- CAPO XVII.
- § 2. - DELLE DESOLAZIONI.
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§ 2. - DELLE
DESOLAZIONI.
“È un inganno, dice S. Francesco di Sales, il voler misurare la divozione colle
consolazioni che proviamo. La vera divozione nella via di Dio consiste in avere
una volontà risoluta di eseguir tutto ciò che piace a Dio”.13 Iddio
colle aridità stringe a sé le anime più dilette. Quel che c'impedisce la vera
unione con Dio è l'attacco alle nostre disordinate inclinazioni; onde il
Signore quando vuol tirare un'anima al suo perfetto amore, cerca di staccarla
da tutti gli affetti de' beni creati. E così prima le va togliendo i beni
temporali, i piaceri mondani, le robe, gli onori, gli amici, i parenti, la
sanità del corpo; e con tali mezzi di perdite, di disgusti, dispregi, morti
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e infermità, la va distaccando da tutto il creato, acciocché ella
riponga in lui tutti gli affetti suoi.
Indi per affezionarla ai beni spirituali, a principio le fa assaggiare molte
consolazioni con abbondanza di lagrime e tenerezze; onde l'anima procura allora
di staccarsi da' piaceri sensuali, anzi cerca di macerarsi con penitenze,
digiuni, cilizi e discipline. Ma allora bisogna che il direttore la tenga a
freno e le neghi di fare mortificazioni, almeno tutte quelle che domanda,
perché la persona spinta da quel fervore sensibile facilmente potrebbe
coll'indiscrezione guastarsi la sanità. Questa è arte del demonio, che quando
vede alcuno che si dà a Dio, e scorge che Dio lo consola colle carezze solite
darsi a' principianti, il nemico cerca di fargli perdere la salute colle
penitenze indiscrete, acciocché poi, sopravvenendo le infermità, lasci non
solamente le penitenze, ma l'orazione, le comunioni e tutti gli esercizi
divoti, e ritorni alla vita antica. Per tanto il direttore con queste anime che
cominciano la vita spirituale e cercano penitenze, dee esser molto avaro in
concederle, ma procuri di esortar loro a mortificarsi internamente con soffrire
con pazienza i disprezzi e le cose contrarie, ubbidire a' superiori, astenersi
dalla curiosità di vedere o di sentire, e cose simili; e dica loro che poi,
quando avranno acquistato il buon abito di esercitare tali mortificazioni
interne, allora potranno rendersi degne di praticare l'esterne.
Del resto è marcio
errore il dire, come dicono alcuni, che le mortificazioni esterne non servono o
poco servono. Non ha dubbio che per la perfezione son più necessarie le
interne, ma non perciò non son necessarie anche l'esterne. Dicea S. Vincenzo de
Paoli che chi non pratica le mortificazioni esterne non sarà mortificato né
esternamente né internamente.14 Ed aggiungea S. Giovanni della Croce
che ad un direttore che disprezza le macerazioni della carne, ancorché facesse
egli miracoli, non gli si dee dar credenza.15
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Ma ritorniamo al punto. - L'anima dunque ne' principî che si dà a Dio ed
assaggia la dolcezza di quelle consolazioni sensibili colle quali cerca il
Signore di allettarla e così distaccarla da' piaceri terreni, ella si va
staccando dalle creature e si attacca a Dio; ma si attacca con difetto, spinta
più dalla sensibilità di quelle consolazioni spirituali che da una vera volontà
di dar gusto a Dio; e s'inganna col credere che quanto più trova gusto in
quelle sue divozioni tanto più ama Dio. E da ciò nasce che quando vien
disturbata da quegli esercizi ove trovava pascolo, e viene impiegata in altre
opere di ubbidienza o di carità o di obbligazione del suo stato, s'inquieta e
se ne accora: - questo è difetto universale della nostra misera umanità, di
cercare in ogni azione la propria soddisfazione - o pure quando in quegli
esercizi divoti non vi trova i gusti assaggiati, o gli lascia o almeno gli
diminuisce, e, diminuendoli poi da giorno in giorno, finalmente gli lascia
tutti. E questa disgrazia succede a molte anime che, chiamate da Dio al suo
amore, cominciano a camminare nella via della perfezione, e fanno qualche
cammino mentre durano le dolcezze spirituali, ma quando poi cessano quelle,
lasciano tutto e ritornano alla vita antica. Ma bisogna persuadersi che l'amore
a Dio e la perfezione non consiste nel sentire le tenerezze e le consolazioni,
ma nel vincere l'amor proprio e nel seguire la divina volontà. Dice S.
Francesco di Sales: “Iddio tanto è amabile quando ci consola, che quando ci
tribola.”16
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In quello stato di consolazioni non è gran virtù lasciare i gusti sensuali e
sopportare gli affronti e le cose contrarie. In mezzo a quelle dolcezze l'anima
sopporta tutto, ma tal sofferenza proviene spesso più da quelle dolcezze assaggiate
che dalla forza del vero amore a Dio. E perciò il Signore, affin di assodarla nella
virtù, si ritira e le toglie quei gusti sensibili, per toglierle ogni attacco
all'amor proprio che di tali gusti si pasceva. E quindi avviene che dove prima
sentiva gaudio in fare atti di offerte, di confidenza e di amore, dipoi, quando
è seccata la vena, fa questi atti con freddezza e pena, e sente tedio negli
esercizi più divoti, nell'orazione, nella lezione spirituale e nella comunione;
anzi non vi trova altro che tenebre e timori, e le pare che tutto sia perduto.
Prega, torna a pregare, e si affligge, parendole che Dio non voglia esaudirla.
Veniamo alla pratica di quello che dobbiamo far noi dal canto nostro.
Quando il Signore
per sua misericordia ci consola con visite amorose, e ci fa sentire la presenza
della sua grazia, non è bene ributtar quelle divine consolazioni, come voleano
alcuni falsi mistici; accettiamole con ringraziamento, ma stiamo attenti a non
fermarci a gustare e compiacerci del senso di quelle tenerezze di spirito:
questa si chiama da S. Giovanni della Croce gola
spirituale, la quale è difettosa e non piace a Dio.17 Attendiamo
allora a discacciare dalla mente la compiacenza
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sensibile di quelle
dolcezze; e specialmente guardiamoci di credere che Iddio ci usi quelle finezze
perché meglio degli altri ci portiamo con esso, perché un tal pensiero di
vanità costringerebbe il Signore a ritirarsi in tutto da noi e lasciarci nelle
nostre miserie. Bisogna allora sì bene che lo ringraziamo con fervore, perché
tali consolazioni di spirito son doni grandi che fa Dio alle anime, assai più
grandi di tutte le ricchezze e degli onori temporali; ma in quel tempo non ci
affatichiamo già a prenderci diletto di quei gusti sensibili, ma umiliamoci con
metterci avanti gli occhi i peccati della vita passata. Bisogna allora credere
che quei tratti amorosi son puri effetti della bontà di Dio, e che forse il
Signore anticipa a confortarci con quelle consolazioni, acciocché soffriamo poi
con pazienza qualche gran tribulazione che vuole mandarci. E perciò offeriamoci
allora a patire ogni pena esterna o interna che ci avverrà, ogni infermità,
ogni persecuzione, ogni desolazione di spirito, dicendo: “Signor mio, eccomi,
fatene di me e delle cose mie quel che vi piace; datemi la grazia di amarvi e
di adempire perfettamente la vostra volontà, e non altro vi domando.”
Quando l'anima poi sta moralmente certa di stare in grazia di Dio, benché sia
priva così de' piaceri del mondo come di quelli di Dio, nondimeno sta pur
contenta del suo stato sapendo che ama Dio ed è amata da Dio. Ma Dio che vuole
vederla più purificata e spogliata di ogni soddisfazione sensibile per unirla
tutta a sé per mezzo del puro amore, che
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fa? La mette nel crogiuolo
della desolazione, ch'è una pena più amara di tutte le pene interne ed esterne
che può patire una persona; la priva della cognizione di stare in grazia; e la
lascia fra dense tenebre, in mezzo alle quali par che l'anima non trovi più
Dio. Anzi talvolta Iddio permette ch'ella sia assalita da forti tentazioni di
senso accompagnate da moti cattivi della parte inferiore, o pure da pensieri di
miscredenza o di disperazione, ed anche di odio a Dio, parendole che il Signore
l'abbia discacciata da sé e che più non senta le sue preghiere. E perché da una
parte le suggestioni del demonio son veementi e la concupiscenza della persona
sta mossa; ed all'incontro, trovandosi l'anima in quella grande oscurità,
quantunque resista colla volontà, non sa però discernere abbastanza, se a
quelle tentazioni resiste come dee o vi consente; con ciò maggiormente le
cresce il timore di aver perduto Dio, e che Dio giustamente, per le sue
infedeltà usate in questi combattimenti, l'abbia in tutto abbandonata. Onde le
pare di essere già arrivata all'estrema rovina, di non amare più Dio, e di
esser odiata da Dio. Questa pena ben la provò S. Teresa, e confessa la santa
che in tale stato la solitudine non più la consolava, ma l'era di tormento, e
che quando andava all'orazione le parea di trovare un inferno.18
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Avvenendo ciò ad un'anima che ama Dio, ella non si sgomenti, né si atterrisca
il direttore che la guida. Quei moti sensuali, quelle tentazioni contra la
fede, quelle diffidanze e quegli insulti che la spingono ad odiare Dio, sono
timori, son tormenti dell'anima, sforzi del nemico, ma non sono atti volontari
e perciò non sono peccati. L'anima che veramente ama Gesù Cristo ben resiste
allora, e dissente a tali suggestioni; ma, per le tenebre che l'ingombrano, no
'l sa distinguere, resta ella confusa, e, perché si vede lasciata dalla
presenza della grazia, teme e si affigge. Ma ben si scorge poi che in queste
anime così provate da Dio tutto è spavento ed apprensione, ma non verità:
dimandate loro, anche nel mentre che si trovano così derelitte, se mai
commetterebbero un sol peccato veniale ad occhi aperti, che risolutamente
risponderebbero di esser pronte a patire non una, ma mille morti, prima che
deliberatamente dar quel disgusto a Dio.
Bisogna perciò distinguere, altro è fare un atto buono, come di respinger la
tentazione, di confidare in Dio, di amare e volere quel che vuole Dio: altro è
conoscere che in effetto facciamo quest'atto buono. Questo secondo, di
conoscere che facciamo l'atto buono, serve a noi di godimento; ma il profitto
sta nel primo, cioè nel far veramente quel buon atto. Iddio si contenta del
primo, e priva l'anima del secondo, cioè della cognizione di aver fatto
quell'atto buono, affin di toglierle ogni propria soddisfazione che niente in
verità aggiunge all'atto fatto, poiché il Signore più cerca il profitto nostro,
che
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la nostra soddisfazione. S. Giovanni della Croce scrisse ad
un'anima desolata per consolarla, così: “Non mai voi siete stata in migliore
stato del presente, perché non mai così umiliata e distaccata dal mondo, e non
mai riconosciuta così cattiva come ora vi conoscete. Né siete stata mai così
spropriata e lontana dal cercar voi stessa.”19 Non crediamo in somma
che allorché sentiamo più tenerezze di spirito siamo più amati da Dio; poiché
non consiste in esse la perfezione, ma nel mortificare la nostra volontà ed
unirla alla divina.
Nello stato dunque di desolazione, dee l'anima non dare udienza al demonio che
le suggerisce averla Dio abbandonata, né dee lasciar l'orazione. Questo è quel
che pretende il demonio per farla poi cadere in qualche precipizio. Scrive S.
Teresa: “Con aridità e tentazioni fa prova il Signore de' suoi amanti. Benché
tutta la vita duri l'aridità, non lasci l'anima l'orazione; tempo verrà che
tutto le sarà pagato molto bene.”20 In tale stato di pena, dee la
persona umiliarsi, pensando che così merita di esser trattata per le offese
fatte a Dio: umiliarsi e rassegnarsi tutta nel divino volere, dicendo: “Eccomi,
Signore, se volete farmi star così desolata e afflitta per tutta la mia vita, e
se volete anche per tutta l'eternità, datemi la grazia vostra, fate ch'io vi
ami, e poi fate di me quel che vi piace.”
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E
vi sarà inutile allora, e forse di maggior inquietudine, il voler accertarvi che
stiate in grazia di Dio e che quella sia pruova non già abbandono di Dio,
perché Dio allora non vuole che lo conosciate; e non vuole per vostro maggior
profitto, acciocché più vi umiliate, ed accresciate le preghiere e gli atti di
confidenza nella sua misericordia. Voi volete vedere, e Dio non vuole che
vedete. Per altro dice S. Francesco di Sales: “La risoluzione di non consentire
a niun peccato, anche minimo, ci assicura che stiamo in grazia di
Dio.”21 - Ma quando l'anima si ritrova in una profonda desolazione, ciò
neppure lo conosce chiaramente; ma non dee ella pretendere in tale stato di
sentire quel che vuole, basta che lo voglia colla punta della sua volontà. E
così dee abbandonarsi tutta nelle braccia della divina bontà. Oh quanto innamorano
Dio questi atti di confidenza e di rassegnazione in mezzo alle tenebre della
desolazione! Ah fidiamoci pure di un Dio che, come dice S. Teresa, ci ama più
che noi amiamo noi stessi.22
Si consolino pertanto queste anime care a Dio che stanno risolute di esser
tutte sue e si vedono prive nello stesso tempo di ogni consolazione. La loro
desolazione è segno che sono molto amate da Dio, e ch'egli lor tiene
apparecchiato
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il luogo in paradiso ove le consolazioni son piene ed
eterne. E tengano per certo che quanto più saranno state afflitte in questa
terra, tanto più saran consolate nel regno de' beati: Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuae
laetificaverunt animam meam (Ps. XCIII, 19).
Per consolazione
delle anime desolate voglio qui soggiungere quel che si narra nella vita della
madre S. Giovanna di Chantal, la quale per lo spazio di 41 anni fu afflitta da
terribili pene interne, di tentazioni, di timori di stare in disgrazia di Dio,
ed anche di essere abbandonata da Dio.23 Erano sì continue e sì grandi
le sue afflizioni che giungeva a dire che il solo pensiero della morte le dava
qualche sollievo.24 Dicea di più: “Son tanto furiosi gli assalti, che
non so dove ricoverare il povero mio spirito. Mi sembra talvolta che già se ne
fugga la pazienza, ed io stia in atto di perdere e lasciare ogni
cosa.”25 Dicea di più: “Il tiranno della tentazione è sì crudele, che
ogni ora del giorno io la cangerei colla perdita della vita. E talvolta perdo
l'uso del mangiare e del dormire.”26
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Negli ultimi otto o nove anni di sua vita le sue tentazioni furono assai più
fiere.27 La madre di Scatel dicea che la sua santa madre di Chantal
pativa giorno e notte un continuo martirio interno, quando faceva orazione,
quando lavorava ed anche quando riposava; ond'ella ne avea un'estrema
compassione.28 Era la santa combattuta contra tutte le virtù,
eccettuata la castità,29 con sollevamenti di dubbi, di tenebre e di
ripugnanze.30 Talvolta Iddio la privava de' suoi lumi, e le compariva
sdegnato, come in atto di scacciarla da sé: in modo
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ch'ella per lo
spavento volgeva lo sguardo altrove per trovar sollievo; ma, non trovandolo, era
astretta di ritornare a guardare Iddio e ad abbandonarsi nella sua
misericordia. Le parea che all'empito delle tentazioni stesse per cadere ogni
momento. L'assistenza divina non già l'abbandonava, ma a lei sembrava che Dio
già abbandonata l'avesse,31 non sentendo più alcuna soddisfazione, ma
solo tedi ed angosce, nell'orazione, nella lettura de' libri divoti, nella
comunione ed in tutti gli altri esercizi spirituali.32 La sua guida in
tale stato di derelizione non era altro che mirar il suo Dio e lasciarlo
fare.33
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Diceva la santa: “In tutti i miei abbandonamenti la mia via semplice mi è una
nuova croce, e la mia impotenza di operare mi è un nuovo accrescimento di
croce.” E perciò dicea parerle esser ella come un infermo oppresso da' dolori,
impotente a voltarsi da un lato all'altro, muto che non può spiegare i suoi
mali, e cieco che non vede se quelli che gli vengono davanti gli rechino
medicina o veleno. Indi piangendo dirottamente soggiungeva: “Mi pare di esser
senza fede, senza speranza e senza amore verso il mio Dio.”34 Frattanto
non
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però la santa conservava il volto sereno, era dolce nel
conversare, e continuamente tenea lo sguardo fisso in Dio, riposando nel seno
della divina volontà. Onde scrisse di lei S. Francesco di Sales suo direttore e
che ben conoscea quanto fosse diletta a Dio la di lei bell'anima: “Era il di
lei cuore come un musico sordo, che sebbene eccellentemente cantasse, non potea
ritrarne alcun piacere.”35 Ed a lei stessa poi scrisse: “Voi dovete
servire il vostro Salvatore solo per amore della sua volontà, colla privazione
d'ogni consolazione, e con questi diluvi di tristezza e di spaventi.”36
Così si fanno i santi:
Scalpri salubris ictibus,
Et tunsione plurima,
Fabri polita malleo
Hanc saxa molem construunt,
Aptisque iuncta nexibus,
Locantur in fastigio.37
I santi già sono queste pietre elette, come canta la Chiesa, che
lavorate a colpi di scalpello, cioè colle tentazioni, co' timori,
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colle tenebre, e con
altre pene interne ed esterne, si rendono atte ad esser poi collocate ne' troni
del regno beato del paradiso.
13 «Je dis
donc que la dévotion ne consiste pas en la douceur, suavité, consolation et
tendreté sensible du coeur, qui nous provoque aux larmes et soupirs et nous
donne une certaine satisfaction agréable et savoureuse en quelques exercices
spirituels. Non, chère Philothée, la dévotion et cela ne sont pas une même
chose; car il y a beaucoup d' âmes qui ont de ces tendretés et consolations,
qui néamnoins ne laissent pas d' être fort vicieuses, et par conséquent n' ont
aucun vrai amour de Dieu et, beaucoup moins, aucune vraie dévotion... Ainsi se
trouve-t-il des personnes qui, considérant la bonté de Dieu et la Passion du
Sauveur, sentent des grands attendrissements de coeur... Mais... pour tout
cela, les pauvres gens ne quitteraient pas un seul liard du bien mal acquis qu'
ils possédent, ne renonceraient pas à une seule de leurs perverses affections,
et ne voudraient pas avoir pris la moindre incommodité du monde pour le service
du Sauveur sur lequel ils ont pleuré; en sorte que les bons mouvements qu' ils
ont eus, ne sont que des certains champignons spirituels, qui non seulement ne
sont pas la vraie dévotion, mais bien souvent sont des grandes ruses de l'
ennemi, qui, amusant les âmes à ces menues consolations, les fait demeurer
contentes et satisfaites en cela, à ce qu' elles ne cherchent plus la vraie et
solide dévotion, qui consiste en une volonté constante, résolue, prompte et
active d' exécuter ce que l' on sait être agréable à Dieu.» S. FRANÇOIS DE
SALES, Introduction à la vie dévote, 4éme
partie, ch. 13.
14 «Malheur,
disait-il, à qui cherche ses satisfactions! Malheur à celui qui fuit les croix!
car il en trouvera de si pesantes, qu' elles l' accableront. Celui qui fait peu
d' état des mortifications extérieures, disant que les intérieures sont
beaucoup plus parfaites, fait assez connaître qu' il n' est point mortifié, ni
intérieurement ni extérieurement.» ABELLY, Vie, liv. 3, ch. 24, Section I (al.
chap. 46).
15 «Avendo egli udito da un
religioso per nome il P. F. Giovanni di Sant' Anna, arrivato da un altro
convento, che un certo superiore, per attendere alla salute dei secolari, era
molto indulgente coi predicatori e confessori, e facilitava nelle uscite di
casa e nel maneggio degli stranieri negozi; investito un giorno da uno spirito
veemente, e con estro in lui pochissime volte osservato, gli disse: « Miri il
mio P. F. Giovanni, se, in qualche tempo, alcuno, ancorché fosse Superiore, gli
persuadesse qualche dottrina di larghezza, quando anche con miracoli gliela
confermasse, non gli creda, e molto meno la metta in pratica; ma piuttosto
abbracci la penitenza e lo staccamento da tutte le cose, e non cerchi Cristo
fuori della croce; poiché ci ha egli chiamati agli Scalzi della Vergine per
seguirlo sopra di essa nell' annegazione di tutte le cose e di noi medesimi, e
non a procurare i nostri agi e piaceri. Badi adunque a non dimenticarsi di
questo punto, e a predicarlo quando gli scaderà, siccome cosa che tanto
importa.» MARCO DI S. FRANCESCO, C. Sc., Vita,
lib. 2, cap. 4. Opere del Santo,
parte terza, Venezia, 1747.
16 «Or, le
voilà, dis-je, le grand Job, qui s' ecrie: Si
nous avons reçu des biens de la main de Dieu, pourquoi n' en recevrons-nous pas
aussi bien les maux (Iob, II,
10)? O Dieu, que cette parole est de grand amour! Il pèse, Théotime, que c' est
de la main de Dieu qu' il a reçu les biens, témoignant qu' il n'
avait pas tant estimé les biens parce qu' ils étaient biens, comme parce qu'
ils provenaient de la main du
Seigneur: ce qu' étant ainsi, il conclut que donc il faut supporter
amoureusement les adversités, puisqu' elles procèdent de la même main du
Seigneur également aimable lorsqu' elle distribue les afflictions comme quand
elle donne les consolations. Les biens sont
volontiers reçus de tous, mais de recevoir les
maux il n' appartient qu' à l' amour parfait, qui les aime d' autant plus
qu' ils ne sont aimables que pour le respect de la main qui les donne.» S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l' amour de Dieu, liv. 9,
chap. 2.
17 «Tra i principianti
difficilmente se ne troverà uno che, per quanto cammini bene, non cada in
qualcuna delle molte imperfezioni che in essi si osservano circa questo vizio
(della gola spirituale)... Molti di costoro, adescati dal sapore che trovano in
tali esercizi spirituali, si procurano più il gusto dello spirito che la sua
purezza e discrezione... Per il che, oltre l' imperfezione che hanno in
pretendere tali gusti, la loro ingordigia li fa trasmodare e uscire dai limiti
del giusto mezzo, in cui le virtù consistono e si acquistano.... Pospongono la
soggezione e l' obbedienza... alla penitenza corporale, che senza l' obbedienza
non è altro che penitenza da bestia... Molti di costoro li vedrai insistere
presso i maestri di spirito... affinché
concedano loro ciò che vogliono, e alla fine l' ottengono quasi per
forza: o se no, mettono il broncio come bambini... Allorché si comunicano, si
applicano interamente in procurarsi qualche sentimento di piacere... tanto che
quando non hanno ricavato alcuna consolazione sensibile, pensano di non aver
fatto nulla... Lo stesso modo di agire è usato da essi nell' orazione, intorno
alla quale pensano che tutto il suo meglio consista nel sapervi trovare
devozione sensibile, e si affannano a ricavarnela, come si dice, a forza di
braccia, affaticando e stancando le potenze e la testa... Di più quei che sono
così inclinati ai gusti spirituali... vanno molto a rilento nel battere l'
aspro sentiero della croce; perché l' anima amante di delizie torce
naturalmente il viso ad ogni disgusto di propria abnegazione... Faccio
osservare a quei tali che la sobrietà e la temperanza spirituale importano una
tempra ben diversa di mortificazione, timore e soggezione in tutte le cose, e
che la perfezione e il valore delle opere non consiste nella loro moltiplicità
e nel piacere che vi si trova, ma nel sapere in esse abnegare se medesimi.» S.
GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura del
senso, cap. 6. Opere, a cura
dell' Ord. dei Carm. Sc., colume 2, Milano, 1928.
18 «Acaeciame algunas veces, y aun
ahora me acaece, aunque no tantas, estar con tan grandisimos trabajos de alma
junto con tormentos y dolores de cuerpo, de males tan recios, que no me podia
valerme... Todas las mercedes que me habia hecho el Senor se me olvidaban; sòlo
quedaba una memoria, como cosa que se ha sonado, para dar pena; porque se
entorpece el entendimiento de suerte, que me hacia andar en mil dudas y
sospecha, pareciéndome que yo quizà se se me antojaba... Pareciame yo tan mala,
que cuantos males y heresias se habian levantado, me parecia eran por mis
pecados. Esta es una humildad falsa que el demonio inventaba para desasosegarme
y probar si puede traer el alma a desesperaciòn... Lo que he entendido es que
quiere y primite el Senor y de la licencia, como se la diò para que tentase a
Job, aunque a mì, como a ruin, no es con aquel rigor... Y es ansì que me ha
acaecido parecerme que andan los demonios como jugando a la pelota con el alma,
y ella que no es parte para librarsi de su poder. No se puede decirlo que en
este caso se padece. Ella anda a buscar reparo, y primite Dios no le halle...
La fe està entonces tan amortiguada y dormida, como todas las demàs virtudes,
aunque no perdida, que bien cree lo que tiene la Iglesia; mas pronunciado por
la boca, y que parece por otro cabo la aprietan y entorpecen, para que casi,
como cosa que oyò de lejos, le parece conoce a Dios. El amor tiene tan tibio
que, si oye hablar en El, escucha como una cosa que cree ser ele que es, porque
lo tiene la Iglesia; mas no hay memoria de lo que ha expirimentado en sì. Irse a rezar, no es sino màs congoja u estar en soledad; porque el tormento
que en si se siente, sin saber de qué, es incomportable. A mi parecer es un poco del
traslado de el infierno. Esto es ansi, sigùn el Senor en una vision me diò a
entender; porque el alma se quema en sì, sin saber quién ni por dònde le ponen
fuego, ni còmo huir de él, ni con qué le matar. Pues quererse remediar con
leer, es como si no se supiese... Tener, pues, conversaciòn con madie, es peor;
porque un espiritu tan desgustado de ira pone el demonio, que parece a todos me
querria comer... Pues ir a el confesor, esto es cierto que muchas veces me
acaecia lo que diré, que, con sertan santos como lo son los que en este tiempo
he tratado y trato, me, decian palabras y me renian con un aspereza, que
después que se las decia yo, ellos mesmos se espantaban y me decian que no era
màs en su mano... Pues dame también parecer que los engano, y iba a
ellos y avisàbalos muy a las veras que se guardasen de mi, que podria ser los
enganase. Bien
via yo que de advertencia no lo haria, ni les diria mentira, mas todo me era
temor.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap.
30. Obras, I, pag. 240, 241, 242,
243, 244.
19 «Ella cammina bene, si lasci
guidare una volta, e viva lieta. Chi è lei per aver cura di sé? Andrebbe
certamente a parar bene! Non è mai stata meglio di ora, poiché non è mai stata
tanto umile, né tanto soggetta, né si tenne per sì dappoco, e tutte le cose del
mondo insieme; né si è conosciuta sì cattiva, né Dio a tal segno buono, né lo
ha servito tanto puramente e disinteressatamente come ora, né va dietro alle
imperfezioni della sua volontà e del proprio interesse, come avea forse in
costume.» S. GIOVANNI DELLA CROCE, Lettera
13, alla Signora D. Giovanna di Pedrassa, 12 ottobre 1589. Opere, Parte seconda, Venezia, 1747.
20 «Pues qué
harà aquì el que ve que en muchos dias no hay sino sequedad, y desgusto y
desabor...? Alegrarse y consolarse, y tener por grandisima merced de trabajar
en huerto de tan gran Emperador... Y ansi se determine,
aunque para toda la vida le dure esta sequedad, no dejar a Cristo caer con la
cruz; tiempo vernà que se lo pague por junto. No haya miedo que se pierda el trabajo, a buen amo sirve... Tengo
para mì, que quiere el Senor dar muchas
veces a el principio, y otras a la postre, estos
tormentos, y otras muchas tentaciones que se ofrecen, para probar a sus amadores y saber si podran beber el càliz y
ayudarle a llevar la cruz, antes que ponga en ellos grandes tesoros. Y para
bien nuestro creo nos quiere Su Majestad llevar por aquì, para que entendamos
bien lo poco que somos.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 11. Obras, I, pag. 79, 80.
21 « La plus
grande assurance que nous pouvons avoir en cette vie consiste en ce pur et
irrévocable abandonnement de tout son être entre les mains de Dieu, et en l'
absolue résolution de ne jamais vouloir, pour chose que ce soit, consentir à
faire volontairement aucun péché grand ni petit; car nous ne sommes pas plus
assurés quand nous sentons l' amour de Dieu que quand nous ne le sentons pas.
Enfin, la grande assurance consiste en ce que dessus.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 2092 (ann. 1615-1621), à la
Mère de Chantal. Œuvres, XXI, Annecy, 1923.
22 «Oh, Dios
mio, y mi sabiduria infinita, sin medida y sin tasa y sobre todos los
entendimientos angélicos y humanos! Oh,
Amor, que me amas màs de lo que yo me puedo amar, ni entiendo! Para qué
quiero, Senor, desear màs de lo que Vos quisiéredes darme?... Que no, mi Dios, no no màs confianza en cosa que yo pueda querer para mi; quered Vos
de mì lo que quisiéredes querer, que eso quiero, pues està todo mi bien en
contentaros. Y si Vos, Dios mio, quisiéredes contentarme a mi, cumpliendo todo
lo que pide mi deseo, veo que iria perdida... Proveed Vos por la vuestra (sabiduria
y providencia) los medios necesarios, para que mi alma os sirva màs a vuestro
gusto que al suyo. No me castiguéis en darme lo que yo quiero y deseo, si
vuestro amor - que en mi viva siempre - no lo deseare. Muera
ya este yo, y viva en mi otro que es màs que yo, y para mì mejor que yo, para que yo le pueda servir. El viva y me dé
vida; El reine, y sea yo su cativa, que no quiere mi alma otra libertad.» S.
TERESA, Exlamaciones del alma a Dios, XVII.
Obras, IV, pag. 292, 293.
23 Cette bieneureuse
Mère, parlant à une de sos filles, la veille de son départ pour son dernier
voyage de France, lui dit, sur quelques sujets d' appréhension de la
continuation d' une peine: «Et moi, ma fille, qu' il y a maintenant
quarante-et-un ans que les tentationis me poursuivent, faut-il pour cela que je
perde courage? Non, je veux espérer en Dieu, quan bien il m' aurait tuée et
anéantie pour jamais.» Mémoires de la
Mère de Chaugy, 3éme partie, ch. 27.
24 «Elle a dit
diverses fois à quelques-unes de ses filles, en ses dernières années, ces
propres paroles: «Voyez-vous, ma chère fille, en la violente continuation de
mes tentationis et peines d' esprit, je suis maintenant réduite à tel point,
que rien de tout ce monde ne me peut donner aucun soulagement, si non ce seum
mot: la mort! et je furette partout dans mon esprit, pour regarder combien mes
père, grand-père et aieux ont vécu, afin de donner quelque soulagement à mon
âme par la pensée que je n' aurais plus guère à vivre; je suis pourtant prête à
vivre tant que Dieu voundra.» Ibid., 3éme p., ch. 27.
25 «Une autre
fois, elle dit en la même confiance, que l' horrible et continuel tourment que
les tentations lui faisaient souffrir, était si grand, qu' elle n' avait ni
faim ni soif, et qu' elle ne se souviendrait de prendre aucune de ses nécessités
corporelles, si l' on ne l' en eût fait souvenir. «Ce sont des assauts si
furieux, dit-elle, que je ne sais où mettre mon esprit; il me semble que la
patience me va échapper, que je suis prête à tout perdre, à tout laisser là; ce
que je dis aux autres ne me sert de rien; je ne parle point de mes souffrances,
non pas même à Dieu; il me suffit de savoir que sa bonté sait tout et voit
tout.» Ibid., 3ème part., ch. 27.
26 «Elle dit
une fois... à une de ses filles: «Dieu m' a donné, dès mon enfance, de si
grands sentiments d' amour pour la foi, que mille fois je lui ai offert mon
sang et ma vie pour le soutien d' icelle; sa bonté ne m' en a pas trouvée
digne, mais sa justice a laissé venir en moi un tyran de tentations si cruel,
qu' il n' y a heure au jour que je ne le voulusse changer avec la perte de ma
vie; et avant que de rencontrer notre Bienheureux Pêre et d' être sous sa
sainte conduite, je croyais que j' en perdrais l' esprit, parce que, m' en
mettant beaucoup en peine, je perdais le boire, le manger et le dormir.» Ibid., 3ème p., ch. 27.
27 «Tous les
travaux, toutes les peines et toutes les tentations que cette Bienheureuse Mère
avait souffertes dès le temps de son veuvage, ne lui semblaient pas comparables
à celles qu' elle a souffertes les huit ou neuf dernières annèes de sa vie; et
son tourment était d' autant plus grand que les matiéres sur lesquelles elle
était tentée étaient plus subtiles, spirituelles et divines.» Ibid., 3ème partie, ch. 27.
28 «Notre
chère Mère Péronne-Marie de Châtel avait écrit, parmi quelques copies de
lettres de notre Bienheureuse Mère, les paroles suivantes: « Toutes les filles
de cette digne Mère, dit-elle, auraient été en grande appréhension et peur, si
elles eussent su le martyre intérieur par lequel elle passait; et que, jour et
nuit, dans la prière el hors d' icelle, dans le travail et dans le repos, son
coeur était sous la presse dd' un martyre intérieur, que la seule supérieure
(cioé, la stessa Madre di Châtel) savait entièrement, et duquel elle ne pouvait
ouir parler sans s' attendrir d' extrême compassion; quoique, d' autre part,
elle fût dans de grans sentiments intérieurs du dessein de Dieu sul l' âme de
cette digne Mère, la faisant passer par une voie si étroite.» Ibid., 3ème p., ch. 27.
29 «Parlant
une fois en confiance avec feue notre très honorée Mère Favre, elle lui dit qu'
elle ne se souvenait pas d' avoir jamais eu un mot à dire en confession
touchant la chasteté, et qu' en cela elle voyait grand sujet de s' humilier,
voyant sa faiblesse; et que sans doute, si elle eût été forte, Dieu eût permis
qu' elle eût été attaquée de cette tentation, aussi bien que de plusieurs
autres... Elle reconfirma la même chose en rendant compte à notre très honorée
Mère de Blonay, avant son départ pour Monlins, lui disant qu' elle avait été
attaquée de toutes sortes de tentations, excepté de celles contre la pureté.» Ibid., 3ème p., ch. 16.
30 «En l'
année 1637... notre Bienheureuse voulant rendre compte de son intérieur à notre
bonne Mère de Chàtel... mit sur un dos de lettre les paroles suivantes: «...
Pour le sujet du travail, je le vois toujours en moi, et toujours de temps en
temps l' angoisse retourne, et mon esprit est là, en sa simple retraite, où les
coups lui tombent tout autour comme grête, tandis que Dieu le tient là, l'
empêchant de rien regarder; il demeure paisible, mais las, quelquefois il s'
épouvante et veut voir s' il pourrait apporter quelques remédes, il n' en trouve
point; or, jusqu' à ce qu' il se soit mis dans son Dieu, et entre ses bras
miséricordieux, sans acte, car je n' en puis faire... quelquefois et souvent,
c' est une confusion de ténèbres et impuissances de mon esprit, des pensées,
soulèvements, doutes, rejets et toutes autres misères. Quand le mal est à son
extrémité, elles sont quasi continuelles, ce qui me cause une affliction
inconcevable.» Ibid., 3éme p., ch. 27.
31 «Elle
écrivit une fois (à notre Bienheureux Père) en ces termes: «Je vous écris, et
ne m' en puis pas empé cher, car je me trouve ce matin plus ennuyée de moi qu'
à l' ordinaire; je vois que je chancelle à tout propos dans l' angoisse de mon
esprit, qui m' est causée en partie par mon intérieure difformité, laquelle est
bien si grande, que je vous assure, mon bon seigneur et mon trés cher père, que
je me perds quasi dans cet abîme de misère; la présence de mon Dieu, qui
autrefois me donnait des contentements indicibles, me fait maintenant toute
trembler et frissonner de crainte. Où je ne vois aucune faute, l' oeil de mon
Dieu y en voit un nombre horrible et quasi infini; il m' est avis que cet oeil
divin, lequel j' adore de toute la soumission de mon coeur, outreperce mon âme
comme un glaive, et regarde avec indignation toutes mes oeuvres, mes pensées et
paroles, ce qui me tient en une telle détresse d' esprit, que la mort ne me
semble point si pénible à supporter que toutes ces choses. Il m' est avis que
tout a pouvoir de me nuire; j' appréhende tout, non que je craigne que l' on me
nuise à moi, mais je crains de déplaire à mon Dieu, et que sa divine assistance
soit bien éloignée de moi, ce qui m' a fait passer cette nuit dans des grandes
amertumes, et n' ai fait que répéter: Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi me
délaissez-vous? Je suis vôtre, faites de moi comme de chose vôtre.» Ibid., 3ème partie, ch. 26.
32 «Parmi la
perte de toutes ses autres consolations, lumières et soutiens intérieurs, il
lui était toujours resté une douce affection pour la lecture spirituelle; mais
Celui qui voulait posséder cette bénite âme toute nue, la dépouilla encore de
cette satisfaction, et permit qu' elle eût un si grand dégoût et aversion à la
lecture, qu' elle dit en confiance à une de ses filles «que seulement de l'
ouîr à table, il l ui semblait que c' était des dards qui lui transperçaient le
coeur». Par cette nouvelle affliction, elle fut tellement destituée de tout
contentement, qu' elle dit que son âme était comme une personne toujours en l'
agonie, faute de pouvoir manger de chose quelconque.» Ibid., 3ème partie, ch. 27.
33 «Elle avait
écrit de sa bénite main, à une âme attirée à cette bonne voie de la sainte
simplicité, les paroles suivantes: «Si vous suiviez les desseins de Dieu sur
vous, quand le ciel et la terre se renverseraient, vous ne désisteriez point de
le regarder.» C' était sa véritable pratique, regarder Dieu et ne pas éplucher
ce qu' il fait en nous, se tenir dans une simple attente de tout ce qu' il lui
plairait; et, quand les choses étaient arrivées qu' une amoureuse acceptation
de ce qu' il avait voulu ou permis.» Mémoires
de la Mère de CHAUGY, 3ème partie, ch. 25. - «Dans les derniers avis que
notre Bienheureux Père donna à cette digna Mère, il dit les paroles suivantes:
«...Je ramasse ainsi tous les avis que je vous ai donnés jusqu' à présent:
Soyez fidèlement invairable en une trés simple unité et unique simplicité de la
présence de Dieu, par un entier abandonnement de vous-même en sa sainte
volonté.» Ibid., ch. 28. - «Le
huitième juin 1637, priant dans l' Oratoire de notre Bienheureux Père, avec
grande angoisse, à cause de ses tentationis, elle ouit clairement cette amiable
voix qui lui dit: «Regardez Dieu, et lui laissez faire.» Ibid., ch. 28. - « Regardez
Dieu et le laissez faire; voilà votre seul faire,
et le seul exercice que Dieu requiert de vous, auquel lui seul vous a attirée.
C' est aussi celui que notre Bienheureux Père m' a commandé de pratiquer
invariablement, et que je vous recommande de sa part.» S. J. de CHANTAL, Vie et Œuvres, tom. 3, p. 287: Paroles de la Sainte à une âme conduite par
la voie de simplicité. - A une autre, sur le même sujet: «Regardez Dieu simplement et droitement,
et le laissez faire. Puisque vous lui
avez entièrement remis et confié tout ce que vous êtes, vous étant dépouillée
de tout entre ses mains, laissez-lui en le soin, car vous n' avez rien excepté,
ains tout confié à la difélité de son amour, et il faut faire l' oeuvre de son
salut, quand bien vous ne devriez plus voir le jour, de votre vie, clair et
serein.» Ibid., pag. 289. - A la Mère - Aimée de Blonay: « Vous vous êtes tant de fois donnée à Dieu,
et lui avez tant dit qu' il ôtat de vous ce qui n' était pas lui; maintenant il
l' a fait, il vous a enfin prise au mot, qu' y a-t-il à dire?... Pratiquez ce
que le Bienheureux nous a dit: «Regardez
Dieu et le laissez faire.»... Ne regardez donc plus vos peines ni votre
embrouillement, ni les effrois et craintes que tous ces travaux vous causent,
quoique vous les sentiez si violents et effroyables. Au lieu de cela, regardez Dieu en patience et le laissez faire, dit notre
Bienneureux Père: c' est une grande leçon.» Ibid.,
page 293.
34 «Cette
Bienheureuse Mére... dit une fois en confiance à une de ses filles...: «Dans
les destitutions et privations de toutes grâces sensibles, ma voie simple m'
est une nouvelle croix, et mon impuissance d' agir m' est un surcroît de toutes
privations, comme serait quand une personne est affligée au corps de quelques
grandes douleurs, et qu' elle est privée de se pouvoir tourner de côte et d'
autre; qu' elle est muette, et ne peut exprimer ce qu' elle sent; aveugle, ne
voyant pas si ceux qui se présentent à elle sont des médecins ou des
empoisonneurs, tellement que l' âme, dans cette angoisse et privation, aime
mieux demeurer là souffrante et impuissante.».... Elle disait, en pleurant à
grosses larmes, qu' elle se voyait sans foi, sans espérance et sans charité,
pour celui qu' elle croyait, espérait et aimait si souverainement.» Mémoires de la Mère de CHAUGY, 3ème
partie, chap. 26.
35 «Je
travaille à votre livre neuvième de l' Amour
de Dieu, et aujourd' hui, priant devant mon Crucifix. Dieu m' a fait voir
votre âme et votre état par la comparaison d' un excellent musicien, né sujet
d' un prince qui l' amait parfaitement, et qui lui avait témoigné se plaire
passionnément à la douce mélodie de son luth et de sa voix. Ce pauvre chantre
devint, comme vous, sourd, et n' oyoit plus sa mélodie; son maître s' absentait
souvent, et il ne laissait pas de chanter, parce qu' il savait que son maître
l' avait pris pour chanter.» S. FRANÇOIS DE SALES, Œuvres, XVI, Annecy, 1910, Lettre
947 (ann. 1612-1614), à la Mère de
Chantal. - Cf. Œuvres, V, Annecy,
1894, Traité de l' amour de Dieu, liv.
9. chap. 9 et 11 (dove questo paragone viene più distesamente esposto).
36 «Ce
Bienheureux, sur cet état, donnait d' excellentes leçones à sa sainte disciple,
lui disant qu' elle était au vrai temps de servir le Sauveur purement pour l'
amour de sa volonté, non seulement, ajoutait-il, «sans plaisir, mais parmi ces déluges
de tristesses, d' horreurs, de frayeurs et d' attaques, comme firent la sainte
Vierge et saint Jean au hour de la Passion, demeurant fermes en l' amour, lors
même que le divin Sauver, ayant retiré toute sa joie dans la cime de son
esprit, ne répandait ni allégresse ni consolation quelconque en son divin
visage, et que ses yeux, couverts des ténèbres de la mort, ne jetaient plus que
des regards de douleur.» Mémoires de la
Mère de Chaugy, 3ème partie, ch. 26. - Cf. S. FRANÇOIS DE SALES, Traité de l' amour de Dieu, liv. 9, ch.
11.
37 In Dedicatione ecclesiae, hymnus in utrisque Vesperis.
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