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S. Alfonso Maria de Liguori
Opera dogmatica...eretici pretesi riformati

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§. 4. Della venerazione alle sacre immagini.

35. A' tempi nostri più vicini il primo che perseguitò le sacre immagini fu Andrea


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Carlostadio nell'anno 1522., come scrive Giovanni Cocleo nella vita di Lutero Carlostadio fu seguito poi dagli zuingliani e magdeburghesi e da Calvino, che fortemente riprovò il culto delle immagini insieme con tutti i suoi seguaci. Ma prima, circa l'anno 781., fu fatta una fiera guerra contra le sante immagini dagl'imperatori Leone Isaurico e Costantino Copronimo, contra cui poi si celebrò il VII. concilio, o sia niceno II. (sotto Adriano papa); il quale a principio in Francia non fu ricevuto, perché non bene ne aveano intesa la dottrina, ma poi, avendola intesa, fu accettato e tenuto per vero ecumenico, qual era. E nell'occidente si celebrò il concilio romano sotto Gregorio II., nel quale intervennero da mille vescovi, e fu parimente condannata l'eresia degl'iconoclasti.

36. Gli eretici vogliono condannarci quali idolatri, perché noi veneriamo le sacre immagini, senza voler distinguere il divario che vi è tra l'idolo e l'immagine: l'idolo o sia simulacro è quella immagine (secondo il parlare delle scritture) nella quale si adora un Dio falso; l'immagine poi sacra è una rappresentanza dell'originale che direttamente si venera: sicché l'immagine è la figura del prototipo che vi è, l'idolo è la figura di quel prototipo o sia di quel Dio che non vi è. In modo che il culto che si dà all'immagine è sempre rispettivo al suo prototipo o sia esemplare che si adora: onde ingiustamente dice Durando che nell'immagine solamente il prototipo, ma non già l'immagine può venerarsi; poiché questa opinione è contraria la sentenza comune de' cattolici, perché sebbene il culto sempre si dà al prototipo, nondimeno ben si venera l'immagine ancora del medesimo.

37. Calvino asserisce che nei primi cinque secoli nella chiesa non vi fu mai uso di tali immagini. Ma lo smentisce Tertulliano, il quale1 in due luoghi attesta che nei sacri calici delle chiese cattoliche era impressa la figura di Gesù Cristo in forma di pastore colla pecorella sulle spalle. Il culto poi delle sacre immagini provasi con certezza per la tradizione apostolica e per la continua pratica della chiesa, come attesta il concilio VII nell'azione seconda e terza. E nella settima azione così definì: Nos ss. patrum doctrinae insistentes, et catholicae ecclesiae, in qua sanctus Spiritus inhabitat, traditionem observantes, definimus venerandas sanctorum imagines et in templis Dei collocandas tum parietibus et tabulis, tum in aedibus privatis, in viis publicis etc., quo omnes illis honorariam adorationem exhibeant, non veram latriam; imaginis enim in prototypon redundat. Sic disciplina vel traditio catholicae ecclesiae, quae a finibus usque ad fines evangelium suscipit. Di più nel mentovato sinodo VII, act. 6, si legge che s. Epifanio, che visse nel secolo V, disse: Usque adeo venerandarum imaginum observatio in ecclesia obtinuit ut ab eo haec usque tempora recepta fuerit. E secondo la mentovata regola di s. Agostino, quelle usanze di cui non si trova l'autore debbono supporsi di tradizione apostolica; e ciò ben si dice dell'adorazione delle immagini. Lo stesso attesta s. Basilio2 : Historias imaginum illorum (apostolorum et martyrum) et palam adoro. Hoc enim nobis traditum a ss. apostolis non est prohibendum, sed in omnibus ecclesiis nostris horum historias eligimus. S. Gio. Grisostomo3 scrive: Sacerdos conversus ad Christi imaginem inter duo ostia inflexo capite cum exclamatione dicit hanc orationem etc. Niceforo4 attesta che s. Luca dipinse l'immagine della b. Vergine; e dicesi che questa immagine si vede in Roma nella chiesa di s. Maria maggiore. Di più Anastasio bibliotecario romano, nella prefazione del sinodo VII, scrive al papa Giovanni VIII, ch'era succeduto ad Adriano II, queste parole: Quae super venerabilium imaginum adoratione praesens synodus docet, haec et apostolica vestra sedes, sicut nonnulla scripta innuunt, antiquitus tenuit, et universalis ecclesia semper venerata est et hactenus veneratur.

38. In conferma di ciò Sozomeno5 e Niceforo6 scrivono che a tempo di Giuliano apostata fu da' cristiani introdotta nella chiesa la statua di Gesù Cristo, la quale era presso Pemade; il che accadde prima dell'anno 40. Parimente Eusebio nella vita di Costantino7 scrive che nelle chiese di Costantino edificate nella Palestina vi erano molte immagini sacre così d'argento, come d'oro. S. Gregorio nazianzeno8 si lamenta che la città di Cesarea stava per abbattersi, nella quale egli avea adorate nel tempio alcune statue, soggiungendo: Si statuae deiiciantur, hoc nos excruciat. S. Damaso nella vita di s. Silvestro scrisse che Costantino nella chiesa lateranese situò più statue di argento del Salvatore, de' dodici apostoli e de' quattro evangelisti. Nel


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sinodo VII, act. 6, si riferisce che i discepoli di s. Epifanio innalzarono un tempio sotto il nome del medesimo e vi collocarono la di lui statua. Scrive di più Niceforo1 che Pulcheria Augusta pose nel tempio che aveva edificato in Costantinopoli l'immagine della divina Madre, che da Gerusalemme le avea mandata Eudocia. Narrasi ancora che il nostro Salvatore lasciò la sua immagine in un lenzuolo e la mandò al re Abagaro. Questo fatto da molti moderni vien negato, ma lo dà per vero il Damasceno2 e, come scrive Evagrio (che anche lo dà per certo3 , il fatto fu comprovato da un gran miracolo operato in Edessa. Teodoreto, nell'istoria religiosa e proprio nella vita di s. Simeone Stilita, narra che in Roma in tutte le officine stavano appese le immagini di detto santo.

39. Agli eretici dà gran fastidio che noi rappresentiamo Iddio e la ss. Trinità in forma corporea. Ma noi abbiamo che Giacobbe vide in tal forma corporea il Signore appoggiato alla scala per cui ascendeano e discendeano gli angeli: Et Dominum (vidit) innixum scalae discentem sibi: Ego sum Dominus Deus Abraham etc.4 . E nell'Esodo, 33, 23, si dice: Tollamque manum meam, et videbis posteriora mea: faciem autem meam videre non poteris. Di più in s. Matteo, nel battesimo che Gesù Cristo ricevé per mano di s. Giovanni, si legge che lo Spirito santo apparve in forma di colomba: Baptizatus autem Iesus... Et vidit Spiritum Dei descendentem sicut columbam5 . Nel sinodo VII fu approvata l'immagine dello Spirito santo in forma di colomba. Di più presso Daniele si descrive Iddio come un vecchio canuto che siede nel suo trono: Antiquus dierum sedens in throno, cuius vestimentum candidum quasi nix, et capilli quasi lana munda6 . Di più abbiamo nella scrittura che a Dio si attribuiscono membra umane. Or se la scrittura attribuisce umane membra a Dio, perché non si posson elle dipingere? Nel concilio in questa sessione 25 ben si ammette l'immagine di Dio, specialmente nelle pitture delle istorie; vuolsi però che s'istruisca il popolo a non credere che perciò la divinità possa figurarsi, come se cogli occhi si possa vedere: Quod si aliquando historias et narrationes sacrae scripturae, cum id indoctae plebi expediret, exprimi et figurari contigerit, doceatur populus non propterea divinitatem figurari, quasi corporis oculis conspici vel coloribus aut figuris exprimi possit. Sicché quando da noi si dipinge la ss. Trinità, non si fa per rappresentare l'immagine di Dio qual è, ma solo per istruire il popolo nella cognizione di Dio per quelle analogiche similitudini.

40. Alcuni poi son d'opinione che le sacre immagini debbon venerarsi collo stesso culto con cui si venera l'originale: sicché le immagini di Dio debbano adorarsi con culto di latria, della b. Vergine con culto d'iperdulia e quelle de' santi di dulia; ma la miglior opinione con Bellarmino è che sebbene le immagini debbono differentemente onorarsi secondo il prototipo che rappresentano, nondimeno non propriamente, ma impropriamente (come si avverte nel VII sinodo) dee darsi loro il culto che meritano (secondo la differenza dell'originale); siccome si onora il legato d'un re collo stesso onore al re dovuto, ma impropriamente. Del resto s. Tomaso7 meglio di tutti scioglie questa difficoltà, dicendo, secondo la prima opinione di sopra riferita, che colla stessa adorazione con cui si adora Dio ed i santi, di latria o di dulia, ben possono adorarsi ancora le loro immagini; ma ne' prototipi l'adorazione è assoluta, nelle immagini è relativa: e così resta sciolto ogni dubbio.

41. Diciamo ora qualche cosa speciale del segno della santa croce. Certamente meritano più venerazione le reliquie o siano particelle del proprio legno in cui morì Gesù Cristo, per lo contatto del suo sacrosanto corpo, che le altre reliquie; come anche maggior venerazione deesi al segno della croce che alle altre immagini de' santi. Ma in ciò gli eretici con noi se la prendono, dicendo che, se deesi onorare ogni immagine della croce perché Cristo in una croce morì, dunque dovrà onorarsi ogni fune, ogni flagello, ogni chiodo, ogni sepolcro, giacché il Signore dalle funi, da' flagelli, da' chiodi fu tormentato ed in un sepolcro fu riposto. Si risponde che non tutte le funi, flagelli, chiodi e sepolcri son fatti a fine di rappresentare quelli di Cristo, come son fatte le croci, e perciò solamente le croci han ragione d'immagini e di esser venerate. Dio stesso vuol che sia venerato il segno della croce, per quello che abbiamo da s. Matteo, 24, 30: Et tunc apparebit signum filii hominis in coelo. Questo segno del Figliuolo dell'uomo da tutti gli antichi si spiega per lo segno della croce, contra Calvino; e perciò ne' tre sinodi


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VI, VII ed VIII si formarono canoni speciali per la venerazione delle croci.

42. Ma replicano che la croce di Cristo merita più presto di essere detestata che adorata, giacché gli fu di tanto dolore e vituperio. Dicono che non ossequioso, ma ingiurioso sarebbe al padre quel figlio che onorasse il patibolo dove il padre è morto giustiziato. Si risponde che la croce benché fu d'ignominia a Cristo secondo l'intenzione de' giudei, gli fu però di gloria per la redenzione che sulla croce operò del mondo: onde noi giustamente la veneriamo, non come obbrobriosa, ma come gloriosa al nostro Salvatore. Oltreché, la croce divenne gloriosa pel contatto di Cristo. Dunque diranno i miscredenti: l'asino ove sedé Cristo in Gerusalemme, anche divenne glorioso? Risponde s. Atanasio: Non per asinum Christus diabolum devicit et daemones, neque in eo salutem operatus est, sed in cruce1 . In quanto poi alle reliquie della croce oppongono che se si unissero tutte le di lei particelle che vanno sparse per la terra, oltrepasserebbero molte volte il legno della croce. Ma scrive il cardinal Gotti che, per quante parti se ne siano prese dalla croce, il santo legno niente si è diminuito; ed in ciò adduce l'autorità di s. Cirillo gerosolimitano, il quale attesta che quel santo legno ad hodiernum diem apud nos apparens et apud eos qui, secundum fidem ex eo capientes hunc universum orbem iam repleverunt, a somiglianza della moltiplicazione de' pani.

43. Ma a che servono le immagini quando abbiamo gli originali? Servono per conservare in noi, che siamo sensibili, la memoria di Gesù Cristo e de' santi, i quali c'insegnano le virtù che dobbiam praticare ed insieme ci ricordano d'invocarli nelle nostre necessità. Disse s. Gregorio nisseno nell'orazione fatta a Teodoro che anche le semplici pitture appese al muro, benché mute, soglion parlare e molto giovare: Solet enim etiam pictura tacens in pariete loqui maximeque prodesse. Ma meglio di tutti il concilio di Trento2 descrive l'utile delle sacre immagini, dicendo: Illud vero diligenter doceant episcopi per historias mysteriorum nostrae redemptionis, picturis vel aliis similitudinibus expressas, erudiri et confirmari populum in articulis fidei commemorandis et assidue recolendis; tum vero ex omnibus sacris imaginibus magnum fructum percipi, non solum quia admonetur populus beneficiorum et munerum quae a Christo sibi collata sunt, sed etiam quia Dei per sanctos miracula et salutaria exempla oculis fidelium subiiciuntur, ut pro iis Deo gratias agant, ad sanctorum imitationem vitam moresque suos componant, excitenturque ad adorandum ac diligendum Deum ac pietatem colendam. Si quis autem his decretis contrarie docuerit aut senserit, anathema sit.

44. Si oppone per 1. che nella scrittura si proibisce ogni culto religioso delle immagini: Non adorabis ea, et non coles3 . Per la parola non adorabis si proibisce il culto esterno, e per la parola non coles il culto interno. Si risponde che ivi si proibisce il culto idolatrico che i gentili davano alle statue, credendo che in quelle vi fosse intrinsecamente qualche virtù divina; ma non s'intende per quel culto religioso che si usa colle sacre immagini a riguardo de' sacri originali che rispettivamente rappresentano. E perché i giudei erano inclinati all'idolatria, perciò fu loro proibito l'adorare le immagini: onde scrive Giuseppe ebreo che per lo stesso fine nel tempio non vi erano immagini; benché per altro vi erano figurati i cherubini che anche erano vere immagini degli angeli. Del resto, essendo ora cessato il pericolo d'idolatrare, è cessato insieme quel precetto cerimoniale dato a' giudei.

45. Si oppone per 2. che l'immagine si venera come rispettiva al suo prototipo; dunque non può venerarsi come immagine. Si risponde che le immagini senza relazione agli originali che rappresentano non son capaci di onore, ma ben lo sono come relative; poiché allora, come dice s. Tomaso4 o si adora il prototipo nell'immagine, o si adora l'immagine per lo prototipo, il che si riduce allo stesso culto relativo.

46. Si oppone per 3. che nel concilio illiberitano al can. 26 si proibì il metter pitture nelle mura del tempio. Ma si risponde che tal proibizione fu fatta per molti fini che al presente non han luogo: fu fatta acciocché non pensassero i gentili che noi adoriamo le tele ed i simulacri; o pure acciocché quelle sacre immagini da' gentili non fossero state maltrattate, giacché in quei tempi ancora duravano le persecuzioni, come apparisce dal can. 25 di detto concilio.

47. Si oppone per 4. che s. Gregorio in una sua lettera5 proibisce l'adorare


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le immagini. Ma si risponde che s. Gregorio ivi parlava di certe immagini che si adoravano con culto superstizioso con grande scandalo dei fedeli, come apparisce dal contesto della lettera. Del resto abbiamo che lo stesso s. Gregorio (come si legge nella sua epistola 54 nel libro 9) mandò in dono a Secondino un'immagine del Salvatore, e disse nella lettera che egli ben sapea che non l'avrebbe adorata come Dio, sed ob recordationem Filii Dei, ut in eius amore recalescas. Di più inviò allo stesso Secondino una croce con due vesti o due scudi ove erano dipinte le immagini del Salvatore, della ss. Vergine e degli apostoli Pietro e Paolo.

48. Si oppone per 5. che né pure i giudei adoravano il vitello, né i gentili (come dice Calvino) adoravano i loro idoli, credendo che fossero Dei, ma in quelli onoravano il vero Dio. Si risponde che così i gentili come i giudei in fatti in quelle immagini o adoravano i falsi Dei o almeno riconoscevano in quelle una certa nascosta virtù divina, mentre collocavano in quei legni o pietre le loro speranze, facendole ultimi termini delle loro adorazioni, il che era vera idolatria. Onde scrive Daniele, 5, 4: Bibebant vinum, et laudabant Deos suos aureos. E dei giudei scrisse Davide: Et commisti sunt inter gentes...et servierunt sculptilibus eorum1 . Che perciò diceano e pregavano Mosè: Fac nobis Deos qui nos praecedant2 . E Geroboamo, pervertendoli dal vero Dio, fece due vitelli d'oro e poi lor disse: Nolite ultra ascendere in Ierusalem; ecce Dii tui, Israel, qui te eduxerunt de terra Aegypti3 . Onde Aaron, parlando del vitello d'oro, rimproverò loro: Hi sunt Dii tui... qui te eduxerunt de terra Aegypti4 . Niente di ciò vi è presso i cattolici, che niente di virtù occulta stimano esservi nelle sacre immagini; ma il culto che loro danno è tutto relativo a' loro prototipi: e perciò la venerazione che si usa colle immagini, non è vietata, ma gradita da Dio; il che apparisce da innumerabili miracoli che il Signore si compiace di fare per mezzo di tali immagini. Il dire poi che tali miracoli son tutti falsi, non può dirsi senza una gran temerità.

49. Si oppone per 6. da Calvino: Ma giacché nelle immagini non vi è alcuna virtù nascosta, perché correre ad una immagine e non ad un'altra, sino a far lunghe peregrinazioni? Si risponde che ciò non nasce dalla virtù particolare di quella immagine, ma dalla volontà del Signore, che spesso si compiace di fare più grazie per mezzo di una immagine che per un'altra, secondo i suoi divini giudizj; che per tanto infonde nelle anime più divozione ad una che ad un'altra immagine.




1 - L. de pudicit.

2 - In Iulianum.

3 - Tr. 5. in liturg.

4 - L. 6. c. 16.

5 - L. 5. c. 20.

6 - L. 10. c. 50.

7 - L. 3. et 4.

8 - Ep. 49. ad Olympium.

1 - L. 14. c. 2.

2 - L. 1. de imag.

3 - L. 4. c. 26.

4 - Gen. 28. 13.

5 - Matth. 3. 16.

6 - Dan. 7. 8.

7 - 2. 2. q. 81. a. 3. ad 3.

1 - L. qu. ad Antioch. qu. 1. 5.

2 - Decret. de invocatione sanct.

3 - Deuter. 5. 9.

4 - 3. p. q. 25. a. 3.

5 - L. 11. epist. 13. alias 9.

1 - Ps. 105. 35. et 36.

2 - Exod. 32. 23.

3 - 3. Reg. 12. 28.

4 - Exod. 32. 4.




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