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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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6. A SUOR MARIA CELESTE CROSTAROSA,1 MONACA DEL SSMO SALVATORE IN SCALA.

Con grande umiltà le manifesta il dolore di vederla poco umile; si scusa di averle fatto aspri rimproveri e, cercandole perdono, l'assicura che pregherà Iddio per essa.

 

[MESE DI MARZO [1733.]

 

Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

 

Celeste, rispondo all'ultima tua lettera che ho ricevuta insieme con quella di Mgr Falcoia, e dico che se tu hai ragione, io non ho torto; perché io l'imbasciata di D. Vincenzo

 


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[Mannarini] e quel che ha detto D. Silvestro [Tosquez], non me l'ho cacciato dalla testa. Quando vengono, lo puoi loro domandare. Non però io penso che il Signore tutto quel ch'è passato fra di noi, l'ha permesso per maggior bene, e vedo che le cose ora han preso ottimo cammino per quel che mi scrive Monsignore e per quel che sento da D. Silvestro, con il quale seguita a passare l'istessa unione e strettezza di prima.

Una sola spina mi tormenta e mi passa il cuore, Celeste mia, che stanotte m'ha tolto il sonno, e questa è per te. Vedo che, in tanti mesi che dura questa controversia fra di noi, non m'hai scritto ancora un sentimento di vera umiltà. Specialmente nell'ultima lettera, ho notato bene come mi chiami, come ti firmi, il poco conto che fai se io ti credo o non ti credo; non mi dici nemmeno che preghi Dio per me, come io fossi già reprobo, e termini la lettera: Resto nel core di Gesù.

Celeste mia, e di che altra maniera meno umile scriverebbe un'anima la più imperfetta? Io lo so che non mi conservi rancore; ma con questo modo, così differente dal passato fra di noi tanto tempo, pare che me lo conservi.

Io non dico che merito che ti umilii a me; io mi confesso indegno di stare anche ai piedi tuoi, perché so la vita mia e so la vita tua. Non per questo diffido però di amare Gesù come te, per la sua misericordia infinita; ma dico che desidererei vedere e sentire altro fondo d'umiltà, in un'anima così unita con Dio e così favorita da Dio, come te; mentre queste cose corrispondono fra di loro, e quanto cresce l'unione, tanto cresce l'umiltà.


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La quale non consiste certo in dire: io sono una scellerata, io merito peggio di questo; ma consiste nel basso concetto di sé stesso, ed in saperti più umiliare a chi più ti disprezza. Questa umiltà io t'avrei desiderata, benché avessi avuto ragione per l'altre cose; questa non vedo sinora, e questa è la spina che mi tormenta; ed ora intendi che questa è la causa secreta che mi affligeva, e che io non sapeva approvarti, come ho scritto nella lettera alla Madre, fatta prima di ricevere la tua.

Io, è vero che ti ho scritto con termini aspri e forse troppo; ma mi sono fidato nell'esperienza passata, quando anche ti ho scritto aspro, e mi è riuscito in profitto dell'anima tua; poiché un'anima favorita da Dio, sempre riesce l'umiliarla; e tanto più l'ho fatto ora ch'è maggior l'attinenza con te, per quel che il Signore ha disposto.

Ed è certo che tutto l'ho fatto per buon fine, né mi sento rimorso; perché ho creduto che lo spirito tuo forte, e naturalmente altiero e di proprio giudizio, meritava d'esser trattato così per suo bene e per stare rimesso in tutto, non già colla volontà (ché io non mai ti ho condannata nella volontà, come già ti ho scritto, ma solo nel giudizio proprio); tanto più che pareami non aver fatto niente con te col buono, come aveva io fatto prima.

E sappi che io, in quanto al bene dell'Istituto, potea sbrigarmi d'ogni intrico con te con fare sapere ogni cosa a Falcoia; ma non l'ho fatto, parendomi una specie di tradimento, che io lo palesassi a Falcoia, quando potea rimediare solo con avvertirlo a te, benché con mio incomodo e disgusto; perché non ti puoi credere quanto mi pesi il vedermi costretto, alcuna volta, a trattare aspramente qualche persona; tanto più che io tengo, che ogni cosa meglio si fa col buono che coll'asprezza.

Del resto poi, se forse io ho ecceduto per mancanza di riflessione e per il mio zelo indiscreto, e tu ti senti offesa da me, io e sempre te ne cerco perdono, e voglio che tu espressamente mi perdoni; e starei ora pronto per baciarti i piedi mille volte, si mi fosse lecito, in aver trattato così una Sposa diletta di Gesù Cristo; e se Falcoia me lo permette, io voglio in pubblico,


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avanti a tutte, cercartene perdono. Ma con ciò poi, ti vorrei vedere umile, come ti desidero io.

E che t'importa tanto dell'anima mia?- Ah, Celeste, non mi dir questo, ch'è troppa ingratitudine: si è troppo avvanzata l'unione dell'anime nostre in Gesù Cristo; non lo sai che l'interesse dell'anima tua s'è fatto mio? E questo l'ha fatto Dio, non io: non è possibile non desiderarti tutta la perfezione, come la desidero a me.

Vado poi cercando ragioni per scusarti e per quietarmi in quanto al non vederti così umile, e mi vado lusingando che a ciò non ci hai pensato, non ci hai avvertito, e che forse per qualche buon fine ancora tu hai trattato tutto quel tempo così con me; ma la spina non mi lascia e seguita a tormentarmi. Se hai avuto questo buon fine con me di portarti così, fammelo sapere, ti prego, subito e quietami.

Io, per me, ti prometto ogni mattina, sintanto che non mi quieto, di fare una preghiera speciale per te alla Messa; come già l'ho cominciata questa mattina, in cui ho tanto, tanto pregato per te, che il Signore ti conceda una perfetta umiltà. E tu cerca a Gesù Cristo specialmente l'istesso per me, che io non possa resistere più alle spinte di Dio, che mi vuole tutto suo. Basta quanto ho resistito per lo passato; non è tempo di resistere più; voglio veramente darmi tutto, tutto, tutto a Gesù Cristo, e l'istesso ti cerco e voglio per te; ma senza umiltà né tu, né io arriveremo mai a niente.

E da oggi avanti pensa a darmi qualsivoglia mortificazione, più presto che farmi nemmeno sospettare che tu sei disgustata con me. Già viene D. Silvestro [Tosquez]; spero che tutto riuscirà a gloria di Dio. Io non ti chiamo figlia, per non farti vedere che mi assumo quel che non è mio. Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa!

Celeste mia, non è vero che io ho detto che D. Silvestro è illuso; io non mi ricordo di averlo detto mai.

 

Conforme ad una antica copia.




1 Questa monaca, nata in Napoli il dì II ottobre 1796, fu quella che in seguito di una rivelazione suggerì a S. Alfonso l'idea della fondazione della Congregazione del SSmo Salvatore. Fondato l'Istituto, essa, sotto l'influenza di D. Vincenzo Mannarini e specialmente di D. Silvestro Tosquez, cominciò a sottrarsi alla direzione di Mgr Falcoia e ad aderire, per lo stabilimento delle Regole, alle idee che combattevano S. Alfonso ed esso Mgr Falcoia. Ciò fu causa che Suor Maria Celeste, per divina disposizione, fosse licenziata dal monastero. Uscita da Scala, riformò in Nocera un Conservatorio di figliuole, e chiamata a Foggia, ne eresse un'altro di figlie nobili, che di presente, sotto il titolo del SSmo Salvatore, forma l'edificazione di quella città. Passò a miglior vita con fama d'eroiche virtù il 14 settembre 1755, e il suo corpo si conservò per moltissimi anni vegeto ed intero.




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