloché sempr'è consiglio, che s'induca il penitente a dir fuori di confessione quel che dee palesare: per 3., che non sia rivocata, perché il penitente sempre può rivocarla; e lo stesso io stimo che corra, quando si giudica, che 'l penitente in qualche caso, se fosse presente, la rivocherebbe, perché allora il servirsi d'una tal licenza par che anche renderebbe odiosa la confessione. Si avverta qui con Henriquez, Graffis, e Diana, che in dubbio se il confessore abbia parlato o no con licenza, si dee più presto credere al confessore, che al penitente, o agli eredi, v. gr. quando il confessore per la licenza del penitente manifesti la restituzione da farsi. In oltre s'avverta, che alle volte una tale licenza si concede dal penitente col fatto, cioè quand'egli comincia da sé a parlare delle cose dette in confessione, come insegnano comunemente Tannero, Bonacina, Suarez, Concina, Antoine, Roncaglia, Busembao, Salmaticesi, ed altri con Lugo; il quale avverte di più, che allora persevera già il sigillo sagramentale, riputandosi quella licenza moralmente congiunta colla confessione fatta1. Già si disse poi al n. 124., che non è mai lecito ammonire il penitente senza sua licenza di qualche errore commesso in confessione. È ben lecito non però ammonirlo dentro la confessione di tutt'i difetti commessi, e colpe confessate anche nelle antecedenti confessioni; come comunemente dicono Lugo, Salmat., Wigandt, Concina, Antoine, Ronc., Spor. (checché si dicano improbabilmente Diana e Fagundez), perché spesso s'appartiene all'officio del confessore il dover far menzione delle cose passate, sempre che si giudica, essere ciò utile al penitente. Né si dica, che 'l penitente ritiene il ius del sigillo, anche nella nuova confessione che si fa, perché anzi dee dirsi più presto, che 'l confessore nell'atto della confessione ha il ius di dire tutto ciò che giova al penitente, e di sapere tutte quelle cose, la cui notizia può servire per meglio ammonire e dirigere il penitente2. E ciò dicono anche comunemente i suddetti aa. esser lecito al confessore farlo immediatamente dopo l'assoluzione3.
157. In quarto luogo si notano i casi quando si offende il sigillo. La regola generale si è, che si offende il sigillo sempre che si fa uso della confessione, o con rivelare direttamente, o indirettamente il peccato, o pure con gravame del penitente. Ma veniamo a' casi particolari. I. Frange il sigillo chi dicesse, che in un certo monastero ha inteso un grave peccato d'un religioso, o pure che ivi si commettono gravi peccati, ancorché non nominasse la persona; perché allora ciascuno di quel monastero patirebbe danno; così comunemente Suarez, Busembao, Diana, Concina, Castropalao, Laymann, ecc. (checché si dicano Escob., Henriquez ec.) Lo stesso dice Diana con Maldero, se dicesse, d'aver inteso il peccato d'un religioso d'un tal ordine. Ma probabilmente a questo contraddice il p. Concina, mentre il dire ciò non si reputa rivelazione di sigillo, né gravame del penitente, poiché in qualsivoglia ordine comunemente vi sono i religiosi cattivi; purché quella non fosse una religione di stretta osservanza4. Dice ancora Diana, che 'l confessore d'un monastero di monache darebbe scandalo, se predicando nominasse i loro difetti intesi in confessione. Ma ciò anche deve intendersi cum grano salis, cioè nel caso che nominasse qualche colpa particolare d'alcuna monaca, o
di quel monastero; ma non già se parlasse in comune de' difetti che comunemente in tutt'i monasteri sogliono o possono commettersi; altrimenti chi confessa ne' monasteri, non potrebbe mai ivi predicare; il che non dee dirsi, e comunemente l'uso è contrario1.
158. Si dimanda poi, se viola il sigillo, chi dicesse, che in qualche paese si commettano certi delitti ch'egli ha inteso in confessione. Lo negano Navar., Renzi., Fagund., ec. Ma comunissimamente e con ragione, l'affermano Suarez, Bon., Tambur., Laymann, Lugo, Conc., Diana, Viva, Castrop., ecc. se il luogo è picciolo, perché allora ridondando la rivelazione in infamia di quella comunità, ridonda ancora in gravame del penitente. Altrimenti poi se 'l paese è grande, e i delitti son pubblici, come dicono gli stessi aa., Lugo, Conc., Viva, ecc. con Petrocor. ed Habert, i quali giustamente ciò lo permettono allora anche a' predicatori: purché non dicano che i vizi, contro de' quali predicano, gli hanno intesi in confessione; e purché non vengano a circostanze particolari, ma parlino generalmente, come si dice nel cap. Si sacerdos, de offic. iud. ord., dove sta espresso: Si sacerdos sciat pro certo, aliquem esse reum alicuius criminis, vel si confessus fuerit... non debet eum arguere nominatim, sed indeterminate2. Il dubbio sta però, qual luogo s'intenda picciolo e quale grande. Io direi così, secondo l'ho consigliato anche con altri: per dire, Qui regna il tale peccato, v. gr. la bestemmia ec., bisognerebbe, che 'l paese costasse almeno di tre mila persone in circa; ma meno se solo si dicesse, Qui si commettono molti peccati gravi, senza nominarli in ispecie. Per poter nominare poi qualche peccato che porta infamia (ma fosse anche pubblico), a mio parere bisogna che il paese sia molto popolato, v. gr. di 6. o 7. mila anime. Se 'l predicatore poi avesse la notizia de' peccati fuori di confessione, può parlare con maggior libertà, ma pure deve star cautelato, per non dar sospetto di rivelazione a quei che da lui si son confessati3.
159. II. Frange il sigillo che si serve della notizia della confessione, per lo governo esterno in gravame del penitente. Ciò è contro quel che scrive Sambovio, appoggiato a molti dd. antichi, Adriano, Alense, con s. Bonav. e s. Tommaso4, cioè che il superiore per la notizia della confessione può con qualche pretesto rimuovere il suddito da qualche officio, sempre che non si scopra il peccato. Ma Clemente VIII. con un decreto del 1594. a' 26. di maggio ciò lo proibì dicendo: Tam superiores pro tempore existentes, quam confessarii, qui postea ad superioritatis gradum fuerint promoti, caveant diligentissime, ne ea notitia, quam de aliorum peccatis in confessione habuerunt, ad exteriorem gubernationem utantur. E benché questo decreto fu fatto solamente per li prelati regolari, giustamente non però La-Croix ed Holzm. (checché si dica Habert) tengono, che si stenda anche a' secolari, per li quali corre certamente la stessa ragione, cioè perché altrimenti la confessione si renderebbe odiosa. Oltreché ciò fu fatto più chiaro da un altro decreto della s. c. pubblicato per ordine d'Innoc. XI. nel 1682., con cui fu dannata la seguente proposizione: Scientia ex confessione acquisita uti licet, modo fiat sine revelatione et gravamine poenitentis; nisi (ecco ciò che fu condannato) aliud multo gravius ex non usu sequatur, in cuius comparatione prius merito condemnatur. Indi si disse nel decreto: Mandantes etiam universis sacramenti poenitentiae ministris, ut ab ea (doctrina) in praxim deducenda prorsus abstineant. Sicché secondo il suddetto decreto sta proibito di far uso della notizia della confessione con gravame del penitente, quantunque dal non farne uso gliene avvenisse maggior danno. Quindi ben dicono La-Croix, Viva, Holzm., e Mazzotta (contro quel che ancora dice Sambovio con s. Antonino), non esser mai lecito per la notizia della confessione rimuovere
l'indegno dall'officio, o negargli il voto per l'elezione ad ogni officio, o beneficio, o pure negargli i sagramenti, o togliere al servo le chiavi o privarlo dell'antica confidenza, o dimostrargli viso più severo, nasconder le chiavi della cassa, serrar le porte e simili1. Così né anche è lecito (neppure occultamente) negar la comunione al penitente, o ammonirlo, dopo che gli si è negata l'assoluzione, come dicemmo al n. 124., e come dicono qui comunemente Tournely, Concin., Mazzotta, Croix, Holzm., ec., contro Petrocor., che cita per sé s. Bonaventura, s. Tommaso, s. Anton., ed altri, i quali anticamente teneano, che potea negare, ma oggi è certo il contrario dal decreto d'Innoc. XI. riferito di sopra. Dicono all'incontro Cast., Bonac., Habert, Antoine, Sporer, ecc., che ben può il confessore per la notizia della confessione rendersi più cauto nel custodire le robe, e nel rimuovere la negligenza, purché non diasi sospetto del peccato, né vi sia alcun rinfacciamento al penitente; ed a ciò aderisce s. Tommaso2 dicendo: Potest (confessarius) dicere praelato, quod diligentius invigilet, ita tamen quod confitentem non prodat. Ma tutte queste cose le riprova il p. Concina, e non senza ragione, mentre usandole difficilmente può evitarsi ogni pericolo di rivelazione, o di gravame. Del resto si avverta per 1., esser regola ammessa da tutti, anche dal p. Concina, ch'è lecito servirsi della notizia della confessione, sempre che non vi è né rivelazione, né gravame; onde può bene il confessore per quella riformare i suoi costumi, pregare per lo penitente, trattarlo con più dolcezza, studiare il caso, regolarsi nell'interrogare, o istruire, o ammonire gli altri in generale, guardarsi da qualche danno3. E così anche diciamo, che quando non v'è pericolo di rivelazione o di gravame, il confessore che sa esser polluta la chiesa può, anzi deve astenersi dal celebrare, come dicono Lugo, Aversa, Tamburino, contro Con., Spor., Silv., ec.4. Si avverta per 2., che se taluno pretendesse il beneficio, e 'l superiore sapesse fuori di confessione, che n'è indegno per qualche suo difetto d'età, o di scienza ec., allora non solo può, ma deve negargli il voto, ancorché avesse saputo per confessione qualche suo delitto; come dicono Merbes., Natal. de Aless., e Petroc., con s. Tommaso5: e non osta allora, che 'l penitente possa far sospetto, che per la confessione gli vien negato il beneficio, perché v'è sì bene l'obbligo di evitare i sospetti ragionevoli, ma non già i sospetti e le conghietture tenui ed irragionevoli, che facilmente fanno i maliziosi, come insegnano Lugo con Medina, Palao, Scoto, e Croix, con Gob., Tamb. e Gorm., da s. Tommaso6, il quale dice: Si amotio subditi ab administratione possit inducere ad manifestandum peccatum in confessione auditum, vel ad aliquam probabilem (nota probabilem) suspicionem habendam de ipso, nullo modo praelatus deberet subditum removere7.
160. Dice il p. Roncaglia, e giustamente, che se il confessore ha conosciuto per confessione, che taluno è di mala coscienza non può perciò (senza altra causa bastante) scusarsi dal sentirlo, se quegli viene di nuovo a confessarsi, sempre che scusandosi desse di ciò sospetto agli altri, altrimenti poi dice, se il confessore stesse solo, e con qualche pretesto si appartasse, o si scusasse dal sentirlo. Ma a quest'ultimo non so accordarmi, perché una tal fuga o scusa renderebbe odiosa la confessione così a quel penitente, come agli altri in generale; poiché se sapessero i fedeli, che i confessori possono per la notizia della confessione prender pretesti a fuggirli, ciò sarebbe loro motivo di prender odio alla confessione: onde dico, che in tal caso il confessore allora solamente può lasciare di sentire il penitente, quando già era prima determinato per altro motivo a non sentire altra confessione8.
161. Si dimanda per 1. Se possa il confessore guardarsi da qualche danno con qualche pretesto, se sapesse per la confessione, che gli sieno apparecchiate insidie contro la vita o le robe. Se non v'è rivelazione di sigillo, né gravame del penitente, non v'è dubbio che può; ma il dubbio sta, se possa, quando dall'operare del confessore gl'insidiatori potessero congetturare la confessione fatta dal complice dell'insidia macchinata. Lo permettono Castrop., Wigandt, Laym., Petrocor. ecc., perché allora (come dicono) il confessore non rivela il peccato confessato, ma solamente la confessione fatta del peccato. Ma giustamente lo negano Lugo, Sanch., Ronc., Salm., Mazzotta, ecc., perché allora vi è sempre la rivelazione indiretta; mentre, poste tali circostanze, non solo si rivela la confessione, ma indirettamente anche il peccato confessato, o almeno se ne porge ragionevol sospetto1. Dice però il p. Cuniliati2, che in tal caso il penitente è tenuto a dar la licenza al confessore di potersi esimere dal pericolo, altrimenti può negarglisi l'assoluzione (ciò si dee intendere, sempreché il penitente può dar retta licenza senza pericolo di suo grave danno, perché altrimenti non è obbligato a darla); e soggiunge, che se il penitente nega la licenza, il confessore, purché non dia sospetto agli altri della confessione fatta, può lecitamente servirsi della notizia in guardarsi dal pericolo; perché allora (dice) non v'è gravame del penitente, ma solo v'è la manifestazione presso di lui stesso della negata licenza. Ma ciò non può ammettersi, poiché sebbene non v'è il gravame del penitente, vi è però la rivelazione indiretta, come di sopra si è detto, della notizia avuta nella sua confessione.
162. Si dimanda per 2. Se quando il confessore è richiesto a dar la cartella della confessione fatta, posta darla ancora al penitente non assoluto. Vi sono diverse sentenze, ma la più comune e probabile con Laymann, Ronc., Croix, Sporer, Elb., Holzm., ecc. (contro Bonac. e Lugo), distinguono così: Se la cartella parla della sola confessione, ella non dee né può negarsi; perché negandosi da una parte si rivelerebbe l'indisposizione del penitente; dall'altra concedendosi non viene già ad attestarsi l'assoluzione data, ma la confessione fatta, la quale già è stata fatta in verità. Altrimenti poi, se 'l confessore dovrà scrivere nella cartella, che il penitente è stato assoluto, perché allora non osta il sigillo, mentre la bugia, secondo tutti, è intrinsecamente mala, e in niun caso mai può dirsi. Se nonperò le cartelle fossero già stampate, ed ivi si asserisse anche l'assoluzione data (cosa che da' prelati non dee mai permettersi), allora parmi probabile con altri (co' quali l'ho consigliato), che lecitamente può darsi anche ai non assoluti, almeno quando la cercano pubblicamente; perché allora il confessore non dice né scrive alcuna bugia, ma solo fa quell'atto di consegnar quella carta, che per altro non può negare senza scoprire l'indisposizione del penitente3.
163. Si dimanda per 3. Se il confessore possa fuggire dal penitente indisposto, che gli minaccia la morte, per ragion dell'assoluzione che gli vien negata. Si risponde con Lugo e Roncaglia, che ben può fuggire, sempre che non dà sospetto agli altri dell'assoluzione negata: poiché quelle minacce non sono già confessione, o colpe dette in confessione, ma son colpe nella confessione commesse. Che se poi non potesse fuggire senza dar questo sospetto, allora può recitare qualche orazione in vece dell'assoluzione. Né osta, che questa pare simulazione dell'amministrazione del sagramento, perché allora avverrebbe la simulazione, quando dicesse quell'orazione affinché fosse creduta per assoluzione; ma non già quando la dice solo per esimersi dalla vessazione. Potrebbe ancora, come dice il p. Cardenas, per liberarsi dalla vessazione pronunziar la forma così, Ego te non absolvo, dicendo in segreto la parola
non; si osservi quel che si è detto nell'esame al num. 16. in fine1.
164. Si dimanda finalmente per 4., se sia lecito in questa materia del sigillo sagramentale servirsi delle opinioni probabili. Gobato, La-Croix, Diana, ecc. dicono solamente, essere spediente, che si tengano le opinioni più favorevoli al sigillo; ma meglio dice il padre Viva, che non è lecito servirsi della scienza avuta per mezzo della confessione, se non quando è moralmente certo, o almeno probabilissimo (sicché l'opposto non sia probabile), che non vi sia alcuna rivelazione del sigillo, o alcun gravame del penitente. E lo dice per due ragioni, prima perché ciò richiede la riverenza che si deve al sagramento, ma questa ragione non convince abbastanza, mentre dicono molti gravi aa., Ponzio, Sanch., Salm., Vasq., ecc., non doversi riverenza più che probabile così a' precetti divini, come a' sagramenti. La seconda ragione è per lo pericolo del gravame del penitente, perché anche il gravame probabile rende odiosa la confessione. Questa ragione è molto forte, e questa mi ha fatto rivocare dal sentimento ch'io prima teneva in contrario; giacché da una parte non è lecito servirsi dell'opinione probabile che può pregiudicare al ius certo, che possiede il prossimo, come già si disse al capo I. n. 28.: dall'altra parte è certo, che 'l penitente possiede il ius di non ricever gravame della sua confessione; onde non è mai lecito al confessore servirsi di qualche opinione che può recare probabil gravame al penitente2.