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CAPO XIV.
Caritas omnia suffert.
Chi ama Gesù Cristo soffre tutto per Gesù Cristo, e
specialmente le infermità, la povertà e i disprezzi.
Parlammo nel capo V. della virtù della pazienza in generale. Qui tratteremo di
alcune cose particolari circa le quali bisogna specialmente esercitar la
pazienza.
Diceva il P.
Baldassarre Alvarez che non pensasse un cristiano di aver fatto alcun profitto
se non è giunto a tener fissi nel cuore i dolori, la povertà e i disprezzi di
Gesù Cristo, per soffrir con
pazienza amorosa
ogni dolore, ogni povertà ed ogni disprezzo per amor di Gesù Cristo.1
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Parliamo in primo luogo de'
dolori e delle infermità del corpo, le quali fanno acquistarci una gran
corona di meriti, quando le soffriamo con pazienza.
S. Vincenzo de'
Paoli dicea: “Se conoscessimo il prezioso tesoro che si racchiude nelle
infermità, le riceveressimo con quel giubilo con cui si ricevono i maggiori
benefici.”2 E quindi il santo, essendo continuamente travagliato da
tante infermità che spesso non lo lasciavano riposare né di giorno né di notte,
le sopportava con tanta pace e serenità di volto, senza lamentarsene, che
sembrava di non aver alcun male.3 Oh che bella edificazione dà un
infermo che con volto tranquillo tollera le malattie, come facea S. Francesco
di Sales! Egli, stando infermo, esponea semplicemente al medico il suo male,
l'ubbidiva puntualmente nel prendere tutti i rimedi quantunque dispiacevoli che
gli prescriveva, e poi se ne restava in pace senza lamentarsi di quel che
pativa.4 A differenza di taluni
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che per ogni picciolo
incomodo che soffrono non si saziano di lamentarsene con tutti, e vorrebbero
che tutti, parenti ed amici, loro stessero d'intorno a compatire i lor mali. Ma
S. Teresa esortava le sue religiose: “Sorelle, sappiate soffrir qualche cosa
per amor del Signore senza che tutti la sappiano.”5 Il Ven. P. Luigi da
Ponte in un venerdì santo fu regalato da Gesù Cristo con tanti dolori corporali
che non vi era parte del corpo che non patisse il suo particolar tormento; egli
narrò questo suo patimento sì acerbo ad un amico, ma, dopo averlo detto,
talmente se ne pentì che fece voto di non mai palesare più a verun altro i suoi
patimenti.6
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Ho detto che fu regalato; sì, perché
i santi stimano regali le infermità e i dolori che Dio lor manda. Un giorno S.
Francesco d'Assisi stava sul letto molto cruciato da dolori; gli disse un
compagno che l'assisteva: “Padre, pregate Dio che vi alleggerisca questo
travaglio, e non calchi tanto la mano sovra di voi.” In udire ciò il santo
subito sbalzò dal letto e, inginocchiato a terra, si pose a ringraziare Iddio
di quei dolori; e poi rivolto al compagno: “Sentite, gli disse, se non sapessi
che voi avete parlato per semplicità, io non vorrei vedervi più.”7
Dirà quell'infermo: A me non tanto dispiace il patire questa infermità, quanto
mi dispiace che non posso andare alla chiesa a far le mie divozioni, a
comunicarmi, a sentir la Messa; non posso andare al coro a dir l'officio co'
miei fratelli, non posso celebrare, non posso neppure fare orazione, perché
tengo la testa tutta addolorata e svanita. Ma ditemi, di grazia:
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Voi
perché volete andare alla chiesa, o al coro? perché volete comunicarvi e dire o
sentire la Messa? per dar gusto a Dio? Ma il gusto di Dio ora non è che voi
diciate l'officio, vi comunichiate o udiate la Messa; ma che con pazienza vi
tratteniate in questo letto e sopportiate le pene di questa infermità. Ma
questo mio parlare a voi non piace; dunque voi non cercate di fare quel che
piace a Dio, ma quel che piace a voi. Il Ven. P. Maestro d'Avila scrisse
(Epist. II) ad un sacerdote che appunto di ciò si lagnava: “Amico, non istate a
fare il conto di quel che fareste essendo sano, ma contentatevi di stare
infermo per quanto a Dio piacerà. Se voi cercate la volontà di Dio, che cosa
più v'importa lo star sano che infermo?”8
Dite che non potete neppur far orazione perché la testa non vi regge. Sì,
signore, non potete meditare; ma perché non potete far atti di uniformità alla
volontà di Dio? E se fate questi atti, questa è la più bella orazione che mai
potete fare, abbracciando con amore i dolori che vi affliggono. Così faceva S.
Vincenzo de' Paoli; quando egli stava gravemente infermo, si metteva dolcemente
alla presenza di Dio senza far violenza di applicar la mente a qualche punto
particolare; e solamente
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si esercitava in fare qualche atto da quando
in quando or di amore, or di confidenza, or di ringraziamento, e più spesso poi
di rassegnazione sempre che incalzavano i dolori.9 Dicea S. Francesco
di Sales: “Le tribulazioni considerate in se stesse sono spaventose; ma
considerate nella volontà di Dio sono amore e delizie.”10 Non potete
fare orazione? E che più bella orazione che andar rimirando il Crocifisso da
quando in quando, ed offerirgli le pene che soffrite, unendo quel poco che voi
patite ai dolori immensi che patì Gesù Cristo sulla croce?
Stando in letto una santa donna travagliata da molti mali, una sua domestica le
diede in mano un Crocifisso, e poi le disse che 'l pregasse a liberarla da
quelle pene. Rispose l'inferma: “Ma come volete ch'io cerchi di scendere dalla
croce, mentre tengo nelle mani un Dio crocifisso? Iddio me ne guardi. Voglio
patir per colui che ha voluto patire per me dolori molto più grandi de' miei.”
E questo appunto disse
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Gesù medesimo a S. Teresa, mentr'ella stava
inferma e molto travagliata; egli le apparve tutto impiagato, e poi così le
disse: “Mira, figlia, l'acerbità delle mie pene, e considera se le tue posson
paragonarsi colle mie.”11 Quindi la santa solea poi dire, allorché era
afflitta dalle infermità: “Quando io penso in quanti modi patì il Signore essendo
affatto innocente, non so
dov'io mi abbia il
cervello in lamentarmi de' miei patimenti.”12 - S. Liduvina per 38 anni
patì continuamente molti
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mali, febbre, podagra, chiragra, schiranzia
e piaghe per tutta la vita; e, perché tenea sempre davanti gli occhi i dolori
di Gesù Cristo, sempre se ne stava nel suo letto allegra e gioviale.13
Parimente S. Giuseppe da Leonessa cappuccino, dovendo il cerusico dargli un
gran taglio e volendo i frati ligarlo colle funi, acciocché non facesse moto
per la veemenza del dolore, egli prese in mano il Crocifisso e disse: “Che
funi, che funi! Ecco chi mi lega a soffrire con pace ogni dolore per amor suo;”
e così soffrì il taglio senza lagnarsi.14 S. Giona martire, essendo
stato una notte dentro il ghiaccio per ordine del tiranno, disse la mattina di
non avere avuta notte più tranquilla di quella, perché si avea rappresentato
Gesù pendente in croce, e così i suoi dolori, a paragone di quelli di Cristo,
gli erano sembrati più tosto carezze che tormenti.15
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Oh quanti meriti si possono acquistare col solo soffrir con pazienza le
infermità! Al P. Baldassarre Alvarez fu data a vedere la gran gloria che Dio
avea preparata ad una divota religiosa per un'infermità da lei sofferta con
gran pazienza; e disse ch'ella aveva meritato più in otto mesi di
quell'infermità che alcune altre religiose divote in più anni.16 - Col
patire pazientemente i dolori delle nostre infermità si compisce una gran parte
e forse la maggior parte della corona che Dio ci apparecchia in paradiso. Ciò
appunto fu rivelato a S. Liduvina. Ella dopo aver patito tante infermità così
dolorose, come di sopra si disse, desiderava di morir martire per Gesù Cristo;
or mentre un giorno stava sospirando questo martirio, vide una bella corona, ma
non ancor finita, ed intese che quella per lei si preparava: onde la santa,
anelando che si compisse, pregò il Signore ad accrescerle i dolori. Il Signore
la esaudì, mentre le mandò alcuni soldati che non solo con ingiurie, ma anche
con bastonate molto la maltrattarono. Indi le apparve un angiolo colla corona
già compita, e le disse che quegli ultimi strapazzi vi avean poste le gemme che
vi mancavano, e poco appresso se ne morì.17
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Ah che all'anime che ardentemente amano Gesù Cristo, son troppo graditi e soavi
i dolori e l'ignominie! E perciò con tanta allegrezza andavano i santi martiri
ad incontrare gli eculei, le unghie di ferro, le piastre infuocate e le mannaie.
S. Procopio martire, mentre il tiranno lo tormentava, gli disse: “Tormentami
quanto vuoi, ma sappi, che a chi ama Gesù Cristo non vi è cosa più cara che il
patire per suo amore.”18 Similmente S. Gordiano anche martire disse al
tiranno che gli minacciava la morte: “Tu mi minacci la morte, ma a me dispiace
che non posso morire più d'una volta per Gesù Cristo mio.”19 Ma che
forse, dimando, questi santi parlavano così perché erano insensibili a'
tormenti o erano stupidi di mente? No, risponde S. Bernardo: Hoc non fecit stupor, sed amor.20
Non erano già stupidi, ben sentivano essi i dolori de' tormenti che loro
davano; ma, perché amavano Dio, stimavano gran guadagno il patir tutto e 'l
perder tutto, sin anche la vita, per amore di Dio.
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Sovra tutto in tempo d'infermità dobbiamo esser pronti ad accettar la morte, e
quella morte che piace a Dio. Si ha da morire, e nell'ultima infermità ha da
finir la nostra vita, e non sappiamo quale sarà l'ultima infermità per noi. Onde
bisogna che in ogni malattia ci apparecchiamo ad abbracciar la morte che da Dio
ci sta determinata. - Dice quell'infermo: Ma io ho fatti tanti peccati e niente
di penitenza. Vorrei vivere non per vivere, ma per rendere a Dio qualche
soddisfazione prima di morire. Ma ditemi, fratello mio, come sapete voi che
vivendo farete penitenza, e non farete peggio di prima? Ora ben potete sperare
che Dio v'abbia perdonato; che più bella penitenza è questa che accettar con
rassegnazione la morte, se Dio così vuole? S. Luigi Gonzaga, morendo giovine di
23 anni, con questo pensiero abbracciò allegramente la morte: “Ora, disse, io
mi trovo, come spero, in grazia di Dio. Appresso non so che ne sarebbe di me;
onde contento io muoio, se ora piace a Dio di chiamarmi all'altra vita.”21
Era sentimento
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del P. Giovanni d'Avila che ognuno il quale si ritrova
con buona disposizione, ancorché mediocre, dee desiderar la morte per uscir dal
pericolo in cui viviamo sempre su questa terra di poter peccare e perdere la grazia
di Dio.22
Inoltre in questo mondo non si può vivere, per la nostra natural fragilità,
senza commettere peccati almeno veniali; onde almeno a questo riguardo, per non
offendere più Dio, dobbiamo abbracciare con allegrezza la morte. Di più, se noi
veramente amiamo Dio, dobbiamo ardentemente sospirare di andare a vederlo e ad
amarlo con tutte le forze in paradiso, il che niuno può farlo perfettamente in
questa vita: ma se la morte non ci apre la porta, non possiamo entrare in quella
beata patria d'amore. Perciò esclamava l'innamorato di Dio S. Agostino: Eia moriar, Domine, ut te videam:23
Signore, fatemi morire, perché se non muoio non posso venire a vedervi e ad
amarvi da faccia a faccia.
In secondo luogo bisogna esercitar la
pazienza nel soffrire la povertà.
È certo che bisogna molto esercitar la pazienza allorché ci mancano i
beni temporali. Dice S. Agostino: “Chi non ha Dio ha niente; chi ha Dio ha
tutto.”24 Chi ha Dio e sta unito colla divina volontà, in Dio trova
ogni bene. Ecco un S. Francesco, scalzo, vestito di un sacco, e povero di
tutto, che in dire
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Deus meus et omnia,25 si trova
più ricco che tutti i monarchi della terra. Povero si chiama chi desidera quei
beni che non ha; ma chi non desidera alcuna cosa e si contenta della sua
povertà è ricco appieno. Di costoro dice S. Paolo: Nihil habentes et omnia possidentes (II Cor. VI, 10). Niente hanno
ed hanno tutto i veri amanti di Dio; perché, quando mancan loro i beni temporali,
dicono: Gesù mio, tu solo mi basti, e
così restano contenti.
I santi non solo
hanno avuta pazienza nella loro povertà, ma han cercato di spogliarsi di tutto
per vivere distaccati da tutto ed uniti solamente a Dio. Se noi non abbiamo lo
spirito di rinunziare a tutti i beni di questa terra, almeno contentiamoci di quello
stato in cui ci vuole il Signore; e la nostra sollecitudine non sia per le
ricchezze terrene, ma per quelle del paradiso che sono immensamente più grandi
e sono eterne; e persuadiamoci di ciò che dice S. Teresa: “Quanto meno avremo
di qua, tanto più godremo di là.”26
Dicea S. Bonaventura che l'abbondanza de' beni temporali non è altro che un
vischio all'anima, che l'impedisce di volare a Dio.27 E così
all'incontro scrisse S. Giovan Climaco che la povertà è una via di camminare a
Dio senza impedimento.28 - Disse il Signore: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum (Matt.
V, 3). Alle altre beatitudini, de' mansueti, de' mondi di cuore, sta promesso
il cielo in futuro; ma ai poveri sta promesso il cielo, cioè il gaudio celeste,
anche in questa vita, ipsorum est regnum
caelorum; sì, perché anche in questa vita i poveri godono un paradiso
anticipato. Poveri di spirito, viene
a dire che non solo son poveri di beni terreni, ma che neppure li desiderano;
ed avendo quanto loro basta per alimentarsi e vestirsi, come esorta l'Apostolo,
vivono contenti: Habentes autem alimenta
et quibus tegamur, his contenti simus (I Tim. VI, 8).
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“O beata povertà,
esclamava S. Lorenzo Giustiniani, che niente possiede e niente paventa! Ella è
sempre allegra e sempre abbondante, mentre ogni incomodo che prova lo fa
servire al profitto dell'anima.”29 Scrive S. Bernardo: Avarus terrena esurit ut mendicus, pauper
contemnit ut dominus (Serm. 2 in Cant.):30 l'avaro sempre sta
famelico qual mendico, perché non mai arriva a saziarsi de' beni desiderati; il
povero all'incontro, qual signore del tutto, li disprezza, perché niente
desidera.
Disse un giorno Gesù Cristo alla B. Angela da Foligno: “Se la povertà non fosse
un gran bene, io non l'avrei eletta per me né l'avrei lasciata per porzione a'
miei eletti.”31 Ed infatti i santi vedendo Gesù povero, perciò hanno
tanto amata la povertà. Dice S. Paolo che il desiderio di farsi ricco è un
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laccio del demonio col quale ha fatti perdere più uomini: Qui volunt divites fieri, incidunt... in
laqueum diaboli, et desideria... nociva, quae mergunt homines in interitum et
perditionem (I Tim. VI, 9). Infelici, che per li miseri beni di questo
mondo perdono un infinito bene ch'è Dio!
Ben dunque ebbe
ragione S. Basilio martire, quando Licinio imperatore gli fe' proporre che se
lasciava Gesù Cristo lo faceva principe de' suoi sacerdoti, ebbe ragione, dico,
di rispondergli: “Dite all'imperatore che se volesse darmi tutto il suo imperio
non mi potrebbe dar tanto quanto mi toglierebbe, facendomi perdere
Dio.”32 Ci basti dunque Iddio, e ci bastino quei beni che ci dà,
rallegrandoci di vederci poveri allorché ci manca quel che vorressimo e non
l'abbiamo: poiché qui sta il merito. Non
paupertas, dice S. Bernardo, virtus
reputatur, sed paupertatis amor (Epist. ad Duc. Conrad.).33 Molti
son poveri, ma, perché non amano la loro povertà, niente meritano; perciò dice
S. Bernardo che la virtù della povertà non consiste nell'esser povero, ma
nell'amare la povertà.
E
quest'amore alla povertà debbono specialmente averlo le persone religiose che
han fatto voto di povertà. Molti
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religiosi, dice il medesimo S.
Bernardo: Pauperes esse volunt, eo tamen
pacto ut nihil eis desit (Serm. de adv. Dom.):34 vogliono esser
poveri, ma non vogliono che lor manchi niente. Sicché, dice S. Francesco di
Sales, “vogliono l'onore della povertà, ma non gl'incomodi della
povertà.”35 Per costoro vale quel che dicea la B. Solomea monaca di S.
Chiara: “Sarà burlata dagli angeli e dagli uomini quella monaca che vuol esser
povera e poi si lamenta quando le manca qualche cosa.”36 Non fanno così
le buone religiose: amano la loro
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povertà più d'ogni ricchezza. La
figlia dell'imperator Massimiliano II, monaca scalza di S. Chiara, chiamata
Suor Margarita della Croce, comparendo all'arciduca Alberto suo fratello con un
abito rappezzato, quegli se ne ammirò come di cosa sconvenevole alla di lei
nobiltà; ma ella gli rispose: “Fratello, io sto più contenta con questo
straccio che tutti i monarchi colle loro porpore.”37 Dicea S. Maria
Maddalena de' Pazzi: “Oh fortunati i religiosi che, staccati da tutto per mezzo
della santa povertà, possono dire: Dominus
pars hereditatis meae! (Ps. XV, 5): Dio mio, tu sei la mia parte, ed ogni
mio bene!38 - S. Teresa,
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avendo ricevute più limosine da un
mercante, gli mandò a dire che il suo nome stava scritto nel libro della vita,
e per segno di ciò le cose di questa terra gli sarebbero mancate; ed in fatti
il mercante fallì e fu povero sino alla morte.39 Dicea S. Luigi Gonzaga
che non vi è segno più certo per uno che sia del numero degli eletti, quanto in
vederlo timorato
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di Dio e nel tempo stesso esercitato con travagli e
desolazioni in questo mondo.40
Si appartiene ancora in qualche modo alla santa povertà l'esser privato in
questa vita de' parenti e degli amici colla morte; ed in ciò parimente bisogna
molto esercitar la pazienza. Taluni perdendo un parente, un amico, non sanno
darsi pace, si chiudono in una camera a piangere, ed, abbandonandosi alla
mestizia, diventano talmente impazienti che si rendono impraticabili. Vorrei
saper da costoro, con affliggersi essi in tal modo e spargere immoderatamente
tante lagrime, a chi danno gusto? A Dio? A Dio no, perché Dio vuol che ci
rassegniamo alla sua volontà. A quell'anima trapassata? Neppure. Quell'anima,
se mai si è perduta, odia voi e le vostre lagrime; se si è salvata e già sta in
cielo, desidera che ringraziate Dio per lei; se poi sta al purgatorio, desidera
che la soccorriate colle vostre orazioni, e che voi vi uniformiate al divino
volere e vi facciate santo, acciocché un giorno vi abbia per compagno in
paradiso. E così quel tanto piangere a che giova? Il Ven. P. Giuseppe
Caracciolo teatino, essendogli morto un fratello e stando un giorno cogli altri
suoi parenti che non cessavano di piangere, disse loro: “Eh via, serbiamo
queste lagrime per migliore oggetto, per piangere la morte di Gesù Cristo che
ci è stato padre, fratello e sposo, ed è morto per nostro amore.”41 -
In tali occasioni bisogna fare come fece
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Giobbe che ricevendo la
notizia d'essergli stati uccisi i figli, egli tutto uniformato al voler divino
disse: Dominus dedit, Dominus abstulit:
Iddio mi ha dati questi figli e Dio me l'ha tolti: Sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum (Iob.
I, 21): quel che è avvenuto è piaciuto a Dio, e così piace ancor a me: ond'egli
sempre sia da me benedetto.
In terzo luogo dobbiam esercitar la pazienza e dimostrare il nostro amore a Dio
nel soffrire con pace i disprezzi che
riceviamo dagli uomini.
Quando un'anima si
dà tutta a Dio, Dio stesso fa o permette che sia dagli uomini vilipesa e
perseguitata. Un giorno apparve un angelo al B. Errico Susone, e gli disse
“Errico, sinora ti sei mortificato a modo tuo, da oggi avanti sarai mortificato
come piacerà agli altri.” E nel giorno seguente il beato, affacciandosi ad una
finestra, vide un cane che teneva uno straccio in bocca e l'andava tutto
lacerando; allora udì una voce che gli disse: “Così tu hai da essere lacerato
dalle bocche degli uomini.” Allora il B. Errico calò giù e si prese quello
straccio conservandolo per suo conforto nel tempo de' travagli che gli erano
stati prenunziati.42
Gli affronti e le ingiurie sono le delizie bramate e cercate da' santi. S.
Filippo Neri, perché nella casa di S. Geronimo in Roma da 30 anni vi pativa
molti maltrattamenti da alcuni, non volle lasciarla e passare al nuovo oratorio
della Chiesa Nuova da lui fondata, dove già abitavano i suoi diletti figli che
l'invitavano a ritirarsi con essi, finché non si vide obbligato a passarvi per
comando espresso del Papa.43 S. Giovanni della Croce dovendo mutar aria
per causa di un'infermità
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che poi lo portò alla morte, pospose un
convento più comodo in cui trovavasi un priore suo affezionato e si elesse un
convento povero ove presiedea un priore suo nemico, il quale in fatti poi per
molto tempo e quasi persino alla di lui morte lo vilipese e maltrattò in molti
modi, proibendo ancora agli religiosi che l'andassero a visitare.44
Ecco come i santi giungono sino ad andar cercando di esser vilipesi. S. Teresa
scrisse questa memorabil massima: “Chi aspira alla perfezione si ha da guardar
bene di dire: Mi fecero ciò senza ragione. Se tu non vuoi portar croce, se non
quella che sta appoggiata alla ragione, la perfezione non fa per te.”45
È celebre la risposta ch'ebbe dal Crocifisso S. Pietro martire, mentr'egli
lamentavasi che a torto stava carcerato senza aver fatto male; il Signore gli
rispose: “Ed io che male ho fatto che ho avuto a star su questa croce a patire
e morire per gli uomini?”46
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Oh come i santi allorché sono
ingiuriati si consolano colle ignominie che patì per noi Gesù Cristo! S.
Eleazaro richiesto dalla sua sposa, come facesse a soffrir con tanta pazienza
le tante ingiurie che ricevea per fin da' suoi medesimi servi, rispose: “Io mi
rivolgo a considerare Gesù disprezzato, e vedo che i miei affronti son niente a
rispetto di quelli ch'egli ha sofferti per me, e così Dio mi dà forza a soffrir
tutto con pace.”47 In somma gli affronti, la povertà, i dolori e tutte
le tribulazioni, cadendo sovra di un'anima che non ama Dio le sono occasioni di
più allontanarsi da Dio; ma cadendo sovra di un'anima amante di Dio le son
motivi di più stringersi con Dio e di più amarlo. Aquae multae non potuerunt exstinguere caritatem (Cant. VIII, 7). I
travagli per quanto sieno molti e gravi non solo non ispegnono, ma di più
aumentano le fiamme della carità in un cuore che non ama altro che Dio.
Ma perché Iddio ci carica di tante croci e gode in
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vederci tribulati, vilipesi, perseguitati e maltrattati
dal mondo? Che forse egli è un tiranno, di genio così crudele che si compiace di
veder ci patire? No, non è tiranno Dio né è di genio crudele; egli è tutto
pietà ed amore verso di noi; basta dire che ci ha amati sino a morire per noi.
Gode sì in vederci patire, ma per nostro bene, acciocché patendo qui, restiam
liberati dalle pene che dovressimo patire nell'altra vita per li debiti da noi
contratti colla divina giustizia; ne gode acciocché non ci attacchiamo a'
piaceri sensibili di questa terra: la madre quando vuole slattare il fanciullo
mette fiele alle poppe, affinché il figlio vi prenda abborrimento; ne gode
acciocché col patire con pazienza e rassegnazione gli diamo qualche prova del
nostro amore; ne gode finalmente acciocché col patire acquistiamo gloria
maggiore in paradiso. Per questi fini, che son tutti fini di pietà e d'amore,
gode il Signore di vederci patire.
Concludiamo questo capo. Affin di ben esercitare la santa pazienza in tutte le
tribulazioni che ci occorrono, bisogna persuaderci che ogni travaglio viene
dalle mani di Dio o direttamente o indirettamente per mezzo degli uomini; e
perciò quando ci vediamo tribulati bisogna ringraziarne il Signore, ed accettar
con animo allegro quanto egli dispone per noi di prospero o di avverso, perché
tutto lo dispone per nostro bene: Diligentibus
Deum omnia cooperantur in bonum (Rom. VIII, 28). Di più, quando ci affligge
qualche travaglio, giova dare un'occhiata all'inferno un tempo da noi meritato,
poiché ogni pena a confronto dell'inferno sarà sempre immensamente minore. Ma
per soffrire con pazienza ogni dolore, ogni obbrobrio ed ogni cosa contraria,
più d'ogni considerazione giova la preghiera: l'aiuto divino che ci sarà dato
dopo la preghiera, ci darà quella forza che noi non abbiamo. Così han fatto i
santi, si son raccomandati a Dio ed han superati tutti i tormenti e le
persecuzioni.
1 «Solea (il P. Alvarez) ripetere
ad ora ad ora nelle sue ordinarie esortazioni: «Non pensiamo d' aver mai fatto
alcuna cosa di rilievo, se non giungiamo a portar sempre nei nostri cuori Gesù
crocifisso.»... Ciò che meditava con ispecial sentimento e con fervore in
Cristo crocifisso, erano i tre compagni
che lo seguirono fin dal presepio per tutto il tempo di sua vita, e con più
rigore nella sua Passione e nella sua morte, cioé povertà, disprezzo e dolore,
ruminando e ben ben masticando le cose particolari che ciascuno include... Ed
in questa considerazione non solo s' inteneriva, ma si animava pur anche a
rintracciar la povertà, ad amare i dispregi, ad abbracciare i dolori, come il
fece in tutta la sua vita, avendo sempre in grandissima stima la croce
spirituale, che di queste tre cose si compone: giacché in ciò consiste la perfetta
imitazione di Cristo crocifisso.» Ven.
Ludovico DA PONTE, S. I., Vita, cap.
3, § 2.
2 Vedi Appendice, 95.
3 «Ce fut en
ce dernier choc (des maladies) que ce saint homme (S. Vincent de Paul) fit
èclater davantage sa vertu, supportant cette dure épreuve, non seulement avec
patience, mais même avec une parfaite soumission au bon plaisir de Dieu, auquel
il rendait des bénédictions et des louanges avec d' autant plus d' affection,
que ses douleurs étaient plus sensibles et ses peines plus violentes... Ce
saint homme, par une conduite particulièere de la Providence, a presque
toujours été dans l' exercice des infirmités... Néanmoins, quelques maladies
dont il fût atteint, et quelques douleurs qu' il ressentît, il conservait
toujours une paix et une liberté d' esprit si grande, qu' on n' eût pas dit qu'
il eût souffert aucun mal, si l' abattement de son corps n' eût fait voir le
contraire... «Plus il avançait en âge, dit un très vertueux ecclésiastique qui
l' a particulièrement connu, et plus son corps s' appesantissait et ses
incommodités augmentaient... Et toutefois, parmi ses souffrances, il voyait et
recevait toutes sortes de personnes du dehors et du dedans: il donnait ordre
aux affaires de sa maison et de sa Congregation, répondant à tous venants avec
autant de grâce et de sérénité d' esprit que s' il n' eût ressenti aucun mal,
la même affabilité et douceur ayant toujours paru sur son visage jusqu' à sa
mort. » ABELLY, Vie, liv. 3, ch. 23.
4 S. Jeanne de CHANTAL, Déposition pour la Béatification et Canonisation de S. François de
Sales (Procès d' Annecy, 1627), article 31: « Quant à la patience de ce
Bienheureux en ses maladies, elle était incroyable. (Dopo commemorate le molte
e lunghe malattie del Santo, e le gravi incomodità di cui abitualmente
soffriva, aggiunge:) En ses dernières années, toutes ses incommodités
redoublèrent... lesquelles toutes il couvrait tant qu' il pouvait, ne changeant
point de vie, de façon, ni de visage; l' on connaissait seulement à sa couleur
quand il se trouvait mal; car il ne prenait point le lit pour toutes telles
incommodités, ains seulement pour les grosses maladies. - L' on n' a jamais oui
dire ni vu, à ce que ses domestiques assurent - et moi-même en ai eu la même
connaissance avant que je fusse religieuse - qu' il ait donné en toutes ses
maladies le moindre signe d' impatience; il était toujours doux, paisible et
patient, méme gracieux à ceux qui le servaient; jamais il ne se plaignait, ne
faisait mine ni grimace, ains il supportait son mal et recevait les remèdes,
les viandes et les services qu' on lui faisait, sans témoigner aucun
désagrément ni chagrin; il estimait fort peu ce qu' il souffrait, et prenait
son mal fort en gré pour l' amour de Notre-Seigneur... Tandis qu' il était dans
le lit pour le repos corporel, il s' occupait avec plus de soin... à l'
avancement de son âme à l' union avec Dieu, et disait qu' on servait Dieu plus
saintement en souffrant qu' en agissant... Sitôt que ce Bienheureux était entre
les mains des médicins, il leus obéissait exactement, disant que Notre-Seigneur
le voulait ainsi. Jamais il ne censurait leurs ordonnances, et s' y soumettait,
bien que quelquefois il sût que d' autres remèdes lui eussent été meilleurs...
Quand on lui demandait son mal, il l' avouait franchement sans aucune
exagération, et disait que ce n' était que des moyens que Dieu donne pour se
préparer à plus grandes souffrances et à la mort. Quand on le pressait, devant
qu' il fût alité, de prendre des remèdes, il repondait: «Aussi bien faut-il
mourir; dix ans de plus ou moins, ce n' est rien,» et disait que rien ne le
mettait en peine, que le soin que les autres avaient de lui.» Vie et Œuvres de la Sainte, tom. 3,
Paris, 1876, 164-167. - Cf. CAMUS, Esprit
de S. François de Sales (éd. abrégée Collet),
partie 5, ch. 9; partie 17, ch. 5.
5 «Acordaos
tambien de muchas casadas; yo sé que las hay y personas de suerte, que con
graves males, por no dar enfado a sus maridos, no se osan quejar, y con graves
trabajos. Pues pecadora de mi! si, que no venimos aqui a ser màs regaladas que
ellas. Oh, que estàis libres de graves trabajos del mundo! sabed sufrir un
poquito por amor de Dios sin que lo sepan todos. Pues es una mujer muy mal
casada, y porque no sepa su marido lo dice y se queja, pasa mucha mala ventura
sin descansar con nadie, y no paseremos algo entre Dios y nosotras de los males
que nos da por nuestros pecados?» S. TERESA, Camino
de perfecciòn, cap. 11. Obras, III, pag. 56.
6 «Contentissimo di far la divina
volontà, benediceva Iddio e la sua infinita misericordia, per averlo ammesso a
parte della sua croce. La si tenne poi così cara, che mai ammetter non volle
conforto alcuno. Tra più diversi proponimenti, che trovaronsi scritti di suo
pugno, uno fu questo di mai non comunicar con alcuno, se non per comando dell'
ubbidienza, i suoi interni dolori.» LONGARO DEGLI ODDI, Vita, lib. 2, cap. 1, n. 15. - «Trovavasi il sant' uomo in
Villagarzia, allorché in un Venerdì Santo assalito fu da una gotta artetica
nelle mani, nelle ginocchia, ne' piedi, con dolori sì acuti, che non reggendosi
in su la vita, era costretto a portarla sospesa in aria raccomandata a due
grucce. Infermità penosissima, e che mai lo abbandonò per fin che visse, e che
di tanto in tanto l' inchiodava per più mesi in letto, senza poter mutar sito,
né voltarsi dall' uno sull' altro lato.» La
stessa opera, lib 2, c. 1, n. 13. - «Egli stesso ebbe a dire al P.
Ministro, che l' interrogava de' suoi mali: «O mio caro Padre, veda come Iddio
affligge questo peccatore. Salvo la testa, non trovo altra parte che non
patisca il suo mal proprio: negli occhi ho come alcuni panni; i denti, con ogni
sorte di cibo e di bevanda, calda o fredda, mi dolgono; una mascella mi brugia;
lo stomaco mi tormenta, inquietato da qualsivoglia cosa che mangi, costretto
dopo cinque o sei ore a ributtarla, convertito in umor acido come un forte
aceto; dal lato sinistro, non posso giacere, per rendermi molto penosa la
respirazione; dal destro e sulle spalle molto meno; il fegato mi arde; ne'
piedi e nelle mani mi strazia la gotta.» PATRIGNANI, Menologio d. C. d. G., 16 febbraio 1624.
7 «Cum autem semel gravius solito
dolorum urgeretur aculeis, quidam Frater simplex dixit ad eum: «Frater, ora
Dominum ut mitius tecum agat: manum enim suam plus debito super te gravare
videtur.» Quo audito, vir sanctus cum eiulatu exclamans ait: «Nisi nossem in te
simplicem puritatem, tuum ex nunc abborrerem consortium, qui ausus fueris circa
me divina iudicia reprehensibilia iudicare.» Et licet totus esset attritus
gravis prolixitate languoris, proiiciens se in terram, ossa debilia duro casu
collisit. Et deosculans humum: «Gratias, inquit, tibi ago, Domine Deus, de
omnibus his doloribus meis, teque, mi Domine, rogo ut centuplum, si tibi
placuerit, addas; quia hoc erit mihi acceptissimum ut affligens me dolore non parcas, cum tuae sanctae voluntatis
adimpletio sit mihi consolatio superplena.» S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 14, n. 2. Opera, tom. 8, ad Claras Aquas,
1898, pag. 546.
8 «Non vi lasciate turbare il giudizio
dalla infermità che vi ha mandata il Signore per gloria sua, e per provar qual
sia l' obbedienza vostra; la quale piace più a Sua Divina Maestà che non fanno
le vittime ed i sacrifici, siccome fu detto al disobbediente re Saul (I Reg.
XV); però non andate di grazia fantasticando sopra quel che avreste fatto
stando voi sano; ma piuttosto quanto piacerete al Signore, contentandovi di
star, come state, infermo. E se cercate, come credo, la volontà di Dio
puramente, che importa a voi lo star più infermo che sano? poiché dalla volontà
sua pende ogni nostro bene. Considerate che la infermità vostra è infermità del
corpo; però avvertite molto bene che non passi all' anima; poiché per sanarci
di dentro, ci tribula Dio di fuora, ed allora non passa all' anima quando ella
non si conturba, né ha per male che il corpo suo patisca; anzi si rimette al
voler di Dio, cavando la salute sua di tale infermità: crediatemi, Padre mio,
che Dio va allevando così i suoi figliuoli, cioé levando loro in sul bello il
boccone di bocca, acciocché imparino in tutto e per tutto a spogliarsi di loro
medesimi, e stare apparecchiati a gir quà e là, e far tutto quello che piace a
Dio. E sebben duole assai quando vogliamo staccarci da queste nostre affezioni.
Dio però non guarda a quello che più ci gusta, ma a quello che più a noi giova:
ed a questo modo va egli cavando i figliuoli suoi dalle fasce, come si suol
dire, perché fin tanto che alcuno non si spoglia in tutto di se medesimo,
rivestendosi dal capo al pié del voler di Dio, si troverà sempre un putto, e
come putto si adira, e si rallegra, e piange, e ride, e teme, e spera, secondo
quello che ad ogni passo gli occorre.» B.
Giovanni AVILA, Lettere spirituali,
parte I, A un sacerdote infermo (Brescia, 1728, pag. 135, 136; Firenze,
1601, pag. 347, 348; Roma, 1669, lettera 48, pag. 234.)
9 Che così facesse il Santo, può
almeno argomentarsi dai consigli che suggeriva agli altri sul modo di fare
orazione, specialmente nelle malattie o infermità. Scrive
a Giacomo Pesnelle, Superiore a
Genova ( Lettre 2920, 25 juillet
1659: S. VINCENT DE PAUL, Correspondance,
Entretiens, Documents, Paris, 1920-1925, VIII, pag. 47): «Quant au jeune
homme de Chiavari qui se plaint de la tête et de l' estomac, il faut lui faire
cesser les applications de l' esprit, même de l' oraison; ou, s' il en fait,
que ce soit passivement, recevant ce que Dieu lui donnera, sans qu' il cherche
des pensées pour s' exciter aux affections. Il pourra faire quelque acte de foi
et quelque préparation simple au commencement, et puis se tenir là, parce que
Dieu le veut, comme incapable de méditer et indigne de converser avec Sa divine
Majesté, sans autre soin que d' éviter de bander la tête. Il lui pourra arriver
beaucoup de distractions, mais n' importe, il ne les ira pas chercher, et, Dieu
aidant, il ne s' entretiendra en aucune volontairement. Si le mal était grand,
il le faudrait même dispenser de l' oraison quelque temps. Et ce que je dis de
lui, je le dis des autres qui pourront tomber dans la même incommodité, à quoi
le directeur du séminaire doit prendre garde, recommandant souvent aux
séminaristes et leur enseignant de se rendre intérieurs sans contention d'
esprit, de jeter en Dieu de simples regards, sans se concilier sa peésence par
des efforts sensibles, de s' abandonner à lui sans raisonnement, et de s'
affectionner aux vertus sans les vouloir pénétrer par la connaissance ou l'
imagination.»
10 «Les
peines, considérées en ellesmêmes, ne peuvent certes être aimées; mais
regardées en leur origine, c' est-à-dire en la providence et volonté divine qui
les ordonne, elles sont infiniment aimables. Voyez la verge de Moise en terre,
c' est un serpent effroyable; voyezla en la main de Moise, c' est une baguette
de merveilles (Exod. VII): voyez les tribulations en elles-mêmes, elles sont
affrenses; voyez-les en la volonté de Dieu, elles sont des amours et des
délices.» S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de
l' amour de Dieu, liv. 9, ch. 2.
11 «Esto me dijo el Senor otro dia:
«Piensas, hija, que està el merezer en gozar? No està
sino en obrar y en padecer y en amar. No habràs oido que San Pablo estuviese
gozando de los gozos celestiales màs de una vez, y muchas que padeciò, y ves mi
vida toda llena de padecer, y sòlo en el monte Tabor habràs oido mi gozo...
Cree, hija, que a quien mi Padre màs ama, da mayores trabajos, y a éstos
responde el amor. En qué te le puedo màs mostrar que querer para ti lo que
quise para Mi? Mira estas llagas, que nunca llegarà, aqui tus dolores. Este es
el camino de la verdad. Ansi me ayudaràs a llorar la perdiciòn que train los
del mundo, entendiendo tù esto, que todos sus deseos, y cuidados y pensamientos
se emplean en còmo tener lo contrario.»
Cuando
empecé a tener oraciòn, estaba con tan gran mal de cabeza, que me parecia casi
imposible poderla tener. Dijome el Senor: «Por qui veràs el premio de el
padecer, que como no estabas tù con salud para hablar conmigo, he Yo hablado
contigo y regalàdote.» Y es ansi cierto, que seria como hora y media, poco
menos, el tiempo que estuve recogida. En él me dijo las
palabras dichas y todo lo demàs. Ni yo me divertia ni sé adonde estaba, y con tan
gran contento, que no sé decirlo, y quedòme buena la cabeza, que me ha
espantado, y harto deseo de padecer.» S. TERESA, Mercedes de Dios, XXXVI (probabilmente nel Monastero della
Incarnazione, 1572). Obras II, pag. 64, 65.
12 «Oh Senor
mio! cuando pienso por qué de maneras padecistes, y còmo por ninguna lo
mereciades, no sé qué me diga de mì, ni donde tuve el seso, cuando no desaba
padecer, ni adònde estoy cuando me disculpo.» S. TERESA, Camino de perféccion, cap. 15. Obras, IV, 70. - Parla qui la Santa
Madre del patire in genere, e più specialmente dei disprezzi. - Vedi pure, nella stessa opera, cap. 26, Obras, III, 121, 122, come, colla
considerazione della Passione di Gesù, la Santa animi se stessa e le figlie a
soffrire generosamente ogni travaglio. - Parlando più particolarmente delle
malattie ed infermità, che ebbe lunghe, frequenti o piuttosto continue, e
durissime, così dice (Moradas sextas, cap.
1: Obras, IV, 102): «También suele
dar el Senor enfermedades grandisimas. Este es muy major
trabajo, en especial cuando son dolores agudos, que en parte, si ellos son
recios, me parece el mayor que hay en la tierra -digo exterior- aunque entren
cuantos quisieren: si es de los muy recios dolores, digo. Porque descompone lo
interior y exterior de manera, que aprieta un alma que no sabe qué hacer de sì:
y de muy buena gana tomaria cualquier martirio de presto, que estos dolores;
aunque en grandisimo extremo no duran tanto - que, en fin, no da Dios màs de lo
que se puede sufrir, y da Su Maiestad primero la paciencia - mas de otros
grandes en lo ordinario y enfermedades de muchas maneras. - Yo conozco una
persona (habla de sì misma), que desde que comenzò el Senor a hacerla esta
merced que queda decha (de la uniòn), que ha cuarenta anos, no puede decir con
verdad que ha estado dia sin tener dolores, y otras maneras de padecer: de
falta de salud corporal, digo, sin otros grandes trabajos. Verdad es que habìa sido
muy ruin, y para el infierno que merecìa todo se le hace poco. Otras, que no
hayan ofendido tanto a Nuestro Senor, las llevarà por otro camino; mas yo
siempre escogerìa el del padecer, siquiera por imitar a Nuestro Senor
Jesucristo, aunque no hubiese otra ganancia, en especial, que hay muchas.»
13 Vedi Appendice, 96.
14 «Andava ogni giorno incrudelendo
vie più la cancrena, la quale, per essere in parti così delicate, lo riduceva
ancora a gran pericolo di morte... Tentato dai medici... ogni altro rimedio,
determinarono di venire al taglio... Si fece la prima incisione un giorno di
giovedì... nella quale... mostrò tanta costanza, che, trattando il cerusico di
legarlo acciocché per la veemenza del dolore non si sconcertasse, preso nelle mani
il suo Crocifisso, disse: «Non fa mestieri d' altri legami, che di quelli della
carità mostrataci dal Figlio di Dio in questa croce:» e con tanta fortezza d'
animo soffrì quell' incisione, che non gli uscì mai dalla bocca un sol sospiro o voce di lamento, ma replicava
solamente l' orazione Sancta Maria
succurre miseris. E perché il primo taglio non fu dato intieramente, si
venne al secondo il giorno seguente, quale sopportò con l' istessa pazienza.» Zaccaria BOVERIO, O. M. Cap., Annali dell' Ordine dei FF. MM. Cappuccini, anno
1612. - Cf. Angelo M. DE' ROSSI, O. M. C., Vita,
Genova, lib. 4, cap. 2.
15 «Magorum principes... iusserunt
ut lege Persica vinciretur. Traiecta igitur virga inter manus et crura, iners
humi iacebat vir sanctus tamquam lapis. Ministri autem eum virgis e malo punica
sponosis verberabant, nec prius destiterunt quam eius lacerata sunt latera...
Magorum principes iusserunt ut pes eius funiculo vinciretur, atque ita in
pruinam et glaciem extraheretur, ibique totam noctem iaceret - erat enim hiems
- observareturque quid frigoris causa faceret... Imperarunt ut beatus
Ionas iterum ad conspectum suum adduceretur. Quo quidem adducto: «Quomodo,
inquiunt, se habet corpus tuum, et quomodo noctem illam totam glaciei et
frigori expositus transegisti?» Respondit beatus Ionas, et «Nullam, inquit,
mihi credite, regii Principes, Deus meus, in quo animus meus conquiescit,
noctem umquam mihi aeque tranquillam largitus est, ex quo me peperit mater mea;
nec memini umquam, ex quo scire potui quid sensus sit, ullam omnino noctem ita
mihi quiescenti suavem exstitisse. Consolatio enim mihi praesto fuit ex sancto
illo ligno cui afflixus fuit Dominus meus Iesus Christus.» Laur. SURIUS,
Ord. Carthus., De probatis sanctorum
historiis, die 29 martii: SS. Ionae
et Barachisii martyrium, auctore ESAIA, equite regis Saborii, auditore et
spectatore eorum quae flebant. Habetur apud Simeonem Metaphrasten.
16 «Essendo molestato da una febbre
terzana... fatto chiamare da una monaca Carmelitana scalza che era in
extremis... il santo Padre Baldassarre (Alvarez), come che vedesse il pericolo
al quale si esponeva, si tolse di letto per andare a consolarla... Stando per
tanto confessando la monaca... si svenne... Nel ritornare a casa, molto
travagliò, onde se gli raddoppiò la terzana, e dicendogli l' infermiere: «Ben
il predissi a V. R. che n' avrebbe riportato danno da questa mossa, «Ed egli
con gran pace: «Tutto è nulla, disse, per consolare un' anima.» Né posso
passare in silenzio quello che raccontò la Madre Anna di Gesù, figliuola
dilettissima della Madre S. Teresa di Gesù, priora di quel monastero, la quale
con altre monache entrarono allora nella cella dell' inferma, e con molto
fondamento intesero che quello che pareva svenimento era più veramente un rapimento
di spirito... non solo perché loro
parea un serafino nel sembiante e loro cagionava consolazione in mirarlo, ma
molto più perché, in ritornando ai sentimenti, disse loro «ch' era singolare la
gloria ch' era apparecchiata per quella inferma, e che di lì a pochi giorni la
goderebbe, perché in otto mesi ch' era giaciuta ammalata, s' era più
perfezionata che altra molto buona religiosa benestante in molti anni.» Molto
credibil è che questo fosse rapimento, come altri simili che contammo...
volendo Nostro Signore premiare al suo servo il servizio che gli fece, essendo
infermo, in dar questa delizia al suo spirito, quantunque il corpo ne patisse.»
Ven. Lod. DA PONTE, Vita, cap. 18, §, § 1.
17 Vedi Appendice, 96, f.
18 «Libere (Procopius) coepit eum
(Flavianum Praesidem) insequi maledictis: «Omnis iniquitatis, dicens, operarie,
et ignis aeterni nutrimentum, tu valde peccans in veritatem dicis me puniri
tamquam insipientem: non advertis autem te ea mihi largiri quae sunt
iucundissima et maxime optanda. Quid enim ei, qui Christum amat, iucundius esse
potest quam pati propter Christum? aut quid maius afferri lucrum quam pro eo
labores suscipere? adeo ut verear, ne forte cum sciveris quantam mihi afferas
utilitatem, a me puniendo abstineas, ut qui per ignorantiam inimico
gratificeris.» Surius, die 8 Iulii: Vita et martyrium sancti et praeclari
martyris Procopii, ex SIMEONE METAPHRASTE.
19 «Interea igitur, miti voce ac
leni, quis et unde esset interrogabatur (Gordius a Praeside). Ubi autem dixit
patriam, genus, gradum obtentae dignitatis, causam fugae, reditum: «Adsum,
inquit, mandatorum vestrorum contemptum simul et fidem in Deum, in quo spem
reposui, factis ostensurus; audivi enim, inquit, te multos crudelitate
superare: quamobrem id tempus explendo meo voto idoneum elegi.» His verbis
praesidis ira instar ignis accensa, totum viri furorem in semet concitavit.
«Iam, inquit, voca lictores. Ubi laminae plumbeae? ubi flagra? Extendatur in
rota, torqueatur in equuleo, afferantur suppliciorum instrumenta, bestiae,
ignis, gladius, crux, fossa paretur. At enim, inquit, quid habet lucri
scelestus ille, cum semel tantum moriatur?» «Imo, respondit statim Gordius,
quantum damnum patior, quod saepe pro Christo mori non possim!» S. BASILIUS
MAGNUS, Homilia 18, in Gordium martyrem, n. 4. MG 31-499.
20 «Vult ergo videri (Christus),
vult benignus dux devoti militis (nempe martyris) in sua sustolli vulnera, ut
illius ex hoc animum erigat, et exemplo sui reddat ad tolerandum fortiorem.
Enimvero non sentiet sua, dum illius vulnera intuebitur. Stat martyr tripudians
et triumphans, toto licet lacero corpore; et rimante latera ferro, non modo
fortiter, sed et alacriter sacrum e carne sua circumspicit ebullire cruorem.
Ubi ergo tunc anima martyris? Nempe in tuto, nempe in petra, nempe in
visceribus Iesu, vulneribus nimirum patentibus ad introeundum. Si in suis esset visceribus, scrutans ea ferrum profecto sentiret; dolorem
non ferret, succumberet, et negaret. Nunc autem in petra habitans, quid mirum si
in modum petrae duruerit? Sed neque hoc mirum, si exsul a corpore, dolores non
sentiat corporis. Neque
hoc facit stupor, sed amor. Submittitur enim sensus, non
amittitur. Nec deest dolor, sed superatur, sed contemnitur. Ergo ex petra
martyris fortitudo, inde plane potens ab bibendum calicem Domini. Et calix hic inebrians quam praeclarus est (Ps. XXII, 5)! Praeclarus,
inquam, atque iucundus non minus Imperatori spectanti, quam militi triumphanti.
Gaudium etenim Domini, fortitudo nostra (II Esdr. VIII. 10).» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 61, nn. 7 et 8. ML
183-1074.
21 «Era l' anno 1591
travagliatissimo da una mortalità universale per tutta l' Italia... Volle Luigi
andare in persona a servire gli infermi nell' ospedale... e vi andò più volte
insieme con altri compagni. Ad uno di questi, per nome detto Tiberio Bondi, fu
da non so chi avvisato che mirasse bene ciò che faceva, perché v' era pericolo
di contagione, ed egli rispose « che avendo innanzi agli occhi l' esempio di
Luigi che vi andava con tanta carità, non avrebbe mai saputo né voluto
ritirarsi per qualsivoglia pericolo, benché di morte.» ... Essendo il male
contagioso, si attaccò a molti di questi compagni di Luigi, ed il primo a
scoprirsi infermo fu il... Tiberio Bondi, che presto ne morì, non senza una
santa invidia di Luigi, il quale, vedendo questo suo compagno già moribondo,
disse ad un Padre suo condiscepolo: «O quanto volentieri cambierei con Tiberio,
e morirei in luogo suo, se Dio Nostro Signore me ne volesse far grazia.» E
facendogli detto Padre non so che replica, Luigi rispose: «Dico questo, perché
adesso ho qualche probabilità d' essere in grazia di Dio, ma non so poi quel
che sarà per l' avvenire, e però morirei volentieri.» V. CEPARI, S. I., Vita, parte 2, cap. 26. - «Pochi mesi
prima che si ammalasse l' ultima volta, si sentiva rapire dal desiderio della
celeste patria, e ragionava spesso e volentieri della morte. Fra le altre cose
soleva dire, che, quanto più egli viveva, tanto più gli cresceva il dubbio
della sua salute, e che più fosse vivuto, e coll' età maggiore gli fossero
sopragiunti maggiori negozi, e fosse stato fatto sacerdote, molto più incerto
sarebbe stato della salute sua. Rendeva di ciò la ragione, perché i sacerdoti,
e per l' Ufficio che recitano, e per la Messa che dicono, hanno da rendere gran
conto a Dio, e molto più quei che maneggiano le anime....; ma in quello stato
nel quale allora si trovava, non avendo ancora gli ordini sacri, avea qualche
maggior sicurezza di doversi salvare... Perciò diceva che volentieri avrebbe
accettata la morte in quella età, se a Dio fosse piaciuto di tirarlo a se.»
CEPARI, Vita, parte 2, cap. 25.
22 «R. P. M. Avila dicebat, ei
etiam qui nonnisi mediocrem dispositionem haberet, mortem tamen potius
desiderandam videri quam vitam; idque ob assiduum, in quo degimus, peccandi
periculum, quod omne per mortem tollitur.» RODERICIUS, S. I., Exercitium perfectionis, pars 1, tract.
8, cap. 20, n. 8.
23 Soliloquiorum animae ad Deum liber unus, cap. 1. Inter Opera S. Augustini, ML 40-865. -Vedi Appendice, 117.
24 «Fur tibi
tollit aurum: quis tollit tibi Deum? Quid habet dives, si Deum non habet? Quid
non habet pauper, si Deum habet? Non ergo sperare in
divitiis, ait (Apostolus); sed in Deo vivo,
qui praestat nobis abundanter omnia ad fruendum (I Tim. VI, 17); cum quibus omnibus et se ipsum.» S. AUGUSTINUS, Sermo 85, (al. de Tempore, 205), cap. 3, n. 3. ML 38-521.
25 Opera S. FRANCISCI (Pedeponti, 1739), tom. 1, p. 20. - BARTH. DE
PISIS, Liber conformitatum (Mediolani, 1513), fol. 41. - Vedi Appendice, 76.
26 «Mientra menos tuviéremos acà,
màs gozaremos en aquella eternidad, adonde son las moradas conforme al amor con
que hemos imitado la vida de nuestro
buen Jesùs.» S. TERESA DE JESUS, Las Fundaciones, cap. 14. Obras,
V, pag. 109.
27 Vedi Appendice, 97.
28 «Religiosa paupertas est curarum
abdicatio, libera a curis vitae, viatrix
expedita, observatio praeceptorum, ab omni molestia aliena.» S. IOANNES
CLIMACUS, Scola Paradisi, Gradus 17: De paupertate ad caelum properante.
29 «O beata paupertas voluntaria,
nihil in hoc saeculo possidens, nihil formidans, quoniam omnem thesaurum suum
recondit in caelo. Non irruentes piratas, non insidiantes latrones, non terrae
sterilitatem, non aeris tempestates pavescit. Quidquid infortunii, quidquid
novi eveniat, secura est; semper hilaris, semper abundans est; et quum nihil
habeat, omnia sibi communia facit, omne incommodum suo facit profectui
deservire. In facie laeta, iucundiorque in corde, Deum ubique reperit
provisorem: hominum facultates renuens, in solo divino innititur suffragio.
Tamquam viator vacuus, et peregrinus in hoc saeculo, semper gaudet qui hac
fuerit ornatus. Margaritam quippe absconditam in agro invenit... Nemo certe
nisi expertus percipere sufficit quam amabilia, quam dulcia, quamve pretiosa
sint, quae largitur Deus iis qui, pro ipsius amore, suis sibique renuntiant.»
S. LAURENTIUS IUSTINIANUS. De disciplina et perfectione monasticae conversationis, cap. 2. Opera, Lugduni, 1628, pag.
82, col. 2 AB.
30 «Avarus
terrena esurit ut mendicus, fidelis contemnit ut dominus. Ille possidendo mendicat,
iste contemnendo servat... Si vere tua sunt, expende ad lucra, et pro terrenis
caelestia commutato. Si non vales, (quia domina avaritia non permittit), fatere
te pecuniae tuae non dominum esse, sed servum; custodem, non possessorem.
Denique et conformaris crumenae tuae, tamquam servus dominae suae, dum, quomodo
ille illi necessario et congaudet gaudenti et dolenti condolet, tu quoque cum
crescente marsupio tuo crescis pariter animo, et cum decrescente decrescis...
Hoc ille. Nos vero Sponsae curemus aemulari libertatem atque constantiam, quae,
sicut bene instructa in omnibus et erudita corde in sapientia, scit et
abundare, scit et penuriam pati. Cum se rogat trahi ( Trahe me post te...) ostendit quid desit sibi non pecuniae, sed
virtutis. Rursum, cum se nihilominus de spe rediturae gratiae consolatur, etsi
deficere, non tamen diffidere se probat.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 21, n. 8. ML 183-876.
31 «In locutione enim divina mihi a
Deo facta audivi commendari paupertatem pro tanto documento et pro tanto bono,
quod omnino excedit intellectum nostrum. Dixit enim mihi Deus: «Ego, inquit
Deus, si paupertas non esset tantum bonum, ego non dilexissem eam tantum; et si
non esset ita nobilis, ego non assupsissem eam.» - «Hanc enim paupertatem
mundus odit, Christus autem diligit, et elegit pro se et pro suis, ipsamque
beatissimam statuendo.» B. ANGELAE FULGINATIS Vita et opuscula, (edita a Ven.
Fr. Arnaldo, eius confessario), lib. 2, pars 2, De libro vitae qui est Christus, cap. 2.
32 «Rex (Licinius) iussit ab eius
aspectu episcopum amoveri: cui et per urbis tribunum significans: «Condonabo,
inquit, tibi erratum hoc (nempe ut imperatoris libidini sanctam virginem
Glaphyram subduxisset), et insuper honores maximos adiiciam, si mihi
obtemperaveris, et deis meis sacrificia obtuleris: quin etiam et eorum
sacerdotum, qui hic sunt, Pontificem te constituam.» Beatus vero ille Dei
minister Basileus tribuno respondit: « Haec dices Regi: Licet totum regnum tuut
mihi dare volueris, numquam tantum mihi dabis quantum auferre vis, cum a Deo
vivente me separare studeas, et daemonibus animarum corruptoribus adiungere,
atque ab infinita, sempiterna immortalique gloria abalienare...» Acta martyrii S. Balisei (qui fuit
episcopus Amaseae in Cappadocia, martyr Nicomediae in Bithynia, circa annum
322), auctore IOANNE presbytero Nicomediensi, teste in pluribus oculato, n. 11:
inter Acta Sanctorum Bollandiana, die
26 aprilis.
33 «Libenter accipio beneficium
quod prosit danti... Et quidem nobis in hoc bene facitis, sed vobis melius:
nisi forte excidit vobis illa sententia: Beatius
est dare quam accipere (Act. XX, 35). Hoc plane decet episcopum... SI quem
ministerium prohibet esse pauperem, administratio probet pauperum amatorem. Non
enim paupertas virtus reputatur, sed paupertatis amor.» S. BERNARDUS, Epistola 100, ad episcopum quemdam. ML
182 - 235. - «Epistola ad ducem Conradum» dice S. Alfonso nella nota. Ora, a
questo duca Corrado (duca di Zeringen) viene indirizzata la lettera 97 (ML
182-229) in cui il Santo cerca di distoglierlo dal pensiero di muover guerra.
Ivi (l. c., n. 2, col. 230) questo solo si legge della povertà: «Haec pauper
ego, pauperum permotus clamoribus, tuae Magnificentiae scribere volui, sciens
tibi honorificentius humilibus consentire quam hostibus cedere.»
34 «Videmus
autem pauperes aliquos, qui, si veram haberent paupertatem, non adeo
pusillanimes invenirentur et tristes, utpote reges, et reges caeli. Sed hi sunt
qui pauperes esse volunt, eo tamen pacto ut nihil eis desit, et sic diligunt
paupertatem ut nullam inopiam patiantur.» S. BERNARDUS, De adventu Domini sermo 4, n. 5. ML 183-49.
35 «Ne vous
plaignez donc pas, ma chère Philothée, de votre pauvreté; car on ne se plaint
que de ce qui déplait, et si la pauvreté vous déplait, vous n' êtes plus pauvre
d' esprit, ains riche d' affection. Ne vous désolez point de n' êntre pas si
bien secourue qu' il serait requis; car en cela consiste l' excellence de la
pauvreté. Vouloir être pauvre et n' en recevoir point d' incommodité, c' est
une trop grande ambition; car c' est vouloir l' honneur de la pauvreté et la
commodité des richesses.» S. FRANÇOIS DE SALES, Introduction à la vie dévote, 3éme partie, ch. 16. - «Ne vous disais-je pas, ma chère Fille, que
ce serait une belle chose d' étre pauvre pour l' amour de Notre-Seigneur,
pourvu qu' on n' en reçut aucune incommodité, et qu' on eût à souhait tout ce
qui est requis pour toutes nos affaires, et encore pour nous faire estimer et
être plus honorés du monde? Certes, ma chère Fille, ce serait une brave
pauvreté, mais le mal serait qu' on ne vous la laisserait pas si elle était
ainsi. Notre-Seigneur et Notre-Dame ont bien pratiqué une autre sorte de
pauvreté: une pauvreté rejetée, méprisée, vilipendée, incommodée. Encore qu'
étant de la race de David et Salomon selon la chair, il est néanmoins
extrêmement rejeté en la ville de David et gît en une souveraine pauvreté en la
crèche, et sa Mère ne trouve pas seulement qui daigne le loger. Il le faut
pratiquer et imiter, et, avec sainte Paule, préférer l' étable de Bethléem à
toutes les richesses de Rome. Ma chère Fille, Dieu nous fasse bien aimer la
sainte abjection et savourer les délices de la sacrée pauvreté. Amen. » S. FRANÇOIS DE SALES, Lettres, n. 2091 (Fragments), à la Mère de
Chantal, 1615-1620. Œuvres, XXI, 177.
36 La B. Salomea - detta da altri Salonica
- figlia di Lescone, duca di Cracovia e di Sandomira; sorella di Boleslao il
Pudico, re di Polonia; fu maritata a Colomanno, figlio del re di Ungheria
Andrea. Nel matrimonio, i due coniugi conservarono con mutuo consenso la
verginità. Morto Colomanno circa l' anno 1225, tutta si diede alle opere di
pietà. Verso l' anno 1243, o certamente prima del 1254, ebbe la consacrazione
delle vergini nell' Ordine di .S. Chiara. Piena di meriti, se ne volò al cielo
nel 1268, e molti miracoli confermarono la sua fama di santità. Il suo culto
immemorabile fu riconosciuto dalla Santa Sede nel 1673. Da molti venne chiamata
regina di Galizia, perché, nei suoi dominii, ebbe autorità come di regina.
Nella sua Vita scritta da Giuseppe GUARNIERI, Parroco de' SS.
Quirico e Giulitta in Roma - Roma, 1689, lib. 2, cap. 9 - si legge: «Cercò
sempre modo di non essere mai sufficientemente provveduta, facendosi sempre
mancare alcuna cosa del necessario. E perché le suore, mosse a compassione del
vivere suo sì stentato, l' esortavano a concedere alcuna cosa di più al suo
debole corpo, rispondeva: «La povertà, considerata precisamente in sé, non
essere né da lodarsi né da biasimarsi; ma l' amare, nella stessa povertà, la
povertà con tutte le scomodità sue, ed abbracciarle per amore di Cristo povero:
questo si meritare per premio, oltre le lodi degli uomini, un Dio eternamente
beatificante.» Era solita ancora dire in simili occasioni, che: «Chi nella
Religione professa povertà, e non ammette seco gli amici di essa, che sono le
necessità e i disagi, l' uccide, poiché trasgredisce l' osservanza giurata a
Dio: dal quale una tale religiosa non solamente ne sarà severamente punita,
come sacrilega; ma ancora dagli uomini saggi solennemente burlata, come
sciocca, credendosi di potere essere insieme povera, e godere delle comodità,
mormorando quando ne è senza.»
37 « Fece il suo passaggio (l'
Arciduca Alberto, dal Portogallo agli Stati della Fiandra, nel 1595) per la
città di Madrid... Si consolò assai coll' Infanta (Margherita) sua sorella,
amandosi strettamente tra di loro... Questo suo fratello... vedendola in quella
forma di abito così umile ed abietto, e di più stracciato, e rappezzato in
molti luoghi, le disse che non andasse vestita in quella foggia, perché essendo
abbastanza la povertà di quel panno umile, non accadeva che volesse poi portare
quei stracci e rappezzamenti, quali poteva dismettere se ella voleva. Sorrise
dolcemente l' Infanta, e rispose... che questa era la sua più bella gala...
«Crede Vostra Altezza fratello mio, così gli disse, che quello che è qua oscuro
e orribile, non risplenda grandemente appresso Dio? Questa povertà nella vita
temporale è ricchezza nell' eterna... Più contenta me ne sto io così stracciata
e rappezzata, che non sono li Regi più poderosi con tutti gli splendori delli
loro reali vestimenti... E' la povertà santa, fratello mio, un gran
distaccamento di spirito, nella vita riposo del corpo, e gusto nell' anima...
Quanto meno si possiede, più s' acquista, e quanto più si disprezza, più si può
aspettare, perché il maggior tesoro di questa vita è trasportare il suo tesoro
nell' altra.» Soleva poi raccontar minutamente l' Arciduca con grande
edificazione queste parole che gli disse l' Infanta sua sorella... confessando
il profitto grande che cavò da questo suo ragionamento» F. GIOVANNI DE PALMA, Vita, lib. 3, cap. 15.
38 «Veramente, fra le altre
perfezioni religiose, teneva ella in pregio ed amava con particolarissimo
affetto l' osservanza della santa povertà, e perciò, in trattando di quella,
spessissimo prorompeva in affettuose esclamazioni... Onde talora così dicea: «O
felici i religiosi, che sono stati tanto onorati da Dio che la lor parte vuol
esser egli stesso, poiché per amor suo con voto solenne hanno lasciato tutte le
altre cose! O ricca povertà che ne fai possessori del sommo bene!» Vinc. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 4, cap. 30. - (La Santa parla, stando in
estasi: ) «Felicissimi quelli che puramente vanno seguitando te, (o Verbo,)
senza possedere cosa alcuna transitoria, sendo che avranno per premio te, che
sei ricchezza d' ogni ricchezza, tesoro d' ogni tesoro, e la ricchezza infinita
del paradiso! Ma chi comprerà il paradiso? ove si troverà danaio che questo
agguagli? Che si può dare in prezzo di bene sì grande? E chi lo crederebbe! il
nulla, il nulla, ma per Dio: non posseder nulla, non bramar nulla di questo
mondo, non voler altro che Iddio. Dominus
pars hereditatis meae. Dico più: anzi neppure volere Iddio, se non per Dio.
O altissima, o ricchissima povertà! Di questa sorte hanno il prezzo in mano da
comprare il cielo quelli che son poveri, perché questi tesori si comprano con
una somma povertà; e quanto più l' anima è povera, tanto più Iddio infonde in
lei i suoi tesori, coi quali può comprare il paradiso. O chi non amerà questa
povertà, poiché è cagione che Dio ci dà tanto gran doni. Beati pauperes spiritu. Melius est mori cum iusto, quam super divitias
peccatorum multas. Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum! concupiscit
et deficit anima mea, dirò, nel desiderio della possessione del cielo, o
nel desiderio della possessione della povertà tua, che mi vale quanto il cielo,
poiché con quella vuoi che io compri il cielo, ed è il prezzo bastevole per
così gran regno!» Ibid., parte 3, Quinta Notte, pag. 124.
39 «Un facoltoso mercante di
Siviglia... che per l' alta stima ed affezione che portava alle Scalze, oltre
al beneficarle con abbondanti limosine, giungeva fino a scopar la chiesa loro,
discorrendo un dì colla Priora, supplicolla a salutare la Santa Madre a di lui
nome, e farle sapere che ei desiderava essere aiutato dalle orazioni di essa.
Scrisse la Priora, e la Santa di lì a poco rispose al mercatante nella seguente
maniera: «Signore, già qualche tempo ha che io aveva inteso da coteste sorelle
(di Siviglia) quanto V. S. le aiuti; per la qual cosa frequentemente ho pregato
il Signore che la salvi. Con più di fervore ho pregato posciaché intesi il di
lei desiderio dalla lettera della M. Priora. Sappia pertanto V. S. che il
Signore m' ha fatto conoscere che si salverà. E perché V. S. abbia un segno
onde assicurarsi che le scrivo cosa degna di fede, avverta, che dopo aver
ricevuta questa mia, non le accadrà più in questo mondo alcuna cosa
prosperevole.» Quanto predisse, tanto avvenne. Di lì a poco le navi del
mercatante ruppero in mare, ed ei fu costretto a dichiararsi fallito... Alcuni
amici... somministrarongli danaro, onde nuovamente tentar la fortuna. Ma
disgrazie a disgrazie succedettero... Povero, e spogliato dei suoi averi, ma
assai contento di Dio, alfin morì.» FEDERICO di S. ANTONIO, Carm. Sc., Vita, lib. 3, cap. 18. Nuova ediz., Roma, 1837. - Questo fatto, di cui
non han traccia le prime Vite della Santa, vien riferito dal P. Lireo (Adrianus
Lyraeus - Van Lyere, S. I., 1661. S.
Ignatii de Loyola Apophtegmata sacra, Antwerpiae, 1662, Apoph. . 3, pag. 33 et 40). Nota il P.
Federico (Vita, l. c.) che, nella
Fiandra, ove fiorirono le due tanto intime confidenti della Santa, Anna di Gesù
e Anna di S. Bartolomeo, chiarissima era la memoria dei fatti di Teresa. D'
altronde, il Lireo dice: «Certis auctoribus accepi. »
40 «Dopo la morte di S. Luigi, il
P. Bernardino Medici... mi scrisse in Milano in questa guisa: «Era
desiderosissimo di patire tribolazioni, e mi disse che non trovava il più
evidente contrassegno di santità di alcuno, che quando lo vedeva patire con
buona coscienza; cioé, vedendolo buono, e vedendolo che Dio gli dava occasione
di patire.» CEPARI, Vita, parte 2,
cap. 23.
41 SILOS, Ch.
Reg. (Historiarum Clericorum Regularium pars
altera, Romae, 1666), nel libro 4, all' anno 1606 - in cui il Ven. P. Giuseppe Caracciolo entrò nell' Ordine -
scrive (p. 184): «Ubi de mundi rerumque humanarum omnium contemptione agitur,
nescio an religiosi quique, ac provectioris spiritus viri post diuturnam
sensuum animique exercitationem eo devenerint, quo Joseph (ancora secolare ed
ammogliato) in eo vitae melioris exordio pervenerat... Filios, fratres, quibus
nihil carius, ceu nihil ad se pertinerent, intrepide defungi vita, ingenti cum
suae domus incommodo, vidit... Exarmaverat nempe sensum quoddam iam humanorum
fastidium: carebatque lacerando pectori dente ac unguibus dolor, quem non
hominum peccata aut Christi Domini cruciatus excitarent. Hinc Carolo
Caracciolo... interroganti cur ad Marchionis fratris, summae spei... iuvenis,
obitum, quem nullus non prosecutus lacrimis fuerat, fletum ipse continuerit? -
flexo ad hilaritatem vultu: «nihil tanti, inquit, sibi esse, ut fraternis
exsequiis lacrimas persolveret: servandas opportuniori usui eas esse, ac
flendum solummodo pro Redemptoris morte, qui pater et frater et sponsus est.»
Quo quidem in funere, cum matrem sororemque lus nimio indulgere lacrimis ac
dolori cerneret, hac praesertim animadversione temperare exundantem fuse luctum
studuit: «Meminerint, videlicet, Salvatoris nostri cruciatus, ac funus peracerba
ea comploratione dignum: mortalibus, aut nulla, aut brevi lacrima parentandum.»
42 Vita, cap. 22. -Vedi Appendice,
98.
43 BACCI, Vita, lib. 1, cap. 18. «La ragione di questa sua renitenza, che ai
suoi pareva troppo dura, era perché non voleva esser domandato Fondatore di
Congregazioni: nome molto alieno dal basso concetto che avea di se stesso;
oltre che dicea non voler fuggire la croce, e quel luogo nel quale il Signore
gli aveva dato tante occasioni di meritare; e finalmente, perché, essendo stato
quivi per lo spazio di trentatré anni non poteva indursi a non conseguire il
fine di così lunga perseveranza.» L. c., n. 2.
44 «Come si diportasse egli nella
scelta della casa dove andava a curarsi, ne lo riferisca lo stesso P. Priore
Diego della Concezione, che vi fu presente. « Essendo, egli dice, necessario di
condurre il N. P. F. Giovanni della Croce ad un altro luogo, io, come Priore,
trattavo che andasse al Collegio di Baeza, e non al Convento di Ubeda, per
essere quella casa più a proposito, ed esservi Rettore il P. F. Angelo della
Presentazione, grande amico del Santo: laddove Ubeda era una nuova fondazione,
poco opportuna ad infermi, e la governava un Priore alquanto severo, e non
molto amico di S. Giovanni. Nientedimeno, egli ricusò di andare a Baeza,
appunto perché il Rettore era suo amico, ed egli, siccome fondatore di detto
Collegio, assai conosciuto in quella
città: per la qual cosa elesse di portarsi ad Ubeda.» MARCO DI S. FRANCESCO,
Carm. S., Vita di S. Giovanni della
Croce, lib. 3. cap. 5.
45 «Muchas veces os lo digo,
hermanas, y ahora lo quiero dejar escrito aquì porque no se os olvide, que en
esta casa, y aun toda persona que quisiere ser perfeta, huya mil leguas de
«razòn tuve», «hiciéronme sinrazòn», «no tuvo razòn quien esto hizo conmigo»:
de malas razones nos libre Dios. Parece que habia razòn para que
nuestro buen Jesùs sufriese tantas injurias, y se las hiciesen, y tantas
sinrazones? La que no quisiere llevar cruz, sino la que le dieren muy puesta en
razòn, no sé yo para qué esta en el monasterio; tòrnese al mundo adonde aun no
le guardaràn esas razones. Por ventura podeis pasar tanto que no debàis màs? Qué razòn es ésta? Por cierto, yo no la entiendo.» S. TERESA, Camino de perfecciòn, cap. 13 (in principio). Obras, III, Burgos, 1916, p. 63.
46 «Virgines
sanctae ex superna curia eum aliquando visitabant... Quidam Fratres... iuxta
cellam ejus transeuntes... mulierum voces audientes... in Capitulo...
accusaverunt eum... Interrogatur... nec exlicat... nec tamen fatetur... Iubet igitur Prior
a conventu illo Fr. Petrum discedere... Paenitentiam humiliter suscipit...
Quadam autem nocte... piam querelam faciens ad Crucifixum, dicebat: «Mi Domine,
tu scis in causa illa innocentiam meam: cur permisisti me sic iudicari?» Et
Crucifixi imago ad eum: «Et ego, Petre, quid feci mali, ut cum tantis
opprobriis et contumeliis condemnarer ad crucem? Disce ergo exemplo meo omnia
aequanimiter ferre.» THOMAS DE LENTINO (coaevus), O. P., Vita, cap. 1, n. 6: inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 29 aprilis. - «Cum ob fidei constantiam et
devotionem... multas persecutiones et molestias pateretur... quadam die apud
Mediolanum ante Crucifixi imaginem... cum lacrimis... se prostravit, et...
dixit: «Domine Iesu Christe.. tu scis me non egisse ea propter quae tantas
susstinere merear angustias.» Cui protinus imago Crucifixi respondit: «Fr.
Petre, et ego quid egi ut crucis supplicium sustinerem? Verumtamen confide,
quia ego tecum sum et ad me cum corona honoris et gloriae venies.» Ibid., cap. 3, n. 24.
47 «Delphina sancta virgo (ambo
enim consenserant de virginitate in matrimonio servanda)... admirans tam
insignem in illo (qui vir praecipuus nobilitate erat, et comes Ariani)
patientiam... intra conclave ait ad eum: «Quid hominis es tu, Elzeari, qui
numquam erga illos, qui te iniuria afficiunt, commoveris? Videris
esse trunci instar aut statuae, nihil sentientis. Et tamen patibilis es, et
homo mundanus. Aut fortasse vel nescis vel non potes irasci. Et quid, obsecro,
officeret malis, qui interdum iniuste te laedunt, si te quandoque iratum illis
ostenderes? » Ad haec homo lenissimus respondit: «Ecquid vero, Delphina, prodest
irasci? Nihil profecto: attamen explicabo ego tibi arcanum pectoris mei.
Noveris me interdum sentire aliquam in animo adversus infestantes me
indignationem; sed illico me converto ad cogitandas iniurias Christo illatas,
eumque imitari cupiens, dico mihi ipsi: Etiamsi famuli tui barbam tuam
convellerent et colaphos tibi infrinferent, nihil esset a Dominum tuum, qui
maiora perpessus est. Certumque habeas, Delphina, me numquam cessare a
commemorandis iniuriis Salvatoris mei, donec animus meus plane sit
tranquillatus. Atque hanc fateor me a Domino habere peculiarem gratiam, ut eos
qui mihi iniuriosi sunt, vel aeque ut ante, vel plus etiam amem, et pro eis
specialiter orem; agnoscamque et confitear me maioribus et atrocioribus
iniuriis dignum esse.» WADDINGUS, Annales
Minorum, anno 1319, n. 5.
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