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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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§. II. Come debba portarsi il confessore cogli abituati, e recidivi.

8. Bisogna distinguere gli abituati da' recidivi. Gli abituati son quelli che han contratto l'abito in qualche vizio del quale non ancora si sono confessati. Or questi, come dicono i dottori1, ben possono assolversi la prima volta che si confessano del mal abito, o pure quando se ne confessano dopo averlo ritratto; purché siano disposti con vero dolore, e con un proposito risoluto di prendere i mezzi efficaci per emendarsi. Ma quando l'abito fosse molto radicato, può benanche il confessore differire l'assoluzione per fare esperienza come si comporta il penitente nel praticare i mezzi assegnati, ed acciocché prenda egli più orrore a suo vizio. Avvertasi, che cinque volte al mese può già costituire il mal abito in qualche vizio di peccati esterni, purché tra loro vi sia qualche intervallo. Ed in materia di fornicazione, sodomie, e bestialità, molto minor numero può costituire l'abito: chi per esempio fornicasse una volta il mese per un anno, ben questi dee dirsi abituato.

9. I recidivi all'incontro sono quelli che dopo la confessione sono ricaduti nella stessa, o quasi stessa maniera, senza emenda. Questi, come comunemente s'insegna2, non possono essere assoluti con i segni ordinari, cioè col solo confessarsi, e dire, che si pentono e propongono, come si ha dalla proposizione 50. dannata da Inn. XI. , poiché l'abito fatto e le ricadute passate senza alcuna emenda danno gran sospetto, che il dolore è 'l proposito che 'l penitente asserisce avere, non sian veri. Onde a costoro deesi differir l'assoluzione per qualche tempo, sino che si scorga alcun prudente segno d'emenda. Ed in questo punto è cosa da piangere il vedere la gran ruina che cagionano tanti mali confessori nell'assolvere indistintamente questi recidivi, i quali, vedendosi così sempre facilmente assoluti, perdono l'orrore al peccato, e seguitano a marcire ne' mali abiti sino alla morte. Alcuni dottori3 ammettono che 'l recidivo ben può assolversi subito con i segni ordinari sino alla terza e quarta volta, ma a questa opinione io non ho potuto mai accordarmi: mentre l'abituato, ch'è ricaduto dopo una sola confessione senza emenda, già è vero recidivo, e sospetto fondato della sua indisposizione. E notisi qui, che questa regola corre anche per li peccati veniali, poiché sebbene comunemente si ammette, che più facilmente possono assolversi quei che ricadono negli stessi peccati veniali, per esservene le occasioni più frequenti; nulladimeno essendo comune la sentenza4, che sia peccato grave e sacrilegio il confessarsi di colpe leggiere senza vero dolore e proposito come si disse al capo XVI. n. 23.; dee facilmente temersi, che tali confessioni siano sacrileghe o almeno invalide. Onde avverta il confessore, a non assolvere indistintamente tali penitenti, mentre allora, ancorché quelli stiano in buona fede, egli nulladimeno non sarà scusato dal sagrilegio, dando l'assoluzione a chi non è disposto. Procuri pertanto, se vuole assolverlo o di disporre il penitente a dolersi specialmente di qualche colpa veniale, a cui tenga più orrore; o pure di fargli dire qualche peccato della vita passata contro alcuna virtù (basta che lo dica in generale) per avere la materia certa, su cui possa appoggiare l'assoluzione; altrimenti anche a costui bisogna differir l'assoluzione per qualche tempo.

10. Dico per qualche tempo, poiché tanto a' recidivi di colpe leggiere, quanto di colpe gravi, non è necessaria la dilazione di anni, o mesi, come troppo rigidamente vuole il Giovenino5; ma basterà regolarmente, se il peccato nasce da fragilità intrinseca, il tempo di otto dieci giorni, come dice il dotto autore dell'istruzione per li novelli confessori6 stampata in Roma; e lo stesso scrive l'autore dell'istruzione per li confessori di terre e villaggi7, dove cita


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per questa dottrina Lodovico Habert1. E soggiungono i suddetti autori, essere eccessiva e pericolosa la dilazione d'un mese, perché dopo tanto tempo è difficile, che tornino tali penitenti. Ed a questo sentimento favorisce Benedetto XIV.2, il quale parlando de' confessori che giustamente differiscono l'assoluzione a' penitenti, così poi lo esorta: Illos quantocius ut revertantur invitent, ut ad sacramentale forum regressi absolutionis beneficio donentur. Al sommo (io dico) può differirsi a costoro l'assoluzione per quindici o venti giorni. Ma bisogna eccettuarne coloro che si confessano in tempo del precetto pasquale, mentre a costoro bisogna l'esperienza di maggior tempo 8. o 10. giorni potendosi giustamente sospettare, che questi si astengano dal ricadere, più per rispetto di non incorrere nella censura, che per vera risoluzione di mutar vita. Bisogna anche eccettuarne coloro che cadono per occasione prossima estrinseca, poiché questi abbisognano di maggior esperienza, essendo l'occasione (come s'è detto nel paragrafo precedente) un incentivo più forte al peccato. Nonperò sempre basterà l'esperienza d'un mese; ma il confessore non dica al penitente, che si trattenga un mese a ritornare, perché questi si spaventerà a sentir tanta dilazione: dica, che torni fra otto, o al più fra quindici giorni, e così con bel modo lo trasporterà a ricever l'assoluzione in fine del mese.

11. Sicché per assolvere i recidivi, non bastano i segni ordinari, ma vi bisognano gli straordinari di dolore e di proposito: i quali segni all'incontro, secondo la comune3, son certamente sufficienti a dar l'assoluzione; poiché il segno straordinario (purché sia solido e fondato) toglie il sospetto dell'indisposizione cagionato dalle ricadute. Ben dissero i vescovi della Fiandra congregati nell'anno 167., in un decreto fatto per la direzione de' confessori delle loro diocesi, parlando di questo punto: Deum in conversione peccatoris non tam considerare mensuram temporis, quam doloris4. Onde proibirono a' confessori l'esigere per legge stabile da' penitenti anche recidivi, l'esperienza di tempo notabile, prima di dar loro l'assoluzione. E con ragione, poiché non è l'unico segno della volontà mutata la sola pruova del tempo, mentre la volontà del peccatore si muta per virtù della grazia divina, la quale non ricerca tempo, ma opera alle volte in un istante; perlocché la mutazione della volontà ben può conoscersi per altri segni, senza l'esperienza del tempo. Anzi gli altri segni della disposizione attuale del penitente tal volta manifestano la mutazione della sua volontà, molto meglio che la pruova del tempo: poiché tali segni dimostrano direttamente la disposizione, dove che l'esperienza la dimostra solo indirettamente: accadendo non di rado che alcuno siasi per lungo tempo astenuto dal peccare, e con tutto ciò sia ancora indisposto. Onde dice l'autore mentovato dell'istruzione per li novelli confessori5: Se la ricaduta nasce dalla propria fragilità, senza altra causa estrinseca volontaria, è quasi temerità il dire, che ogni ricaduto sia indisposto. Ed altrove6 dice, che 'l ricaduto per forza del mal abito deve assolversi, sempreché dimostra ferma volontà di usare i mezzi per emendarsi, aggiungendo: E giudichiamo, che 'l fare altrimenti sia troppo rigore, e che 'l confessore facendolo s'allontanerebbe dallo spirito della chiesa, e del Signore, e dalla natura del sagramento, il quale non solamente è giudizio, ma è medicina salutare.

12. Diversi poi sono questi segni, come insegnano i dd.7 I. Maggior dolore manifestato per lagrime (purché sieno di vera compunzione), o per parole ch'escano dal cuore, le quali alle volte ben possono essere segni più certi, che le lagrime. II. Il numero notabilmente diminuito de' peccati (s'intende quando


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il penitente si è trovato nelle stesse occasioni e tentazioni di peccare); o pure se 'l penitente dopo l'ultima confessione si è mantenuto in grazia molto tempo, per esempio 20. in 30. giorni, dove prima solea cadere più volte la settimana; o pure se fosse caduto dopo un gran contrasto colla tentazione; o pure se prima di venire a confessarsi, per lungo tempo si fosse astenuto dal peccato mortale abituato. III. La diligenza usata per l'emenda, come sarebbe se 'l penitente ha fuggita l'occasione, se ha adempiti i mezzi prescritti dal confessore, ovvero ha fatti digiuni, limosine, orazioni, ha fatto dir messe per farsi una buona confessione. IV. Se egli cerca allora rimedii o nuovi mezzi per emendarsi: o se promette di adempire i mezzi che allora gli il confessore, massimamente se non è stato mai avvertito dagli altri a prenderli: ma a queste promesse di rado può aversi tanta fede, che basti, se non vi è qualche altro segno, mentre i penitenti per aver l'assoluzione facilmente promettono, ma difficilmente poi l'attendono. V. La confessione spontanea, cioè se 'l penitente viene, non già a soddisfare al precetto pasquale, né per certo pio uso di confessarsi in alcune feste, come di Natale, della Beata Vergine, e simili; né viene spinto da' genitori, o dal padrone, o dal maestro: ma viene affatto volontariamente, e veramente ispirato da lume divino e solo fine di ricevere la divina grazia; specialmente se per confessarsi ha fatto un lungo viaggio, o si è astenuto da un lucro notabile, o ha sopportato un grande incomodo, o ha superato un gran contrasto interno o esterno. VI. S'è venuto spinto da qualche straordinario impulso, come per aver udita la predica, o la morte di qualche paesano, o per timore di qualche flagello imminente, terremoto, o peste, ec. VII. Se si confessa di peccati gravi lasciati per vergogna nelle altre confessioni. VIII. Se per l'ammonizione del confessore manifesta di aver appresa una nuova cognizione ed orrore del suo peccato, o del pericolo di sua dannazione. IX. Se 'l penitente prima di confessarsi avesse restituita la roba o fama tolta. Altri aggiungono altri segni, come se 'l penitente accetta volentieri una gran penitenza; se asserisce, essersi subito pentito, dopo aver fatto il peccato; se si protesta di voler morire più presto, che peccare. Ma questi segni non credo che possano bastare soli; più presto dico che potrebbero servire ad aiutare altri segni, i quali soli non basterebbero.

13. In somma sempreché v'è qualche segno per cui possa prudentemente giudicarsi, che la volontà del penitente siasi mutata, ben può essere assoluto; poiché sebbene il confessore per assolverlo dev'essere moralmente certo della sua disposizione, nulladimeno si ha da avvertire, che negli altri sagramenti, dove la materia è fisica, fisica dev'essere ancora la certezza; ma in questo sagramento della penitenza, essendo la materia morale, come sono gli atti del penitente, basta la certezza morale o sia rispettiva; come si è provato1; cioè basta, che 'l confessore abbia una prudente probabilità della disposizione del penitente, senza alcun prudente sospetto in contrario; altrimenti difficilmente mai potrebbesi alcun peccatore assolvere, poiché tutti i segni de' penitenti altro non fondano, che una probabilità della loro disposizione: Non ricercasi altro (dice l'autore nell'istruzione per li nov. conf.) per amministrare la penitenza, che un giudizio prudente e probabile della disposizione del penitente; onde se le circostanze non fondano un dubbio prudente, ch'egli non sia sufficientemente disposto, non deve il confessore inquietare se stesso, né il penitente, per averne l'evidenza che non è possibile2; si veda al capo XVI. n. 117. in fine. Si avverta circa il mal abito, che più facilmente possono assolversi i recidivi nelle bestemmie, che negli altri peccati d'odii, disonestà e furti, a' quali l'abito più radicalmente si attacca per ragione della maggior concupiscenza che v'interviene.


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14. S'è detto , che 'l confessore può dar l'assoluzione all'abituato o recidivo, quando è disposto col segno straordinario; ma non si dice, che sia obbligato, perché può ancora differirgliela, quando lo stima espediente, come comunemente s'insegna1. Poiché sebbene il penitente ha ius all'assoluzione dopo la confessione fatta de' suoi peccati, nulladimanco non ha ius d'esser subito assoluto, mentre il confessore come medico ben può, anzi alle volte è tenuto a differir l'assoluzione, quando giudica esser tal rimedio necessariamente utile alla salute del suo penitente. Se poi sia espediente di usare ordinariamente questo rimedio, o no, senza il consenso del penitente; è certo, che no, quando la dilazione può apportare più danno che profitto. E lo stesso dicesi da' dd., quando dalla dilazione il penitente avesse a patirne qualche nota o pericolo d'infamia2. Fuori poi di questi casi, alcuni vogliono, esser meglio differir l'assoluzione a tali recidivi; altri più comunemente, che ciò di rado sia espediente; e di tal sentimento è stato ancora il gran missionario de' nostri tempi il p. Leonardo da Porto Maurizio nel suo bel discorso mistico e morale, dato alle stampe in Roma. Meglio nulladimeno è il dire, che in tal punto non può stabilirsi regola certa, ma il confessore dee regolarsi secondo le circostanze occorrenti. Egli si raccomandi a Dio, e secondo si sente ispirato, così faccia. Il mio sentimento è questo: e dico colla sentenza comunissima de dd.3, che se il penitente è ricaduto per fragilità intrinseca (come accade ne' peccati d'ira, d'odio, di bestemmia, di polluzioni, o dilettazioni morose) stimo, che di rado giovi il differir l'assoluzione al recidivo, quand'è disposto; poiché dee sperarsi, che più giovi a costui la grazia del sagramento, che la dilazione dell'assoluzione.

15. Dico per fragilità intrinseca, poiché altrimenti devesi praticare con chi è ricaduto per occasione estrinseca, benché necessaria; essendoché l'occasione eccita pensieri assai più vivaci, e la presenza dell'oggetto commuove molto più i sensi, e rende più intenso l'affetto al peccato, che non fa il mal abito intrinseco; e perciò il penitente ha da farsi una gran forza, non solo per vincer la tentazione, ma ancora per allontanarsi dalla famigliarità e presenza dell'oggetto, acciocché il pericolo da prossimo rendasi rimoto. E tanto più ciò corre, se l'occasione è volontaria, e deve affatto togliersi, perché allora chi riceve l'assoluzione prima di toglier l'occasione, come abbiam dimostrato nel paragrafo precedente al num. 4., sta in gran pericolo di rompere il proposito di rimoverla. Nell'abituato all'incontro per cagione intrinseca è più rimoto il pericolo di violare il proposito, mentre da una parte non v'è l'oggetto che sì violentemente lo spinga al peccato, e dall'altra a lui non è volontario il ritenere il suo mal abito, com'è volontario il non toglier l'occasione; onde al mal abituato in tal bisogno Dio maggiormente soccorre, e perciò, più che tal differirgli l'assoluzione, può sperarsi l'emenda dalla grazia del sagramento, la quale lo renderà più forte, e renderà più efficaci i mezzi, ch'egli adoprerà per estirpare il mal abito. E perché mai, dicono giustamente i Salmat.4, si dee maggiormente sperare, che ad un peccatore, il quale non ha la grazia, giovi la dilazione dell'assoluzione, che non giovi ad un amico di Dio l'assoluzione, per cui riceve la grazia? Il card. Toledo5 parlando precisamente del peccato di mollizie, stima egli , che per tal vizio non v'è rimedio più efficace, che lo spesso fortificarsi col sagramento della penitenza, e soggiunge, che questo sagramento, è il freno il più grande a chi commette tal peccato; e chi non l'usa, dice, che non si prometta l'emenda, se non per miracoli. Ed in fatti s. Filippo Neri, come si legge nella sua vita6, massimamente


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di questo mezzo della frequente confessione servivasi a pro de' recidivi in tal vizio. A ciò ben anche conferisce quel che dice il rituale romano, trattando della penitenza: In peccata facile recidentibus utilissimum fuerit consulere, ut saepe confiteantur; et si expediat, communicent. E dicendo, facile recidentibus, intende certamente parlare di coloro che non ancora hanno estirpato l'abito. Alcuni autori che per la sola via del rigore par che vogliano salvare le anime, dicono , che tutt'i recidivi si fanno peggiori, allorché sono assoluti prima d'emendarsi. Ma io vorrei sapere da questi miei maestri, se tutti i recidivi, quando son licenziati senza l'assoluzione, privi della grazia del sagramento, tutti diventan più forti, e tutti si emendano. Quanti io ne ho conosciuti nel corso delle missioni, ch'essendo loro stata negata l'assoluzione, si sono abbandonati alla mala vita ed alla disperazione; e per molti anni non si sono più confessati! Del resto torno a dire, ognuno dee guidarsi in ciò secondo il lume che 'l Signore gli concede. Questo è certo, che in tal materia tanto errano quelli che più del giusto son facili, quanto quelli che più del giusto son difficili ad assolvere.... Molti per la troppa facilità son cagione, che tante anime si perdano; e non può negarsi, che questi sieno in maggior numero, e facciano maggior danno, poiché a costoro si accostano in maggior numero i mali abituati. Ma altri per lo troppo rigore ancora sono di gran danno. E non credo, che un confessore si debba far solamente scrupolo, quando assolve gl'indisposti, e non ancora, quando licenzia i disposti senza assolverli. Conchiudo qui col dire il mio sentimento in tal punto. Dico in primo luogo, e non nego, che qualche volta ben può giovare anche al recidivo disposto di differirgli l'assoluzione. Dico in secondo luogo, che sempre gioverà, che 'l confessore l'atterrisca col fargli mostra, come non potesse assolverlo. Dico per ultimo, che ordinariamente parlando a' recidivi per fragilità intrinseca, e disposti per qualche segno straordinario, più gioverà il beneficio dell'assoluzione, che la dilazione. Volesse Dio che i confessori assolvessero i recidivi, solamente allora che portano segni straordinari! Il mal è, che la maggior parte, per non dire la massima, de' confessori universalmente assolvono i recidivi senza distinzione, senza segno straordinario, senza ammonirli, e senza dar loro almeno qualche rimedio per emendarsi; e da ciò veramente nasce (non già dall'assolvere i disposti) la ruina universale di tante anime.

16. Ciò non però che si è detto, parlando comunemente per gli abituati e recidivi, non corre già per gli ordinandi abituati in qualche vizio (specialmente nel peccato d'impurità), che vogliono ascendere a qualche ordine sagro; poiché per costoro corre altra ragione. Il secolare abituato può esser assoluto, sempre ch'è disposto per ricevere il sagramento della penitenza; ma l'ordinando abituato, se egli vuol prendere l'ordine sagro, non basta, che sia disposto per lo sagramento della penitenza, ma bisogna, che ancora sia disposto per ricevere il sagramento dell'ordine; altrimenti non sarà disposto né per l'uno né per l'altro; mentr'essendo indegno di salir sull'altare colui che appena esce dallo stato di peccato, e non ha la bontà positiva necessaria all'altezza dello stato, in cui vuol porsi, egli pecca, se senza questa vuol prender l'ordine sagro, ancorché si metta in grazia. Onde allora il confessore non può assolverlo, se non promette egli di astenersi dal prender l'ordine; al quale non potrà ascendere, se non dopo la prova di molto tempo, almeno di più mesi. Ciò sta pienamente provato nella dissertazione posta nel libro1 colla comune sentenza de' dd.2 ivi riferiti, i quali dicono, che per ascendere agli ordini sagri non basta la bontà comune, cioè l'essere semplicemente esente da peccato grave; ma vi bisogna una bontà speciale, per cui sia soggetto depurato da' mali abiti, come


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insegna s. Tommaso: Ordines sacri praeexigunt sanctitatem, unde pondus ordinum imponendum parietibus iam per sanctitatem desiccatis, idest ab humore vitiorum1. E la ragione si è, perché se l'ordinando non ha questa bontà speciale, è indegno d'esser costituito sopra la plebe ad esercitare gli altissimi ministeri dell'altare: Sicut illi (parla lo stesso santo dottore) qui ordinem suscipiunt, super plebem constituuntur gradu ordinis; ita et superiores sint merito sanctitatis2. Ed in altro luogo3 più espressamente assegna la suddetta ragione: Quia per sacrum ordinem aliquis deputatur ad dignissima ministeria, quibus ipsi Christo servitur in sacramento altaris, ad quod requiritur maior sanctitas interior, quam requirat etiam religionis status. Vedasi al capo VII. dal num. 48., dove si è parlato più a lungo di questo punto.

17. Non pertanto se n'eccettua il caso, quando il Signore desse a taluno una compunzione straordinaria, che lo guarisse dalla sua primiera debolezza; poiché, come dice il medesimo angelico, Quandoque tanta commotione convertit (Deus) cor hominis, ut subito perfecte consequatur sanctitatem spiritualem4. È vero, che tali conversioni son rare, e specialmente negli ordinandi, ancorché vengano a far gli esercizi chiusi in qualche casa religiosa, perché questi per lo più vengono a forza; ma allorché veramente alcuno ricevesse una tal grazia da Dio (le cui misericordie sono ammirabili), che lo rendesse talmente mutato, che sebbene sentisse ancora qualche moto pravo ne' sensi, nulladimeno si trovasse con un grande orrore al peccato, e si sentisse già notabilmente diminuito l'ardore della concupiscenza; sì che avvalorato dalla grazia facilmente già resistesse alle tentazioni; ed all'incontro stesse fermamente risoluto per l'avvenire non solo di fuggire i peccati e le occasioni, ma ancora di prendere i mezzi più opportuni per vivere da buon sacerdote; e già avesse cominciato ad aiutarsi, con pregare istantemente il Signore per la perseveranza, con una grande e tal confidenza in Dio, che lo rendesse moralmente sicuro d'una gran mutazione di vita, in tal caso ben potrebbe assolverlo il confessore, ancorché volesse prender l'ordine sagro subito dopo la confessione. Con tutto ciò ben anche in tal caso, che 'l penitente sia molto compunto, il confessore dee far quanto può per indurlo a differire la sua ordinazione, affinché così meglio si purghi del suo mal abito, e meglio eseguisca i propositi fatti. Anzi a quest'effetto, se egli non vuol differire di ordinarsi, può ancora il confessore come medico, per maggior profitto di esso, differirgli l'assoluzione, acciocché il penitente differisca d'ordinarsi; purché da una tal dilazione non vi fosse pericolo di patirne infamia, perché allora (come si è notano al num. 4.) il penitente ha ius d'esser subito assoluto. Del resto debbono i confessori esser restii quando si può in assolvere tal sorta d'ordinandi, che ordinariamente poi fanno pessima riuscita, e sono la rovina de' popoli e della chiesa5. Tutto questo mio discorso io lo ritrovo commendato dal pontefice Benedetto XIV. nella sua celebre opera de synodo, dell'ultima edizione6.




1 Lib. 6. n. 459.



2 Ibid. v. Recidivis.



3 N. 459. v. D.



4 N. 449. dub., 1.



5 N. 463.



6 Part. 1. c. 9. n. 225.



7 Cap. 1. §. 4.



1 In praxi poen. tr. 4. pag. 417.



2 Bulla apostolica in bullar. t. 3. p. 343. §. 22.



3 Lib. 6. n. 459. v. Recidivis.



4 Croix l. 6. p. 2. n. 1823.



5 P. 1. c. 15. v. 356.



6 Cap. 9. n. 213.



7 Lib. 6. n. 460.



1 L. 6. n. 57. et 461.



2 P. 1. c. 15. n. 368.



1 Lib. 6. n. 462.



2 N. 463.



3 Ibid. v. Ut autem.



4 De poen. c. 5. n. 67. in fin.



5 Tol. c. 6. n. 2.



6 Cap. 6. n. 2.



1 Lib. 6. n. 63.



2 N. 68.



1 2. 2. q. 189. a. 1. ad. 3.



2 Supp. q. 35. a. 1. ad 3.



3 2. 2. q. 184. a. 8.



4 3. p. q. 86. a. 5. ad 1.



5 Lib. 6. n. 69.



6 Bened. XIV. de syn. l. 11. c. 2. n. 17. et 18.






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